lutto
Travaglio psicologico che segue alla perdita di una persona amata e che, dopo un congruo periodo di tempo, giunge progressivamente al superamento del dolore psichico, al riconoscimento dell’evento e all’adattamento alla sua scomparsa. Il l. è accompagnato tipicamente da un certo grado di identificazione con l’oggetto perduto; non è uno stato patologico, ma un processo normale che deve seguire il suo corso, durante il quale – secondo Sigmund Freud – sarebbe addirittura controproducente interferire con una terapia. Sul piano sociale, il l. è caratterizzato dalla espressione del dolore e da una serie di rituali e di superstizioni relative alla morte e al morto che variano da cultura a cultura e tendono a esprimerne il vissuto. In senso lato si parla di l. non solo in relazione alla perdita di una persona, ma anche di luoghi (esilio), di situazioni (pensionamento), di possessi materiali, di parti o stati di sé (amputazioni, malattie invalidanti, invecchiamento).
Nel processo fisiologico del l. si possono distinguere tre stadi principali. Il primo ha la caratteristica della protesta e del diniego: secondo quanto scrive lo psicoanalista Charles Rycroft nel Dizionario critico di psicoanalisi (1968), «il soggetto tenta di rifiutare l’idea che la perdita abbia avuto luogo, si sente incredulo e pieno di rabbia, rimproverando sé stesso, la persona morta o i medici curanti di aver permesso che la perdita avvenisse». Il secondo stadio è quello della rassegnazione, dell’accettazione o della disperazione, «in cui la realtà della perdita viene ammessa e sopravviene il dolore». Il terzo infine è quello del distacco e del superamento della perdita, nel quale il soggetto abbandona l’oggetto, «se ne divezza e si adatta a vivere senza di esso». Il processo di elaborazione del l., in base all’intensità del legame affettivo interrotto, alle sue modalità e ai diversi fattori contestuali – positivi, protettivi o negativi di rischio –, può essere di durata e complessità variabile. Di solito, nella fase acuta, e in caso di perdite di figure relazionali primarie (genitori, figli, partner), viene completato entro 6÷12 mesi, anche se non sono infrequenti possibili sequele nei periodi successivi. Si deve però precisare che il processo di elaborazione è fortemente soggettivo e la sua durata può variare di molto in base a fattori personali e situazionali. Il l. nei bambini, causato dalla separazione dalla madre, può predisporre a malattie psichiche e fisiche nel corso ulteriore della vita.
La melanconia è un l. patologico, che nel linguaggio freudiano corrisponde al concetto di depressione (➔). È caratterizzata da un profondo e doloroso scoramento relativo alla perdita dell’oggetto d’amore, non necessariamente morto nella realtà esterna, ma vissuto come morto nella realtà interna dell’inconscio. La melanconia, come scrive Freud in Metapsicologia (1915), è caratterizzata da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare e gioire, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie, connesse al senso di colpa inconscio e all’ambivalenza per l’oggetto perduto che culmina nell’attesa delirante di una punizione. Talvolta accade che il malato non riesca coscientemente a rendersi conto di ciò che è andato perduto. Egli è consapevole dell’avvenimento della perdita, ma a livello inconscio tale evento evoca altre perdite accadute nella sua storia; ne segue che l’esperienza della perdita attuale si confonde con quelle del passato e il paziente si ritrova a viverle tutte in una sola. Egli sa che è avvenuta una perdita ma con difficoltà distingue cosa è andato perduto per lui. La complessità della malinconia, così come oggi la riscontriamo nella situazione clinica, deriva dal problema che il paziente, in misura variabile, si muove a livelli di non compiuta distinzione tra sé e non sé, tipica dei livelli più profondi e inconsci del funzionamento mentale, per cui i suoi sentimenti ambivalenti di amore e di odio sono rivolti al tempo stesso all’altro e a parti di sé.
La differenza tra l. e melanconia appare sfumata e tende a confondersi nella realtà clinica. In generale si può dire che nel l. non compare l’autosvalutazione. Nella melanconia, inoltre, l’umore depresso tende spesso a convertirsi in stato maniacale, cioè ad alternarsi con uno stato affettivo opposto di ec;citazione, sopravvalutazione di sé e sentimenti di onnipotenza. Tale quadro clinico corrisponde alla diagnosi psichiatrica di ciclotimia (➔ maniaco-depressiva, sindrome).
Secondo Freud, nel l. normale, a un diniego iniziale in cui viene prolungata psichicamente l’esistenza dell’oggetto perduto, segue una accettazione lenta di un doloroso compromesso che conduce al distacco dall’oggetto mancante. L’esame di realtà ha dimostrato che l’oggetto amato non esiste più, vi è un ritiro della libido e un suo spostamento su un nuovo oggetto. L’analogia con il l. potrebbe portarci a concludere che il melanconico sperimenti una perdita riguardo a un oggetto mentre la libido non viene spostata su un altro oggetto bensì riportata nell’Io. Qui viene utilizzata per instaurare una identificazione (➔) dell’Io con l’oggetto abbandonato, la cui scelta dà luogo conseguentemente alla fissazione della libido, ma ne seguono delusione e rottura della relazione oggettuale, e quindi ritiro della libido per spostarla su un altro oggetto. In tal modo la perdita oggettuale si trasforma in una perdita dell’Io. Nel l. il mondo diventa povero e vuoto, nella melanconia è l’Io stesso a divenire povero, vuoto e indegno d’amore – ora come nel passato – agli occhi sia degli altri sia del soggetto medesimo.
Lutto negli animali