Borelli, Lyda
Attrice cinematografica e teatrale, nata a La Spezia il 22 marzo 1884 e morta a Roma il 2 giugno 1959. Una delle prime dive del cinema muto, rappresentò sullo schermo l'ideale della femminilità liberty e dannunziana, enfatizzata da una gestualità lirica che divenne subito emblematica di uno stile recitativo.
Figlia d'arte e sorella di Alda (Cava dei Tirreni 1879-Milano 1964), attrice teatrale anch'essa e interprete di alcuni film nel 1916 per la Tiber, la B. debuttò in teatro nel 1901 nella compagnia diretta da F. Pasta, riscuotendo un buon successo in La fortuna di A. Capus. Passò nel 1904 nella compagnia di V. Talli, la migliore dell'epoca, e recitò accanto a Irma Gramatica, Ruggero Ruggeri e Oreste Calabresi nella prima rappresentazione di La figlia di Iorio di G. D'Annunzio. Divenuta prima attrice giovane, recitò come protagonista insieme con Eleonora Duse in una rappresentazione straordinaria di Fernanda di V. Sardou. Il suo repertorio si estese quindi alle commedie brillanti: con la compagnia Fert diretta da E. Novelli fu la Salomè di O. Wilde in un'interpretazione di rilievo per l'atmosfera estetizzante che riuscì a creare intorno alla figura della protagonista. Nel 1913 esordì nel cinema con Ma l'amor mio non muore!, adattamento di un feuilleton diretto da Mario Caserini. Come Elsa Holbein, la spia che fa innamorare di sé il delfino di un immaginario principato dell'Europa centrale, B. interpretò il suo primo ruolo cinematografico di femme fatale. Il corpo esile ma voluttuoso fasciato in morbidi drappeggi, l'incedere languido, i gesti lenti e ben studiati, ritmati su un tempo per la prima volta squisitamente cinematografico, costruirono subito lo stereotipo della diva, eterea e raffinata, che sarà ripetuto quasi identico in tutti i film che seguiranno. Ancora nel 1913 girò La memoria dell'altro di Alberto Degli Abbati con Mario Bonnard; nel 1914 La donna nuda, adattamento di un celebre lavoro di H. Bataille firmato da Carmine Gallone, in cui impose e perfezionò i movimenti 'serpentini', l'uso enfatico del corpo e dello sguardo in una recitazione volutamente artificiosa, lontana da intenti realistici. Un gioco scenico iterato nei fremiti e nei languori della nobildonna che nelle vicende faustiane di Rapsodia satanica (1917) di Nino Oxilia, cede all'amore, tradendo così il patto col diavolo e votandosi alla morte. Interpretò altri film tratti da opere teatrali di Bataille, sempre per la regia di Gallone, Marcia nuziale (1915) e La falena (1916). Fu successivamente l'esuberante e intrepida Madame Tallien (1916), l'allucinata Marina in Malombra (1917), trasposizione di Gallone da A. Fogazzaro, in entrambi accanto ad Amleto Novelli. Furono gli ultimi grandi successi della B., che da allora lavorò in opere rivolte a soddisfare il pubblico con vicende tenebrose dominate da atteggiamenti fatali, modello di quella femminilità esangue ed estatica copiata poi in tutti i salotti dell'epoca. L'imitazione della diva divenne un fatto di costume, al punto che nuovi termini furono coniati per definirlo: 'borelline' erano le fanciulle smagrite che ondeggiavano nelle strade, 'borellismo' l'ossessione emulativa del pubblico femminile; 'borelleggiare' entrò nei dizionari coevi, per significare "lo sdilinquire delle femminette, prendendo a modello le pose estetiche e leziose dell'attrice Lyda Borelli" (A. Panzini, Dizionario moderno, 1923⁴, p. 74). Il film che concluse la carriera della B. fu La leggenda di Santa Barbara (1918), opera di propaganda commissionata dal Ministero delle armi e munizioni. Nello stesso anno sposò l'industriale conte Vittorio Cini di Ferrara, e abbandonò teatro e cinema.
S. Sallusti, Borelli, Lyda, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 12° vol., Roma 1970, ad vocem; Museo internazionale del cinema e dello spettacolo (M.I.C.S.), Lyda Borelli, Roma 1993.