Ma l'amor mio non muore!
(Italia 1913, bianco e nero, 78m a 16 fps); regia: Mario Caserini; produzione: Film Artistica Gloria; sceneggiatura: Emiliano Bonetti, G. Monleone; fotografia: Angelo Scalenghe.
Stahr, losco avventuriero, spacciandosi per un gentiluomo di passaggio nel granducato di Wallenstein, frequenta la casa del colonnello Holbein e ne corteggia la figlia Elsa. In realtà, egli mira a trafugare i piani di fortificazione del granducato e riesce nel suo intento, subito dopo eclissandosi. Non reggendo al disonore, Holbein si suicida ed Elsa, cui viene imposto di lasciare il paese, ottiene all'estero, con lo pseudonimo di Diana Cadoleur, un grande successo, esibendosi come pianista e cantante in una cittadina della riviera. Qui conosce un giovane aristocratico, Massimiliano, che si trova in convalescenza da una grave malattia. Elsa non sa che questi è il figlio del granduca; tra i due nasce una simpatia che presto si trasforma in una travolgente passione. Sul battello che porta i due innamorati in gita sul lago di Locarno riappare Stahr, il quale tenta di sedurre nuovamente Elsa, che lo respinge sdegnata; poi, per vendicarsi, tornato a Wallenstein sparge la voce che Massimiliano è divenuto succube di un'avventuriera, figlia del traditore Holbein. Quando il granduca ne viene a conoscenza, invia il colonnello Theubner a Locarno, con l'ordine di ricondurre il figlio in patria. Elsa scopre allora la vera identità di Massimiliano e non può più nascondere il marchio infamante che l'accompagna. In preda alla disperazione, la donna abbandona l'amante. Massimiliano, che sente di non poter rinunziare alla donna, la ritrova in teatro ove Elsa recita La signora dalle camelie. Per la scena finale, Elsa si è realmente avvelenata. Morirà tra le braccia di Massimiliano, mormorando: "Ma l'amor mio non muore!".
Ma l'amor mio non muore! è senza dubbio una delle opere più rappresentative del cinema muto italiano e inaugura l'epoca d'oro del diva-film, sola stagione (prima del neorealismo) in cui il cinema italiano abbia saputo imporre una poetica e uno stile sui mercati internazionali. Mario Caserini, un regista in attività dai primordi, inizialmente come attore e poi metteur en scène di un numero incalcolabile di film in una o due bobine di ogni genere, dallo storico alla commedia, qui per la prima volta, con un acume e una consapevolezza inedite nel cinema italiano, assume il melodramma come punto di partenza per giungere a un nuovo assetto del tempo e dello spazio cinematografico.
Il film inizia con una lunghissima inquadratura, un vero e proprio piano-sequenza che passa da un personaggio all'altro con sorprendente fluidità, permettendo un susseguirsi delle azioni secondo una complessa, ma visualmente semplice, composizione di piani e contropiani, angolazioni ed ellissi. Un raffinato gioco a incastro tra realtà e rappresentazione, tra vita vera e finzione caratterizza invece la fase conclusiva del film, testimoniando la maturità ormai raggiunta dal cinema italiano in uscita dal periodo delle origini. "Grazie a uno stile molto preciso ‒ scrive Aldo Bernardini ‒ tutti gli ingredienti e i luoghi comuni del genere potevano raggiungere così un massimo di espressività e quindi di ridondanza e di universalità drammatica, ragion per cui anche quelle cadenze rigide, forzate, a effetto, che erano proprie della personalissima recitazione della Borelli, nell'insieme obbedivano a un preciso, modernissimo disegno espressivo, risultando funzionali ai ritmi e alle esigenze del racconto per immagini".
Annunziato con larghissima pubblicità dalla Film Artistica Gloria di Torino, di cui costituiva l'opera d'esordio, Ma l'amor mio non muore! ebbe calorose accoglienze dal pubblico e venne esportato in tutta Europa e nelle Americhe. Le recensioni all'indomani delle prime visioni furono coralmente entusiastiche, anche se assai più attente alla dignità drammatica (e quindi alle nobilitanti parentele col teatro) che all' autonoma evoluzione linguistica : "Ma l'amor mio non muore! è la prima film che per lussuosità di messa in scena, per vastità di scenario e sovratutto per la quasi impeccabilità di interpretazione, faccia dimenticare il cinema e dia l'impressione di vera opera d'arte drammatica" ("Il Maggese Cinematografico"); "Tutto è armonioso e, oseremo dire, soffice, in questo lavoro. Dalle più piccole scene di più tenue effetto ai meravigliosi saloni, ove spazia una ricchezza teatrale piena di accuratezza e di splendore, agli esterni lussureggianti e magistralmente inquadrati, alle scene intime di purissima linea estetica, ai passaggi misteriosi, ai primi piani soavemente poetici e suggestivi" ("La Vita Cinematografica").
Quel che più viene messo in risalto è naturalmente l'interpretazione di Lyda Borelli, al suo primo incontro con il cinema. Le recensioni su di lei sono dei veri e propri inni a gloria dell'attrice, che Matilde Serao (in un articolo apparso su "Il Giorno" e poi riportato su "La Vita Cinematografica") definisce "radiante di beltà", "singolarmente mutevole", "creatura d'eccezione… così tenera e drammatica, così sontuosa e così elegante, mai stata tanto penetrata di verità, nell'amore e nel dolore": la gentile iperbole del linguaggio è eco precisa dello stile e dell'orizzonte culturale che il diva-film esprime e nel quale trova linfa.
Mario Bonnard, elegante protagonista maschile, produsse nel 1921 un film vagamente ispirato all'originale del 1913, dal titolo leggermente modificato in L'amor mio non muore per evitare eventuali contese giudiziarie e diretto da Wladimiro Apolloni. Nessuna relazione con il film di Caserini ha invece L'amor mio non muore…, prodotto e diretto da Giuseppe Amato nel 1938, per l'interpretazione di Alida Valli, dei fratelli De Filippo e di Giuseppe Porelli. Il soggetto (di Titina De Filippo) raccontava la storia di un emigrato che ritorna in patria alla vana ricerca della donna amata.
Interpreti e personaggi: Lyda Borelli (Elsa Holbein/Diana Cadoleur), Mario Bonnard (Massimiliano), Gian Paolo Rosmino (Moise Stahr), Vittorio Rossi Pianelli (colonnello Julius Holbein), Dante Cappelli (granduca di Wallenstein), Maria Caserini Gasparini (granduchessa di Wallenstein), Camillo De Riso (impresario Schaudard), Emilio Petacci (colonnello Theubner), Antonio Monti (generale), Letizia Quaranta, Felice Metellio, Gentile Miotti.
A. Berton, in "Il Maggese cinematografico", 25 ottobre 1913.
A. Cavallaro, in "La vita cinematografica", 31 ottobre, 1913.
M. Serao, in "La vita cinematografica", 7 gennaio 1914.
J. Comin, Ma l'amor mio non muore!, in "Bianco e nero", n. 4, aprile 1937.
M.A. Prolo, Storia del cinema muto italiano, Milano 1951.
F. Savio, Visione privata, Roma 1981.
A. Bernardini, Il Cinema. Grande storia illustrata, 9° vol., Novara 1983.
A. Bernardini, V. Martinelli, Il cinema italiano 1913, seconda parte, in "Bianco e nero", n. 3-4, 1993.