MACALLE (A. T., 116-117)
Città dell'Etiopia settentrionale, nel Tigrè, capoluogo dell'Enderta, posta a 100 km. a SE. di Adua lungo la grande via commerciale che conduce a Dessié e a Addis Abeba, in bella posizione presso il margine orientale dell'altipiano a 2049 m. s. m. Scelta già a residenza del negus Giovanni che vi fece erigere dall'italiano G. Naretti un palazzo di tipo europeo, tuttora esistente, è oggi sede di un capo che domina su una buona parte del Tigrè, e un frequentato mercato (circa 5000 ab.).
L'assedio di Macallè (8 dicembre 1895-21 gennaio 1896). - Nell'ottobre 1895, dopo la campagna contro ras Mangascià (v. italo-abissina, guerra) il gen. O. Baratieri ordinò la sistemazione di Macallè a difesa quale baluardo avanzato contro un'invasione dell'esercito etiopico e a copertura di Adigrat, ove dovevano concentrarsi le forze italiane. Ai primi di novembre, il gen. G. E. Arimondi, comandante del Tigré, distaccò da Macallè, ove erasi stabilito col grosso delle forze a sua disposizione, una colonna comandata dal magg. P. Toselli con compito di osservazione. Ma nel combattimento di Amba Alagi (v.), del 7 dicembre, contro le truppe di ras Makonnen, il maggiore Toselli rimase ucciso; il gen. Arimondi, che era partito da Macallè nella notte sul 7 per soccorrerlo, non poté far altro che raccogliere a mezza strada i pochi superstiti, arrestando l'inseguimento del nemico (combattimento di Aderà) e all'alba del giorno 8 rientrò in Macallè. Con la perdita della colonna Toselli, che riduceva notevolmente le forze a disposizione dell'Arimondi, sarebbe stato necessario ripiegare anche da Macallè, troppo distante da Adigrat (110 km.). Ma per varie ragioni fu invece deciso di mantenerne l'occupazione, lasciandovi un adeguato presidio, nella certezza che esso avrebbe se non altro ritardato (come infatti avvenne) la marcia del nemico verso la colonia e dato tempo di giungere ad Adigrat ai rinforzi necessarî per prendere la controffensiva. Nel pomeriggio dello stesso giorno 8, il gen. Arimondi lasciava Macallè ritirandosi su Adigrat con tutte le truppe, meno quelle destinate a presidio del forte: circa 1200 uomini in tutto (1000 dei quali ascari) con quattro pezzi, agli ordini del maggiore Giuseppe Galliano.
Il forte, costruito su un'altura ove già esisteva una chiesa (Enda Jesùs) era situato sull'orlo orientale della conca di Macallè e dominava il villaggio e il nodo stradale, ma era a sua volta dominato, a distanza di circa 1 km., dalle alture orientali e dal villaggio di Enda Jesùs, sito a SO. L'opera consisteva in un muro di cinta con tracciato difettoso, non ancora ultimato; nessuna sorgente o cisterna nell'interno (l'acqua veniva attinta all'esterno nel letto dei torrenti Mai Anestì e Mai Segabà, il primo in angolo morto e il secondo notevolmente lontano). Vi erano viveri per circa tre mesi, ma non vi era provvista di legna e foraggi. I lavori di completamento furono proseguiti alacremente fino alla fine di dicembre, approfittando dell'indugio del nemico. Nei dintorni furono incettati legna, foraggio e bestiame. Fu intanto ripreso lo scambio di messaggi col ras. Il 20 dicembre si seppe che questi si era portato con le sue truppe a Dolò in modo da tagliare le comunicazioni con Adigrat. Incominciava così il lento investimento del forte; il 5 gennaio, con l'arrivo dell'esercito del negus, che accampò nei pressi di Scelicò, l'accerchiamento delle posizioni italiane fu completo.
Il mattino del 7 gennaio si ebbe il primo attacco: vennero dapprima assaliti e, dopo vivissima resistenza occupati, il villaggio di Enda Jesùs e la ridotta di NE.; nel pomeriggio si svolse l'attacco principale, appoggiato dal tiro efficace delle artiglierie del negus appostate sulle alture di NE.: le orde nemiche avanzarono da ogni parte tentando l'assalto, specie contro il saliente N., ma furono sempre respinte con gravi perdite. Il giorno dopo un nuovo attacco fu sferrato dal villaggio di Enda Jesùs contro il saliente SO: il nemico ammassatosi nel vallone del Mai Anestì, in angolo morto, assaltò da breve distanza, ma fu respinto; più tardi un secondo attacco dal Mai Segabà contro il saliente N. fu egualmente respinto; nel pomeriggio continuò intenso il fuoco d'artiglieria (circa 15 pezzi); nella notte un terzo attacco di sorpresa al saliente N. fallì come gli altri; la giornata si chiudeva così vittoriosamente, ma purtroppo le due sorgenti erano ormai definitivamente perdute. Nuovi tentativi furono ripetuti il 9 e il 10 e finalmente l'11 fu lanciato l'ultimo attacco generale, ma gli eroici difensori non cedettero.
Seguirono giorni di calma, ma cominciarono a farsi sentire le privazioni e soprattutto la scarsità d'acqua; tuttavia si sapeva che ad Adigrat erano giunti molti rinforzi e si sperava in un'imminente avanzata delle nostre truppe al soccorso del forte. Sennonché in quei giorni era giunto al campo del negus un messo del governo italiano (il cav. Pietro Felter) il quale, in seguito alle trattative da lui condotte, la sera del 19 comunicò al Galliano l'ordine di sgombrare il forte; il presidio sarebbe uscito con armi e bagagli e con l'onore delle armi. Lo sgombro avvenne infatti il 21 e dopo pochi giorni i difensori di Macallè poterono raggiungere le linee italiane. Il negus si valse peraltro della marcia della colonna Galliano per coprire il movimento di fianco del suo esercito che, per la via di Hausién, si portò nei pressi di Adua, donde poteva minacciare di invasione la colonia, evitando la forte posizione di Adigrat occupata dalle truppe italiane.
Bibl.: Documenti sul combattimento d'Amba-Alagi e sulla difesa di Macallé, Roma 1896; O. Baratieri, Memorie d'Africa (1892-96), Torino 1897; G. Moltedo, L'assedio di Macallè, campagna d'Africa (1895-96), Roma 1901; G. Reisoli, Macallè, in Rivista militare it., I (1929), pp. 3-29; A. Riguzzi, Macallè, diario, Palermo 1901.