MACCHIAIOLI
. "Macchiaioli", con allusione al significato popolare di rompicolli capaci d'ogni marioleria, dal critico della Gazzetta del Popolo furono chiamati alcuni pittori che sullo scorcio del 1862 esposero alla fiorentina "Società Promotrice" studî di paese, chiamandoli "macchie".
T. Signorini, polemizzando sulla Nuova Europa, accettò subito il nomignolo, che fu adottato dai compagni di gruppo. I "macchiaioli", per quanto il loro gruppo variasse per adesioni di altri, erano allora i dieci seguenti in ordine di anzianità, e tutti operanti, almeno per moltissimi anni, in Firenze: Serafino De' Tivoli di Livorno, Cristiano Banti di S. Croce sull'Arno, Vito d'Ancona di Pesaro, Giovanni Fattori di Livorno, Vincenzo Cabianca di Verona, Giuseppe Abbati di Venezia, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini e Raffaello Sernesi di Firenze, cui va aggiunto lo scultore e pittore Adriano Cecioni di Fontebuona. I più anziani di loro, già almeno dal 1850 si erano radunati giornalmente al caffè Michelangiolo di Via Larga; ma fino al 1854 si erano limitati a una specie di scapigliatura, specialmente ribelle ai dogmi dell'Accademia in fatto d'arte, anche se ben presto alcuni di loro, quasi per reazione al raffaellismo, avevano cominciato a disegnare dalle opere dei maestri fiorentini del Quattrocento e a dipingere in piena campagna.
L'arrivo di D. Morelli nel 1854, il ritorno l'anno dopo di S. De' Tivoli e di S. Altamura dall'esposizione di Parigi, ove specialmente li avevano entusiasmati i paesisti di Barbizon, la conoscenza di opere del Delacroix e del Troyon fatta allora nella villa Demidoff a S. Donato, spinsero quegli scapigliati alla ricerca e allo studio; e tra la fine del 1855 e i primi del '56 V. Cabianca dipingeva il famoso maiale nero contro un muro bianco, creando il primo studio di "macchia". Più tardi A. Cecioni ne chiarì e definì il significato, scrivendo: "La parola macchia ha dato luogo a un malinteso fra gli stessi macchiaioli. Molti di essi credono che macchia voglia dire abbozzo, e che lo studio delle gradazioni e delle parti nella parte, servendo a rendere quest'abbozzo finito, bandisca la macchia dal quadro. Ecco il malinteso; la macchia è base, e come tale rimane nel quadro. Gli studi della forma e le ricerche del dettaglio, hanno l'ufficio di render conto delle parti che sono in essa, senza distruggerla né tritarla. Il vero risulta da macchie da colore e di chiaro-scuro, ciascuna delle quali ha un valore proprio che si misura col mezzo del rapporto. In ogni macchia questo rapporto ha un doppio valore, come chiaro o scuro e come colore. Quando si dice: il tono è giusto per colore, ma non per valore, vuol dire che è troppo chiaro o troppo scuro, rapporto agli altri toni" (Scritti e Ricordi, Firenze 1905, p. 333).
Tra il 1855 e il 1862 i macchiaioli lavorarono all'aperto, di "macchia", a Pargentina sull'Affrico (appena fuori di Firenze), a S. Marcello Pistoiese, alla Spezia, a Venezia; i più audaci furono allora il D'Ancona, il Signorini, il Banti, teorico e sperimentatore della "macchia". Ma già nel 1862, quando il pubblico cominciava ad accorgersene, e poi nel '74, il Signorini dichiarava che la "macchia" era stata un modo troppo reciso del chiaroscuro, un mezzo polemico, un tentativo ardito e fecondo, ma quasi ormai sorpassato. A ogni modo il gruppo continuò a esser distinto e a distinguersi con quel nomignolo. Nel '67 si raccolse attorno al Gazzettino delle arti del disegno. Il movimento dei "macchiaioli", pur movendo dalle conquiste dei paesisti di Barbizon e del Courbet, si formò e sviluppò, tra il '55 e il '62, indipendentemente dagl'impressionisti francesi, coi quali i contatti furono stabiliti più stretti dal Signorini, forse solo nel 1868, certo nel 1873. (V. tavv. CLIII e CLIV).
Bibl.: T. Signorini, Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangiolo, Firenze 1890; A. Cecioni, in Scritti e ricordi, Firenze 1905 (2ª ed., 1930); U. Ojetti, T. Signorini e i "macchiaiuoli" fiorentini, in Rivista d'Italia, III (1901), p. 10; N. Tarchiani, G. Fattori inedito, in Marzocco, 9 febbraio 1913; E. Cecchi, Pittura italiana dell'Ottocento, Roma-Milano 1926, p. 38 segg.; E. Somaré, Storia dei pittori italiani dell'Ottocento, II, Milano 1928, p. 90 segg.; U. Ojetti, La pittura dell'Ottocento, Milano-Roma 1929, p. 30 segg.; L. Venturi, Les "Macchiaiuoli", in Gaz. des beaux-arts, 1933, II, pagine 238-54.