Macchina da presa
La m. da p. è lo strumento con il quale nella tecnica cinematografica le scene vengono fissate sul supporto fotosensibile costituito dalla pellicola nel caso analogico e dal CCD (Charge Coupled Device) nel caso digitale.Le parti principali di una m. da p. tradizionale (analogica) sono: il corpo macchina, costituito essenzialmente da un contenitore a, la carcassa, al cui interno si trovano il congegno di otturazione, il motore e i dispositivi di trascinamento; l'obiettivo per la ripresa b; il sistema ottico di controllo dell'inquadratura e della messa a fuoco c; il sistema di controllo dell'otturatore e dell'avanzamento pellicola d; i magazzini o scatole portafilm e; e vari accessori, come per es. il paraluce f. Nella fig. è mostrato il percorso della pellicola a partire dalla bobina debitrice a contenuta nel magazzino: dopo aver effettuato una rotazione su sé stessa, ossia il loop b (onde presentare all'esterno il lato con l'emulsione sensibile), la pellicola è trascinata con velocità costante dal tamburo di trasporto c (azionato dal motore elettrico) fino al punto d, dove il premipellicola e la spinge contro la finestra di esposizione (detta comunemente finestrino o quadruccio o mascherino) in modo che essa venga a trovarsi sul piano focale dell'obiettivo e, essendo esposta in seguito all'apertura dell'otturatore, dia poi luogo a uno dei fotogrammi del film. Nel breve intervallo di tempo in cui l'otturatore è aperto (la cadenza normale è di 24 fotogrammi al secondo), la pellicola stessa deve rimanere immobile onde non dar luogo a immagini 'mosse': a tal fine viene utilizzato un meccanismo di griffa e controgriffa (nella fig. se ne vedono solo i denti f e g che alternativamente trascinano e bloccano la pellicola); infine la pellicola, trascinata da un secondo tamburo di trasporto h, si riavvolge sulla bobina ricevitrice i. Durante il suo trasporto la pellicola viene fatta scorrere dentro una guida di metallo levigato, il corridoio, munito di due staffe che tengono discosto il lato dell'emulsione sensibile da superfici che potrebbero danneggiarlo; comunque sia, i tratti di pellicola compresi tra i tamburi di trasporto e il corridoio devono essere disposti 'a riccio', in modo che la pellicola non subisca bruschi strappi nel passaggio dal movimento continuo di svolgimento, dalla bobina debitrice, a quello intermittente, e viceversa nel riavvolgimento sulla bobina ricevitrice (per lo stesso motivo, entrambe le bobine sono in genere montate a frizione). Il trascinamento della pellicola può avvenire anche a marcia indietro o a velocità variabili, per consentire trucchi, riprese al rallentatore o sovrimpressioni. Il movimento dell'otturatore è, come si è detto, sincronizzato con quello della griffa, in modo che, durante la fase di scorrimento della pellicola tra un'esposizione e la successiva, la finestra rimanga chiusa. L'otturatore può essere di due tipi, a ghigliottina oppure a settori rotanti; questo secondo tipo di otturatore, il più usato, è costituito da due settori circolari di metallo sovrapposti, uno dei quali ruota in modo da poter variare l'apertura tra i settori stessi e quindi il tempo di esposizione. Alcune m. da p. consentono valori variabili della velocità, fino alla cadenza massima di alcune centinaia di fotogrammi al secondo, e possono avere anche lo scatto di un solo fotogramma alla volta. La componente più importante della m. da p. è la lente dell'obiettivo, che ha lo scopo di raccogliere la luce proveniente da un singolo punto del soggetto e farla convergere in un singolo punto della pellicola. Poiché le radiazioni di colore differente convergono in punti diversi, per ottenere una focalizzazione corretta della pellicola è necessario utilizzare un sistema di più lenti con differenti proprietà. La lunghezza focale delle lenti, cioè la distanza tra il centro ottico della lente, dove tutte le radiazioni luminose iniziano a convergere, e il piano della pellicola, determina la larghezza del campo di vista della pellicola: una lente con una piccola lunghezza focale, per es. di 28 mm, ha il suo centro ottico molto vicino al piano della pellicola, quindi un largo campo di vista, adatto a riprendere oggetti molto distanziati attorno alla m. da p.; una lente con una grande lunghezza focale, per es. di 125 mm, ha il suo centro ottico lontano dal piano della pellicola, quindi uno stretto campo di vista, ed è utilizzato per riprendere oggetti lontani dalla macchina da presa. Nel formato di 35 mm una lente con una lunghezza focale di 50 mm è considerata normale, poiché il campo di vista di ripresa è approssimativamente uguale a quello dell'occhio umano.
Per quanto riguarda le camere digitali, fino all'inizio degli anni Novanta le videocamere consentivano l'utilizzo esclusivo di sistemi di supporto di tipo analogico; questa restrizione tecnologica faceva sì che gli impulsi elettrici provenienti dal CCD subissero un secondo processo per trasformare i dati in essi contenuti in una forma analogica, affinché questa potesse essere registrata su un nastro. Ciò comportava una perdita di qualità dell'immagine; attualmente la tecnologia consente una linea di produzione completamente digitale e questo problema è stato risolto.Sistemi digitali. Lo sviluppo della tecnologia digitale propone rilevanti innovazioni anche nelle modalità di ripresa. La possibilità di girare in alta definizione a 24 fotogrammi al secondo, offerta dalle più recenti camere digitali (per es., dalla Sony HDW-F900), ha aperto nuove prospettive sia nell'ambito organizzativo della produzione (significativa riduzione dei costi di produzione e postproduzione) sia in quello relativo agli aspetti estetico-formali della fotografia. Riprese senza interruzioni fino a 50 minuti (contro gli 11 della pellicola), utilizzazione simultanea di più camere, ottimizzazione in tempo reale delle immagini durante le riprese, sono soltanto alcune notevoli caratteristiche dei sistemi digitali di cui si possono avvalere registi e direttori della fotografia nelle fasi di ideazione e realizzazione delle sequenze, e che hanno indotto George Lucas, regista di Star wars: Episode II ‒ Attack of the clones (2002; Star wars: episodio II ‒ L'attacco dei cloni), primo film interamente girato in formato digitale, a dichiarare che dopo quella positiva esperienza non avrebbe più effettuato riprese su pellicola. Le eccellenti prestazioni raggiunte dalle camere digitali corrispondono all'elevata qualità delle parti costituenti. I più avanzati rilevatori di immagine CCD del tipo FIT (Frame Interline Transfer) consentono di ottenere immagini ad alta definizione in formato 16:9 con sensibilità equivalenti a F10 per 2000 lux di illuminazione, quindi più rapide di una pellicola da 600 ASA. Inoltre, l'utilizzazione di convertitori analogicodigitali a 12 bit e di processori di segnale digitale avanzati migliora significativamente la latitudine di esposizione, fino a conseguire intervalli dinamici di circa 2500:1. Non è ancora possibile raggiungere con la ripresa digitale la definizione d'immagine di un moderno negativo a colori, stimabile in 12.000.000 di pixel equivalenti, contro i 2.200.000 (1920×1080) realizzabili con i migliori CCD. Tuttavia la perdita di risoluzione durante le fasi che conducono alla stampa di una pellicola da proiezione e, di contro, i vantaggi delle camere digitali nel controllo immediato dell'immagine sul set motivano un numero sempre più grande di cineasti verso l'adozione del digitale, sia nel perseguire una qualità fotografica tradizionale di tipo ottico sia nel tentativo di innovarne l'aspetto. *