macchina molecolare
màcchina molecolare locuz. sost. f. – Sistema chimico costituito da un numero discreto di molecole che, grazie alle proprietà strutturali e chimico-fisiche di queste, è in grado di compiere, sotto l'azione di opportuni stimoli esterni, movimenti utili allo svolgimento di funzioni che ricordano, su scala molecolare, quelle svolte dalle macchine del mondo macroscopico. Lo studio di questi sistemi rappresenta una parte rilevante delle nuove discipline chimiche sviluppatesi a partire dall’ultimo decennio del 20° sec., che oggi rappresentano una frontiera avanzata della ricerca: la chimica supramolecolare, la nanotecnologia, la scienza dei materiali molecolari. L’elemento innovativo fondamentale sta nella possibilità, oggi in parte accessibile, di controllare in maniera fine, sulla scala molecolare, le proprietà delle molecole create artificialmente. In questo obiettivo confluiscono da un lato una serie di tecniche sintetiche e di analisi strumentale avanzate della chimica organica e, dall’altro, la capacità di prevedere e di governare le interazioni intermolecolari, ossia quelle che si stabiliscono non all’interno di una molecola tra gli atomi che la compongono (generalmente di natura chimica e covalente), ma tra una molecola e l’altra, tipicamente di tipo ‛fisico’: interazioni elettrostatiche, di van der Waals, di dispersione, a idrogeno. Altro elemento fondamentale è rappresentato dalla conoscenza approfondita dell’interazione tra lo stimolo esterno (chimico, luminoso, elettrico, termico, ecc.) e la molecola. Poiché le proprietà di questi sistemi si giocano su strutture e su processi che si collocano sulla scala dimensionale dei nanometri (10-9 m), si parla spesso anche di nanomacchine. La progettazione delle m. m. è ispirata in parte dalla conoscenza, ormai abbastanza dettagliata, del meccanismo di funzionamento molecolare delle molte nanomacchine che operano negli organismi viventi: ve ne sono numerosi esempi in processi biochimici fondamentali quali la sintesi delle proteine, la produzione di ATP (adenosine triphosphate), il movimento di ioni attraverso la membrana cellulare, il controllo del folding (ripiegamento) delle proteine e molti altri (v. anche motore molecolare). Nelle m. m. i movimenti (rotatori, traslatori, ecc.) implicano cambiamenti strutturali indotti da una reazione chimica che coinvolge almeno uno dei componenti e che viene attivata fornendo energia sotto forma opportuna. I segnali in grado di evidenziare il funzionamento della macchina provengono da cambiamenti di proprietà del sistema (per es., variazioni di colore) che accompagnano i movimenti. Per le m. m., come per quelle del mondo macroscopico, possono essere individuati alcuni aspetti caratteristici quali: il tipo di energia usato per far funzionare la macchina; il tipo di movimento effettuato; il modo con cui i movimenti possono essere controllati; i segnali che evidenziano i movimenti; la necessità di operare in maniera ciclica e ripetitiva; il tempo impiegato per completare un ciclo, che può andare dai picosecondi (10-12 s) alle ore; la funzione che può derivare dai movimenti compiuti. Esempi tipici di m. m. sono i sistemi supramolecolari noti come pseudorotassani, rotassani e catenani (fig. 1), con i quali è possibile ottenere semplici movimenti lineari o rotatori. Uno pseudorotassano è un sistema supramolecolare formato da una molecola ad anello infilata in un componente lineare, mentre un rotassano è formato da uno pseudorotassano in cui, all’estremità del componente lineare, sono stati aggiunti due gruppi ingombranti per impedire lo sfilamento dell’anello. Un catenano, infine, è un sistema formato da due molecole ad anello incatenate una all’altra. In sistemi di questo genere, se accuratamente progettati, è possibile, mediante l’uso di opportuni stimoli energetici, mettere in atto movimenti meccanici come quelli mostrati in figura con le frecce. Così, il movimento di sfilamento/infilamento dei due componenti molecolari di uno pseudorotassano ricorda quello di un pistone in un cilindro. Nella fig. 2 è illustrato un esempio reale di sistema in grado di comportarsi in questo modo. Il componente lineare A possiede l’unità A1 che ha la tendenza ad accettare elettroni, mentre il componente ciclico B possiede due unità B1 che hanno tendenza a donare elettroni. In virtù di questa complementarità, i due componenti, quando si trovano nella stessa soluzione, si associano spontaneamente dando origine allo pseudorotassano. L’unità A2 del componente lineare, che non gioca alcun ruolo nell’associazione, costituisce il motore a luce del sistema: sotto illuminazione con luce di opportuna lunghezza d’onda, l’assorbimento di un fotone da parte di questa unità causa il trasferimento di un elettrone da A2 (che si ossida) ad A1 (che si riduce). L’unità A1 perde così la sua proprietà di accettare elettroni e non è più in grado di interagire con le unità B1 del componente ciclico. In questo modo, l’eccitazione luminosa distrugge l’interazione che tiene associati i due componenti, inducendo il movimento di sfilamento. Tale processo, essendo relativamente lento, può avvenire solo se nella soluzione è presente una sostanza riducente (Red) che cede un elettrone all’unità A2, non appena questa ha trasferito un elettrone all’unità A1. In caso contrario, l’elettrone acquistato dall’unità A1 tornerebbe molto velocemente sull’unità A2, con immediato ripristino dell’interazione donatore-accettore che mantiene associati i due componenti. Il componente lineare può essere infilato nuovamente in quello ciclico aggiungendo alla soluzione un ossidante (Ox; in molti casi, semplicemente ossigeno) che, togliendo ad A1 l’elettrone acquistato nel processo di riduzione, ripristina le sue proprietà elettronaccettrici. Oggetto di intensi studi sono anche le grandi molecole aventi struttura ramificata denominate dendrimeri (v.): sotto l’azione della luce, il cambiamento di struttura delle unità periferiche provoca, almeno parzialmente, la chiusura/apertura del guscio esterno della molecola, così che questi sistemi possono effettuare il rilascio controllato di piccole molecole racchiuse nelle cavità della struttura. A seconda della funzione svolta, le diverse m. m. assumono denominazioni che ricordano quelle dei corrispondenti dispositivi macroscopici: pinze molecolari, interruttori molecolari, navette molecolari e così via. Le applicazioni potenziali di questi dispositivi spaziano su campi estesi, dall’elettronica, all’ottica, alla sensoristica, al settore farmaceutico. Poiché molte m. m. possono esistere in due stati distinti e convertibili mediante stimoli esterni, questi sistemi offrono anche la possibilità, in linea di principio, di scrivere informazioni secondo la logica binaria. Lo stato nel quale si trova il sistema può essere letto facilmente, poiché alcune sue proprietà (per es., l’assorbimento o l’emissione di luce di specifica lunghezza d’onda) cambiano nettamente nel passaggio da uno stato all’altro. Questa caratteristica fa prospettare la possibilità di costruire una nuova generazione di computer (computer chimici) che, basandosi su componenti di dimensioni nanometriche, potrebbero offrire prestazioni superiori a quelle dei calcolatori oggi in uso.