MACEDONIA
(gr. Μαϰεδονία; macedone, bulgaro, serbo-croato Makedonija)
Regione storica della penisola balcanica, che si estende tra la catena dei monti Pirin (Bulgaria), i monti dell'Albania e del Montenegro e il massiccio dell'Olimpo in Grecia. Fin dall'Antichità il toponimo M. ha avuto vari significati, riferendosi ad aree geografiche e amministrative talvolta molto diverse tra loro. In epoca moderna, inoltre, la regione è stata suddivisa tra Grecia, Albania, Bulgaria e Iugoslavia; la parte iugoslava costituisce oggi un'entità politica autonoma, denominata ex Rep. iugoslava di Macedonia.Nell'Antichità, per M. s'intendeva in origine la regione occupata dalla stirpe trace dei Macedoni, il cui piccolo regno diede vita nel sec. 4° a.C., con Alessandro Magno, al più vasto impero del mondo antico, che si estendeva in Europa, Asia e Africa settentrionale, tra i fiumi Vardar e Indo. Dopo il crollo dell'antico impero macedone la regione passò sotto il controllo romano e nel 148 a.C. la M. divenne provincia, includendo la parte centrale dei Balcani a O del fiume Nesto (od. Mesta). Il termine M. perse progressivamente il suo significato originario di territorio dei Macedoni, divenendo denominazione di diverse entità amministrative. I confini della provincia romana mutarono infatti frequentemente nei decenni successivi, a seguito della conquista di altri territori, e fino al 28 a.C. la M. comprendeva l'intera penisola balcanica a eccezione del regno vassallo degli Odrisi, posto a E del Nesto e annesso a sua volta nel 45 d.C. all'Impero romano come provincia di Tracia. Nel 27 a.C. dalla provincia di M. furono separate le regioni meridionali della penisola balcanica, divenute a loro volta province indipendenti di Acaia ed Epiro, mentre nell'area settentrionale e occidentale si costituirono le altre due province autonome di Dalmazia e Mesia.Con la riforma amministrativa di Diocleziano, alla fine del sec. 3°, la provincia di M. dipese dalla diocesi di Mesia, che qualche tempo dopo, comunque prima del 327, fu a sua volta suddivisa nelle due diocesi distinte di Dacia e M.; quest'ultima comprendeva tutti i territori meridionali della penisola balcanica, ivi compresa Creta, ed era alle dipendenze della prefettura dell'Illirico orientale. Intorno al 385 la provincia di M. fu a sua volta suddivisa in Macedonia Prima, con capitale Tessalonica (od. Salonicco), e Macedonia Secunda o Salutaris, con capitale Stobi. Dopo la divisione dell'Impero romano, nel 395 le due province, comprese nell'impero d'Oriente in quanto parte della prefettura dell'Illirico orientale, vennero nuovamente riunite sotto un'unica diocesi, denominata M., che comprendeva anche Epirus vetus, Epirus nova, Tessaglia, Acaia e Creta.Le riforme amministrative attuate da Giustiniano (527-565), con il temporaneo spostamento di parte almeno delle competenze della prefettura illirica a Iustiniana Prima (od. Caričin Grad), non determinarono un mutamento permanente nell'assetto della regione, il cui centro principale continuò a essere Salonicco.Dopo la fase delle migrazioni slave (tra la fine del sec. 6° e il 7°), a partire dalla metà ca. del sec. 8° fino all'inizio dell'11° l'intera regione dell'antica diocesi di M., insieme con altre aree settentrionali, meridionali e orientali della penisola balcanica, eccezion fatta per Salonicco, appartennero al primo regno di Bulgaria. Dopo il crollo di quest'ultimo (1018), la regione fu sottoposta al controllo bizantino, disgregandosi tuttavia nel corso del sec. 12° in diversi potentati, passati in successione sotto il dominio bulgaro, serbo e bizantino. Alla fine del sec. 14° la dominazione turca si estese anche all'area centrale e occidentale della penisola balcanica, che rimase fino al 1912 parte del regno ottomano. Sino alla fine del Medioevo venne meno anche l'uso del termine M. per definire geograficamente le regioni centrale e occidentale dei Balcani; tra i secc. 8° e 14°, e anche con qualche interruzione, esso rimase solo come nome di un tema bizantino nella zona orientale della penisola, nell'area compresa tra la catena montuosa dei Balcani, il corso del Nesto e il mar Nero. Nel pieno Medioevo con il termine M. si intendevano dunque solo le regioni facenti parte del tema omonimo, mentre le aree più occidentali erano considerate terra dei Bulgari.In parallelo ai numerosi mutamenti politico-amministrativi della regione centrale della penisola balcanica, si modificarono radicalmente anche le componenti etniche della popolazione della Macedonia. Già le guerre di conquista condotte da Roma portarono a una decimazione delle popolazioni originarie, compensata dalla colonizzazione romana, che peraltro determinò una forte latinizzazione della provincia. Ulteriori cambiamenti etnici si ebbero all'epoca delle Migrazioni, tra i secc. 4° e 7°; in particolare, dopo la massiccia migrazione slava, le popolazioni romanizzate abitavano ormai solo poche città della regione centrale balcanica, mentre le grandi aree rurali erano fittamente popolate da stirpi slave. In questo contesto sorsero le c.d. sclavinie, una sorta di stati cuscinetto posti ai confini dell'impero bizantino, ma che nel corso dei secc. 8° e 9° divennero parte del regno bulgaro.Dal punto di vista dell'amministrazione ecclesiastica, tutti i vescovadi della penisola balcanica a O della linea segnata dai fiumi Utus (od. Vit) e Nesto, già prima della divisione dell'Impero romano, dipendevano da Roma; essi rimasero sotto la stessa giurisdizione occidentale anche dopo la suddivisione dell'Impero, nonostante i costanti tentativi da parte del patriarcato di Costantinopoli di riassorbirli sotto il proprio dominio. A partire dal sec. 6°, solo la diocesi di Salonicco venne annessa alla Chiesa d'Oriente. Per questa ragione la tradizione artistica paleocristiana poté sopravvivere in M. non solo alle distruzioni dell'età delle Migrazioni, ma anche alla lotta iconoclasta, che interessò solamente la regione di Salonicco e in parte l'antica provincia di Acaia.L'intera regione occidentale della penisola balcanica nel corso del sec. 9° fu legata politicamente al regno bulgaro, potendo conservare così la sua autonomia in campo religioso in seno all'arcidiocesi bulgara (patriarcato tra il 919 e il 1018), cosicché solo nel secondo terzo del sec. 11° fu annessa al patriarcato di Costantinopoli. L'arco di tempo che va dalla metà del sec. 9° al principio dell'11°, coincidente con il processo di cristianizzazione delle popolazioni slave nell'area centrale dei Balcani, è connesso alla seconda grande fioritura dell'architettura religiosa e delle arti figurative dopo la fase paleocristiana, la cui tradizione in questa regione perdurò fino al Tardo Medioevo, incidendo in profondità sullo stile fortemente espressivo delle immagini, come pure sull'iconografia, di ispirazione preiconoclasta.Fin dall'epoca tardoantica, quindi già molto prima di divenire il centro politico-amministrativo e religioso della prefettura (inizi sec. 6°), la città di maggiore importanza artistica nell'ampia regione della prefettura dell'Illirico orientale fu Salonicco. Tale ruolo dominante fu tuttavia ridimensionato quando la città passò sotto la giurisdizione del patriarcato costantinopolitano e, in modo particolare, quando ebbero inizio le lotte iconoclaste nell'8° secolo. Queste ultime portarono alla quasi completa scomparsa delle opere d'arte figurativa di epoca paleocristiana nella città ed ebbero come risultato l'interruzione di quella tradizione iconografica. La maggioranza delle diocesi dell'Illirico orientale però si rese autonoma dalla sede metropolitana, pur non dando vita a un nuovo centro direzionale, mantenendo l'antica tradizione artistica; in tale prospettiva l'ulteriore sviluppo in campo artistico prese le mosse dalle singole tradizioni autoctone.Salonicco raggiunse nuovamente una posizione predominante solo dopo la conquista di Costantinopoli da parte delle truppe crociate, al principio del sec. 13°, preparando l'estrema fioritura artistica medievale dell'Europa sudorientale nel corso del Trecento. Questo ruolo guida si mantenne tuttavia solo in poche città maggiori, nelle regioni centrale e occidentale dei Balcani, mentre i centri minori e gli insediamenti monastici della M. continuarono fino alla fine del Medioevo a fare riferimento alla tradizione artistica antica.L'architettura religiosa trovò ispirazione in modelli paleocristiani, sia nel riferirsi alla tipologia della grande basilica su colonne o pilastri, con o senza cupole (S. Achilleo, sull'isola omonima nel lago di Prespa; Santa Sofia a Ochrida) - a partire dal sec. 9° molto diffuse furono anche le varianti come la piccola basilica con copertura a tetto o a volta, o anche la piccola basilica cupolata, nella parte più occidentale della regione (Kastoria, in Grecia, Ochrida, Véria, Prilep, Kurbinovo) -, sia nel rifarsi al modello del triconco, che si diffuse come chiesa monastica a doppio nartece (monte Athos, Kastoria, Salonicco, Prespa). Allo stesso tempo si andò progressivamente affermando anche lo schema della chiesa a croce cupolata, in primo luogo quale variante della basilica a cupole (Santa Sofia a Salonicco, sec. 8°) e, a partire dal sec. 11°, con il suo classico impianto bizantino (Panaghia ton Chalkeon a Salonicco, sec. 11°; Theotokos Peribleptos, altrimenti nota come S. Clemente, a Ochrida, sec. 13°).Nell'architettura religiosa e civile trovò un suo esito anche la tecnica edilizia dell'opera mista di pietra e laterizio, di tradizione tardoantica, che per l'intera area centro-occidentale della regione perdurò ancora nel pieno Medioevo nella sua formulazione cloisonnée, frequentemente arricchita da applicazioni ceramoplastiche sulle cortine esterne. Anche l'architettura civile, e in primo luogo quella a carattere difensivo, si ispirò alla tradizione tardoantica e gli esempi più significativi (mura di Salonicco, fortezze di Ochrida, Prilep, Skopje) rappresentano semplicemente rimaneggiamenti e ampliamenti di impianti architettonici tardoantichi, che furono oggetto di continui restauri fino al Tardo Medioevo.Agli inizi dell'epoca mediobizantina la pittura monumentale a Salonicco subiva ancora l'influsso dell'antica tradizione artistica dei Balcani occidentali. Mentre i mosaici della Santa Sofia realizzati in piena fase iconoclasta - le croci nel bema e nell'abside (780-797) - denunciano la loro dipendenza dall'arte costantinopolitana, i mosaici realizzati nella stessa chiesa poco dopo l'843 - la Vergine nell'abside e l'Ascensione nella cupola - denunciano particolarità stilistiche e iconografiche proprie della tradizione preiconoclasta. Le figure sono rese in posizione totalmente frontale, le proporzioni sono raccorciate e la loro espressione risulta molto accentuata, mentre la gamma cromatica si limita a pochi colori, cui viene conferito un significato simbolico.I medesimi caratteri risaltano in modo ancora più evidente negli affreschi della Santa Sofia di Ochrida, riportati alla luce solo negli anni Cinquanta, che occupano un posto particolare nel panorama della pittura monumentale medievale dell'area balcanica. Gli affreschi, la cui datazione è stata a lungo dibattuta, solo di recente sono stati ordinati cronologicamente sulla base delle nuove scoperte. Così la decorazione parietale nell'abside principale e gli affreschi della protesi e del diaconico appartengono a una fase che non può essere definita con assoluta precisione, ma che dovrebbe tuttavia interessare un momento anteriore agli anni novanta del 10° secolo. Poco dopo il 995 la chiesa fu trasformata in sede patriarcale e il santuario in questa occasione fu in larga parte ridecorato con la realizzazione della serie dei Padri della Chiesa. Intorno alla metà del sec. 11°, dopo l'annessione dell'arcidiocesi bulgara al patriarcato di Costantinopoli, venne ridipinta una parte degli affreschi del santuario, compresi quelli dell'abside principale, mentre il naós fu decorato con il ciclo delle Feste; le restanti pitture nel nartece e nella galleria sono trecentesche. Gli affreschi appartenenti alle diverse fasi costituiscono visioni dogmatiche e soluzioni stilistiche differenti: i dipinti del santuario con il loro programma figurativo (Ascensione al posto del Pantocratore nella volta del coro) rappresentano una concezione conservatrice, fedele alla tradizione paleocristiana; la teoria dei Padri della Chiesa, realizzata da una bottega di pittori attivi alla corte bulgara, da cui derivano le pitture murali nella rotonda di S. Giorgio a Sofia (sec. 11°) e quelle nella chiesa di S. Leonzio a Vodoča (secondo strato, 976-990), allude a una concezione classicistico-rappresentativa, mentre le pitture di minor pregio poste nel naós, al pari dell'affresco nell'abside principale, appartenente al secondo strato, fanno riferimento all'espressione ortodossa e convenzionale del patriarcato costantinopolitano; lo stesso si può dire per gli affreschi trecenteschi, convenzionali e poco significativi.La medesima contrapposizione tra differenti concezioni dogmatiche e artistiche si ritrova in quasi tutte le chiese dei Balcani sudoccidentali, in cui agli strati pittorici appartenenti al sec. 10° si sovrappongono pitture dei secc. 11°-13°, come per es. nella chiesa di S. Leonzio a Vodoča, nelle chiese di S. Stefano, degli Arcangeli (Taxiarchi) e dei Ss. Anargiri a Kastoria, o in quella del monastero di S. Giovanni di Zemen, in Bulgaria.Ancora fino ai secc. 12° e 13° si trovavano in questa zona numerosi echi della pittura paleocristiana tanto nei programmi iconografici - per es. la Chirotonia, o Imposizione delle mani all'apostolo Giacomo da parte di Cristo, nell'abside principale della chiesa di S. Nicola a Melnik, in Bulgaria, e il fregio continuo con le raffigurazioni del ciclo delle Feste nel S. Giovanni di Zemen - quanto anche nel linguaggio formale fortemente espressivo, dalle superfici rese in modo grafico e rudemente naturalistico, con profili segnati, occhi esageratamente grandi nelle figure dei santi e con un uso del colore in senso simbolico, steso per grandi superfici senza sfumature. Tali particolarità locali presero il sopravvento anche in talune opere i cui donatori appartenevano alla corte costantinopolitana (S. Pantaleimone a Nerezi, 1164).La pittura monumentale del periodo che va dal sec. 11° fino al principio del 13° fu di qualità inferiore a quella dell'epoca precedente. Tra gli esempi relativamente migliori vanno ricordati i complessi affrescati di molte chiese a Kastoria, Véria e Salonicco - pitture del nartece della chiesa di Santa Sofia (secondo terzo del sec. 11°), della Panaghia ton Chalkeon e della chiesa di Hosios David, recentemente emersi -, così come alcuni frammenti nel monastero della Vergine Eleusa a Veljusa, presso Strumica, e nelle chiese di S. Demetrio e S. Nicola a Markova Varoš, presso Prilep, che tuttavia rivestono un'importanza solo a livello locale, in assenza di particolari elementi di rilievo artistico.Un'eccezione è rappresentata dai significativi affreschi, sia pure conservati in modo frammentario, della chiesa di S. Pantaleimone a Nerezi, considerati l'esempio più importante di pittura di epoca tardocomnena. Allo stesso modo al di fuori delle norme convenzionali della maggior parte delle opere di pittura monumentale del sec. 12° vanno considerati gli affreschi, scoperti e ripuliti nel 1958-1959, della piccola chiesa di S. Giorgio a Kurbinovo (1191), presso il lago di Prespa, il cui valore dipende soprattutto dal linguaggio formale fortemente espressivo e di grande qualità decorativa.Tra le rare figurazioni conservate pertinenenti al sec. 13° vanno ricordati gli affreschi frammentari della chiesa di S. Nicola a Melnik, che rispecchiano lo stile della pittura monumentale balcanica di quest'epoca e si distinguono per l'accentuato plasticismo e la resa armonica del colore in una composizione misurata e semplice.Sul finire del sec. 13° e al principio del successivo da Salonicco, che fu, accanto a Costantinopoli, il più importante centro artistico di tutta la penisola balcanica, si originarono influssi verso tutte le direzioni, soprattutto nell'ambito della decorazione di edifici religiosi. In quest'epoca nella città sorsero la chiesa di S. Caterina, quella dedicata al profeta Elia, S. Pantaleimone, S. Nicola Orfano e la chiesa dei Ss. Apostoli, così come il katholikón del monastero di Blatadon, tutti decorati con pitture. La più antica testimonianza di pittura parietale del sec. 13° a Salonicco, da cui dipende la fioritura successiva, è rappresentata dagli affreschi dei Quaranta martiri nella chiesa della Panaghia Acheiropoietos, cui fanno seguito i mosaici della chiesa dei Ss. Apostoli (inizio sec. 14°) e i significativi affreschi del S. Nicola Orfano (1340 ca.).Il ruolo principale nell'ambito della decorazione ad affresco delle chiese di questo periodo venne svolto dalla bottega di pittori al servizio del re serbo Stefano Uroš II Milutin (1282-1321), i cui esponenti, originari di Salonicco, Michele Astrapas ed Eutichio sono conosciuti attraverso numerose iscrizioni e appaiono attivi soprattutto nelle chiese legate alla committenza del sovrano serbo. Agli affreschi firmati nelle chiese della Theotokos Peribleptos a Ochrida (1294-1295), della Theotokos Ljeviška a Prizren (1300-1307), in Serbia, di S. Niceta presso Čučer (1310 ca.) e della Theotokos a Staro Nagoričino, anch'esse in Serbia (1316-1318), si legano le pitture murali di alcuni monasteri serbi - chiesa dell'Incoronazione a Žiča (1313-1316), chiesa regale a Studeniča (1313-1314) e chiesa dell'Annunciazione (katholikón) a Gračanica (1321 ca.) - così come una serie di icone provenienti da Ochrida, che possono considerarsi tra i risultati più significativi della c.d. rinascenza paleologa dell'arte bizantina.Analogamente, tra i più importanti rappresentanti di questo stile, accanto a molti artisti anonimi si possono citare i nomi di Manuele Panselino da Salonicco, le cui opere documentate sono nei monasteri atoniti (Protaton a Karyai; katholikón della Grande Lavra), e Giorgio Kalierghis, al quale, accanto agli affreschi nella chiesa della Risurrezione (Anastasis Christou) di Véria, sono da ascrivere anche gli affreschi nei monasteri atoniti di Vatopedi e Chiliandari e quelli nel S. Nicola Orfano a Salonicco.Accanto alla produzione di queste botteghe di pittori, che, con l'uso di figure mosse e molto raffinate e di composizioni complesse e piene di personaggi, rappresentano il nuovo stile dell'arte paleologa, nel corso dei secc. 13° e 14° si imposero, soprattutto in ambito monastico e nella regione occidentale dei Balcani, opere di uno stile più conservatore e legato alla tradizione: esempi più significativi ne sono gli affreschi delle chiese dei Ss. Costantino ed Elena e di S. Nicola Bolničkai a Ochrida, del tardo Trecento. Gli affreschi del monastero di Markova Varoš (1371-1381), presso Skopje, rappresentano l'ultima fase di questo stile monastico-conservatore, con il loro programma eccessivamente ricco che privilegia i soggetti liturgici; le particolarità stilistiche e iconografiche di questo stile hanno influenzato fin all'epoca moderna la decorazione pittorica all'interno delle chiese dei Balcani occidentali.Del periodo precedente il sec. 12° si sono conservate, in cattive condizioni, solo poche icone di scarso valore artistico e iconografico, tra cui quelle dei Quaranta martiri e della Comunione degli apostoli, entrambe della metà del sec. 11° (Ochrida, Naroden muz., galleria delle icone). Eccezioni sono rappresentate dall'icona bilaterale, raffigurante su un lato S. Gabriele Arcangelo con la spada d'argento e sull'altro la Crocifissione di Cristo, e da quella, forse in origine pendant della prima, con la rappresentazione della Vergine sulla fronte e l'Annunciazione e la Vergine Odighítria sul retro, entrambe con copertura in argento; un'altra icona con la Vergine Odighítria, anch'essa con coperta argentea, appartiene, al pari delle altre due, alla fase di maggiore fioritura della pittura comnena. La loro datazione e il luogo di provenienza sono molto dibattuti; in origine esse si trovavano nella Santa Sofia di Ochrida, da dove, a seguito della trasformazione in moschea nel sec. 15°, vennero trasferite nella chiesa della Theotokos Peribleptos.Un ulteriore gruppo è costituito da una serie di icone del principio del Trecento, assegnate alla c.d. scuola di Milutin, che facevano parte dell'iconostasi della Peribleptos; tra queste si ricordano l'Odighítria, l'Annunciazione, la Presentazione al Tempio, il Battesimo, la Risurrezione, la Crocifissione, la Dormizione della Vergine e S. Matteo, che vanno annoverate tra le opere più significative nel loro genere in tutta l'area bizantina (Ochrida, Naroden muz., galleria delle icone). Lo stesso può dirsi per le icone dell'iconostasi del katholikón del monastero atonita di Chiliandari (inizi sec. 14°), ascrivibili ugualmente alla scuola di Milutin (Ochrida, Naroden muz., galleria delle icone).La miniatura è rappresentata solo da pochi esemplari, che tuttavia, al pari della pittura monumentale, sono caratteristici dell'arte di questa regione. L'ornamentazione si esplica soprattutto nel c.d. stile teratologico, nel quale dominano i motivi zoomorfi nella fascia a intreccio delle iniziali e nelle legature ornamentali, mentre l'iconografia, soprattutto nelle raffigurazioni degli evangelisti, contiene molto spesso numerosi motivi di tradizione paleocristiana, per es. in manoscritti come l'Evangeliario Dobromir, degli inizi del sec. 12° (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, Q.p.I. 55), il Salterio di Bologna (Bibl. Univ., 2499), del 1230-1241 ca., l'Evangeliario di Dobrejšo (Sofia, Nacionalna Bibl. Kiril i Metodij, 17/307), il Salterio Radomir e il Menaion Dragan, del sec. 13° (entrambi al monte Athos, Zografo), e il Salterio Norov, degli inizi del sec. 14° (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Coll. Uvarov, 285). Anche in quest'ambito i modelli paleocristiani appaiono reimpiegati più volte nei secc. 15° e 16° fino in epoca moderna, senza che peraltro siano state realizzate opere degne di nota.La scultura decorativa è esemplificata soprattutto dalle recinzioni corali di molte chiese dei secc. 10°-12° a Salonicco, Ochrida, Nerezi e Drenovo (Bulgaria), in cui accanto a motivi zoomorfi, retaggio della tradizione antica, ovvero influenzati dall'arte popolare, si incontrano con sempre maggior frequenza influssi della capitale bizantina, connessi all'esportazione di opere d'arte dalle botteghe attive nell'area del Proconneso e del mar di Marmara, che rifornivano l'intera penisola balcanica di elementi di scultura architettonica, come capitelli, colonne e lastre a bassorilievo per le recinzioni presbiteriali.Sebbene nell'arte cristiano-ortodossa, per ragioni dogmatiche, la plastica a tutto tondo a soggetto figurativo non fosse consueta e solo di rado si realizzassero bassorilievi con raffigurazioni antropomorfe, tuttavia la scultura figurativa in legno rappresentò un genere peculiare dell'arte nei Balcani centrali e occidentali, mantenutosi poi per tutto il Medioevo fino all'Ottocento, soprattutto nelle iconostasi intagliate. Anche se la maggioranza delle opere consiste in bassorilievi o altorilievi con predominante funzione decorativa, alcuni esempi di scultura a tutto tondo, databili ai secc. 13°-14°, come per es. la figura lignea di S. Giorgio, conservata nella chiesa omonima a Omorphiklisia (Gališta) presso Kastoria, o quella di S. Clemente di Ochrida (Sofia, Nat. arheologitcheski muz.), presentano una resa fortemente naturalistica che li ha resi veri e propri oggetti di culto, quasi icone tridimensionali. Una posizione particolare è occupata all'interno di questo gruppo di opere dalla porta della chiesa di S. Nicola Bolničkai a Ochrida, del sec. 10°-11° (Sofia, Nat. arheologitcheski muz.). Gli altorilievi, che evidentemente in origine dovevano essere modelli per una porta bronzea e che solo più tardi trovarono una loro collocazione secondaria in questa sede con alcune aggiunte, testimoniano della corrispondenza tra motivi precristiani e tematiche cristiane, costituendo un elemento di raccordo tra l'arte tardoantica e quella medievale.A proposito della M. è stata spesso chiamata in causa, soprattutto nella letteratura storico-artistica del passato, la c.d. scuola macedone. Questa locuzione, introdotta dal bizantinista russo Kondakov (1909) e ripresa poi da Millet (1914), definisce uno dei due più importanti filoni stilistici della decorazione pittorica delle chiese nella penisola balcanica durante il periodo postbizantino (secc. 15°-17°). Basandosi sugli studi, non sufficientemente fondati, dello scorcio dell'Ottocento e dei primi del Novecento, Millet cercò di distinguere, tanto sotto il profilo stilistico quanto sotto quello iconografico, due stili fortemente diversificati e contrapposti, definiti scuola macedone e scuola cretese, operando un'estensione basata sulla provenienza dei due più significativi rappresentanti, Manuele Panselino di Salonicco e Teofane Strelitzas di Creta. Sulla base di un'errata lettura di un'iscrizione nel monastero atonita del Protaton, Millet volle vedere nell'autore degli affreschi, Manuele Panselino, il fondatore della scuola macedone. La definizione e l'ipotesi formulata da Millet circa la contemporanea esistenza di entrambe le scuole, che implicava l'originalità, l'autonomia e una relativa indipendenza tra le due, vennero in un primo momento accettate, ma negli studi più recenti sono state invece generalmente ricusate, trovando solo qualche consenso. In seguito, Millet (1927) corresse i suoi postulati: da una nuova lettura dell'iscrizione emerse infatti che il committente degli affreschi era stato il re Milutin e che quindi essi appartenevano al principio del sec. 14° e non potevano dunque essere coevi alla produzione della scuola cretese. Inoltre, le esaurienti ricerche condotte negli ultimi anni hanno dimostrato che l'origine di entrambi gli stili non è da ricercare a Salonicco e a Creta, ma piuttosto nella parte occidentale della penisola balcanica, oppure nella stessa Costantinopoli. Tanto la scuola cretese, legata all'arte della scuola di corte costantinopolitana del sec. 14° e influenzata dalla pittura italogreca del 15°, quanto la scuola macedone, direttamente affine alla tradizione artistica perdurante nella regione occidentale dei Balcani, perpetuarono fino all'epoca moderna gli stilemi pittorici locali.
Bibl.:
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