MACEDONIO
Nacque presumibilmente negli ultimi anni del V secolo o nei primi del successivo in luogo ignoto. Fu vescovo di Aquileia alla metà del VI secolo.
Punto di riferimento per la cronologia del suo episcopato è una lista dei vescovi di Aquileia, contenuta nella cosiddetta Origo civitatum Italie seu Venetiarum. Secondo tale lista, M. sarebbe succeduto a Mauro sul seggio vescovile di Aquileia e lo avrebbe occupato per sedici anni, cinque mesi e sei giorni. Gli succedette a sua volta Paolo, menzionato come già attivo nel febbraio 559, il che permetterebbe di fissare la data dell'elezione di M. al 543 o poco prima. L'Origo aggiunge che sarebbe stata opera di M. la fondazione della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Grado, centro più facilmente difendibile della vecchia Aquileia, ormai troppo esposta, e perciò a essa preferito dai vescovi aquileiesi. Un'altra attestazione relativa a M., più incerta, è contenuta nell'atto di una donazione del marzo 546 (cfr. Lanzoni e Pietri, secondo l'edizione di Kandler l'anno è invece il 547) di Massimiano, vescovo di Ravenna, a favore del monastero di S. Andrea, nonché della basilica di S. Maria di Pola, atto nel quale M. appare come testimone. L'autenticità del documento, conservato soltanto attraverso la trascrizione parziale e tarda di suoi brani in italiano (Codex pontif. Eccl. Ravenn.), è però discussa. Concordemente con i documenti citati, Cosentino fissa l'inizio dell'episcopato di M. a "dopo il 541", forse nel 547, e Ch. Pietri (2000) ne indica la fine prima del febbraio 559, forse già nel 551.
La conoscenza di questi dati, scarsi e incerti, si rivela importante poiché si hanno buoni motivi per ritenere che la sede episcopale di Aquileia, nel periodo in cui M. ne fu a capo, ebbe un ruolo fondamentale nel radicamento del cosiddetto scisma dei Tre Capitoli nell'Italia settentrionale, affermandosi nella stessa regione come centro rivale della Sede apostolica. È infatti a partire dalla metà del VI secolo che i vescovi di Aquileia presero a sostenere che il titolo onorifico di patriarca, non ancora rigidamente ristretto nell'uso, corrispondesse, nel loro caso, a una dignità di rango uguale a quella dei cinque grandi patriarchi di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Roma e Costantinopoli, pretesa fondata sull'importanza di Aquileia come metropoli dell'Italia nordorientale, dell'Istria e delle dipendenze alpine corrispondenti all'ex provincia dioclezianea di "Venetia" e "Histria".
Diversi documenti tra 551 e 552 attestano l'attività e il ruolo di un vescovo di Aquileia da identificare dunque con M.; essi rimandano tutti alle complesse vicende relative alla diffusione in Italia dello scisma dei Tre Capitoli, conseguenza della politica dell'imperatore a Costantinopoli tesa al controllo sulla Chiesa e alla riaffermazione di una dottrina ritenuta ortodossa nel quadro della renovatio Imperii giustinianea. Con la condanna post mortem (sotto forma di tre anatemi, detti capitula) di parte degli scritti di tre dei maggiori esponenti dell'antimonofisismo, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Ibas di Edessa, Giustiniano sperava in un riavvicinamento tra ortodossi calcedonesi e monofisiti, preludio di una totale pacificazione religiosa.
La pubblicazione di un editto concepito in tal senso nel 544-545 risvegliò una latente contrapposizione tra le Chiese orientali, che accettarono il nuovo orientamento imperiale, e le Chiese occidentali, in particolare quella di Roma, guidata da papa Vigilio, che fecero resistenza in nome del rispetto del concilio di Calcedonia (451), dove Ibas e Teodoreto erano stati sollevati dall'accusa di eresia. Condotto a forza a Costantinopoli e oggetto di pressioni da parte della corte imperiale, Vigilio finì per riconoscere l'autorità del concilio ecumenico di Costantinopoli del 553, strettamente controllato da Giustiniano, che dichiarò eretici i tre Capitoli. Dopo la morte di papa Vigilio nel 555, il suo successore Pelagio I, scelto sotto pressione imperiale, incontrò una forte opposizione nei suoi tentativi di imporre la nuova definizione imperiale dell'ortodossia in Occidente. Tali resistenze, rapidamente eliminate nell'Africa riconquistata da Bisanzio e nell'Illirico, furono molto più forti in Italia, dove si prolungavano gli ultimi episodi della guerra greco-gotica. Furono soprattutto le sedi settentrionali di Milano e Aquileia, legate da una prestigiosa tradizione comune di autonomia e di irradiamento culturale, a rifiutare la nuova linea politico-religiosa accettata da Ravenna e da Roma. In questo contesto, con il mancato accoglimento dei risultati del concilio del 553, iniziò uno scisma che sarebbe durato una ventina d'anni per quanto riguarda Milano, ma che nella zona d'influenza di Aquileia si protrasse fino al 608, per estinguersi del tutto solo alla fine del VII secolo.
Ch. Pietri (2000) ha ipotizzato che M. si sarebbe associato già alla sentenza del 551 emanata a Costantinopoli in nome delle Chiese occidentali da Dazio, vescovo di Milano, contro la condanna dei Tre Capitoli. La lettera contenente tale sentenza (Epistolae aevi Merowingici), spedita dai chierici di Milano in partenza da Costantinopoli per la Gallia merovingia, dovrebbe essere una prima prova, sebbene implicita, della posizione presa da M. nel conflitto nascente. Sembra probabile inoltre che toccasse proprio a M. consacrare Vitale, il successore del vescovo di Milano Dazio: nel 552, dopo la morte di Dazio ma prima di quella del re dei Goti Totila, la scorta del patrizio Valeriano, ufficiale bizantino allora ad Aquileia, condusse M. e il nuovo vescovo attraverso le zone di combattimento tra Goti, Franchi e Bizantini fino a Ravenna, per celebrare la consacrazione contrariamente al canone, che non ammetteva lo svolgimento della cerimonia al di fuori della giurisdizione ecclesiastica del vescovo. Una lettera di papa Pelagio I del 559 con la menzione di tale episodio (Epistula 52) non nomina né M., né il patriarcato di Aquileia; ma la tradizione cui allude lo stesso pontefice in una precedente lettera (Epistula 24), secondo la quale i vescovi di Milano e Aquileia si consacravano a vicenda, suggerisce che il vescovo "qui ordinaturus erat" nel 552 fosse appunto Macedonio.
L'episodio non è senza interesse, perché sembra indicare una grande diffidenza da parte dei rappresentanti dell'imperatore a Ravenna nei confronti dei due vescovi, già in posizione vicina alla rottura rispetto alla politica religiosa di Giustiniano anche prima del concilio del 553, circostanza che contribuirebbe a spiegare la profondità e l'inattesa rapidità del radicamento dello scisma nella diocesi di Aquileia. Da ultimo, una lettera del 559 di Pelagio I al patrizio Giovanni (Epistula 24) annovera i danni causati alla Chiesa dai vescovi scismatici della Venezia e dell'Istria negli anni precedenti, ossia negli ultimi anni in cui M. fu a capo della diocesi. Nel tono di deplorazione generale per la disgrazia dello scisma e le responsabilità che in esso erano da attribuire ai prelati, l'accento messo fin dall'inizio del testo sull'inanità delle pretese di Aquileia a erigersi a sede rivale dei patriarcati originari sembra attestare a contrario la crescente importanza del patriarcato aquileiese, caratterizzato da una forte identità e autonomia, accentuatesi tra 538 e 552, quando la sede consorella di Milano era priva del suo titolare Dazio, tenuto in esilio a Costantinopoli.
Lo spessore di un personaggio come M. emerge a dispetto del fatto che le testimonianze sulla sua attività rimangono rare e indirette. La sua presenza a Grado, la sua opposizione alla condanna dei Tre Capitoli, prima e dopo il concilio del 553, il suo sostegno a uno scisma che avrebbe avuto Aquileia e il suo territorio come centro e ultima roccaforte danno la misura dell'importanza di M. nella storia ecclesiastica dell'Italia settentrionale e del patriarcato di Aquileia nel VI secolo, istituzione di grande rilievo ma le cui origini, caratteristiche e vicende risultano difficili da rintracciare.
Non è nota la data della morte di M., per la quale è possibile ipotizzare solo il termine ante quem del febbraio 559, quando risulta attivo il suo successore.
Fonti e Bibl.: Codex pontificalis Ecclesiae Ravennatis, I, a cura di A. Testi Rasponi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., II, 3, pp. 193 s. n. 17; Epistolae aevi Merowingici collectae, in Mon. Germ. Hist., Epistolae, III, Epistolae Merowingi et Karolini aevi, I, a cura di E. Dümmler, Berolini 1892, n. 5 pp. 442-445; Origo civitatum Italie seu Venetiarum (chronicon Altinate et chronicon Gradense), a cura di R. Cessi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LXXIII, Roma 1933, pp. 38 s.; Pelagii I papae epistulae quae supersunt (556-561), a cura di D.P.M. Gassó, Montisserrati 1956, nn. 24 pp. 73-78, 52 pp. 134-139; Codice diplomatico istriano, a cura di P. Kandler, I, Trieste 1986, n. 21 pp. 58 s.; P. Paschini, Le vicende politiche e religiose del territorio friulano da Costantino a Carlo Magno, in Memorie storiche forogiuliesi, VIII (1912), pp. 159 s., 178-182; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), II, Faenza 1927, pp. 847, 891 s.; C. Sotinel, L'échec en Occident: l'affaire des Trois Chapitres, in Histoire du christianisme des origines à nos jours, III, Les Églises d'Orient et d'Occident, a cura di Ch. Pietri - L. Pietri, Paris 1995, pp. 389-455; Ch. Pietri, Macedonius 6, in Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, II, Prosopograhie de l'Italie chrétienne (313-604), 2, Roma 2000, p. 1345; S. Cosentino, Prosopografia dell'Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, p. 306.