MACHIAVELLI, Niccolò, detto Chiurli
Nacque a Firenze il 12 dic. 1499 da Giovanni di Gherardo e da Clemenza di Niccolò Del Benino, secondogenito di cinque fra fratelli e sorelle. Proveniva da una famiglia del ceto dirigente fiorentino, dedita tradizionalmente al commercio e alla banca e presente fino dalla fine del XIII secolo negli uffici pubblici. Non si hanno molte notizie del padre del M., ma il fatto che sia stato tre volte priore in periodi di governo "popolare" (rispettivamente nel 1503, 1527 e 1529) induce a credere che fosse vicino agli oppositori dei Medici.
Niente si sa della giovinezza del M., che probabilmente trasse dall'ambiente familiare sentimenti d'insofferenza verso il governo dei Medici. Le prime notizie sono strettamente connesse con la morte del condottiero Giovanni dalle Bande Nere (Giovanni de' Medici), avvenuta nel 1526: nel periodo d'incertezza che seguì, il M. e altri giovani antimedicei "non meno nobili che animosi" (Varchi, I, p. 115) cominciarono nottetempo a girare armati per le vie della città; ne nacquero tafferugli, in cui alcune guardie rimasero ferite, ma l'incerto clima politico e lo stato di debolezza in cui versava il regime mediceo fecero sì che la giustizia non seguisse prontamente il suo corso e l'unico provvedimento che fu preso fu quello di aumentare l'organico delle guardie.
Gli stessi giovani, tra cui il M., ormai comunemente noto con il soprannome di Chiurli, furono protagonisti nel 1527 di un altro episodio teppistico: entrati di primo mattino nella chiesa dell'Annunziata, fecero cadere dai basamenti le statue in cera raffiguranti i papi medicei: Leone X e Clemente VII. Il fatto ebbe una certa risonanza in città perché provocò la fuga dei frati impauriti dall'annesso convento. Di lì a poco il cambiamento di regime assicurò l'impunità ai responsabili.
Durante i tumulti culminati nel maggio 1527 con la cacciata da Firenze dei rappresentanti della famiglia Medici, il M. si distinse come "uno dei più ardenti partigiani della libertà" (Litta) e dopo l'instaurazione del nuovo regime, che ricalcava l'assetto della Repubblica savonaroliana del 1494, si dedicò alla difesa in qualità di capitano della milizia.
La vita della nuova Repubblica fu breve e agitata: nel 1529 il trattato di Barcellona tra Clemente VII e l'imperatore Carlo V provocò un attacco congiunto contro Firenze, che fu assediata dalle truppe imperiali. In un primo tempo la città chiamò a raccolta le proprie risorse e cercò di resistere a oltranza, facendo nel contempo tentativi di rompere l'assedio, affidandosi al valore e alle capacità strategiche di Francesco Ferrucci. Con un estremo e disperato provvedimento del 7 genn. 1530 il governo fiorentino decise di distribuire le armi ai cittadini. L'organizzazione della milizia cittadina ricalcava quella istituita nel 1509, durante il governo di Pier Soderini: i cittadini si organizzarono in sedici squadre, una per ognuno dei "gonfaloni" in cui era divisa la città, e ogni squadra provvide a scegliersi un capitano, poi confermato dal Consiglio degli ottanta. Il M., sebbene avesse sempre abitato nel gonfalone del Nicchio del quartiere di S. Spirito, fu eletto capitano del gonfalone dell'Unicorno, che invece faceva parte del quartiere di S. Croce. A pochi mesi da questa elezione, il 20 ag. 1530, vi fu l'inevitabile resa della città.
Alla capitolazione di Firenze seguì l'affidamento del governo provvisorio a una Balia di dodici cittadini, che doveva preparare il passaggio a un nuovo regime mediceo. Benché, com'è ovvio, tale Balia fosse costituita da filomedicei, essa decretò l'impunibilità di quanti avevano militato come capitani o semplici soldati nella milizia cittadina. Più tardi il clima dovette cambiare, tanto che cominciarono i provvedimenti punitivi contro la maggior parte di loro. Con un decreto del magistrato degli Otto di guardia e balia del 17 dic. 1530, anche il M. fu condannato alla pena capitale e al bando, insieme con quattro compagni, "per essersi partiti dalla città contro la prohibitione del loro offitio et per altre iuste cause" (Arch. di Stato di Firenze, Otto di guardia e balia, Repubblica, filza 231, c. 14v). Non si fa cenno in questo provvedimento alla presunta partecipazione del M. all'incendio doloso della villa medicea di Careggi affermata invece da alcuni autori (Varchi, II, p. 570; Litta). La condanna rimase senza esito in quanto il M. aveva già lasciato la città; la confisca dei beni, che sempre faceva da corollario a provvedimenti di questo tipo, non dovette avere gravi conseguenze, perché egli era ancora "figlio di famiglia" e non disponeva di un patrimonio personale.
Fuggito da Firenze, il M. si mantenne in contatto con gli altri fuoriusciti fiorentini.
In questi primi anni essi costituirono un gruppo abbastanza omogeneo dal punto di vista ideologico, rimanendo strettamente fedeli all'ideale repubblicano. Nel giro di pochi anni, tuttavia, la morte di papa Clemente VII e l'odiosità dei metodi di governo di Alessandro de' Medici, dal 1532 primo duca di Firenze, fecero confluire nell'opposizione antimedicea alcuni personaggi di rilievo, come Filippo Strozzi e Baccio Valori, e i tre cardinali fiorentini Niccolò Gaddi, Niccolò Ridolfi e Giovanni Salviati. Questo fatto provocò una spaccatura ideologica all'interno del gruppo degli oppositori ai Medici, tra i repubblicani a oltranza e chi voleva semplicemente liberarsi del governo oppressivo e corrotto del duca Alessandro. Alla fine fu trovato un compromesso: guadagnare alla causa il cardinale Ippolito de' Medici, il quale era stato privato delle legittime aspettative al governo di Firenze dall'elevazione del cugino Alessandro voluta da papa Clemente VII. Egli accettò ben volentieri di essere il punto di riferimento dell'opposizione antimedicea, non più costituita da "banditi", ma anche da elementi del ceto ottimatizio, e si mise in viaggio verso Napoli per presentare all'imperatore Carlo V le istanze degli oppositori al governo dei Medici in Firenze. Tuttavia, a riprova delle persistenti diffidenze, il cardinale Ippolito fu accompagnato in questo viaggio da una rappresentanza dei repubblicani "puri", di cui faceva parte anche il M.; questi e altri cinque compagni erano stati segretamente incaricati, nel caso in cui il cardinale non si fosse comportato in maniera soddisfacente, di prendere la parola e perorare personalmente la loro causa. L'improvvisa morte a Itri, il 10 ag. 1535, del cardinale vanificò questi progetti.
Il M. rimase comunque lontano da Firenze e cominciò a gravitare, forse anche per problemi economici, nell'orbita degli Strozzi. Non approfittò di un provvedimento di clemenza di Cosimo de' Medici, eletto "capo primario della città" dopo l'assassinio di Alessandro, il quale il 30 genn. 1537 aveva decretato il perdono e la reintegrazione nel possesso dei beni confiscati per un certo numero di fuoriusciti che fossero tornati in città. Un bando emesso il successivo 12 febbraio dai capitani di Parte guelfa, la magistratura competente in materia di confisca di beni, aveva reso pubblico l'elenco degli ammessi al beneficio, tra cui figurava anche il Machiavelli. Sembra certo, tuttavia, che egli non sia ritornato a Firenze e che invece si sia unito agli altri fuoriusciti nel pianificare un estremo tentativo di abbattere il dominio mediceo, approfittando della relativa instabilità politica del primo periodo di governo di Cosimo.
Nel luglio 1537 i principali esponenti del fuoruscitismo, tra cui il M., si riunirono presso Montemurlo, in una proprietà della famiglia Valori, aspettando l'arrivo di Piero Strozzi, figlio di Filippo, alla testa di un forte esercito, arruolato con l'aiuto del re di Francia Francesco I. Con questo esercito ci si proponeva di attaccare di sorpresa Firenze, sperando nell'appoggio interno di quanti - e non erano pochi - tolleravano a fatica il regime mediceo.
Ma i movimenti degli esuli non erano sfuggiti a Cosimo che li fece assalire di sorpresa da un esercito comandato da Alessandro Vitelli nella notte del 31 luglio 1537, prima che giungessero le truppe dello Strozzi. Anche il M. fu preso prigioniero e rinchiuso nella fortezza di Volterra, ove presumibilmente morì poco dopo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 81, c. 53; 906, c. 67; Otto di guardia e balia, Repubblica, filze 209, c. 80v; 231, c. 14v; Carte Strozziane, s. I, filza 95, cc. 26v, 141 v; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Firenze 1843-44, I, pp. 115, 347; II, pp. 277, 570; III, p. 123; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, II, pp. 250, 305; P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato: Paolo Del Rosso "fiorentino e letterato", Milano 1990, p. 26; Id., Profilo del fuoriuscitismo repubblicano fiorentino al tempo dell'Altoviti, in Ritratto di un banchiere del Rinascimento: Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini (catal., Boston-Firenze), a cura di A. Chong - D. Pegazzano - D. Zikos, Milano 2004, p. 290; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Macchiavelli di Firenze.