MACINAZIONE (fr. broyage, mouture; sp. molienda; ted. Mahlen; ingl. grinding)
Operazione mediante la quale i corpi solidi vengono meccanicamente suddivisi in particelle di piccole o piccolissime dimensioni. La suddivisione può avvenire in genere: per compressione semplice (frantoi a mascelle, molini centrifughi ad anello), per urto o percussione (molini a martelli e a palle), per pressione e sfregamento (molini a palmenti, molazze, tubi finitori), per incisione (molini a punte, a cilindri dentati, ecc.) o mediante la combinazione di alcune di queste operazioni elementari.
L'operazione di macinazione può essere intermittente o continua. La macinazione continua consente la classificazione del prodotto macinato in ciclo chiuso, con ritorno automatico nella macchina della parte non sufficientemente fine.
La determinazione e il calcolo del lavoro meccanico necessario per la macinazione dei solidi sono stati oggetto di numerosi studî teorici.
Secondo P. R. von Rittinger (1867) "il lavoro di macinazione è proporzionale all'area delle superficie generate dalla macinazione stessa". Infatti se con A si indica il lavoro necessario per suddividere un cubetto di lato 1 secondo una delle sue facce, 3 A è il lavoro necessario per dividere il cubetto in 8 parti eguali, e in genere 3 A (n − 1) è il lavoro necessario per dividere un cubo in n3 cubetti di lato 1/n. Per passare, in un materiale, da una dimensione media D dei pezzi a una dimensione media d occorre quindi un lavoro teorico:
Poiché in 1 cmc. vi sono 1/D3 cubetti di lato D, il lavoro teorico per cmc. necessario per suddividere un cubo di lato D in un numero qualsiasi di cubi di lato minore d (introducendo un coefficiente K variabile fra 1/2 e 1/7 per tener conto del fatto che i materiali sono costituiti da particelle irregolari e non da cubetti) è dato da:
I risultati più attendibili con questa formula si hanno per materiali non molto fini e cioè con lato fino a 0,4 mm.
La legge di Rittinger presuppone che la rottura avvenga per soli sforzi taglianti, trascurando il lavoro di deformazione, il lavoro di attrito, ecc., necessario per rompere un solido. Per questo essa conduce a risultati meno attendibili della legge di Fr. Kick (1876) secondo cui "l'energia necessaria per determinare le stesse variazioni nelle dimensioni di corpi omogenei varia proporzionalmente al volume di questi corpi: quindi il lavoro di macinazione è proporzionale al rapporto fra i volumi iniziale e finale". Altre leggi teoriche furono elaborate recentemente da C. Mittag, A. E. Helbig, ecc., ma, in genere, i valori ottenuti con la loro applicazione sono sempre molto lontani dai risultati pratici, nella realtà intervenendo varî fattori che complicano i fenomeni elementari presupposti.
Comunque, l'interesse di queste leggi sta nel fatto che esse permettono di paragonare fra di loro i diversi apparecchi di macinazione, di stabilire quale fra essi può essere il più economico per un determinato lavoro, e infine di calcolare i differenti valori dell'energia necessaria per la riduzione di un determinato materiale nelle varie dimensioni, quando si conosca sperimentalmente l'energia occorrente per una di queste dimensioni. Così, in base alla legge di Rittinger, conosciuta l'energia L1,2 occorrente per ridurre un determinato materiale da dimensione d1 a dimensioni d2, 'energia L3,4 occorrente per ridurre lo stesso materiale da dimensioni d3 a d4 è data da:
che può essere semplificata nella formula
essendo generalmente i rapporti d3/d4 e d1/d2 molto grandi rispetto all'unità. In generale si osserva che il lavoro di macinazione è maggiore per ottenere piccole dimensioni che non per compiere frantumazioni grossolane, che conviene rendere graduale il passaggio da una dimensione a quella richiesta quando lo scarto fra esse è notevole, e ridurre al minimo la produzione della polvere ove questa non sia richiesta, perché essa aumenta gli attriti e sviluppa calore nell'apparecchio di macinazione.
Macchine per macinazione. - Sono state fatte molte classificazioni delle macchine di macinazione, per esempio tenendo conto della natura della forza che si applica per rompere il materiale, ma, per la complessità dei fenomeni che intervengono e per le svariate combinazioni che si possono realizzare in questi macchinarî, nessuna di esse riesce completa e precisa. Ecco una classificazione abbastanza completa, basata sulle dimensioni finali dei prodotti macinati:
Macchine per frantumare: a) prerompitori (per ridurre fino a dimensioni di 7-8 cm. di lato) che comprendono: frantoi a mascelle e frantoi giratori detti anche a cono, o a birillo eccentrico; b) granitori (per ridurre fino a dimensioni di 0,5 cm. di lato) che comprendono: molini a rulli orizzontali, molini a cilindri sovrapposti o cilindraie, molazze, frantoi a dischi eccentrici, molini a campana.
Macchine per macinare o molini propriamente detti (per ridurre il materiale fino a dimensioni di 0,5 mm. di lato) che comprendono: molini a palmenti, molini a pestelli, molini a palle, molini a urto, questi ultimi a loro volta distinti in molini a dischi o disintegratori, molini a martelli fissi e molini a martelli mobili.
Macchine per polverizzare (per ridurre il materiale in polvere impalpabile) che comprendono: polverizzatori a martelli con separazione pneumatica, tubi finitori e tubi combinati, molini centrifughi ad anello, questi ultimi a loro volta distinti in molini a rulli, molini a pendolo, molini a rollette o a palle centrifughe.
Alcune macchine comprese in una di queste categorie possono servire anche per la categoria successiva regolandone gli organi.
In pratica per scegliere il tipo di macchina adatto a un determinato lavoro e materiale occorre conoscere i seguenti elementi: dimensione media del materiale prima della macinazione; dimensione media che si vuol ottenere; durezza e coefficiente di resistenza alla rottura; struttura (amorfa, cristallina, fibrosa, lamellare, ecc.); grado di compattezza o di friabilità; umidità, punto di rammollimento e di fusione.
In questa voce sono descritte soltanto le macchine per frantumare, mentre è rinviata alla voce molino la descrizione delle macchine per macinare e delle macchine per polverizzare.
macchine per frantumare. - Prerompitori: 1. Frantoi a mascelle. - I frantoi a mascelle (fig. 1) sono costituiti da due placche, o mascelle, disposte di fronte a forma di V, l'una A fissa, l'altra B mobile e dotata di movimento di va e vieni ottenuto a mezzo di eccentrico C, biella D e asta rigida E. Una molla F agendo sul tirante G tiene insieme le parti della macchina durante la corsa discendente della biella; la regolarità del moto è assicurata da 2 pesanti volani H. Il materiale viene spezzato dalle due mascelle, scaricandosi in basso attraverso una feritoia.
Esistono diversi tipi di frantoi a mascelle a seconda della disposizione degli organi macinati e del modo col quale viene trasmessa la forza. Il più noto e più antico è il tipo Blake, nel quale il movimento è dato all'estremità inferiore della mascella mobile, mentre la mascella fissa può essere verticale oppure inclinata come quella mobile per ottenere un minor consumo di energia. In altri tipi il movimento delle aste avviene verso il basso in modo che la biella aumenta col suo peso l'effetto di compressione e in altri ancora la mascella mobile è comandata direttamente dall'eccentrico, o (fig. 2) la biella è stata sostituita da una camma A e da un rullo B ottenendo così due colpi ogni giro. Per ottenere poi prodotti più fini si usa il frantoio tipo Dodge (fig. 3) che presenta l'articolazione del bilanciere in basso (D) anziché in alto come normalmente.
Le mascelle dei frantoi sono generalmente piane, alleggerite da cavità, e rigate verticalmente; devono essere di materiale duro (ghisa in conchiglia o acciaio al manganese) e facilmente ricambiabili. Il corpo della macchina si costruisce generalmente in acciaio fuso.
Le dimensioni dei pezzi macinati dipendono dalla larghezza della bocca di scarico (da 1 a 15 cm.) e di quella di carico. Per materiali duri, come quarzo, calcare, rocce e minerali, la dimensione media del macinato è eguale a 1/5 dell'apertura superiore delle mascelle, per materiali friabili, come carbone, argilla, ecc., essa è eguale a 1/8. Le dimensioni del materiale da macinare variano generalmente da 5 a 30 cm. di lato.
I frantoi a mascelle si usano per quasi tutti i prodotti, per piccole e grandi produzioni fino a 15 tonnellate all'ora di macinato; i giri variano da 200 a 300 al minuto primo.
2. Frantoi giratori. Sono costituiti (fig. 4) da due tronchi di cono coassiali, l'uno A interno diritto e mobile, l'altro B esterno a forma rovescia e fisso, muniti entrambi di scanalature. Il movimento al cono interno è dato dall'albero C, sospeso superiomiente a un robusto supporto sferico D e imperniato al basso eccentricamente nella ruota conica E che riceve il comando dal pignone F; l'albero C assume quindi un movimento conico attorno all'asse della macchina avvicinandosi e allontanandosi dal cono esterno, schiacciando così il materiale (fig. 5). Questo entra dall'alto e, scendendo nel cono, è ridotto, per compressione e flessione, in pezzi sempre più piccoli, finché si scarica in basso (attraverso allo spazio anulare fra il birillo e il cono fisso) sul diaframma inclinato che protegge le ruote coniche. L'albero C può essere sollevato o abbassato per aumentare o diminuire lo spazio fra A e B; ciò per ovviare alla usura delle piastre macinanti, e anche per variare le dimensioni del macinato. Il cono esterno è formato da più segmenti di facile ricambio, di ghisa per le zone superiori, di acciaio per la zona inferiore; dello stesso materiale è pure il cono mobile.
I frantoi a cono, essendo apparecchi di notevole capacità, sono usati soprattutto per grandi impianti (macinazione di calcare, rocce, ecc.). Essi richiedono poca attenzione per l'alimentazione e la manutenzione e minore energia dei corrispondenti frantoi a mascelle. Si costruiscono con diametri del cono esterno da 400 a 1900 mm., con potenzialità da 3 a 250 tonnellate all'ora di prodotto macinato e consumo di energia da 5 a 150 HP a seconda delle dimensioni e della natura dei prodotti da macinare. Per esempio con prodotto macinato di dimensione media di 50 mm. si hanno consumi e produzioni del valore seguente:
Granitori: 1. Molini a rulli orizzontali. - Sono costituiti, nei tipi più semplici, da due cilindri simili A e A1 (fig. 6) ad assi paralleli ruotanti in senso opposto e avvicinati in modo da lasciare fra loro un piccolo intervallo. Il materiale passando in questo intervallo è schiacciato e macinato. Da numerosi studî ed esperienze (R. H. Richards e altri) è stato possibile stabilire i valori dei diametri dei cilindri, dell'apertura fra essi o dimensione di macinazione, e della dimensione massima dei pezzi che si possono macinare, valori fra loro interdipendenti. In alcuni tipi (fig. 6) uno dei cilindri ha l'asse fisso e l'altro l'asse mobile, costretto da una molla B in modo da permettere il passaggio dei pezzi troppo duri che potrebbero danneggiare la macchina. In altri tipi sono mobili tutt'e due i cilindri e trattenuti da molle B (tipo equilibrato: fig. 7) oppure appesi a bielle inclinate verso il centro in modo che i cilindri vengano sospinti l'uno verso l'altro per effetto del proprio peso. Per materiali fini si adoperano anche due cilindri ad asse fisso ruotanti ad alta velocità, ma la produzione è piccola.
I cilindri sono generalmente lisci, ma se ne fanno anche di dentati e di scanalati, di materiale differente a seconda dei prodotti da macinare; quando in una sola macchina si vuol ottenere una riduzione superiore a quella possibile con una coppia di cilindri (riduzione che può arrivare a 1/6 e al massimo a ¼) si dispongono due o tre coppie di cilindri sovrapposti a dentatura decrescente; ciò si fa per es., per il carbone nelle miniere.
Il movimento è impresso generalmente a un solo cilindro a mezzo di cinghia (40-60 giri al 1′), oppure (fig. 8) ai due cilindri con ingranaggi (15-25 giri al 1′). Per riduzioni molto fini, si imprimono due velocità differenti ai due cilindri. Per avere la migliore produzione è necessario far avvenire l'alimentazione su tutta la lunghezza del cilindro e far sì che il materiale abbia la stessa velocità dei cilindri.
Questi molini hanno vastissime applicazioni per cemento, grano, carbone, minerali, canna da zucchero come sfibratori, per colori e smalti, ecc. Il diametro massimo dei cilindri è di 2000 mm., con produzione di 6-7 tonn. all'ora.
2. Molini a cilindri sovrapposti o cilindraie. - Derivano dai precedenti e sono costituiti o da due o tre coppie sovrapposte di cilindri orizzontali (grano, laterizî, ecc.), oppure da tre fino a nove singoli cilindri sovrapposti: i cilindri sono di ghisa dura o di acciaio, lisci o rigati con rigatura più fina in quelli inferiori. Il tipo di fig. 9, molto usato per semi oleosi, è costituito da 5 cilindri: il materiale per mezzo dell'alimentatore rotativo A si distribuisce uniformemente fra il 1° e il 2° cilindro, passa poi fra il 2° e il 3°, e così via seguendo un percorso sinuoso e subendo 4 macinazioni successive. Una serie di coltelli raschiatori B in lamiera dirige il passaggio del materiale fra i singoli cilindri. La macinazione avviene per la pressione gradualmente progressiva esercitata dal peso dei cilindri. Inoltre due molle a spirale, agendo sui supporti del cilindro superiore, regolano la compressione fra i cilindri e ne consentono l'allontanamento al passaggio di pezzi troppo duri che potrebbero danneggiarli. Tutti i cilindri sono comandati a cinghia dalla ruota motrice inferiore, a eccezione del 4° che è trascinato in rotazione dai due cilindri. Questi molini si costruiscono con cilindri di diametro da 350 a 600 mm., lunghezza da 800 a 1100 mm., giri 120 al 1′, e hanno produzione di 1000-2500 kg./ora e consumo di 15-35 HP.
3. Molazze (molini a mole verticali). - Sono costituite essenzialmente da due, in alcuni casi tre, ruote A (fig. 10) imperniate su un asse orizzontale e rotolanti su un piatto piano C; il materiale da macinare è portato continuamente sotto alle ruote da bracci opportunamente inclinati e si scarica dal piatto attraverso alla griglia D.
A seconda del sistema di comando si distinguono due tipi di molazze: a) tipo a piatto fisso (fig. 11) in cui il piatto è solidale col basamento e un albero verticale A muove le mole per mezzo degli assi a gomito B: in questo modo l'asse di ciascuna mola può sollevarsi all'incontro con un corpo troppo duro rimanendo sempre orizzontale e quindi conservando la verticalità alla mola stessa. b) tipo a piatto mobile (fig. 10) nel quale il piatto ruota attorno a un albero verticale e le mole sono montate folli su un asse portato da due supporti spostabili verticalmente su guide ricavate nell'incastellatura E; mediante molle le mole vengono tenute sospese a qualche millimetro dal piatto per non avere movimento e quindi usura, nel funzionamento a vuoto. La presenza sul piatto del materiale da macinare determina invece la rotazione delle mole attorno al loro asse. Il comando in tutt'e due i tipi può essere realizzato per di sopra o per di sotto, a mezzo di ruote dentate coniche. Le mole possono essere di pietra (lava o granito) o metalliche, generalmente di acciaio al manganese. Le parti del piatto ove passano continuamente le mole e le corone periferiche delle mole stesse, quando queste sono metalliche, devono essere ricambiabili perché di facile logoramento.
Le molazze si usano soprattutto quando occorre, oltre che macinare, anche mescolare, quindi per materiali pastosi come terre da fonderia. Inoltre si prestano bene quando si devono rompere fibre e cellule, quindi per semi oleosi, cellulosa, cortecce di tannino, paglia, ecc. Si costruiscono con mole di diametro da 300 a 2000 mm. e con larghezza da 120 a 500 millimetri e peso da 100 a 7000 kg.; le produzioni variano rispettivamente da 200 a 12.000 kg./ora di prodotto macinato, con consumo di energia relativamente basso. Le fondazioni di queste macchine devono essere notevoli perché, oltre al peso proprio della macchina, esse devono sopportare le sollecitazioni dovute allo strisciamento delle mole sul piatto.
Fra i numerosi tipi ideati, sono caratteristiche le molazze multiple a gradini tipo Gielow (fig. 12) usate per le argille: sono costituite da un piatto mobile circolare a gradini e da sei mole verticali di differente diametro folli sull'albero orizzontale A. Il diametro delle mole è stabilito in modo che gli spazî lasciati fra piatto e mola decrescano dal centro alla periferia secondo 1, 2, 3, 4, 5, 6. Il prodotto viene caricato al centro, subisce l'azione successiva delle sei mole e si scarica alla periferia.
4. Frantoi a dischi eccentrici (Symons). - Sono costituiti (fig. 13) da due dischi concavi affacciati A e B; il disco A ruota attorno a un asse orizzontale comandato dalla puleggia C. Il materiale caricato al centro del disco A viene proiettato, dalla forza centrifuga, alla periferia e, disponendosi nell'intervallo lenticolare fra i due dischi, trascina in rotazione il secondo disco B con la medesima velocità del primo. Il disco B è fissato sul piatto a superficie sferica D, calettato, a sua volta, sull'albero E; l'eccentrico F, mosso dalla puleggia G (a 350 giri al 1′ e in senso inverso alla puleggia C) imprime a quest'albero un moto pendolare conico, che si trasforma in un movimento ondulatorio del disco B. In questo modo, i due dischi alla loro periferia si allontanano e si avvicinano successivamente più volte durante un giro (8 volte generalmente) e il materiale che vi si trova incastrato viene schiacciato; la parte fina è proiettata dalla forza centrifuga nell'intervallo esistente fra i due dischi e si scarica.
Queste macchine, che possono essere ad asse orizzontale o verticale, si impiegano per frantumazioni medie in genere di tutti i materiali e presentano dei vantaggi notevoli: rottura del materiale per sola compressione senza attrito e quindi consumo minimo di energia; minimo logorio dei dischi, che sono generalmente lisci e d'acciaio, facile regolazione del prodotto.
5. Molini a campana. - Si adoperano quando si debba macinare finemente un materiale anche in grandi quantità. Sono costituiti (fig. 14) da un cono fisso A esterno e da uno B, interno al primo, che ruota attorno a un asse verticale guidato dai perni C e D: i due coni sono dentati e lo spazio lasciato fra di loro va restringendosi verso il basso. Il materiale da macinare, che si carica in E, viene preso e stritolato tra i due coni fino a passare attraverso allo stretto vano lasciato fra di essi; le alette F che ruotano con l'albero G, lanciano il prodotto macinato contro la griglia H donde si scarica. Le parti inferiori I e L dei coni, soggette alla maggiore usura, sono ricambiabili. Il grado di finezza del macinato si regola aumentando o diminuendo la distanza fra i due coni per mezzo del volantino M.
Bibl.: E. C. Blanc, Technologie d. concasseurs, broyeurs et taniseurs, Parigi 1924; C. Naske, Zerkleinerungsvorricht. und Mahlenl., Lipsia 1926; K. Badger e K. McCabe, Elem. of chem. engineering, New York 1931.