MACRO- e MICROECONOMIA
Negli indirizzi classico e neoclassico, e specialmente in quelli culminati nei sistemi dell'equilibrio economico generale proposti dalla scuola di Losanna, le teorie economiche sono state generalmente concepite e sviluppate a scala microeconomica, vale a dire le utilità, le disutilità, il benessere, le domande e offerte, le funzioni di produzione, di consumo, d'investimento e di risparmio, i costi e i prezzi vengono riferiti ai singoli operatori economici: produttori, consumatori, imprese. Questo sia nelle relazioni proprie delle situazioni di concorrenza sia nel monopolio e nell'oligopolio. Per conseguenza anche i parametri relativi sono microquantità le quali misurano i giudizî di valore provenienti dai singoli individui.
Invece, nel periodo fra le due guerre mondiali, specialmente con la letteratura keynesiana, l'economia dei processi fenomenici a livello individuale è stata via via sempre più trascurata. Si è preferito discorrere in termini macroeconomici, cioè concependo e rappresentando la realtà economica a livelli settoriali o addirittura a livelli multisettoriali fino ad abbracciare tutti i settori della vita di un paese; costruendo quindi macroquantità economiche che comprendono grandi insiemi di microquantità facenti parte delle varie categorie economiche: tali il reddito nazionale, l'occupazione, la disoccupazione, il consumo, gli investimenti, il risparmio totale, le domande e le offerte aggregate, il benessere collettivo, le preferenze di liquidità e le propensioni a consumare e a risparmiare, gli acceleratori e i moltiplicatori, ecc. Sebbene queste quantità esprimano anch'esse giudizî di valore di individui, ciò avviene solo indirettamente a scala multipersonale.
Questo secondo indirizzo è stato coltivato non solo da J. M. Keynes ma anche da economisti matematici non sempre aderenti alla sua scuola. A questo riguardo vanno ricordati specialmente i lavori di M. H. Theil, L. R. Klein, E. C. Malinvaud, R. G. D. Allen, A. Wald, L. Hurwicz, M. Kalecffi, J. C. H. Fei, G. Debreu, K. May, Shou Shan Pu e altri ancora, lavori ai quali diede avvio lo studio fondamentale di R. Frisch del 1933. Devono però anche ricordarsi, soprattutto come precursori, F. Quesnay (per il concetto di "tableau économique"), R. Malthus e J. B. Say (per il concetto di "domanda effettiva"), C. Marx (per i concetti di "lavoro medio sociale" e di "valore di scambio sociale") e A. Marshall (per il concetto di "azienda rappresentativa"). Lo stesso L. Walras, iniziatore della scuola di Losanna, aveva indicato nelle sue fondamentali lezioni sugli Éléments d'économie pure, con i concetti di "domanda parziale" e di "domanda totale", il modo di arrivare alle macroquantità, sebbene il suo sistema fosse riferito ai singoli agenti economici e alle singole imprese e quindi le macroquantità fossero quantità accidentali ed effimere, cioè solo approssimativamente universali e categoriche. Si debbono, infine, ricordare gli studî sull'economia del benessere che vanno da F. Y. Edgeworth a A. C. Pigou e più recentemente a J. R. Hicks e a I. M. D. Little. Con questi studî si cerca di aggregare pseudoquantità matematiche, come le utilità e il benessere individuali, per ottenere macroquantità, e quindi relazioni tra queste, come le utilità e il benessere di una collettività.
Nonostante l'importanza assunta dall'indirizzo della macroeconomia, molti economisti ritengono ancor oggi che l'unica realtà scientificabile sia quella degli innumerevoli microfenomeni perché sono questi i soli soggetti a precise leggi di comportamento. Anche trascendendo la materialità degli istinti dell'homo oeconomicus e perciò considerando particolarmente i presupposti idealistici e storico-umanistici degli operatori economici, le leggi del loro comportamento sono infatti le sole a presentarsi in modo univoco, giacché ogni soggetto elementare resta sempre il medesimo per tutta la durata in cui ciò avviene.
Quindi gli individui sono forze costanti assolute. Invece i comportamenti dei grandi settori sono molto meno assoluti. Trattandoli con i metodi dell'induzione e della deduzione, si incorre, infatti, nella più parte dei casi, nell'indeterminazione. I comportamenti medî o aggregati sono sintesi soggette a causalità continuamente mutevoli. Essi non operano quasi mai con uniformità di scopi e piani prestabiliti. Non hanno dietro di sé una volontà creatrice che dia luogo alle stesse reazioni. Sono semplici miscugli privi di proprietà costanti, giacché le loro reazioni non è mai detto che debbano durare per un periodo lungo nella stessa direzione e con la stessa intensità. Sono quindi variabili non univoche, variabili multidirezionali.
Per fare un esempio, un certo quantum d'investimenti nazionali si presenta sempre con un certo numero di proprietà differenti da un altro quantum matematicamente eguale di investimenti nazionali. La reazione del primo può quindi andare a destra mentre quella del secondo va a sinistra. Così dicasi per molte altre macroquantità. Considerate separatamente, tutte le macroquantità possono cioè essere destrogire o levogire come le mani, pur essendo matematicamente dello stesso livello, a differenza delle microquantità per le quali, se considerate separatamente, non esiste questa imbarazzante proprietà speculare.
La principale conseguenza in sede epistemologica di questi diversi comportamenti è che, mentre i modelli teorici basati sulle macroquantità possono durare soltanto l'espace d'un matin in quanto il loro processo non emerge necessariamente dalla macroschematica precedente -, e quindi debbono essere ricostruiti continuamente, i modelli teorici basati sulle microquantità sono univoci e quindi durevoli. È vero che la microeconomia è composta da un numero praticamente infinito di microquantità e che perciò vi è sempre difetto di complete informazioni; però essa può essere trattata, in caso di necessità, stocasticamente, dato che ogni universo di questo tipo presenta una certa simmetria, simmetria che con certe cautele può essere espressa da valori medî e modali e dalle grandezze degli scostamenti dalla media, senza con ciò impegnare lo scienziato a proseguire in un indirizzo - quello macroeconomico - che non solo non è corroborato dall'esperienza ma che è incapace per sua natura di superare fondamentali inconvenienti di logica economica.
Un'altra importante differenza tra micro- e macroquantità è che i livelli attinti dalle singole macroquantità sono separati l'uno dall'altro da un contatto spazio-temporale insopprimibile. Per conseguenza occorre attendere che il decorso temporale della macroquantità sia completo per afferrarne le leggi di comportamento. Dunque le macroquantità non sono mai grandezze rigorosamente cinematiche. Epistemologicamente - si può ancora osservare - le microquantità sono soggette al solo ordine causale mentre sulle macroquantità incombe essenzialmente l'ordine della solidarietà che è proprio delle serie biografiche.
Ecco perché le relazioni funzionali tra microquantità sono esprimibili matematicamente, anzi sono di regola relazioni equazionali, mentre quelle tra macroquantità sono semplicemente rappresentabili, più o meno felicemente, dalle equazioni matematiche, dato che un'equazione funzionale è inconcepibile se i movimenti hanno natura discontinua. Per conseguenza, portato fino a fondo, lo studio delle macroquantità vuole la profondità del filosofo e la visione dello storico e persino l'arte del poeta che abbiano coscienza, date le loro vedute larghissime, dei varî catalizzatori che accelerano o ritardano - a seconda del segno delle loro grandezze - poco o molto le reazioni discendenti dai singoli agenti componenti il miscuglio della macroquantità.
Pur appartenendo ad un tipo differente di esplicazione scientifica e pur presentandosi con gradi diversissimi di certezza, la comparsa della macroeconomia in contrapposto alla microeconomia ha sollevato molte speranze, sebbene finora i risultati raggiunti siano molto modesti. Il motivo principale è che nell'evoluzione dei due indirizzi della micro- e della macroeconomia è mancato finora un esplicito riconoscimento che i due modi di interpretazione della realtà sono nettamente differenti e non vanno quindi visti mai in opposizione ma piuttosto quali metodi complementari. L'uno serve cioè a individuare meglio tutte le infinite forze agenti; l'altro è più appropriato nello studio degli organismi economici superiori, in genere per seguire il comportamento delle attività e dei giudizî di valore delle masse organizzate, soprattutto quando - e questo è pure un motivo essenziale - manchi la pratica possibilità di identificare e di seguire in dettaglio il comportamento delle microquantità.
Nuocerebbe pertanto alla evoluzione scientifica l'affermazione che questa avrà domani, come stadio finale, soltanto la macroeconomia. Se è vero che con la microeconomia le proprietà dell'economia sociale non possono essere individuate unicamente attraverso le leggi del comportamento individuale, è pure vero che un punto debole della macroeconomia sarebbe quello di asserire che la realtà è interamente subordinata ad orientamenti soltanto generali e che quindi il suo comportamento è da descriversi con variabili soltanto generali, sia per quanto concerne le "variabili di stimolo" o "di ambiente generale", sia per quelle variabili che si dicono tecnicamente "di risposta" o "di reazione". Al contrario vi sono cause al livello individuale e altre cause al livello generale. Tra di esse si forma un sistema di interrelazioni la cui teoria però non ha finora condotto a spiegazioni soddisfacenti.
Praticamente il solo passo finora compiuto dalla macroeconomia è stato l'aggregazione, in modo esclusivamente matematico, delle microquantità di natura matematica. Ci si è voluti cioè limitare quasi esclusivamente o a compiere una mera sovrapposizione del maggior numero possibile di microquantità addizionabili della stessa categoria o a conservarle identicamente tali e quali, oppure a costruire certe totalità, ottenute praticamente con l'interpolazione temporale, o con la media mobile delle microquantità supponendo, in modo molto spesso fittizio, che esse rappresentino le leggi della totalità dell'aggregato strutturale. Con questo procedimento essenzialmente sincretistico si è inevitabilmente caduti nel difetto fondamentale del comportamentismo meccanico. Procedimento il quale, se è ineccepibile dal punto di vista rigorosamente matematico (tanto che si applicano solitamente le tecniche delle derivate semplici e parziali), dà luogo però logicamente a modelli teorici continuamente variabili, ossia a una curiosa scienza di indeterminazioni il cui difetto è appunto di partire da un rigoroso determinismo per fornire unicamente soluzioni che deterministiche non sono. Tali sono infatti le aggregazioni ottenute dagli economisti facenti capo alla rivista internazionale Fconometrica.
D'altra parte, anche quando si è partiti con i metodi organicistici - che però sono rimasti in economia quasi sempre meccanici - dai varî tipi di "Gestalttheorie" per qualificare l'ambiente economico con poche macrovariabili (non derivate però matematicamente dalle microvariabili), l'universo così rappresentato e le leggi proposte si sono dimostrati largamente ipotetici. Tali le aggregazioni dovute agli scrittori di scuola keynesiana, che però spesso fondono insieme i due tipi di procedimento.
Alcuni esempî tipici di aggregazione sono indicati di seguito come caso primo e caso secondo. In genere non solo con gli esempî ivi forniti ma anche con quelli rintracciabili nell'odierna letteratura, che oramai ha assunto dimensioni straordinarie, si parte da microrelazioni molto semplici, come lo sono le lineari a pochissime variabili indipendenti, tra quantità matematizzabili per arrivare a una macrorelazione della stessa forma. Si deve perciò osservare che finora sono state escluse molto superficialmente, e non già a seguito di una selezione scientifica, le microrelazioni in cui compaiono variabili quali l'utilità e la disutilità considerate dalla teoria dell'equilibrio economico generale. Difatti, trattandosi di grandezze incomparabili interpersonalmente a motivo della diversa psicologia individuale, l'includerle negli schemi macroeconomici matematizzati sarebbe stato un controsenso. Si tratta tuttavia di una vera e propria reticenza elusiva.
Caso primo. - Si suppongano n microrelazioni (dove il suffisso i, che varia da 1 ad n, è segnato a sinistra e indica un certo individuo):
con parametri di pendenza ia1, ia2, ... e parametri di posizione ib.
Si tratta di arrivare, con l'aggregazione, ad una macrorelazione valida per tutta la collettività n, della stessa forma, ossia alla:
oppure ad una forma relazionale differente sia nelle variabili dipendenti e indipendenti sia nei parametri.
Il caso primo si ha quando le microvariabili indipendenti sono comuni a tutte le n microrelazioni (caso, ad esempio, delle domande individuali in funzione dei prezzi di mercato). In questo caso la macrovariabile dipendente è senz'altro la
mentre le macrovariabili indipendenti sono eguali alle corrispondenti microvariabili, ossia X1 = ix1; X2 = ix2; ..., dove i varia al solito tra 1 ed n.
Si tratta perciò di determinare i macroparametri. È senz'altro evidente che
cioè i macroparametri sono differenti dai microparametri mentre le macrovariabili indipendenti sono eguali alle corrispondenti microvariabili indipendenti e la macrovariabile dipendente è la somma delle microvariabili corrispondenti. Formalmente l'aggregazione qui è ineccepibile. Dal punto di vista logico-economico, però, essa costituisce un pericoloso abbaglio. Sembra infatti che la macrovariabile dipendente abbia dietro di sé un fattore solo radicalmente unidirezionale, quando invece gli artefici sono moltissimi e guidati da motivi diversissimi non contrassegnabili con un unico parametro di variazione se non in modo del tutto occasionale e generico.
Caso secondo. - Questo è il caso in cui, pur ottenendosi la macrovariabile dipendente come nel caso primo, si ha però che ciascuna delle macrovariabili indipendenti non può eguagliarsi alla somma delle corrispondenti microvariabili, dato non solo che ogni livello di queste ha una valutazione differente da operatore a operatore, ma anche perché una eguale somma esercita un effetto differente se composta da un numero maggiore o minore di addendi. Per fare un esempio schematico, dati due redditi individuali di 100.000 ciascuno, la spesa percentuale in una data merce è differente dalla percentuale di un solo individuo disponente di un reddito di 200.000. Questo caso è dunque tipico delle varie specie di domande individuali in funzione dei varî redditi individuali ix1, dei varî capitali individuali ix2, ecc.
Si tratta allora non solo di determinare i corrispondenti macroparametri ma anche le macrovariabili indipendenti. Se queste ultime vengono eguagliate alle
allora il macroparametro di posizione e le macrovariabili indipendenti diventano:
Dunque qui i macroparametri sono medie e non già somme dei corrispondenti microparametri come nel caso primo.
È subito chiaro che a differenza del caso primo, pur conservando inalterati i valori delle singole microvariabili, questa aggregazione conduce, variando i microparametri (e per conseguenza le microvariabili dipendenti), a valori delle macrovariabili indipendenti affatto differenti dai valori che esse avrebbero con microparametri differenti da quelli anzidetti. Infatti, tenendo ferme le microvariabili e mutando solo i parametri, la macrorelazione dovrebbe variare unicamente nei suoi macroparametri e nella sua macrovariabile dipendente. Invece variano pure le X1, X2, ..., dato che al denominatore vi sono i valori A1, A2, ... Ciò è contrario ad ogni criterio razionale - anche solo puramente di logica generale e non soltanto di logica economica -, dato che la struttura sistematica tra cause ed effetti non varia se rimangono immutati i valori delle microvariabili indipendenti e cambiano solo i relativi microparametri. Questo grave inconvemente è invece inesistente nel caso primo, sebbene valgano, pure per questo caso secondo, gli stessi rilievi fatti all'altro caso.
Altri gravi inconvenienti della stessa natura irrazionale sorgono nell'aggregazione quando si eguagliano ciascuna delle macrovariabili indipendenti, non già come nelle espressioni del caso secondo, ma alla somma delle corrispondenti microvariabili indipendenti, e ciascuna delle macrovariabili dipendenti alla somma delle corrispondenti microvariabili dipendenti. In queste condizioni si ottengono, per i parametri A1, A2, ..., B, valori diversi tanto rispetto alle espressioni del caso primo quanto rispetto a quelle del caso secondo.
Gli inconvenienti di cui si è detto dimostrano perciò come le aggregazioni proposte dai correnti indirizzi econometrici non siano sempre accettabili dal punto di vista razionale, per quanto siano ineccepibili dal lato puramente matematico. È vero che al livello micro e a quello macro le "forme" funzionali restano immutate (si tratta della stessa forma lineare con eguale numero di addendi). Però si possono dare dei valori macro per le variabili indipendenti che sono inconsistenti e perciò destro- o levogire, e in via generale multidirezionali, rispetto ai loro valori micro, e dei macroparametri che non sono né medie, né somme dei microparametri, quindi anch'essi multidirezionali.
Naturalmente ancora più complessi dal lato matematico e più irti di inconvenienti razionali sono i procedimenti di aggregazione quando si tratta di ridurre ad una macrorelazione unica microrelazioni aventi forme funzionali tra loro differenti. Essa, cioè, può avere la stessa forma di una microrelazione o una forma totalmente differente. Manca dunque, nell'aggregazione, un criterio razionalmente consistente, sebbene matematicamente i procedimenti possano essere ineccepibili. Anche questo dimostra come non esista, di regola, una causalità macroscopica scientificabile e perciò i procedimenti macroeconomici sono tutt'altro che onnipotenti.
Si potrebbe pensare che il multidirezionalismo delle macrorelazioni dipenda dal fatto che per ragioni varie l'aggregazione si fa unicamente su poche macrovariabili, mentre altre macrovariabili - corrispondenti a microvariabili non considerate o derivabili diversamente dalle stesse microvariabili considerate con differenti relazioni funzionali - non vengano poste in debita luce e quindi siano "nascoste".
Come si potrebbe arrivare a queste "variabili nascoste"?. Il problema è molto difficile da risolversi. Intanto si tratta di stabilire in via generale "quando" ci sono coteste "macrovariabili nascoste". Al qual proposito può essere suggerita una relazione essenziale. Si dia un certo macrosistema per una certa situazione spazio-temporale. (i variando da 1 ad n). Se il sistema è coerente, le macrovariabili dipendenti di una certa situazione dovrebbero essere tutte eguali alle corrispondenti macrovariabili delle altre situazioni, ossia, considerando una certa y, dovrebbe essere: yi = yj, dove j≠i varia pure tra 1 ed n. Per il loro insieme dovrebbe valere un'analoga relazione:
In altri termini, se y è sempre uguale in tutte le situazioni i, vale tale relazione; ma se non è sempre la stessa i due membri della relazione non sono uguali.
Questa è la condizione perché non ci siano "variabili nascoste". Se essa è verificata, tutte le variabili dipendenti dipendono esclusivamente dalle variabili indipendenti del sistema (via i parametri) e quindi si ha non solo un sistema coerente ma anche un determinismo assoluto. Quando invece c'è disuguaglianza, pari a Δ, il macrosistema può o non può essere coerente. Tale differenza infatti o indica l'esistenza di "variabili nascoste" oppure è segno che nelle varie Si le y differiscono tra loro solo per cause di natura accidentale. La differenza Δ può cioè essere scomposta in termini di varianza (con l'analisi che porta questo nome), ossia sarà: Δ = Δ′ + Δ″, dove Δ′ è la varianza casuale e Δ″ è da attribuirsi alle "variabili nascoste". In macroeconomia i sistemi proposti finora presentano tutti delle Δ di questo tipo. Quando si tenessero bene in evidenza, sarebbe già un gran risultato perché dissuaderebbero gli studiosi dall'attendersi senz'altro la ripetizione di eventi a scala macroscopica che i rigidi schemi macroeconomici fanno ritenere automatici mentre la realtà degli eventi elementari presenta infinite varianti.
Bibl.: I. M. D. Little, The valuation of social income, in Economica, 1949; H. Wald, Demand analysis, Stoccolma 1952; H. Theil, Linear aggregation of economic relations, Amsterdam 1954; G. D. Allen, Mathematical economics, Londra 1956; J. C. H. Fei, A fundamental theorem for the aggregation of input-output analysis, in "Econometrica", 1956.