Vedi MADABA dell'anno: 1961 - 1995
MADAΒA (Μήδαβα, Madaba; v. vol. IV p. 760)
Città dell'altopiano di Moab, nell'odierna Giordania, 30 km a S di Philadelphia ('Ammān) sul percorso della Via Nova Traiana. È ricordata nei testi biblici (Num., 21, 30; los., 13, 9, 16; Ι Chr., 19, 7; Is., 15, 2) e nella stele della vittoria di Mesa, re di Moab del IX sec. a.C. (ll. 7-9). Compresa nel regno dei Nabatei, fu temporaneamente conquistata dagli Asmonei di Gerusalemme nel I sec. a.C. (FI. Ioseph., Ant. lud., XIII, 15, 4; XIV, 1, 4). Era governata e abitata dai membri della tribù araba dei Beni ‘Amrāt (d'I ‘mrt delle iscrizioni thamudee; Figli di Iambri di 1 Mac., 9, 32-42; Amaraios in Fl. Ioseph., Ant. lud., ΧΙΙΙ, I, 2). Fu inserita nella provincia Arabia.
Originariamente la città era costruita su un'elevazione naturale dell'altopiano (acropoli) sistemata a terrazze. In periodo romano-bizantino l'abitato (la città bassa) si era sviluppato verso Ν nell'area pianeggiante che degrada verso la pianura con pendenza O-E.
Dell'epoca nabateo-romana (I-III sec. d.C.) si conosce un tratto del cardo colonnato nella città bassa, con resti di un basamento presumibilmente pertinente a un tempio. Capitelli, basi ed elementi architettonici varî furono riutilizzati nei monumenti d'epoca posteriore. Le iscrizioni in nabateo, greco e latino sono datate con l'era della provincia Arabia, detta anche era di Bostra, a cominciare cioè dal terzo anno della nuova provincia creata dall'imperatore Traiano nel 105-106 d.C. La città coniò moneta in bronzo al tempo degli imperatori Settimio Severo, Caracalla, Geta e Alessandro Severo. Le tipologie raffigurate sul rovescio di tali monete sono principalmente tre: l'Helios dei Medabeni (μηδαβων αγιω ηλιωι) in quadriga; la Tyche cittadina (μηδαβηνων tyxh) e un betilo in un tempio tetrastilo. Il tipo della Tyche è dato in due varianti: in piedi con una cornucopia nella mano sinistra e un betilo a forma di un piccolo busto nella destra; seduta in trono, con lo scettro nella mano destra e un oggetto non identificato nella sinistra. L'appartenenza di M. alla provincia Arabia è ricordata dai testi geografici d'epoca romano-bizantina, come Tolemeo (Geog., v, 16, 4), Eusebio (On., 128, 19), Ierocle (Synek., 722, 6), Giorgio Ciprio (n. 1062). Stefano di Bisanzio (5, 25), citando Uranio, la dice «città dei Nabatei».
Verso la fine del IV sec. esisteva sul Monte Nebo il primitivo santuario dedicato dai cristiani della regione al profeta Mosè. Il santuario fu visitato verso la fine del IV sec. da una pellegrina, la monaca Egeria (Peregrinatio Aetheriae ad loca sancta, x-xii) e due volte da Pietro l'Ibero vescovo di Maioumas di Gaza. La seconda volta, verso la metà del V sec. costui sulla strada per recarsi alle terme di Baaru, dopo aver fatto sosta al santuario, si fermò a M. dove fu accolto dalla popolazione cristiana (Vita Petri, 87). Dagli Atti del Concilio di Calcedonia, per lo stesso periodo, si sa che la città aveva già un vescovo.
M. visse un nuovo periodo di agiatezza economica e di rinascita culturale nel VI-VII sec., come testimoniano le chiese e le abitazioni civili finora esplorate. Dai nomi dei vescovi della città letti nelle iscrizioni delle chiese della regione, sappiamo che il territorio della diocesi si estendeva a O fino al Monte Nebo; a SO fino al villaggio di Ma‘in-Beelmaus (Eus., On., 44, 21); a S-SE fino allo wādī Muğib-Arnon, confine della provincia, comprendendo il grosso borgo di Dibon (ibid., 76, 16) e la città di Kastron Mefaa (ibid., 128, 21). A N, M. confinava con il territorio di Esbous che distava appena 7 km.
I monumenti d'epoca bizantina finora esplorati sono concentrati lungo il cardo di età romana e sulle pendici dell'acropoli. Gran parte dell'interesse degli studiosi è stato monopolizzato dai pavimenti mosaicati e dalle iscrizioni che li accompagnano, essendo andate distrutte le murature in alzato degli edifici. La riscoperta moderna della città è iniziata nel 1880, quando alcune famiglie beduine cristiane di Kerak vi cercarono rifugio sedentarizzandosi tra le rovine abbandonate da secoli.
Abitazioni civili. - Il «Palazzo Bruciato» è il primo esempio di architettura civile di M. bizantina esplorato, anche se solo parzialmente. L'edificio, ritenuto un'abitazione patrizia della metà del VI sec., si componeva di un cortile lastricato sul quale si aprivano gli ambienti della casa; fu distrutto da un incendio nei primi decenni del VII secolo. Una sala mosaicata occupava il centro dell'ala orientale (9,50 x 7,30 m). L'ingresso della sala era introdotto da un paio di sandali entro una corona. Motivi vegetali alternati a pesci, volatili e animali, erano inseriti negli scomparti del reticolo della fascia. Il tappeto centrale, spartito da 6 registri con 4 volute d'acanto, era decorato con scene di pastorizia e di caccia, con l'aggiunta di un busto di donna, forse la personificazione della Terra. Della porta in legno a doppio battente restavano, con i cardini e altri accessori, i due battenti in bronzo con protome leonina. Del mobilio della casa faceva parte un tripode in bronzo snodabile del tipo a testa di pantera. Un ambiente mosaicato con due riquadri a motivi geometrici separati al centro da un leone affrontato a un bue si apriva sul lato occidentale.
La «Sala di Ippolito», sotto la chiesa della Vergine (9,50 x 7,30 m), fu aggiunta in epoca giustinianea sul lato occidentale del tempio d'epoca romana, con ingresso sulla parete N. Una larga fascia d'acanto, animata con scene di caccia e di pastorizia e con i busti delle Stagioni-Tychai negli angoli, inquadra il campo centrale dell'aula suddiviso in tre pannelli rettangolari. Il pannello O era decorato con motivi nilotici e vegetali inseriti nel reticolo di linee di fiori. Nel pannello centrale era rappresentato il mito di Fedra e Ippolito. I personaggi sono indicati dalle rispettive iscrizioni: le ancelle assistono Fedra, mentre la nutrice si rivolge a Ippolito accompagnato dai ministranti e da un servo che gli tiene la cavalcatura per le briglie. Nel pannello orientale, Afrodite seduta in trono accanto ad Adone minaccia con il sandalo un amorino che le viene teso da una Grazia. Le altre due Grazie sono raffigurate nell'atto di rincorrere un amorino, mentre altri due eroti sono intenti uno a reggere il piede nudo della dea, l'altro a vuotare un paniere di fiori (che allude al favo di miele). Alla scena assiste una contadina che torna dalla campagna, secondo una variante pittorica del mito descritta dall'῎Eκφpρασις είκόνος di Procopio di Gaza. Lo spazio irregolare lungo la parete orientale è decorato con cespi di fiori, volatili, un pesce e due mostri marini affrontati. Seguono, verso la porta della sala, le personificazioni di tre città sedute in trono con cornucopia e la croce astile nella mano destra: Roma, Gregoria, Madaba. Gregoria e M. portano la corona turrita sul capo, Roma un copricapo che potrebbe rimandare all'elmo dell'iconografia imperiale. Completano il programma decorativo della sala un paio di sandali entro una corona, inquadrato da quattro volatili sull'ingresso, e le coppie di volatili affrontati degli intercolumni lungo le pareti.
La scoperta delle due sale, delle stesse dimensioni e con un programma decorativo simile, può suggerire un contesto funzionale e una datazione più precisa ad ambienti mosaicati isolati e a lacerti di composizioni con motivi mitologici casualmente venuti alla luce in città, come: il mosaico di Achille, Patroclo e Eubre incoronata; il pannello di Eracle che strangola il leone nemeo; la sala con la processione bacchica del museo archeologico; la sala degli Aqsar con le Quattro Stagioni, e la donna semisdraiata.
Edifici ecclesiastici. - La cattedrale. - Con questo nome è conosciuto il complesso ecclesiastico che occupa una terrazza delle pendici meridionali dell'acropoli. Scavi condotti saltuariamente nell'area hanno cercato di definire la pianta. Il complesso era composto dalla basilica, a E, che mostra almeno due fasi d'intervento nell'area del presbiterio, e dall'atrio preceduto da un nartece a O. Due cappelle speculari occupavano i lati S e Ν dell'atrio, diviso da un cortile mosaicato che copriva una cisterna sottostante. Come la basilica, anche l'atrio mostrava tracce di rifacimenti nei quali sono testimoniati epigraficamente i successivi interventi di quattro vescovi di Madaba. Al tempo del vescovo Ciro (inizî del VI sec.) fu mosaicato, a Ν dell'atrio, il photistèrion-battistero, un piccolo ambiente stretto e allungato (5,80 m fino al fonte circolare x 1,80 m di larghezza), decorato con un'iscrizione e con animali affrontati tra tralci di vite. Nel 562, al tempo del vescovo Giovanni, fu terminata la prima parte di ristrutturazione monumentale dell'atrio, con la costruzione della cappella del martire S. Teodoro sul lato S. La cappella (16,35 x 5,10 m) orientata verso O, con presbiterio quadrangolare rialzato, è decorata con un pannello esteso a tutta l'aula, chiuso in una fascia di acanti animata con scene di caccia e di pastorizia. Negli scomparti d'angolo della composizione di croci di scuta erano raffigurati i quattro fiumi del Paradiso: Tigri, Eufrate, Fison, Ghihon. I lavori furono portati a termine al tempo del vescovo Sergio nel 575-76, con la messa in opera del mosaico del cortile, e con la costruzione di una nuova cappella battesimale sul lato Ν che coprì l'antico photistèrion. Il fonte cruciforme si apriva al centro di un sỳnthronon nell'area absidale della cappella. Due agnelli legati a un alberello ne decoravano i bracci laterali. Un'iscrizione a Ν della basilica ricorda che in quel settore i lavori furono ultimati al tempo del vescovo Leonzio nel 603.
La chiesa della Carta. - La chiesa sorgeva sul margine Ν delle rovine, nei pressi di una grande cisterna a volta che reca sulle pareti il ricordo dell'imperatore Giustiniano. Nel 1897, durante la costruzione della nuova chiesa parrocchiale della comunità greco-ortodossa, fu scoperto il «mosaico della Carta», il più famoso tra i mosaici della città. Tenendo presenti le descrizioni del monumento prima di quella data, si può concludere che la chiesa moderna ne segua la pianta, e che, di conseguenza, la composizione originaria della Carta non si estendeva molto oltre le misure attuali dei punti-limite dei frammenti conservati, che sono 15,70 m di larghezza da parete a parete, e 5,60 m di altezza massima, con inizio a E dal gradino del presbiterio originario. Una conclusione che esclude sia l'ipotesi di una chiesa con transetto, sia eventuali toponimi della Carta oltre i limiti massimi qui indicati.
La Carta si estendeva dal Delta del Nilo al Libano e dal deserto al mare Mediterraneo, che sono i limiti geografici della terra promessa ad Abramo (Gen., 15, 18). I circa 150 toponimi che si leggono nella Carta si riferiscono a queste terre bibliche. Inoltre, le caratteristiche fisiche dell'area palestinese sono rese con un realismo pittorico che le rende facilmente identificabili. La Carta è orientata verso E, come lo sono le città, gli edifici e le leggende. Malgrado le approssimazioni dovute a mancanza di spazio, è abbastanza chiara l'intenzione di disporre le località lungo la rete viaria della regione mutuata da una carta dell'impero. La divisione del territorio tra le dodici tribù di Israele e l'aggiunta del testo delle benedizioni patriarcali per le singole tribù, oltre ai riferimenti biblici diretti, fanno della Carta un documento di geografia biblica. L'aggiunta di località del Nuovo Testamento consente una rilettura cristiana, mutuata, forse, da una mappa a uso dei pellegrini che nel VI sec. si recavano in Terra Santa. La centralità della vignetta di Gerusalemme, con il complesso costantiniano costruito sulla Roccia del Calvario e sulla Tomba di Gesù, ne sottolinea il carattere teologico. La possibile identificazione, nella vignetta della Città Santa, della chiesa della Nea Theotokos, consacrata nel 542, assicura un terminus post quem all'opera. Stilisticamente la Carta è da porre nel contesto dei mosaici messi in opera al tempo del vescovo Giovanni, in sede nel 562.
La chiesa della Vergine e la chiesa del Profeta Elia. - Le due chiese sorgono affrontate sui lati del cardo e probabilmente furono costruite parallelamente con le offerte degli stessi benefattori.
Le iscrizioni ricordano che nel 595-96, al tempo del vescovo Sergio (il quale aveva previsto la costruzione della chiesa superiore e già raccolto i fondi necessarî), fu costruita e mosaicata, a un livello più basso della strada (per interessamento di un prete che si chiamava anch'egli Sergio), la cripti di S. Eliano. La chiesa del Profeta Elia fu terminata nel 608, al tempo del successore Leonzio, con le offerte di Mena e di Teodosio. Strutturalmente la cripta, alla quale si scendeva tramite due scale ai lati del presbiterio della chiesa superiore, era servita per portare il declivio del terreno allo stesso livello del pavimento della chiesa. Il muro Ν venne a poggiare sul limite interno del porticato della strada romana, di cui furono utilizzate le basi delle colonne accostate come primo ricorso.
Sul lato opposto della strada assistiamo a qualcosa di simile. Per costruire la chiesa della Vergine, seppellendo la «Sala di Ippolito» e raddoppiando l'esedra del tempio romano, fu necessario rialzare a E il livello con due cunicoli a volta per ottenere l'area del presbiterio chiuso in un'abside poligonale. Anche qui la parete meridionale venne a impostarsi sul limite interno del portico inglobandone anche due colonne con le basi lasciate in loco.
Il riesame del mosaico della rotonda della chiesa ha portato a concludere che il motivo geometrico e le due iscrizioni che ne fanno parte sono il rifacimento di un primo mosaico contemporaneo alla costruzione della chiesa, di epoca precedente. In alcuni punti il mosaico fu semplicemente giustapposto al secondo. Del primo pavimento fa parte una breve invocazione alla Vergine in favore di Mena, verosimilmente lo stesso benefattore della chiesa del profeta Elia. Il restauro fu portato a termine al tempo del vescovo Teofane, probabilmente nel febbraio del 766-67 (6274 secondo l'era bizantina della creazione del mondo).
La chiesa dei Ss. Apostoli. - Sorge a S del tell fuori dell'abitato. Probabilmente faceva parte di un complesso monastico. L'area del presbiterio, vista nell'aprile del 1902 dal missionario italiano don Giuseppe Manfredi, parroco della comunità latina, è andata completamente distrutta. Si è conservato il corpo della chiesa che si presenta di forma basilicale (23,50 x 15,30 m), leggermente rastremato verso E con due cappelle sulla parete N.
La composizione musiva della navata centrale ruota intorno al medaglione con la personificazione del Mare (Thàlassa), che si sovrappone al reticolo ottenuto con la ripetizione metodica di coppie di volatili dalla lunga coda affrontati. Il Mare è rappresentato come una figura femminile che esce dalle onde tra il guizzare di pesci e di mostri marini. Più ricca per la varietà dei motivi iconografici risulta la fascia d'acanto che chiude il tappeto, decorata agli angoli con maschere fogliate. Nel girale al centro di ogni lato è raffigurato un bambino che gioca con volatili. Una coppia di tori e di arieti ai lati di un cespo d'acanto sormontato da una giara in vetro, decora l'area sulla porta centrale della chiesa. Dalle iscrizioni che accompagnano il mosaico sappiamo che inizialmente nell'area sorgeva una piccola cappella mosaicata al tempo del vescovo Giovanni. Nel 578-79, all'epoca del vescovo Sergio, fu costruita la chiesa dei Ss. Apostoli con l'aggiunta della seconda cappella. La decorazione fu affidata al mosaicista Salamanios che tenne a firmare il suo lavoro.
Altri edifici ecclesiastici. - A S del cardo, in prossimità del «Palazzo Bruciato», fu costruita la basilica conosciuta con il nome di al-Khadir (32,15 X 16,10 m). Nel mosaico della navata, malgrado le mutilazioni iconoclastiche, è conservato un ricco repertorio di caccia grossa, sul tipo delle venationes africane.
Un'altra chiesa sorge a E della chiesa del Profeta Elia (chiesa dei Sunna᾿), con le personificazioni dei Fiumi nei girali d'angolo della fascia animata. Della chiesa detta dei Salayta, a S del cardo, restano alcuni lacerti di mosaico con motivi geometrici. Una cappella decorata con un agnello in un medaglione nell'area del presbiterio, e un vano mosaicato con i quattro alberi con partenza dagli angoli, restano ancora in loco nell'ambito del museo archeologico. I resti di un monastero con chiesa erano visibili fuori dell'abitato, in località al-Mišnaqa, sulla collina che fronteggia a O il tell di Madaba.
La Scuola di Madaba. - Tenendo presente il repertorio dei mosaici contemporanei messi in opera nell'area mediterranea, bisogna concludere che anche i mosaicisti delle diverse botteghe che operavano in città e nei dintorni, che si è soliti raggruppare nella Scuola di M., si ispiravano a disegni di genere. Disegni che giungevano loro dai centri culturali dell'impero dove si erano sviluppati, in una lunga e lenta evoluzione e fissazione, gli originali d'epoca ellenistica, riproposti all'attenzione da una rinascita di gusto classicheggiante che trovò al tempo di Giustiniano la sua massima espressione e diffusione. Su 53 programmi decorativi o lacerti di composizioni esaminati in M. e nel territorio diocesano, almeno 25 sono datati e 4 firmati. Nel 531, Soelos, Kaiomos e Elia firmano il mosaico del diakonikòn-battistero del Santuario di Mosè sul Monte Nebo. Nel 536 Naouma, Kiriakos e Thomas firmano il mosaico della chiesa di S. Giorgio nel villaggio di Nebo. Nel 578 Salamanios firma il mosaico della chiesa dei Ss. Apostoli a Madaba. Nel 756 Staurakios di Esbous con il collega Euremios firma il mosaico del bema nella chiesa di S. Stefano a Umm ar-Rasās/Kastron Mefaa.
Messi da parte i quattro pavimenti datati d'epoca araba (la chiesa della Vergine del 766-67; la chiesa sull'acropoli di Ma‘in del 719; il mosaico del bema di S. Stefano a Umm ar-Rasās del 756 e il mosaico del corpo della stessa chiesa dell'VIII sec. d.C.), 21 su 25 mosaici datati furono messi in opera durante il VI sec. fino al primo decennio del VII secolo. I mosaici della Scuola di M., in un'area territorialmente limitata, sono una preziosa testimonianza per l'approfondimento della genesi del movimento socio-culturale che va sotto il nome di rinascita giustinianea, delle tematiche che si imposero, degli sviluppi e delle tendenze che ne originarono, di cui i mosaici delle chiese e dei palazzi d'epoca araba sono un prodotto naturale nella scia di una tradizione di bottega mai interrotta.
Bibl.: U. Lux, Eine altchristliche Kirche in Madeba, in ZDPV, LXXXIII, 1967, pp. 165-182, tavv. XXVI-XL; id., Die Apostel-Kirche in Madeba, ibid., LXXXIV, 1968, pp. 126-129, tavv. XIV-XXXIV; P. L. Gatier, Inscriptions de la Jordanie. 2, Région Centrale (Inscriptions Grecques et Latines de la Syrie, XXI), Parigi 1986, pp. 117-180; M. Piccirillo, Chiese e Mosaici di Madaba, Gerusalemme 1991; id., The Mosaics of Jordan, 'Ammān 1993.