MADAGASCAR (A. T., 118-119)
Grande isola dell'Oceano Indiano, posta di fronte alla costa orientale dell'Africa, da cui la separa il canale di Mozambico: la minima larghezza di questo, press'a poco all'altezza di Mozambico sulla costa africana, di Capo Sant'Andrea su quella di Madagascar, è di 392 km. Politicamente l'isola costituisce una colonia francese, sottoposta a un governatore civile.
Sommario. - Storia della conoscenza (p. 808); Caratteri naturali (p. 809); La popolazione (p. 812); Condizioni economiche (p. 817); Comunicazioni (p. 820); Centri abitati (p. 820); Missioni (p. 820). - Storia (p. 821). - Lingua (p. 823).
Storia della conoscenza. - Il nome di Madagascar è stato dato a quest'isola per errore. Infatti l'attuale isola di Madagascar fu scoperta nel 1500, mentre già nel 1491 questo nome figurava sul globo terrestre di Martino Behaim, a Norimberga, attribuito però a un'isola immaginaria. Non già che Madagascar fosse sconosciuta ai Greci nei tempi antichi e agli Arabi nel Medioevo, ma i nomi di Menuthias, di Diafuna, di Chezberia sotto cui essi la designavano e le notizie esatte, ma scarse, che ne hanno lasciato, non avevano richiamato l'attenzione dei geografi europei. Marco Polo, fondandosi sulle notizie avute dalla viva voce dei marinai indiani, descrive, nel Milione, i due stati più importanti dell'Africa orientale: lo stato di Madagosho o di Madagascar, come egli scrive in una ortografia fantastica, e lo stato di Zanzibar, situato a S. del precedente. Per un errore molto spiegabile da parte di chi, non avendo visitato personalmente quelle regioni, ne ha avuto notizia dagli Orientali, il cui spirito e linguaggio poco si prestano a una descrizione geografica precisa, egli ha creduto che i due stati fossero formati da grandi isole e intitola i capitoli che dedica alla loro descrizione: Isola di Madagascar; Isola di Zanzibar. Fondandosi su questi nomi Martino Behaim ha disegnato sul suo globo due isole immaginarie che per un caso singolare hanno trovato ciascuna con molta approssimazione il loro corrispondente nella realtà quando i Portoghesi, doppiato il Capo di Buona Speranza, constatarono l'esistenza di una grande terra di fronte alla costa di Mozambico e di un isolotto sulla costa di Zanguebar. È vero però che fu necessario modificarne considerevolmente la posizione, la grandezza e la forma. E soltanto nel 1502, nei planisferi di Cantino e di Canerio che, per la prima volta, Madagascar figura press'a poco in posizione esatta e con una forma vicina al vero, sotto il doppio nome di Madagascar e di Comorbiniam (Comordiva, isola Comora); queste carte erano state disegnate secondo i dati recati dal Cabral, al suo ritorno a Lisbona nel 1501, sulla grande isola africana che egli aveva allora scoperto. Nel 1507 il geografo portoghese Pedro Reinel diede una descrizione dell'isola conforme al vero, e da allora in poi questa fu chiamata indifferentemente Madagascar o Isola di S. Lorenzo, dal nome del santo sotto il patrocinio del quale fu scoperta.
Fino alla metà del secolo XVIII tutti i cartografi hanno rappresentato Madagascar copiando più o meno da vicino i loro predecessori, senza tener conto dei documenti forniti dalle esplorazioni portoghesi fatte nel secolo XVI e, dopo il XVII, per le coste del SE. e dell'E., dai viaggi dei coloni francesi di Fort-Dauphin; solo dopo il 1760 furono fatti rilievi in diversi punti delle coste da ufficiali e ingegneri francesi, specialmente nel 1776 da d'Après de Mannevillette, e da diversi marinai inglesi e olandesi. Queste carte sono state perfezionate dapprima nel 1802 da David Inverarity, poi soprattutto, nel 1872, dal capitano Owen, i lavori del quale - tanto sulla costa occidentale quanto su quella orientale - hanno poi servito di base a tutte le pubblicazioni cartografiche su Madagascar. Si fecero in seguito studî parziali, ma fino all'età moderna non erano stati compiuti lavori idrografici d'insieme; dopo la creazione del protettorato francese, si fecero rilievi molto esatti, per opera di Favé e Cauvet nel 1887-88, di Mion e Fichot, e finalmente di Rollet de l'Isle, Driencourt, Cot, Cauvet, Lesage e de Vansay La topografia dell'interno, malissimo conosciuta fino al 1870, è stata oggetto di lavori sempre più completi per opera anzitutto di A. Grandidier, poi dei padri Roblet e Collin e di diversi esploratori e missionarî tanto inglesi quanto francesi, di M. E. F. Gautier, di G. Grandidier e infine del Servizio geografico che fu istituito dal generale Gallieni nel 1896, tanto che oggi la topografia di Madagascar può dirsi bene conosciuta.
Gli abitanti di Madagascar (Malgasci) non avevano fino all'età moderna nessun nome con cui designare il complesso del loro paese, essi lo denominavano il "Tutto" oppure la "Terra che è in mezzo al mare". È solo dopo il principio del secolo XIX che gli Hova, avendo concepito il progetto di farsi padroni di tutta l'isola, hanno adottato il nome dato al loro paese dagli Europei. Non avevano nemmeno un nome collettivo per designare l'insieme degli abitanti, usavano e usano ancora spesso la parola Ambanilanitra, che significa "quelli che sono sotto i cieli", poiché, per gl'indigeni del Madagascar, come per molti abitanti di isole, i limiti dell'universo si confondono con quelli della loro isola.
Caratteri naturali. - L'isola di Madagascar è la più vasta del mondo dopo la Groenlandia, la Nuova Guinea e Borneo, con una superficie di 590.000 kmq. pari a quella della Francia, del Belgio e dell'Olanda riunite: la sua lunghezza massima, fra il capo d'Ambra e il Capo S. Maria, è di 1580 km., la sua larghezza media di 450 chilometri. Si divide in tre regioni, distinte al tempo stesso dai loro sistemi montuosi, dalla loro costituzione geologica e dal loro clima e che presentano per conseguenza grandi differenze nella fauna, nella flora e nel modo di vita degli abitanti. Queste tre regioni principali sono: il massiccio o altipiano centrale; la catena costiera orientale; e le grandi pianure più o meno accidentate dell'ovest e del sud.
Il centro di Madagascar, o altipiano centrale come si dice di solito, è occupato da una massa caotica di montagne che copre circa un quarto dell'isola, tra cui le regioni denominate Imerina e Betsileo. L'altitudine media dell'altipiano è di 1200 m.; al centro dell'isola, nel paese d,Imerina, s'innalza il massiccio dei monti Ankaratra (Tsiafajavona, 2644 m.; Anhagitra, 2635), che non segna però la massima altezza di Madagascar, toccata invece più a nord nei monti Tsaratanana, che si avvicinano ai 3000 m. L'altipiano centrale è costituito da rocce dure, tanto sedimentarie quanto eruttive, scisti cristallini, gneiss, granito, la cui decomposizione dà luogo a una terra argillosa rossastra o giallastra che ricopre in parte il suolo, rendendolo assai sterile, perché le radici delle piante non vi possono penetrare e non vi trovano gli elementi fertilizzanti a esse necessarî. Quanto al clima, i venti, che traversando l'Oceano Indiano si saturano di vapor d'acqua, incontrando la catena costiera orientale scaricano su questa molta della loro umidità: mentre il versante orientale dell'isola è caratterizzato da piovosità assai abbondante in ogni stagione, nell'altipiano centrale si alternano due stagioni, una secca e l'altra piovosa, quest'ultima corrispondente alla stagione calda (complessivamente le precipitazioni rimangono inferiori ai 1300 mm. annui). Perciò chi lascia la costa orientale per raggiungere l'altipiano interno vede succedere alle rigogliose foreste della catena costiera il paesaggio aspro e desolato del centro dell'isola. Ma se il suolo è in questa regione generalmente di cattiva qualità dal punto di vista agronomico, e se le colture possono allignare bene solo nei bassifondi umidi o irrigati da corsi d'acqua, il clima vi è tuttavia buono perché le temperature eccessive vi sono sconosciute: è perciò che l'altipiano centrale è la regione più popolata dell'isola, quella dove gl'immigranti malesi si sono rifugiati fuggendo le coste malsane dell'est, quella dove hanno potuto svilupparsi grandi centri come Tananarivo (Antananarivo, v.) e Fianarantsoa, quella infine dove gli Europei possono meglio vivere e lavorare. Idrograficamente l'altipiano centrale appartiene quasi interamente al versante del Canale di Mozambico: i fiumi, dopo avere varcato, formando delle cascate, la soglia rocciosa del ciglio dell'altipiano, si allargano in grandi alvei ingombri di banchi di sabbia in tutte le pianure dell'ovest. Al limite occidentale dell'altipiano, sul parallelo di Tananarivo, si trova un lago assai noto e molto pittoresco, situato in una regione vulcanica e contornato infatti da antichi crateri: il Lago Itasy, popolato di uccelli acquatici e anche di coccodrilli, centro di una regione assai ricca. Presso Antsirabe si trova un altro lago, quello di Tritiva, che occupa un antico cratere, ed è uno dei più belli esempi di questo tipo di laghi. Nei bassopiani, e ovunque si può avere l'acqua, gl'indigeni coltivano il riso; nella parte meridionale (Betsileo) si coltivano anche le patate, introdotte dagli Europei e molto apprezzate dagl'indigeni, e alcuni frutti (specialmente manghi).
La lunga catena costiera che separa l'altipiano centrale dall'Oceano Indiano forma la seconda regione di Madagascar; della larghezza totale dell'isola essa occupa soltanto un quinto, ossia circa 80 chilometri, mentre le pianure dell'ovest ne occupano press'a poco i due quinti, e l'altipiano centrale gli altri due quinti. Questa catena costiera orientata da NNE. e SSO. ha origine assai vicino al mare e s'innalza per gradini successivi fino alla sua cresta, che ha un'altitudine media da 1000 a 1500 m.; nel S. dell'isola i monti Andringitra superano i 2500 m.: Joaindra, 2629 m.; Boby, 2660 m. A una striscia costiera sabbiosa più o meno larga succedono colline alte da 20 a 50-100 m. e più, generalmente rivestite da una vegetazione caratteristica composta di Ravenala o alberi del viaggiatore, così detti per il soccorso che porgono al viaggiatore assetato, grandi piante con ampie foglie disposte a ventaglio sulla cima del tronco, il quale, con gli anni, può raggiungere parecchi metri di altezza; di Vacoa o pandani e di rafia, palmeti dagli eleganti pennacchi, le cui foglie forniscono le fibre con cui si tessono le reti; al di là incomincia la montagna propriamente detta. Su tutto il versante orientale sono numerosi boschi ancora più estesi un tempo, prima che gl'indigeni ne avessero incendiato grandi distese; in alto, sotto la cresta dei monti si sviluppa lungo tutta l'isola da N. a S. la magnifica striscia di foreste, decantata, non senza motivo, da tutti i viaggiatori, che forma in parte la celebrità di Madagascar. Invero pochi spettacoli sono così impressionanti come quelli offerti da questa vasta zona coperta di alberi le cui cime formano a 25-30 m. di altezza una vòlta spesso impenetrabile ai raggi del sole e dove saltano le più agili scimmie e volano gli uccelli più splendidi. Il clima di questa regione, caldo (temperatura media annua, quasi costante, di 24°) e umido (3 m. di pioggia all'anno a Tamatava, 4 m. nella regione di Maroantsetra, che si distribuiscono durante tutto l'anno), è infatti propizio a una vegetazione lussureggiante e alle colture coloniali che vi sono esercitate dagli Europei. I fiumi che sfociano nella costa orientale di Madagascar hanno corso relativamente breve, perché i monti da cui hanno origine sorgono vicino alla costa, ma poiché il loro letto si apre nei terreni antichi impermeabili, e ha forte pendenza, e poiché sono alimentati da abbondanti precipitazioni, scorrono selvaggi, specialmente nella stagione calda, la più piovosa, e hanno grande potenza erosiva; i più importanti sono: l'Antanambalana che sfocia nella baia di Antongil, il Maningory, il Rianila, il Mangoro, il Mananjari e il Mananara. Accanto a questi, molti altri corsi d'acqua scendono dai fianchi della montagna, ma giungono raramente a sfociare in mare, non potendo superare la barriera di sabbia che le correnti marine depongono continuamente lungo la costa. Così si è formata, tra questa fascia di sabbia e il piede delle colline, una corona di piccoli laghi, che, collegati fra loro per mezzo di canali scavati dall'uomo, costituiscono una via navigabile sicura e tranquilla, al riparo dalle burrasche e dai venti marini, tuttora utilizzata dagl'indigeni con le loro piroghe; questi laghi forniscono anche pesce abbondante, che con la manioca, il riso e il mais costituisce il principale nutrimento degl'indigeni. La costa orientale di Madagascar, rettilinea specialmente nella sezione centrale e meridionale, si fa un po' meno monotona e più elevata a N. dell'ampia baia di Antongil; all'estremità settentrionale dell'isola si apre la bellissima baia di Diego Suarez, una delle più sicure del mondo.
La regione occidentale di Madagascar differisce completamente dalle regioni orientale e centrale: invece di un intricato sistema di montagne dove il suolo, rosso e compatto, è coperto nell'est da una folta vegetazione e nel centro da magre e stentate graminacee, si trovano pianure generalmente poco accidentate, che risalgono al Secondario e al Terziario, calcaree o arenacee, con una vegetazione di alte erbe e foreste di palme, qui dominanti, mentre sono rare sull'altro versante o ciuffi di boschi. La piovosità è minore che nell'altipiano centrale: non raggiunge i 400 mm. annui. La temperatura media annua oscilla da 25°,2 a 26°,6, con massimi di 34-35° e minimi di 13°.
Grandi fiumi, provenienti dalle montagne centrali e orientali, traversano queste pianure: tra i maggiori, il primo che s'incontra procedendo da S. a N. è l'Onilahy, che sfocia non lontano da Tuléar, e che nel suo corso inferiore porta il nome di S. Agostino; più a N. sfociano il Mangoky e il Tsiribihina, che scolano pure ampî bacini; meno importanti il Manambolo e il Manambao. Sulla costa nord - occidentale sfocia, nella baia ove è sorta Maiunga, il Betsiboka, il massimo fiume dell'isola; in questo tratto di costa vanno ricordati anche il Mahavavy, il Sofia, il Maevarano, ecc. I maggiori di questi fiumi hanno origine nella zona centrale e orientale di terreni antichi e poi traversano i piani occidentali permeabili, perdendovi una parte dell'acqua: poveri nella stagione secca, essi sono però assai ricchi di acque nella stagione piovosa, da maggio a settembre. La costa occidentale di Madagascar è bassa e sabbiosa, e vi s'internano bracci di mare orlati di paletuvieri; ma a S. del Capo S. Vincenzo è protetta da una scogliera corallina. Diverso aspetto ha la costa nord-occidentale, frastagliata da molte baie, alcune amplissime, e fronteggiata da isolotti e scogli corallini. Le pianure occidentali si adattano all'allevamento e le mandre di buoi vi pascolano numerose.
L'estrema regione australe si presenta simile alla precedente, costituita da un altipiano calcareo, alto 120-150 m., che termina a falesia da ogni lato; nella parte orientale s'innalzano montagne abbastanza elevate. È caratterizzata da una grande siccità: oltre ai tre fiumi che l'attraversano (il Manambovo, il Menarandra e l'Ilinta), fiumi che peraltro restano in secco per una gran parte dell'anno, non vi esistono che pochi stagni. Nel triangolo formato dal Manambovo, dalla costa meridionale e dal Menarandra, solo la pioggia, che cade a intervalli anche di parecchi mesi, fornisce agli abitanti, relativamente numerosi, l'acqua necessaria. A tanta siccità si sono adattati tutti gli esseri viventi del sud di Madagascar. Specie le piante hanno subito questo adattamento al più alto grado, come pare non si riscontri in altre parti del mondo, salvo forse in certe zone desertiche dell'Africa australe e del Messico; per via di selezione naturale quasi tutte le piante che hanno potuto resistere a un clima così poco propizio alla vita appartengono o al gruppo delle piante grasse o a quello delle euforbiacee; quasi tutte sono irte di spine, le quali sono organi vegetativi atrofizzati per mancanza di elementi nutritivi nel suolo. Quando la pioggia basta a farli maturare, gl'indigeni coltivano fagioli e miglio; possiedono anche dei buoi, che errano in cerca delle scarse graminacee sui piani calcarei irti di formicai. Si trovano in questa regione grosse tartarughe di terra.
Il Capo S. Maria forma l'estrema punta meridionale dell'isola, e ivi la grande corrente, dopo avere attraversato tutto l'Oceano Indiano s 'infrange, come al Capo di Buona Speranza, e a ogni momento provoca forti scoscendimenti sulla scogliera. G. Gran.
Fauna. - Madagascar, dal punto di vista zoogeografico, è stata spesso considerata come una sottoregione della regione etiopica, insieme con le Comore, le Seicelle, le isole della Riunione, di Maurizio e altre minori. Essa però merita di formare una regione a sé.
Nonostante la vicinanza col continente africano, la fauna malgascia è profondamente diversa da quella etiopica: vi mancano del tutto numerose specie e interi gruppi sistematici straordinariamente diffusi in tutta la regione etiopica e ben rappresentati nel Mozambico, mentre possiede molte specie caratteristiche, non pochi gruppi esclusivi, e altri che ha in comune con continenti diversi dall'africano. Certo non mancano rassomiglianze faunistiche fra Madagascar e l'Africa orientale, come non ne mancano fra Madagascar e l'India; ma le dissomiglianze rispetto a qualunque altra regione sono così profonde che l'isola mostra una vera e propria individualità faunistica. E, se da una parte parecchi biogeografi sostengono che la fauna malgascia si è costituita a spese di elementi africani e indiani, altri ragionevolmente ritengono che in quell'isola la vita terrestre si sia sviluppata autonomamente. Il Cuénot dichiara che la storia del popolamento animale di Madagascar è uno dei più difficili enigmi della zoogeografia.
Quasi la metà delle specie di mammiferi malgasci appartengono alla famiglia dei Lemuridi. Attualmente Madagascar è il regno di queste proscimmie, tanto che su poco più di sessanta specie di Lemuridi viventi ben trentacinque sono confinate in questa grande isola, dove costituiscono la sottofamiglia dei Lemurinae a essa esclusiva. Anche l'Aje-aje (Chiromys madagascariensis), altra proscimmia, unico rappresentante della famiglia dei Chiromyidae, è specie esclusivamente malgascia.
L'isola possiede solo nove specie di Carnivori, tutte del gruppo dei viverridi: molto caratteristici sono la Cryptoprocta ferox e la Fossa fossa. Di grossi erbivori non si può segnalare altro che una sorta di cinghiali, il Potamochoerus larvatus, affine ai potamocheri africani; ma nel Quaternario si trovavano anche piccoli ippopotami.
Insettivori proprî di Madagascar sono i centetidi, con diciotto specie, a cui appartiene il noto e caratteristico Tanrec (Centetes ecaudatus) col dorso irto di aculei. Altro particolare insettivoro è il Geogale, che trova i suoi affini solo nei Potamogale della Guinea. Fra i Roditori sono notevoli alcuni topi che costituiscono una sottofamiglia (Nesomyinae) esclusiva di Madagascar.
L'ornitofauna malgascia è assai ricca, con famiglie di uccelli esclusive dell'isola, come quella dei Vangidae con 13 specie, quella degli Acrocharidae con una sola specie, quella dei Philepittidae con due specie, quella dei Leptosomatiaae con due specie (una delle quali però vive nelle Comore), quella dei Mesoenatidae con l'unica specie Mesoenas variegata, le cui affinità vanno ricercate nel Kagu (Rhinochetusjubatus) della Nuova Caledonia. I giganteschi Aepyornis, ormai estinti, trovano i loro affini nei Dinornis della Nuova Zelanda. L'isola possiede passeracei, trampolieri, rapaci, palmipedi, ecc. Notevoli i pappagalli detti vasa.
Rettili speciali dell'isola sono gli Uroplatidae, sorta di gechi. I camaleonti vi abbondano: quasi la metà delle specie viventi di questo gruppo sono malgasce. Le lucertole e le vipere mancano. Strana la presenza a Madagascar di rettili fondamentalmente sudamericani: l'isola infatti possiede due specie di serpenti boa e una di Corallus, nonché sei specie di iguanidi.
Di Anfibî vi è scarsezza. Le salamandre, i tritoni e in generale tutti gli Urodeli sono assenti. I rospi, quasi cosmopoliti, mancano. Ma vi esistono rane e altri anuri fra cui caratteristici otto specie di Mantella e due di Stumpffia. Prevalentemente malgasci sono i Discopidae, che poi non si ritrovano che nell'Indocina e a Borneo.
I pesci d'acqua dolce sono scarsi e in complesso poco caratteristici.
Le chiocciole terrestri della famiglia degli Helicidae sono numerose, anzi la loro abbondanza contrasta con la povertà che si riscontra nell'Africa intertropicale. Fra i molluschi bivalvi d'acqua dolce mancano le Unio, che, eccettuati Celebes e Haiti, sono diffuse in tutto il mondo.
Tra i granchi d'acqua dolce è notevole la Hydrothelphusa, esclusiva dell'isola; i gamberi fluviali, del tutto assenti nel continente africano, sono confinati nel versante orientale di Madagascar e appartengono al genere Astacoides, proprio dell'isola.
Riccamente rappresentati sono gl'insetti. Le farfalle, se si eccettuino le uranie, sono forse le meno interessanti; ma i coleotteri sono abbondanti e con numerosi generi caratteristici, fra cui si debbono segnalare parecchi longicorni.
Flora. - La flora di Madagascar costituisce uno speciale dominio del regno paleotropico. Nell'isola le foreste occupano un'area inferiore a 70.000 kmq., ossia meno di 1/10 della superficie totale. La regione più boscosa è il versante orientale, dove la cosiddetta foresta dell'est è intramezzata da ampie zone coperte di vegetazione erbacea. La foresta contiene, mescolate, centinaia d'essenze diverse ma quasi tutte a lenta crescita e a foglie persistenti che non dànno apporti organici al suolo povero. Modificazioni nell'aspetto e nella costituzione della foresta si notano procedendo da est verso ovest. Nella zona litoranea orientale si trovano varie specie di palmizî, Copaifera, Afzelia bijuga, Canarium, Terminalia catappa, Brehmia speciosa, ecc. Nella zona media abbondano gli ebani e il palissandro. La zona litoranea e media, dal livello del mare fino a 600 m. d'altitudine, è stata in parte diboscata artificialmente incendiandola; ma ora il diboscamento è proibito. Le zone diboscate hanno solo una vegetazione erbacea. La zona superiore è invece ancora ricca di foreste e in essa, assai più, che nelle zone inferiore e media, abbondano essenze preziose in mezzo a bambù, felci arborescenti, liane, epifite, e fra queste notevoli sono due specie di orchidee ben note ai floricoltori: l'Angraecum superbum e l'Ang. sesquipedale, molto apprezzate in Europa perché fioriscono in stagione diversa da quelle del Brasile, che sono le più diffuse sui mercati del vecchio continente.
Anche nella regione occidentale esistono alcune foreste parallelamente alla costa, ma sono meno dense di quelle orientali. La costa ovest presenta una fascia di paletuvieri che circondano le baie e gli estuarî; lungo le dune, tra la macchia sparsa, sorgono tamarindi e pruni malgasci. Al di là delle dune sono foreste abbastanza folte in cui predominano baobab, tamarindi, che rappresentano elementi di collegamento con la flora sudanese insieme con i papiri che si trovano nei corsi di acqua e il genere Hydrostachis; ebani (Diospyros leucomela e D. Perrieri), palissandri (Dalbergia di diverse specie), sandalo (Santalina madagascariensis) e numerose liane del genere Landolphia che producono caucciù. Infine, sul versante occidentale del Bemaraha, si stende la grande foresta di Antsingy con ebani e Canarium di diverse specie. Questa foresta possiede essenze che, per la maggior parte, non si trovano nella regione orientale. La parte centrale dell'isola è, in gran parte, poverissima d'alberi.
L'estremità meridionale di Madagascar presenta una vegetazione particolare, formata da piante xerofile: Euforbiacee arborescenti o cactiformi, Didieracee, Apocinacee (Pachypodium), ecc. In questa regione, solo nel fondo delle valli si trovano piante a foglie persistenti, quali tamarindi, ecc. La pianta più caratteristica della vegetazione dell'isola è, come s'è accennato, la Ravenala madagascariensis (v. albero del viaggiatore). Inoltre l'isola possiede una famiglia di piante endemiche, le Chlaeneaceae con 22 specie: alcuni elementi floristici appartengono alla regione dei Monsoni (Nepenthes), altri (Phílippia, Aristea, Streptocarpus) alla vegetazione sudafricana.
La popolazione. - La popolazione di Madagascar è distribuita molto inegualmente sulla superficie dell'isola, nel complesso con debole densità; nel 1931 risultò di 3.723.000 ab., cioè - essendo la superficie dell'isola di 590.000 kmq. - circa 6 per kmq., media bassissima se si paragona a quelle dei paesi europei. Nella cifra totale gli abitanti dell'altipiano centrale, cioè gli Hova e i Betsileo, contano per più di un milione e quelli della regione costiera dell'est per 400.000 all'incirca.
La popolazione di Madagascar in origine era divisa in un'infinità di piccole tribù o meglio di famiglie, assolutamente indipendenti le une dalle altre e ciascuna sotto l'autorità del suo capo naturale. Ma dopo le successive immigrazioni arabe, malesi, europee, parecchie di queste famiglie incominciarono a raggrupparsi sotto capi stranieri. Questi raggruppamenti hanno preso man mano un grande sviluppo, soprattutto dopo il sec. XVIII, e si sono così formate diciassette tribù principali, di cui le più importanti sono: al centro dell'isola gli Hova, i Betsileo e i Bara; a nord gli Antankarana; a est i Betsimisaraka, i Betanimena e gli Antaimorona; a sud gli Antanosy, gli Antandroy, e i Mahafaly; infine a ovest i Sakalava. Il nome di Malgasci che si dà ora dappertutto agli abitanti di Madagascar è d'origine straniera; infatti, prima della conquista francese, le tribù dell'isola erano prive di qualsiasi legame politico o commerciale, e i loro rapporti consistevano solo nelle frequenti, reciproche razzie di buoi e di schiavi.
Questa popolazione malgascia (termine che si suole applicare a tutto l'insieme delle genti dell'isola) è costituita da due tipi raziali mescolati: uno negroide, l'altro analogo al tipo malese, di statura minore, di carnagione olivastra, dai capelli lisci. Antropologi ed etnologi si sono posti il problema di questa popolazione. L'opinione corrente è che su un fondo di popolazione negra africana si sia impiantata una popolazione malese. Ma A. e G. Grandidier (padre e figlio), l'opera dei quali forma fino a oggi la principale fonte documentaria sul Madagascar, sono di un'altra opinione. Essi pensano che l'intera popolazione dell'isola, salvo qualche apporto minimo, sia d'origine indo-melanesiana, indicando con questo termine l'insieme delle popolazioni melanoidi dall'India alle Isole Figi. Non solo cioè il tipo malesoide sarebbe effettivamente d,origine malese (su questo tutti sono d'accordo), ma il tipo negroide sarebbe originario della Papuasia o della Melanesia e non dell'Africa.
A questa conclusione i Grandidier furono soprattutto indotti dalla constatata unità di linguaggio su tutto il territorio del Madagascar e dalla evidente appartenenza di questo linguaggio alla famiglia linguistica maleopolinesiaca (v. appresso, paragrafo Lingua). Il tipo di cultura dell'attuale popolazione malgascia (v. appresso, paragrafo Etnologia), cultura che nel suo insieme sembra essere piuttosto indomalesiana, conferma l'ipotesi dei Grandidier.
Tre ipotesi sono possibili. Secondo la prima (quella dei Grandidier), degl'Indo-Melanesiani favoriti dalle correnti marine avrebbero a più riprese approdato nell'isola. Frobenius ha sviluppato logicamente questa ipotesi quando ha fatto derivare la cultura guineo-congolese dalla Melanesia attraverso il Madagascar. La seconda ipotesi è quella d'una migrazione continentale: una corrente indo-melanesiana si sarebbe cioè irradiata dall'India tanto verso l'Africa quanto verso l'Oceania. Ma in tale caso l'influenza indomelanesiana non dovrebbe essere quasi spenta nel Congo e rimasta così viva a Madagascar, e, soprattutto, alcuni elementi negri avrebbero dovuto passare dall'Africa nel Madagascar insieme con gli elementi indo-melanesiani. Almeno per la lingua questo non è avvenuto. La terza ipotesi non considera la migrazione come fattore principale; le razze si sarebbero formate su delle aree che si accavallano le une sulle altre, aree più vaste di quelle che occupano attualmente. Avendo la razza indo-melanesiana ristretto la sua area, Madagascar sarebbe paragonabile a una pozza d'acqua secondaria che sussiste mentre la pozza principale si va prosciugando. Se però questa ipotesi chiarisce il problema raziale, non fa altrettanto per il problema linguistico, poiché gli attuali legami linguistici non possono risalire all'origine della comune razza negroide. Forse è necessario ammettere, in ultima analisi, una combinazione di processi e fenomeni diversi, e che a un'antica formazione raziale comune con l'area indo-melanesiana, si siano aggiunti degli arrivi, occasionali ma ripetuti, per via di mare, i quali sarebbero stati sufficienti a mantenere e rinforzare i legami culturali e linguistici che si constatano fra una riva e l'altra dell'Oceano Indiano.
In merito all'ipotesi dei Grandidier, il Sera ha osservato che se è evidente che su tutte le coste, soprattutto però su quelle orientali, l'influenza degli incroci d'immigranti ha prodotto alterazioni apprezzabili specialmente negli strati socialmente alti delle popolazioni, bisogna pensare che tali immigrazioni sono avvenute, per lo più, in tempi relativamente assai prossimi (2° millennio d. C.) e da parte di popoli assai civili (Indiani, Persiani, Arabi, Europei) e progrediti nell'arte della navigazione. A priori, cioè antecedentemente a ogni constatazione di fatti antropologici, sembra poco credibile al Sera che poche decine al più di uomini, quanti cioè ne potevano contenere dei navigli di popoli non molto evoluti, portati dalle correnti o dai venti a enormi distanze dai loro paesi d'origine, assai probabilmente accompagnati, se pure lo erano, da pochissime donne, abbiano potuto dare origine a 3 milioni e più di individui, quanto sono gli attuali Malgasci. A quali conclusioni sia giunto il Sera in base all'osservazione dei dati antropologici è detto nel paragrafo seguente.
Antropologia. - Il fondo della popolazione, fatta eccezione per il territorio dell'Imerina, è dato da un tipo che, secondo A. Grandidier, presenta i seguenti caratteri: statura relativamente elevata, intorno a m. 1,67; pelle fina, vellutata, più opaca di quella dei Negri africani, per lo più di un colore nero-rossastro, ma in sostanza assai variabile dappertutto, e non soltanto nei luoghi dove predomina il tipo malesoide (gli abitatori dei luoghi più bassi avrebbero, d'ordinario, la pelle più scura); ossatura robusta e muscoli bene sviluppati; torace largo; braccia piuttosto lunghe; mani relativamente piccole e larghe; gambe lunghe a polpaccio poco sviluppato; piedi larghi a tallone forte e con vòlta piuttosto bassa. Più importanti sono i caratteri cefalici; testa grossa, ad angolo facciale quasi retto, fronte larga, subverticale e abbastanza alta. Il naso è sempre prominente alla radice, cioè non appiattito in alto, essendo piuttosto le ali che, allargandosi alla base, formano un naso grosso, non mai però schiacciato, come quello dei Negri africani. Occhi bruni, d'ordinario a fior di pelle, grandi e con frequente plica, che copre la caruncola: labbra abbastanza forti e spesse ma non everse, o a cercine, come in Africa. I capelli sono neri e spessi, non corti e lanosi, ma lunghi da 25 a 30 cm. Essi sono increspati, vale a dire ondati a onde relativamente corte, e non a spirale, come sono quelli dei negri d'Africa e anche quelli dei Melanesiani e dei Negritos. Sono anche piuttosto duri e rigidi ed essendo impiantati diritti e non obliquamente, come sono invece quelli dei gruppi etnici anzidetti, formano delle masse globulose quasi inestricabili, simili a quelle che si vedono in Melanesia. La barba è poco fornita, ma presente, nera, increspata e lunga da 3 a 5 cm. Praticando generalmente i Malgasci l'epilazione della barba, essa non appare per lo più nelle fotografie, ma il restante del corpo mostra spesso forte pelosità negli uomini. Questo tipo è chiamato indomelanesiano da A. Grandidier.
I capi di tutte le popolazioni di Madagascar e le loro famiglie sono meticci del tipo che abbiamo descritto e dei tipi delle popolazioni da cui provenivano gl'immigranti: Arabi, Persiani, Indiani, Europei e secondo il Grandidier persino Cinesi. Infatti fra gli Antandroy e i Mahafaly del sud dell'isola, non nei capi e nelle loro famiglie, che sarebbero di origine indiana, ma nella popolazione stessa soggetta, è presente un tipo a faccia mongoleggiante, che i Grandidier riferirebbero a immigranti cinesi remoti (non attuali perché solo per età recentissime vi è prova della venuta di Cinesi).
Un tipo mongoleggiante è, poi, allo stato relativamente puro presso i Merina dell'altipiano centrale. Fra questi, erroneamente chiamati Hova, e nella casta degli Andriana, o nobili, soprattutto, a causa, pare, della rigorosa selezione matrimoniale, che i primi immigranti giavanesi praticarono, si è conservato abbastanza nettamente il tipo malese, sebbene siano passati parecchi secoli dalla data presunta dell'immigrazione giavanese (circa il 1555). Del resto non si può escludere che questo tipo persista da precedenti immigrazioni malesi assai più remote (almeno nel sec. III d. C., secondo il Ferrand). Fra gli stessi Merina, persino la casta successiva agli Andriana, quella degli Hova, o liberi, presenta in maggiore misura i caratteri del tipo scuro, che abbiamo descritto.
I caratteri dell'altro tipo principale, ammesso dal Grandidier, da lui detto malese, sono i seguenti: statura media, intorno a m. 1,60; colore della pelle variante da un giallo scuro e persino da un bianco olivastro a un rosso rame o a un bruno terra di Siena bruciata o persino bruno-cioccolato; i tratti fisionomici sarebbero più caratteristici del colore; corporatura piuttosto gracile e muscoli non molto sviluppati; testa piccola, faccia piatta, ovale, lineamenti piuttosto delicati; occhi a mandorla con plica mongolica sempre più o meno manifesta, bruni: naso diritto, corto, non mai carnoso in basso; pomelli salienti sensibilmente, labbra piuttosto sottili; i capelli sono lunghi, fini, diritti, morbidi, lisci o leggermente ondulati. Negli Andriana la barba è assai poco fornita, il corpo poco peloso. Gli Hova, anche per questi caratteri, somigliano di più al tipo scuro di pelle (indo-melanesiano). Per i caratteri dei capelli, grossi e rigidi, per le labbra piu forti, per la tinta gialla i mongoleggianti del sud sarebbero alquanto diversi.
Quanto a misure sul vivente, non abbiamo gran cosa. Boucherau su 12 Merina trovò un indice cefalico medio di 85,25. Il diametro frontale minimo era di 102, mentre sarebbe di 110 presso i Negri Macua. È da notare che questa larghezza diminuisce rapidamente andando verso il nord africano. La circonferenza orizzontale media sarebbe di 540 contro 550 nei Sakalavi; ma il Boucherau non dice su quanti soggetti ha preso tale misura. La faccia sarebbe più alta nei Merina. L'indice nasale medio è di 85 (diplatirrinia) ma esistono forti oscillazioni individuali (75-102). Il rapporto della grande apertura delle braccia (=1,65) alla statura (=1,615) è di 102. Non crediamo valga la pena di riportare le misure di 2 Betsileo. I Sakalavi avrebbero un indice cefalico di 76 e platirrinia (91,3). Il Deniker dà una statura di m. 1,64 come media di 43 Hova (7) puri e meticci. Non si può decidere se vi siano compresi i dati di Boucherau. Per gli stessi dà un indice cefalico medio di 80,3. Porge inoltre una media di 76,8 di indice cefalico per 14 Betsimisaraka, 14 Hova puri ne dànno una di 84,8.
Rouquette studiò nel 1914 i caratteri antropometrici di tre popolazioni del SE. del Madagascar; Antandroy, Antavaratra, Antanosy. Egli prese in considerazione parecchie distanze, per le quali diede anche tabelle di variazione. Il numero dei casi sui quali egli prese le misure varia da distanza a distanza, ma in genere sono parecchie centinaia d'individui per ognuno dei tre gruppi etnici. Non tutte le distanze però possono dirsi morfologicamente significative.
Diamo in breve i risultati principali: gli Antandroy sono sottodolicocefali e spesso subbrachicefali (media 78-79). La statura è m. 1,67. Il rapporto della grande apertura delle braccia alla statura è inferiore a 104. Gli Antavaratra sono dolicocefali (media 73), hanno una statura media di m. 1,635. Il rapporto della grande apertura alla statura è di 105. Gli Antavaratra avrebbero poi viso meno largo, occhi più vicini e meno aperti, naso più raramente diritto, piedi più corti degli Antandroy. Gli Antanosy, salvo per l'indice cefalico, avrebbero identità quasi perfetta con gli Antavaratra.
Gli Antandroy e gli Antavaratra formerebbero ciascuno un'unità antropologica secondo Rouquette. I caratteri degli Antandroy fanno supporre al Sera l'affiorare in questo gruppo di un elemento polinesiano.
Non esistono dati molto più numerosi per la craniologia. A. Quatrefages ed E. Hamy studiarono 6 cranî sakalavi maschili e 1 antankar femminile, 3 betsimisaraka maschili e 2 femminili, 2 hova maschili e 1 femminile. I valori medî rispettivi per l'indice orizzontale sono: 74,7; 77,4; 71,9; 76,3; 78,1; 76,7; per l'indice vertico-longitudinale 75,3; 74; 76,2; 71,7; 78,1; 76,7. Secondo i due autori i Sakalavi avrebbero un cranio un po' più corto e più largo e qualche altro carattere che li differenzierebbe dalle popolazioni africane prossime. I Betsimisaraka sarebbero più simili ai Negri di Africa. Per i cranî hova gli autori confermano l'opinione del Grandidier, per cui somiglierebbero ai cranî di Madura.
Nel 1896 Duckworth studiò accuratamente tre cranî, uno di Hova (?), uno di Betsileo e il terzo di Betsimisaraka. La sua conclusione è che il primo presentava grande somiglianza con un cranio malese di Borneo, gli altri due somigliavano a certi cranî di Africa piuttosto che della Melanesia e in particolare a cranî macua. Il cranio hova aveva un indice cefalico di 82,1; il betsimisaraka uno di 71, quello betsileo 72,4. Gl'indici di altezza rispettivi erano 97; 100; 100 (?).
Infine nel 1923 Verneau studiò 11 cranî bara, proponendosi soprattutto di rispondere al quesito se essi siano più affini ai Negri africani o ai Melanesiani. Egli trovò un indice orizzontale medio di 73,2 per i maschi, di 72,9 per le femmine e un indice di altezza di 73,73 per i maschi di 72,30 per le femmine. Senza entrare in altri particolari metrici, citiamo le sue conclusioni più importanti: i Bara si differenziano dai Papua: 1. per il volume esterno minore del cranio, 2. per la maggiore capacità, 3. per la minore dolicocefalia, 4. per un cranio meno stretto e meno alto, 5. per un più forte sviluppo della regione frontale e minore della occipitale, 6. per una platirrinia più accentuata. Tutti questi caratteri avvicinano invece i Bara ai Negri d'Africa. Da questi fatti egli ricava la conseguenza che i Bara costituiscono una popolazione essenzialmente nigritica, il cui tipo fondamentale sarebbe stato alterato dall'intervento di uno o più tipi stranieri. I Bara che non rientrano nel tipo medio non si riattaccano per questo ai Melanesiani.
Il Sera ha esaminato, sotto il rispetto dei caratteri descrittivi facciali, una serie di circa 90 cranî malgasci e di provenienza diversa (Sakalavi, Antankar, Merina, Betsileo, Bara, ecc.) che si conservano nel museo di storia naturale di Parigi. Orbene, la maggioranza di questi cranî presenta caratteri del tipo da Sera detto melanesoide (v. fisionomia, XV, p. 489 segg.), alcuni di essi anzi potrebbero passare per tasmaniani come del resto molte fisionomie sul vivente sono chiaramente tasmanoidi. Oltre una decina di essi appartengono più o meno al tipo etiopico, che pare, subito dopo il melanesoide, il più frequente. Subito dopo verrebbe l'atlanto-indico con 6-7 casi.
I tipi negritoide e nigrizio dichiarato appaiono rarissimi. Tutto sommato perciò, i veri caratteri descrittivi facciali "negri" sono piuttosto rari, confermandosi con ciò le descrizioni di Grandidier per il vivente. Un bel numero di questi cranî presenta caratteri intermedî fra i tre tipi prima nominati. Il tipo malesoide ben manifesto è presente solo in un caso (n. 10.642) e in altri due casi appare un po' oscurato.
La maggior parte degli autori che si sono occupati delle razze del Madagascar, più o meno superficialmente in genere (fra cui Mariano, 1613; Frobenville, 1840; Waitz, 1840; Palleu, 1868; Zannetti, 1880; Quatrefages e Hamy, 1882; Hartmann, 1886; Zaborowski, 1897), seguendo le suggestioni più immediate, risultanti dalla vicinanza dell'Africa e dall'aspetto esterno approssimativo dei Malgasci, hanno ammesso un'origine africana. Il Ferrand, su dati linguistici, daterebbe questa immigrazione avanti l'era cristiana.
Soltanto per i Merina andriana si ammette da tutti un'origine asiatica e in particolare da Giava. A. Grandidier per il primo, nel 1872, si oppose a questa opinione e asserì un'immigrazione indo-melanesiana, assai precedente a immigrazioni malesi e molti secoli prima di Cristo. Secondo una locuzione ancora in uso presso l'antropologia francese, i Malgasci sarebbero collegati con i "Negri orientali" piuttosto che con gli "occidentali" (di Africa). Gli stessi Quatrefages e Hamy, che prima sostenevano l'origine africana, si sarebbero più tardi convertiti alle idee di A. Grandidier.
Secondo il Sera, il nodo della controversia è nell'idea che ci dobbiamo fare dei rapporti fra "Negri occidentali" e "Negri orientali". Egli afferma che sarebbe forse addirittura preferibile lasciar cadere la parola "Negro". Il colorito della pelle scuro fino al nero e il capello lanoso, a spirale, accomunano gente, i cui rapporti, per il restante dei caratteri fisici, sono talvolta assai lontani. Esistono molti fatti che inducono a pensare che i cosiddetti Bianchi avessero colorito scuro e capelli fortemente ricciuti, se non a spirale. I Negritos e i Melanesiani, riuniti nel concetto di Grandidier, rappresentano tipi distinti. Altrettanto si deve dire per gl'Indiani dell'India anteriore da Grandidier accomunati a quelli. Ma, più ancora i "Negri occidentāli" rappresentano un miscuglio quasi inestricabile di unità morfologiche, in cui è riconoscibile, come avente diritto a un posto a sé, un tipo meridionale orientale, che si può dire, con una certa larghezza, "Cafro", in cui sono spesso evidenti tracce e affinità melanesoidi.
È degno di essere rilevato come un naturalista del principio del sec. XIX, il Lesson, osservava che i Papua hanno la più grande somiglianza con i Negri cafro-malgasci e sembrano provenire da una migrazione (africana) posteriore a quella degli oceanici. Il Lesson colloca, dopo i Papua, come una seconda varietà del ramo Cafro-malgascio i Tasmaniani. Il Sera ritiene che queste idee del Lesson sull'origine africana del tipo melanesoide siano tuttora valide e abbiano rappresentato una vera grande anticipazione, che solo uno zoologo poteva concepire.
Esistono però, secondo il Sera, alcune difficoltà per ammettere che un tipo a caratteri facciali melanesoidi, proveniente dall'Africa, sia stato il primo occupante del suolo del Madagascar. Abbiamo visto infatti come i capelli dei Malgasci non siano del tipo melanesoide puro, come si trova ad es. nella Nuova Bretagna ove il tipo è esente da sospettabili incroci coi Polinesiani, come è in altri arcipelaghi.
Il capello rigido, duro e impiantato verticalmente fa pensare a qualche remoto incrocio con popolazioni se non proprio mongoliche, mongoleggianti, come sono proprio i Polinesiani. Altri caratteri che abbiamo visto, come l'occhio a fior di pelle, la tendenza alla plica, comportano ancora questa ipotesi. Si è visto d'altra parte che il tipo malese è caratterizzato da capello piuttosto fine, mentre poi i caratteri facciali malesi sono rarissimi. La presenza sull'isola del tipo malese, non può essere invocata a spiegare i caratteri non melanesoidi, che abbiamo ora ricordati nei Malgasci. Il Sera ritiene sia lecito supporre sul suolo dell'isola un tipo polinesiano, precedente il melanesoide e che quei caratteri mongoleggianti del sud (Antandroy e Mahafaly) non che da attribuirsi ad immigranti cinesi, di cui non abbiamo nessuna prova storica, possono essere attribuiti a un'antichissima popolazione a tipo polinesiano, andata in gran parte sommersa. Risulterebbe da tutto ciò, secondo il Sera, la necessità di nuove ricerche soprattutto in certe zone, come l'estremo SO. e come la fascia montana e boscosa che si estende a E. dell'altipiano centrale, regioni dove è verosimile che si conservino meglio i residui dei tipi più arcaici dell'isola.
Etnologia. - Si è accennato sopra, parlando delle ipotesi sulla origine della popolazione malgascia, al problema della provenienza del tipo negroide: se questo problema potesse essere chiarito, lo sarebbe l'intero problema etnologico. Tenendo presente l'alternativa di un'origine africana e malese o di una puramente indo-melanesiana saranno considerate le diverse facce del problema.
Il Madagascar era abitato anche prima della formazione della popolazione attuale, contemporaneamente a una fauna oggi sparita dall'isola. Piccoli ippopotami, coccodrilli e tartaruglhe giganti, grandi uccelli come l'Aepyornis, che misurava più di tre metri di altezza, lemuri paragonabili in grandezza alle scimmie antropoidi. Infatti si son trovati mescolati alle ossa di questi animali: frammenti di vasellame più spesso di quello attuale; bastoni appuntiti al fuoco; frammenti di ossa di Aepyornis e di ippopotamo con intaccature nette e regolari, fatte con strumenti ben taglienti; placche di guscio di tartaruga con tracce di colpi analoghi a quelli prodotti dalla punta di ferro di un arpone indigeno attuale, denti di ai-ai, specie di lemure, forati per farne delle collane. Non si son trovati i resti scheletrici degli uomini che hanno lasciato tali manufatti, ma pare accertato che la distruzione della fauna malgascia sia dovuta a essi, distruzione indiretta attraverso quella della foresta, avvenuta in un'epoca non molto lontana. Essi dovevano già conoscere il ferro, fabbricavano una ceramica superiore a quella degl'indigeni attuali, e si ritiene che siano spariti all'arrivo degl'indo-melanesiani. A questi ultimi sarebbero invece dovuti i tumuli delle regioni meridionali dell'isola.
a) Gruppi etnici e sociali. - Si ammetteva una volta che una popolazione malese straniera avesse acquistato il dominio sulle tribù negroidi dell'isola, ma i Grandidier hanno dimostrato che in ogni tribù il potere era nelle mani di una casta e che salvo in un piccolo numero di tribù, questa casta era sempre formata da meticci, prodotti della mescolanza della popolazione negroide con degl'immigrati. Di questi ce n'era di quattro specie: Indù, Arabi, Giavanesi ed Europei (pirati inglesi o francesi). La casta dominante e la popolazione dominata formano insieme quello che si può chiamare una "nazione".
Da questo punto di vista vi sono cinque specie di nazioni a Madagascar: 1. Nazioni con casta dirigente indigena, cioè indomelanesiana, in realtà o in apparenza (estremo nord e catena montagnosa fino al centro dell'isola): Antankarana, Tsimihety (probabilmente), Sihanaka, Bezanozano. 2. Nazioni con casta dirigente mescolata con Indù (a ovest e a sud dell'isola): Antaifasina, Antaisaka, Antandroy (qui la casta è forse anche mescolata con Giapponesi), Bara, Mahafaly e Sakalava. 3. Nazioni con casta dirigente mescolata con Arabi (a sudovest dell'isola): Antanosy, Antaimorona, Antambakoaka, Tanala, Betsileo. 4. Nazione con casta dirigente mescolata con Europei (costa nord-ovest): Betsimisaraka. 5. Nazione con casta dirigente mescolata con Giavanesi (centro dell'isola): Merina. Ogni nazione o ogni tribù che forma il fondo della nazione, si divide in diverse sottotribù. Bisogna ammettere che prima della formazione delle attuali nazioni, tutta la popolazione fosse divisa in piccoli clan, formati dall'unione delle famiglie imparentate indipendenti gli uni dagli altri, che potevano essere raggruppati in tribù e sottotribù soltanto in base al dialetto e alla cultura. I meticci crearono dunque degli stati feudali (nazioni) mentre gli antichi capi indigeni, divenuti vassalli, fornirono il legame fra la casta dirigente e il popolo, in gran parte servo o schiavo.
Il termine di andriana indica propriamente i nobili, e quello di hova, gli uomini liberi nella nazione merina, con la quale i governi europei entrarono in rapporti; questi due termini non sono usati correttamente come termini raziali applicantisi agli uomini di razza malese, o più esattamente giavanese; la nazione del centro dell'isola è costituita dai Merina.
La presenza dei Giavanesi nella parte centrale dell'isola si spiega facilmente. I Giavanesi, il cui ultimo arrivo è da collocare nel sec. XIV, abbordarono la costa orientale, ma siccome questa si mostrò loro inospitale, salirono sull'altipiano. L'ascendente che la nazione merina ha preso, si spiega in parte col fatto che i meticci giavanesi formano presso i Merina una percentuale più forte di quella dei meticci delle altre nazioni. Come si vede nella cartina annessa, la nazione merina si è estesa irradiandosi nella zona libera e scarsamente abitata che la separava dalla nazione sakalava.
Ma oltre a questa espansione nazionale dei Merina, questi, prendendo coscienza del loro potere, imposero il loro dominio politico su altre nazioni. Al tempo della conquista dell'isola da parte dei Francesi nel 1895, la dominazione Merina comprendeva quasi la metà dell'isola e precisamente tutto il centro e il nord-ovest.
b) La cultura attuale. - Nel considerare gli elementi culturali, la difficoltà non è tanto di riconoscere quello che potrebbe essere africano da quello che è indo-melanesiano, ma di distinguere negli elementi manifestamente indo-melanesiani, ciò che è recente, giavanese, da ciò che può essere indo-melanesiano antico, attribuibile cioè a una cultura che trova oggi la sua più forte analogia nella cultura della Nuova Guinea o della Melanesia. Per la cultura materiale bisogna limitarsi a considerare alcuni elementi perché uno studio d'insieme sull'ergologia del Madagascar manca fino ad oggi.
I Malgasci allevano lo zebù, del quale apprezzano anche la carne, e coltivano specialmente il riso. La coltivazione del riso non deve essere venuta dall'Africa, dove è relativamente recente, essendovi stata introdotta dagli Arabi; viene dunque dall'Oriente. D'altra parte il fatto che i Sakalavi sono più che altro pastori e i Merina più agricoltori, permette di riavvicinare i primi ai pastori della vicina costa africana, ed è più facile concepire che lo zebù sia venuto dall'Africa che dalla lontana Insulindia.
I Malgasci - e perfino, come detto più sopra gli abitanti del Madagascar dell'epoca dell'Aepyornis - hanno conosciuto la metallurgia come l'Africa e l'Indonesia, mentre la Papuasia e la Polinesia l'ignorano, ma il soffietto di Madagascar avvicina incontestabilmente la sua metallurgia a quella dell'Indonesia; è infatti un soffietto doppio a pistoni verticali (v. metallurgia). A dire il vero, sulla costa occidentale si trova anche il soffietto a otre dell'Africa orientale, ma si tratta in questo caso di un'importazione recente, non ancora penetrata nell'interno.
Nella ripartizione delle forme dell'abitazione si può prima di tutto constatare l'influenza dell'ambiente. Le case di argilla corrispondono al centro diboscato dell'isola (salvo la regione centrale di Tananarivo), mentre quelle fatte di materiale vegetale (legno e fogliame) corrispondono all'anello forestale già ricordato. Ma l'influenza di altri fattori si fa pure evidente. La costa orientale e la parte nord della costa occidentale, hanno la casa su palafitte come l'Indonesia; non si tratta però soltanto di capanne erette nell'acqua, ma di case costruite sulla terra ferma, almeno in grandissima maggioranza. Questo non solo prova un'influenza culturale indipendente dall'ambiente, ma ci fa anche constatare come questa influenza cessi, a nord e a sud della regione costiera, per far posto sulla costa occidentale all'abitazione fatta dello stesso materiale ma a livello col suolo. Queste abitazioni sono quadrangolari e se differiscono perciò dalle capanne circolari dell'Africa orientale, si avvicinano fino a un certo punto a quelle della regione del Congo e della Guinea.
La lancia malgascia si distingue da quella africana e specie da quella dell'Africa meridionale che è più vicina. Essa presenta quasi sempre un tallone di ferro a forma di spatola, e non a punta o ad anello cilindrico come quasi tutte le lance africane. La punta della lancia è molto semplice differenziandosi in questo dalla maggioranza di quelle africane, ed è sempre a doccia, mentre il Sud-Africa è il dominio del ferro di lancia a codolo. Le due lance non ammettono dunque alcun riavvicinamento.
Lo scudo presenta una curiosa mescolanza di tre diverse influenze. È costituito da una tavoletta di legno con l'impugnatura intagliata nel legno stesso e si può quindi collegare con lo scudo di legno dell'Indonesia e della Papuasia, da un lato, e con quello del Congo e della Guinea, dall'altro; essendo però ricoperto di una pelle munita di tutto il pelo sembra aver subito anche l'influenza dello scudo cafro. In terzo luogo è rotondo, e questo lo ricollega indubitabilmente con lo scudo propriamente asiatico. Questa influenza potrebbe essersi effettuata sia per l'intermediario dell'Indonesia, dove gli scudi rotondi non sono sconosciuti, sia per quello dell'Africa nord-orientale (Etiopia) dove questa è la forma esclusiva.
Nell'intrecciatura la lavorazione a spirale è comune a Madagascar come a tutta l'Africa orientale e settentrionale; ma vi s'incontra anche il tipo incrociato, che sul continente africano è più frequente nella regione del Congo e della Guinea, e anche l'intrecciatura esagonale, del tipo classico in tutto l'Estremo Oriente, dal Giappone all'Assam e alla Nuova Guinea. Dato che quest'ultima è assai rara in Africa, dove è stata segnalata finora solo sulle rive del lago Victoria e del Camerun, si può attribuire la sua introduzione nell'isola agl'Indo-melanesiani, ed è forse dal Madagascar che è passata sul continente. Inoltre si può notare un nesso sicuro fra il Madagascar e l'Indonesia in rapporto a una specie complicata d'intrecciatura a spirale che nell'Indonesia si produce solo sulle coste del mare interno di Banda; questo processo non può esser stato scoperto che una sola volta e sarebbe interessante ricercare se altri elementi culturali malgasci si trovano in questo punto dell'Indonesia.
Il telaio per tessere è orizzontale come quello indonesiano, ma anche come quello dell'Africa orientale. Ma siccome il vero telaio africano è verticale, è probabile che anche le forme dell'Africa orientale derivino dall'Indonesia, giuntevi lungo la costa dell'Oceano Indiano, o per l'intermediario del Madagascar (v. tessitura).
Il canotto a bilanciere è la testimonianza più evidente del nesso con l'Indo-Melanesia. Si ritrova specialmente sulla costa occidentale (ma soltanto perché la costa orientale non è favorevole alla navigazione) e i canotti a bilanciere della costa africana di Zanzibar sono anch'essi di origine indo-melanesiana. Il canotto malgascio ha generalmente un solo bilanciere, ma ve ne è anche con due. L'Indonesia ha il canotto a due bilancieri e la Papuasia quello a uno; la riduzione a uno solo a Madagascar potrebbe essere secondaria, e se il nesso indo-melanesiano è fuori dubbio è difficile determinare se esso rimonta all'epoca dell'antica forma, papuasica, di tale cultura.
Il più noto strumento musicale è la cetra cilindrica detta valiha, che si ritrova anche in Indonesia, con la differenza che la cetra malgascia ha delle corde sollevate tutto intorno al cilindro senza apertura nella parete, mentre in Indonesia non ha che alcune corde e sotto a queste un'apertura nella parete del cilindro. Poiché la cetra cilindrica non si trova che in Indonesia e nel Madagascar la loro relazione è accertata, ma questa non deve essere che relativamente recente, poiché la Melanesia ignora tale strumento e inoltre esso è specialmente in uso fra le classi superiori a Madagascar.
I riti funebri differiscono secondo le nazioni, dappertutto però i cadaveri sono sepolti, salvo presso i Bara che a volte li espongono semplicemente sul suolo, fra i Merina il corpo è avviluppato di stoffe, altrimenti è sepolto in una bara scavata in un tronco d'albero e ricoperto da un coperchio a tetto o arrotondato. Essi depongono la bara nella terra, ad eccezione degli Antankarana, dei Betsimisaraka, e di alcune tribù Bara presso i quali la bara rimane sul suolo. Un altro carattere diffuso è rappresentato dall'usanza generale di non seppellire il corpo subito dopo la morte, salvo che fra i Merina. Si attende per questo che le carni siano decomposte e spesso si raccoglie a parte il liquido della putrefazione per conservarlo; durante questo periodo di attesa, alcune tribù offrono da mangiare e da bere al morto. Nell'Indonesia si usano delle bare molto simili a quelle del Madagascar, tutte di piccole dimensioni, dato che il cadavere nella seconda inumazione può essere notevolmente compresso. La principale differenziazione che si nota a Madagascar nei riti funebri è di carattere animologico. Le nazioni cioè possono essere divise in due gruppi: il primo è composto dei Merina, delle nazioni la cui casta dirigente è incrociata di Arabi, e dai Sihanaka, a casta dirigente indigena; a questi i morti non ispirano timore e sono sepolti sul ciglio delle strade e talvolta anche in mezzo all'abitato. Nel secondo gruppo, composto di tutte le altre nazioni (la posizione dei Tsimihety, dei Bezanozano e dei Tanala resta però indeterminata) i morti sono oggetto di paura e i cimiteri sono nascosti in fondo alle foreste o fra le rocce.
Nel matrimonio sembrano prevalere le regole endogamiche e specialmente l'endogamia di casta, e ciò in modo particolare nelle nazioni con miscela araba. D'altra parte si notano delle usanze che si possono considerare come residui del matrimonio per ratto fra i Sakalava, gli Tsimihety, e gli Antaimorona. In generale il matrimonio non è imposto alla donna, ma avviene per reciproco consenso, dopo un periodo d'unione libera. Il marito ha la maggiore autorità, ma la donna ha diritto a molti riguardi. Il legame del matrimonio è naturalmente assai lento, visto che non vi è alcun ritegno prima di esso e che la verginità non è affatto apprezzata: lo è invece il numero dei figli, anche se questi datano da prima del matrimonio. Questi costumi liberi sono tipicamente maleo-polinesiani. La poligamia è frequente, ma per questa occorre il consenso della prima moglie, mentre la poliandria è proibita. Una vedova diventa di diritto la moglie del fratello maggiore, oppure dell'erede del marito.
Presso i Merina, quando si celebra un matrimonio, la carne non viene cotta come d'abitudine in vasi qualsiasi, ma in un buco nella terra munito di pietre arroventate: la carne, avviluppata in foglie, vi è deposta, in modo che una volta chiuso il buco essa cuoce a stufato. Questo sistema di cottura è tipicamente oceanico. Durante la celebrazione del matrimonio gli sposi mangiano con lo stesso cucchiaio e nello stesso piatto, per l'unica volta nella vita. Questo intimo pasto nuziale è in uso anche presso altre nazioni e si può paragonare al pasto nuziale comune dei Cinesi, presso questi il cibo è servito in piatti separati, ma è l'unico pasto in comune nella vita, poiché i due sessi non mangiano mai insieme. È da menzionare anche che presso i Malgasci un'aspirazione nasale tiene luogo del bacio, come in Oceania.
L'organizzazione sociale è patriarcale; si trovano però diversi costumi che ricordano il matriarcato, oltre al consenso della donna per il matrimonio e ai riguardi che le sono generalmente usati. Quando in un villaggio merina vi sono diverse giovinette da maritare, esse sono condotte in un villaggio vicino dove scelgono da sé il loro futuro. Presso i Betsimisaraka e i Bezanozano, quando si domanda una ragazza al padre, questi, dopo averla concessa, aggiunge: "se tuttavia la madre di mia figlia acconsente". Il matrimonio fra cugini uterini (figli di due sorelle) è considerato come incestuoso, ma fra cugini consanguinei (figli di due fratelli) esso è autorizzato. Il bambino segue la condizione sociale della madre; solo nel divorzio di un matrimonio regolare esso appartiene al padre. La donna, poi, non rompe mai completamente i legami con la sua famiglia, insieme con la quale infatti è sempre sepolta.
Condizioni economiche. - L'agricoltura. - Il suolo dell'isola è di rado naturalmente fertile, perché è povero di elementi fertilizzanti. Si è già detto come tutta la parte centrale montuosa di Madagascar sia arida e sterile, e come le colture vi siano possibili solo nelle valli e sul fondo dei bacini lacustri prosciugati naturalmente o artificialmente; nelle pianure della parte occidentale il suolo sarebbe meno sfavorevole all'agricoltura, ma le piogge non sono sempre sufficienti: le migliori aree coltivabili sono lungo i fiumi; nella regione australe l'estrema siccità rende quasi sempre impossibili le coltivazioni.
Tra le piante alimentari va ricordato in primo luogo il riso: questo cereale, che costituisce la base dell'alimentazione per la maggior parte dei Malgasci e che ha sempre maggiore importanza anche come genere di esportazione, è coltivato in tutta l'isola, eccettuata la regione desertica del sud; esso costituisce la principale fonte di ricchezza di tutta la regione centrale di Madagascar, dove le altre colture sono, si può dire, impossibili.
Ivi tutti i bassifondi delle valli e anche i pendii dei monti, quando è stato possibile ridurli in terrazze e condurvi l'acqua, sono trasformati in risaie; la più vasta distesa di risaie è quella chiamata Betsimahatra, che si stende, ai piedi della capitale, nella piana traversata dall'Ikopa. La coltura del riso, attualmente esercitata anche da coloni europei, viene praticata dagl'indigeni in modo alquanto primitivo. Il suolo viene vangato appena l'acqua, con la stagione delle piogge, abbia invaso il terreno o vi sia stata portata artificialmente. Quando la terra è minutamente rimossa, gl'indigeni conducono nel campo le loro mandre di buoi e li costringono a calpestare il suolo fino a trasformarlo in una fanghiglia liquida. Allora le donne recano nel campo le piantine di riso che sono state seminate in piccole risaie chiamate "nutrici", alle quali è possibile dare l'acqua in ogni epoca dell'anno, e ripiantano a uno a uno questi fragili steli, che misurano dai 10 ai 12 cm., nel fango della risaia; questa viene quindi lasciata a sé fino alla maturazione delle piante, non tralasciando tuttavia di sorvegliarla e sradicare man mano le erbe cattive. Giunto il riso a maturazione, si lascia che l'acqua scoli via e il campo si prosciughi per procedere alla mietitura, fatta mediante falce; la battitura si effettua nel modo più primitivo, battendo l'estremità delle piante su una pietra e raccogliendo poi i grani accumulatisi intorno: questi vengono poi separati dalla paglia e dalle altre impurità per mezzo di grandi ventilatori di canne intrecciate. Accanto al riso di palude, il più diffuso, gl'indigeni coltivano anche, nell'E. e nel SE., il riso di montagna: abbattono un lembo di bosco e bruciano il legname, poi alle prime grandi piogge seminano il riso, che mietono in marzo o aprile; lo stesso terreno è utilizzato al massimo due volte: ma il governo francese cerca d'impedire questa coltura, che ha per effetto un inconsulto diboscamento.
La produzione totale del riso, la cui coltura si estende su circa 600.000 ha., è attualmente di 1.250.000 tonn.: l'esportazione nel 1913 fu di 10.664 tonn., valutate 2.287.000 franchi; nel 1931 ha segnato, sui registri della dogana, un valore di 25 milioni di franchi.
Degli altri cereali ha importanza il mais, che viene coltivato per il consumo degl'indigeni specialmente nella regione sud-occidentale dell'isola: la produzione totale è superiore alle 100.000 tonnellate: in tutta l'isola, ma specialmente nell'ovest e nel sud, si coltiva il sorgo o miglio d'Africa. Grande importanza per l'alimentazione indigena ha, dopo il riso, la manioca, coltivata specie nella regione nord-occidentale, dove vi sono anche importanti coltivazioni condotte dagli Europei; la manioca è infatti oggetto di esportazione, poiché viene utilizzata nelle industrie della fecola, tapioca, alcool, ecc. Segue, per il posto che occupa nell'alimentazione degl'indigeni, la batata, coltivata in tutte le regioni dell'isola, che dà una produzione annua di circa 300.000 tonn. Vanno ancora ricordate, fra le colture alimentari, quelle delle arachidi, dei piselli del Capo, degli antakai o fagioli malgasci, e di altri legumi, quella del songes; sotto l'influsso europeo si vanno estendendo, specialmente nelle regioni centrali, la coltura e il consumo delle patate.
Fra le colture coloniali, quella della canna da zucchero, già esercitata da lungo tempo dagl'indigeni, che la consumano direttamente o ne fanno bevande fermentate, si estende attualmente su una superficie di circa 11.000 ha.: sono sorti importanti zuccherifici specialmente a Nosy Bé, nella vallata del Sambirano e nei dintorni di Tamatava e si esportano zucchero e rum. Grande importanza hanno le piantagioni del caffè, già coltivato dagl'indigeni, che coprono varie distese nelle regioni orientali, e anche nel nordovest e nel Betsileo: nel 1931 l'esportazione è stata di oltre 11.000 tonnellate per un valore di 70 milioni. L'amministrazione francese incoraggia la coltura del cacao, di cui vi sono piantagioni sulla costa orientale, quasi esclusivamente nella provincia di Tamatava: nel 1931 si esportarono 200 tonn. di cacao per un valore di 600.000 franchi. Tra le colture coloniali più remunerative è quella della vaniglia, che ha preso un grande sviluppo sul versante orientale e anche nel nord-ovest di Madagascar; nel 1930 è stata però colpita da una forte crisi. Molto redditizia è altresì la coltura del garofano, che si pratica quasi soltanto nell'isola S. Maria di fronte alla costa orientale: nel 1931 si esportarono 2800 tonn. di chiodi di garofano per un valore di 22 milioni. Gli Europei hanno anche piantagioni di tabacco, coltivato però anche diffusamente dagl'indigeni, che ne fanno largo uso. Si producono inoltre cannella, pepe, noci di cola, ecc. Il governo francese cerca di estendere la coltivazione del cotone; quella della canapa si esercita in taluni punti dell'altipiano centrale. Fra le colture arboree va ricordata quella della palma da cocco nel NO., lungo la costa occidentale e sud-orientale. Degne di nota anche la coltura del sesamo, che serve ai bisogni locali, e quella delle ambrevates, le cui foglie sono usate per l'allevamento del baco da seta.
Nel suo complesso l'isola di Madagascar non è ricca di boschi, tuttavia le foreste della catena orientale offrono in abbondanza legnami, talora preziosi, utilizzabili per varî usi; ma lo sfruttamento del bosco deve essere fatto più razionalmente - e a ciò tendono gli sforzi dell'amministrazione francese - per poter alimentare una esportazione più larga di quella che se ne fa attualmente. Le scorze di alcune piante vengono utilizzate per la preparazione del tannino; vi sono altresì piante tessili o tintorie, altre che forniscono caucciù, gomme e resine, cera, grani oleaginosi. Dai paletuvieri, frequentissimi sulla costa O., si ricava la scorza, usata nella conceria.
Allevamento e pesca. - L'allevamento del bestiame costituisce la principale occupazione delle tribù malgasce, che abitano le regioni occidentali, meridionali e settentrionali di Madagascar. Di gran lunga i più diffusi sono i bovini, che appartengono alla razza gibbuta a grandi corna, o zebù addomesticato.
Il numero dei bovini, aumentati moltissimo dopo l'occupazione francese, era di 7-8 milioni nel 1923, cifra un po' inferiore al vero, perché comprende solo i bovini denunciati dai proprietarî: Madagascar è dunque, fra i paesi del mondo, uno fra quelli di più intenso allevamento bovino. Degli 8 milioni di bovini che si calcola vivano nel Madagascar, 5 milioni di capi vivono nella regione oecidentale; che offre ricchi e abbondanti pascoli: questi buoi sono robustissimi e forniscono carne abbondante: sono assai apprezzati dai macellai appunto per il rendimento di carne commestibile, molto alto in rapporto al peso totale dell'animale. Il bestiame soffre però nella stagione secca e specialmente nelle regioni meridionali i bovini hanno dovuto adattarsi alla grande siccità: quivi essi non bevono quasi mai, contentandosi dell'abbondante rugiada del mattino e di consumare le foglie delle piante grasse a riserva acquea. Oltre alla carne, i Malgasci ricavano dai bovini anche il latte, che consumano in vario modo; gli Europei hanno loro insegnato anche la concia della pelle per l'industria del cuoio; vengono usate pure le corna e le ossa. L'esportazione in Europa di bovini vivi non è possibile, ma sono sorti a Madagascar, specialmente a Maiunga e Diego Suarez, parecchi stabilimenti per la conservazione delle carni, i cui prodotti sono molto apprezzati: quest'industria potrà molto intensificarsi in avvenire. Accanto ai bovini gibbuti sono stati portati nel secolo scorso nel centro di Madagascar bovini di razze da latte della Francia e di Riunione; altri bovini non gibbuti vivono allo stato selvaggio.
Gl'indigeni delle regioni meridionali, occidentali e centrali allevano montoni, appartenenti alla razza steatopigia, a grossa coda, dell'Africa e dell'Asia: nel 1917 erano circa 300.000; accanto a questi si sta tentando l'allevamento di ovini di razza da lana. Nell'O. e nel S., e anche nelle alte terre del centro dell'isola si allevano i caprini, importati dagli Arabi: erano circa 150.000 nel 1920. I suini sono molto numerosi nelle regioni centrali dell'Imerina e Betsileo: complessivamente nel 1912 superavano i 530.000; la carne suina è oggetto di esportazione. Nell'altipiano centrale è stato introdotto l'allevamento dei cavalli.
I mari che circondano Madagascar sono molto pescosi; la pesca si esercita assai proficuamente anche nelle lagune costiere orientali. La maggior parte dei Malgasci esercita la pesca; per alcune tribù, come per i Sakalava Vezo della costa occidentale, è la principale occupazione. I Malgasci del NO. cacciano il delfino; quelli del N., dell'O. e del NE., specialmente i Sakalava, sono assai abili nella cattura delle tartarughe di mare, di cui fanno attivo commercio, e che catturano portandosi in alto mare con le loro piroghe a bilanciere, veri capolavori di equilibrio e di costruzione.
Industrie. - L'amministrazione francese ha dato impulso alle attività industriali già esistenti a Madagascar e ne ha create di nuove. Del resto già il soldano Radama I, nell'intento di promuovere lo sviluppo industriale del paese, aveva chiamato a Madagascar artigiani inglesi, che poi abbandonarono l'isola quando Ranavalona I ne espulse i missionarî; nel 1831 capitò a Madagascar, gettatovi da un nubifragio, J. Laborde, che tanto cooperò al miglioramento economico del paese; egli insegnò ai Merina la fabbricazione delle armi e della polvere da sparo e molte altre industrie.
Madagascar possiede qualche giacimento di lignite; nel bacino superiore dell'Onilahy è stato scoperto dal capitano Colcanap un terreno carbonifero del quale si sta organizzando lo sfruttamento e dal quale si spera possano venir estratte forti quantità di carbone. In parecchi punti dell'isola, specialmente nella regione orientale e centrale, si trova a fior di terra il minerale di ferro, e la maggior parte delle tribù malgasce pratica da tempo immemorabile la metallurgia. Nel nord-ovest di Madagascar si trovano le principali imprese di estrazione dell'oro dai terreni alluvionali: non si può dire ancora che siano stati scoperti filoni tali da ricompensare l'impresa, ma i lavori fatti dagl'indigeni nei letti dei torrenti continuano a dare risultati incoraggianti: nel 1932 si esportarono chilogrammi 301.414 di oro grezzo in lingotti o in polvere. Quanto al petrolio, se non si è ancora trovato del petrolio sorgente liquido, tuttavia le spedizioni di Bertrand, Joleaud e Dumas hanno scoperto l'esistenza, nel nord-ovest dell'isola, di strati di scisti bituminosi contenenti petrolio concentrato per disseccazione nel corso dei secoli, donde, con processi industriali, si potrà estrarlo. Alle ricchezze che Madagascar ricava dal sottosuolo è da aggiungere la grafite, di cui vi sono i più ricchi giacimenti tutto intorno all'altipiano centrale; il prezioso minerale che si trova sparso nei terreni primitivi di questa parte dell'isola è di qualità eccellente, superiore a quella della grafite di Ceylon, prima ritenuta la migliore. Specie nella parte nord-orientale dell'isola abbonda il quarzo, già esportato dagl'immigranti arabi stabilitisi nell'isola dopo il sec. IX-X.
Presso i Malgasci è diffusa l'industria della ceramica comune. Gli Europei hanno cercato di migliorare questa industria indigena: nel 1889 ad Ampangabé fu impiantata una fabbrica di ceramiche, e l'arte della ceramica viene insegnata nelle scuole professionali di Tananarivo e Antsirabé. Tutte le donne malgasce esercitano la tessitura e provvedono al vestiario della famiglia; esse usano per i loro caratteristici lavori cotone, canapa, rafia, fibre di banana o di lafotra, steli di graminacee o di giunchi, perfino scorze d'albero battute, seta. Nell'Imerina e Betsileo si è sviluppata, introdottavi dalle suore francesi, la fabbricazione dei merletti, che sono oggetto di esportazione. È attiva l'industria dei cappelli tipo panama. Si utilizzano fibre e foglie vegetali nella fabbricazione di ceste e utensili varî, tra cui delle specie di sacchi che vengono spediti alla Riunione e a Maurizio, per usarli nel trasporto del riso e dello zucchero; si adoperano scorze d,albero anche nella fabbricazione di solide corde. A qualche altra industria si è già accennato nel paragrafo dell'agricoltura.
Commercio. - Quale sia stato il progresso economico di Madagascar dopo la conquista francese è dimostrato all'evidenza dalle cifre sul valore del commercio di esportazione e importazione: nel 1896 le importazioni raggiunsero i 14 milioni di franchi, le esportazioni furono di appena 3.500.000 franchi; nel 1924, che è stato l'anno migliore per Madagascar, le esportazioni raggiunsero i 388 milioni di franchi e superarono le importazioni che furono nello stesso anno di 259 milioni.
Nelle esportazioni prevalgono (dati del 1931): caffè (70 milioni di franchi), rafia (32 milioni), carne congelata e in conserva (48 milioni), riso (25 milioni), pelli (25 milioni), chiodi di garofano (22 milioni), vainiglia, tabacco, zucchero, semi oleaginosi, grafite, essenze, ecc.
Nel 1929 entrarono nei porti di Madagascar 5964 piroscafi con 3.901.670 tonnellate di stazza. Le linee ferroviarie hanno uno sviluppo di 689 km.: la linea principale è quella che congiunge Tamatava con Tananarivo. Nel 1929-1931 il valore del commercio di esportazione e importazione fu il seguente (in milioni di franchi):
Comunicazioni. - Al tempo della dominazione Hova la capitale era unita alla costa da un semplice sentiero che serpeggiava per monti e valli e occorrevano sette o otto giorni per giungervi; a questo sentiero fu sostituita la strada carrozzabile costruita dal Genio militare francese, assicurando così il servizio regolare dei viaggiatori e del corriere postale; ora è per molta parte del traffico sostituita dalla ferrovia. Un'altra linea ferroviaria unisce Tananarivo ad Antsirabé, e un'altra unisce la capitale ad Ambatondrazaka. Nel 1932 le ferrovie avevano uno sviluppo di 689 km.
Centri abitati. - I principali centri di Madagascar, che si sono trasformnati sotto l'impulso della colonizzazione francese, sono: anzitutto la capitale Tananarivo (v.), che sorge nel cuore dell'Imerina, sopra una roccia emergente da una vasta distesa di risaie: nel 1931 essa aveva una popolazione di 101.634 ab. Nella zona centrale, più a S., sorge Antsirabé (8378 ab.), celebre per le sue acque termali, la cui composizione ricorda quelle di Vichy, sfruttate in un bellissimo stabilimento frequentato dagli Europei e anche dagl'indigeni. Antsirabé è raggiunta da una ferrovia proveniente da Tananarivo; un altro notevole centro della zona centrale è Fianarantsoa (14.620 ab.), che sorge nel Betsileo. Il porto principale di Madagascar è Tamatava (23.207 ab.) sulla costa orientale, capolinea della ferrovia per la capitale, scalo delle grandi linee marittime europee che poi continuano per la Riunione; edificata sopra un banco di sabbia, appena protetta da scogli corallini contro la corrente dell'Oceano Indiano, offre ai naviganti una rada poco sicura, che va tuttavia migliorando per i lavori in corso. Majunga (21.688 ab.) è il grande porto della costa NO., che offre un riparo naturale relativamente sicuro e serve di sbocco alle ricche vallate del Betsiboka. Destinata a facilitare le comunicazioni con Zanzibar e la costa africana, Majunga per ora è allacciata all'altipiano centrale solo da una carrozzabile. Nel paese alle spalle è Marovoay (7552 ab.). Nell'estrema regione settentrionale va ricordata Antsirane, situata in fondo alla baia di Diego Suarez, una delle più belle del mondo, che può servire di riparo anche alle squadre più numerose: la Francia vi ha stabilito un punto di appoggio della sua flotta, con bacino di carenaggio e arsenale. Nella sezione centrale della costa orientale è il porto di Mananjary (11.571 ab.). Il porto più importante della costa SO. è Touléar (7815 ab.).
Missioni. - L'opera di evangelizzazione fu iniziata già nel sec. XVII da missionarî cattolici (lazzaristi di S. Vincenzo de' Paoli); ma ripresa e condotta attivamente solo molto più tardi, tra il sec. XVIII e il XIX, dapprima per opera di missioni inglesi. Sono ancora attive quelle della London Missionary Society, dell'Anglican Mission e della Friend Mission (quaccheri); oltre a una missione americana e a una norvegese (luterana). Gl'indigeni appartenenti alle confessioni riformate si aggirano sui 400.000.
L'opera delle missioni cattoliche fu ripresa attivamente solo dopo il 1832, quando già s'erano affermati i protestanti, ma ha ottenuto veri successi solo dopo il 1896, sebbene in certi periodi l'attività missionaria non fosse incoraggiata dalle autorità politiche. Il numero dei cattolici, secondo statistiche della congregazione di Propaganda Fide, era di 461.154 al 30 giugno 1930 (443.667 al 30 giugno 1929). Dipendono dai vicariati apostolici di Antsirabé, istituito nel 1918 (missionarî di N.S. della Saletta), Diego Suarez (1896; congregazione dello Spirito Santo), Fianarantsoa (1913; gesuiti), Fort-Dauphin (1896; lazzaristi), Tananarivo (1844; gesuiti), Majunga (1923; congregazione dello Spirito Santo; con l'amministrazione della prefettura apostolica di Mayotte, Comore e Nosy Bé).
Bibl.: A. e G. Grandidier, Histoire phis. naturelle et polit. de Madagascar, IV, ii: Ethnographie, Parigi 1914; G. Grandidier, Madagascar, in Atlas des colonies françaises, ecc., pubblicato sotto la direzione di G. Grandidier, Parigi s.a.; A. Grandidier, Des rites funéraires chez les Malgaches, in Revue d'ethnographie (1886); G. Grandidier, Le mariage à Madagascar, in Bull. et mém. de la Société d'anthropologie de Paris (1913); Ch. Letourneau, Les mégalithes à Madagascar, ibid. (1893); A. Milne-Edwards e altri, Ce qu'il faut connaître de Madagascar, Parigi 1895; G. Petit, L'industrie des pêches à Madagascar, Parigi 1930; id., Une collection ethnographique provenant de Madagascar, in L'Anthropologie, XXXIII, Parigi 1923; G. Julien, Notes et observations sur les tribus sudoccidentales de Madagascar, in Rev. d'ethnographie et des traditions populaires, 1925-28; id., Les institutionsd politiques et sociales de Madagascar, Parigi s.a.; A. You, Les populations de Madagascar, in L'Ethnographie (1932); Lesson, Zoologie, in Voyage de la Coquille, Parigi 1826; A. Quatrefages e E. Hamy, Crania ethnica, Parigi 1882; L.H. Duckworth, An account on skulls from Madagascar, in Journ. Roy. Anthrop. Inst., ecc. (1896); A. Boucherau, Note sur l'anthropologie de Madagascar, ecc., in L'Anthropologie, VIII (1897); R. Verneau, Notes ur les caractères céphaliques du Bara, in L'anthropologie, XXXIII (1923); A. Hérivause e R. Bahoerson, Les groupes sanguias chez les Malgaches de l'Eyrne, in Bull. de la Soc. de Pathologie exot., XXIV (1932).
Storia.
Al tempo dell'immigrazione dei Malesi, il centro di Madagascar era abitato dai Vazimba, che avevano per capi le regine Rangitra e Rafohy, e gli antenati dei quali erano molto verosimilmente originarî (come le altre popolazioni dell'isola) delle isole dell'Oceano Pacifico. I nuovi venuti, che obbedivano ad Andriamanelo, s,installarono accanto ai Vazimba; più attivi, essi ben presto s'imposero ai primi occupanti, con i quali del resto strinsero delle alleanze, e Ralambo, figlio di Andriamanelo, ingrandì a poco a poco il suo dominio; egli conquistò Tananarivo e diede incremento alla coltura del riso. Il suo successore, Andriamasinavalona, estese molto il proprio regno, ma ebbe il torto di dividere il dominio tra i suoi quattro figli. Il nipote Andrianampoinimerina, che regnò dal 1797 al 1810, ricostituì il regno e lo ingrandì sottomettendo alla sua legge i Sihanaka e i Betsileo e divenendo così padrone incontestato di tutta la regione centrale.
Frattanto si era venuta sviluppando la colonizzazione europea. I primi Europei che avevano posto piede nel Madagascar erano stati i Portoghesi, ma sembra non vi avessero stabilito colonie. Durante il regno di Luigi XIII alcuni Normanni avevano fondato una compagnia per sfruttare le ricchezze dell'isola: favorita dal cardinale di Richelieu, la compagnia aveva prosperato e aveva intrapreso l'esplorazione di Madagascar partendo dalla baia di Sainte-Luce, dove il protestante Pronis aveva trasportato alcuni correligionarî e fondato una piccola colonia da cui ebbe poi origine anche la colonia delle Mascarene, e dell'isola Bourbon (oggi Riunione). Durante la Fronda la colonia era decaduta, anche perché lo zelo dei missionarî aveva provocato violenti conflitti con gl'indigeni. Sorta, per iniziativa del Colbert, la Compagnia delle Indie Orientali, essa fece di Madagascar il suo principale centro d'operazioni; ma trovando troppo gravosa la colonizzazione dell'isola e volendo dedicare tutte le proprie risorse all'India, ottenne ben presto che Madagascar fosse di nuovo riunita alla corona. Furono allora mandati nell'isola governatori incapaci, che sollevarono l'ostilità degli indigeni. Questi, più volte vincitori nella lotta che ne seguì, giunsero a massacrare i Francesi che si trovavano a Fort-Dauphin (1672). Per lungo tempo non si parlò più del Madagascar in Francia; ma l'idea della colonizzazione non fu mai abbandonata. Nel 1774 nella stessa baia di Antongil sorse a opera di un avventuriero al soldo della Francia, l'ungherese M.A. Beniowski, una colonia; ma poiché questi affettava l'indipendenza e si atteggiava a sovrano, il governatore delle Mascarene lo fece assalire da una piccola spedizione armata (1786). La morte del Beniowski, caduto combattendo, segnò anche una nuova eclissi della colonizzazione francese.
Ad Andrianampoinimerina succedette nel 1810 il figlio Radama I, che regnò fino al 1828. Sotto il suo regno i Hova, apprezzando i prodotti d'oltremare e riconoscendo la superiorità degli Europei, cominciarono a civilizzarsi: Radama si curò dell'educazione del suo popolo e ordinò l'apertura di scuole ove andavano a istruirsi così gli adulti come i fanciulli. Egli favorì pure lo sviluppo dell'agricoltura, dell'industria e del commercio. Per stimolare i suoi sudditi all'amore del progresso inviò nove giovani merina in Inghilterra per impararvi i principali mestieri, e chiamò a Madagascar parecchi artigiani inglesi, tra cui va segnalato il carpentiere Cameron. Fin dal 1823 diede ordine di costruire dei ponti su molti dei grandi fiumi che interrompevano le comunicazioni principali e si fece edificare dal francese Legros un'elegante palazzina, il Trano Vola, e una grande casa di campagna, a Scanierano, al sud di Tananarivo. Ranavalona I, succeduta a Radama I nel 1828, estese a poco a poco il suo dominio su quasi tutta l'isola, a eccezione della parte meridionale. Fu costruito durante il suo regno il primo grande edificio di Madagascar, il Manjaka miadana ("palazzo ove si governa bene in pace"), lungo 38 m., largo 18 e alto 39. Questo grande e bel monumento domina tutte le case di Tananarivo, costruzioni in legno, a quell'epoca, addossate le une alle altre sul versante della collina, e separate da tortuose viuzze. Tananarivo, che nel 1853 contava appena 15.000 ab., prese allora un grande sviluppo, poiché la regina vi stabilì una guarnigione di 12.000 uomini obbligati a risiedervi; durante il suo regno Ranavalona aumentò di molto gli eflettivi dell'armata, sia per mantenere l'ordine nelle provincie sottomesse alla sua autorità, sia per continuare a estendere la cerchia delle frontiere.
Durante l'impero napoleonico era stato fondato a Tamatava un piccolo stabilimento commerciale francese che decadde non appena gl'Inglesi si furono impossessati dell'Île de France da cui la piccola colonia era partita (1811). Dopo la pace i Francesi poterono ricuperare a fatica i loro diritti, perché gli Inglesi, padroni dell'che de France ribattezzata Mauritius, volevano considerare il Madagascar come una dipendenza di quel loro nuovo possesso.
Cominciò allora un,incessante opera inglese di eccitamento della popolazione Hova, che fu stimolata a proclamarsi signora di tutta l'isola, mentre la tribù aveva fino allora dominato solo una piccola parte di essa. Gl'Inglesi riconobbero Radama come re del Madagascar eccitandone la xenofobia contro i Francesi e aiutandolo contro i piccoli stabilimenti che il govermo di Luigi XVIII e di Carlo X aveva fondato lungo le coste e a Santa Maria; riuscì tuttavia alla Francia, poco prima della rivoluzione di luglio, di porre piede a Tamatava e di occupare altri punti della costa orientale dell'isola. La xenofobia dei Hova colpì anche gl'Inglesi, che furono scacciati dal Madagascar, né valse una spedizione navale franco-inglese a vendicare l'oltraggio, e il bombardamento di Tamatava rimase sterile (1845). Ma la Francia occupando Mayotte, Nosy Bé ed altre isole al nord-ovest del Madagascar riuscì ad accrescere il proprio presigio.
Radama II, che succedette a Ranavalona nel 1861, mutò indirizzo politico nei riguardi degli stranieri. Egli chiamò gli Europei a Madagascar, autorizzandoli (1862) a colonizzare, ad aprire scuole e a predicare la religione cristiana; accolse con piacere i missionarî cattolici prodigando loro i suoi favori, come del resto ai protestanti ai quali diede il consenso di fabbricare chiese in diversi punti di Tananarivo. Ma Radama II si abbandonava alla dissolutezza in compagnia dei suoi favoriti, i quali, non rispettando gli usi antichi degli avi, si resero colpevoli di numerose ingiustizie, così che sollevarono la generale indignazione, tenuta viva poi dal primo ministro e dagli ufficiali superiori del regno, malcontenti d'essere tenuti in disparte. Le cose si aggravarono al punto che scoppiò una sommossa, in seguito alla quale Radama stesso fu assassinato nella notte dall'11 al 12 maggio 1863: in quello stesso giorno la vedova di lui, Rabodo, fu proclamata regina di Madagascar sotto il nome di Rasoherina. Durante il suo regno essa conservò la libertà di culto istituita da Radama e agli Europei rimase il diritto di vivere a Madagascar. Il 1° agosto del 1863 il comandante Dupré recò il trattato franco-malgascio firmato da Napoleone III, trattato che il primo ministro rifiutò di accettare. Lambert che appunto allora ritornava dalla Francia con molti ingegneri, dopo aver costituito, grazie al consenso regolare avuto da Radama, la Compagnia del Madagascar, compagnia finanziaria, industriale e commerciale, dovette ugualmente rinunciare ai suoi progetti.
Nel 1883 morì Ranavalona II a cui successe Ranavalona III. All'avvento della nuova regina l'ammiraglio Galibier si recò a Tamatava ed entrò in trattative con le autorità merina, che avevano fomentato dei torbidi tra i Sakalava del Boina, sottomesso al protettorato francese, incitandoli a inalberare il vessillo di Ranavalona in luogo di quello tricolore. Non potendo raggiungere un accordo, fu inviato l'ammiraglio Miot per far rispettare i diritti della Francia; egli condusse nel nord-ovest e a Vohémar delle operazioni militari che decisero l'Imerina a riconoscere il protettorato francese. L'ammiraglio Miot e il console di Francia, Patrimonio, si recarono a Tananarivo: i Francesi che nel 1882 erano stati espulsi rientrarono alle loro sedi, e così pure i missionarî; Le Myre de Vilers fu nominato residente. Ma quasi subito, intorno a questo protettorato e ai diritti francesi, nacquero difficoltà politiche che continuarono per molti anni sotto forma latente, fino al giorno in cui furono assassinati parecchi Francesi: il governo francese si vide allora costretto a preparare la guerra, cosa che fece a sua volta il governo di Tananarivo. Per cercar d'evitare tale grave frangente e rinnovare un tentativo di conciliazione, Le Myre de Vilers fu inviato nuovamente in missione a Tananarivo per sottoporre al primo ministro un progetto di trattato, cui fu risposto con un controprogetto inaccettabile; il rappresentante della Francia lasciò allora Tananarivo (17 ottobre 1894) insieme con tutti i suoi compatrioti, giudicando inutile ogni altra discussione.
Ciò equivaleva a una dichiarazione di guerra: fatto del resto previsto e voluto in Francia, ove fin dall'agosto un'apposita commissione aveva iniziato lo studio di una spedizione su Tananarivo. Fu scelta come base Maiunga, che permetteva di raggiungere la capitale risalendo i fiumi Betsiboka e Ikopa; risultando che i Hova potevano disporre di 25-30.000 uomini armati di fucili moderni e di 40-50 pezzi, fu giudicato necessario un minimo di 12.000 uomini. Il 7 dicembre 1894 il parlamento concesse un credito di 65 milioni. La direzione della spedizione fu affidata al gen. Duchesne, già distintosi al Tonchino.
Il disegno di operazioni concretato dal Duchesne considerava lo svolgimento della spedizione in più fasi: 1. occupazione di Maiunga (fine febbraio) da parte dell'avanguardia, costituzione della base e avanzata fino a Marovoay (80 km.); 2. sbarco del comando in capo (primi di maggio) e della 1ª brigata (6000 uomini) e avanzata del comando fino a Mevatanana, mentre si sarebbe completato il corpo di operazioni e aperta una strada; 3. successiva avanzata a sbalzi per scaglioni su Tananarivo, che si sperava di raggiungere ai primi di settembre.
Accurata fu la preparazione dei servizî e specialmente di quello sanitario e dei trasporti. Operazioni preliminari si svolsero per la difesa della colonia di Diego Suarez, invasa fin dal dicembre 1894 dai Hova, e per l'occupazione di Tamatava, effettuata il 12 dicembre 1894 da un distaccamento di marina (550 uomini) a scopo diversivo.
Il 14 gennaio 1895 Majunga fu bombardata dalla divisione navale e occupata il giorno seguente.
Dal 10 al 24 marzo fu operato lo sbarco a Majunga dell'avanguardia (gen. Metzinger) e iniziata la sistemazione della base. Il 27 marzo un distaccamento, appoggiato da cannoniere, s'impadronì della posizione di Mahabo, avamposto dei Hova sulla sinistra del Betsiboka. Il 30 marzo una colonna di 4 compagnie con una sezione d'artiglieria si raccolse a Mevarano e mosse il giorno seguente su Marovoay, ma a causa del terreno paludoso dovette ritornare, in attesa della fine della stagione delle piogge.
Dal marzo al maggio fu effettuato lo sbarco del corpo di spedizione; il 29 airile, disponendo di forze sufficienti, il gen. Metzinger mosse con 3 colonne contro le posizioni di Marovoay, difese da 3000 Hova, che furono occupate il 2 maggio dopo debole resistenza. Dal 15 al 17 maggio furono attaccate e prese anche le posizioni di Ambolomonti, presidiate da 2000 Hova, che fuggirono abbandonando 60 morti, cannoni e munizioni.
Il gen. Duchesne (che aveva assunto il comando il 16 maggio) ordinò allora all'avanguardia di proseguire su Suberbieville. Il 26 maggio il gen. Metzinger mosse da Ambatt con le sue truppe (4 battaglioni e una batteria) e traghettato il fiume il 6 giugno a monte della confluenza dell'Ikopa, il 9 attaccò e prese Suberbieville: i Hova fuggirono in disordine abbandonando molte armi e munizioni.
Costituita una base secondaria a Suberbieville superando difficoltà logistiche per la mancanza di strade e lo scarso rendimento dei trasporti fluviali, alla fine di giugno il corpo di operazioni si trovava dislocato con l'avangnardia fra Suberbieville e Tsarasaotra, la 1ª brigata fra Ambato e Suberbieville, la 2ª brigata attorno a Majunga.
Il 29 giugno i Hova attaccarono in forze da più parti il posto avanzats di Tsarasaotra, difeso da un piccolo distaccamento; più volte respinti, essi non desistettero che al sopraggiungere dei primi rinforzi francesi, e accamparono su una vicina altura. Il gen. Metzinger, accorso con altre truppe, attaccò il mattino seguente il campo nemico e lo conquistò superando la debole resistenza dei Hova, che fuggirono abbandonando tende, armi e munizioni.
Sebbene i Hova si fossero ritirati per oltre 80 km., non fu possibile procedere prontamente a causa dell'assoluta mancanza di strade e della scarsa 1iavigabilità del fiume. Solo alla metà di luglio, ultimata la strada Majunla-Suberbieville, la 2ª brigata poté iniziare la marcia per raggiungere la 1ª. Ai primi di agosto la 2ª brigata passò all'avanguardia e superati i piccoli. Ambohimena (800 m. s. m.) alla metà del mese giunse ai piedi delle alture di Andriba, difese da 5000 Hova. Il 21 agosto i Francesi avanzarono con due colonne e, respinti gli avamposti nemici, il giorno dopo attaccarono le posizioni di Andriba frontalmente e con aggiramento sulla destra; ma prima che questo fosse compiuto i Hova si erano dileguati.
Data la lentezza dell'avanzata, non appariva possibile raggiungere Tananarivo prima della stagione delle piogge, il che significava andare incontro a un disastro, date anche le pessime condizioni sanitarie della truppa. Fu deciso quindi di sostare col grosso della spedizione e di spingere avanti una colonna leggiera usufruendo di tutte le bestie da soma. La colonna, costituita su 3 scaglioni della forza complessiva di circa 5000 uomini scelti e di 3000 quadrupedi, iniziò la marcia per scaglioni il 14 settembre, a distanza di un giorno fra scaglione e scaglione. Il 15 l'avanguardia attaccò di fronte e sui fianchi la posizione di Tsinainondri, che i Hova abbandonarono, al solito senza combattere; superò il 17 il passo di Kiangara, indifeso, e raggiunse i Grandi Amboimena su cui i Hova sembravano voler opporre seria resistenza. Il 19 i Francesi avanzarono su due colonne contro la linea di alture e i Hova al solito fuggirono abbandonando cannoni e munizioni.
Il 21 fu ripresa la marcia; il 24, raggiunto l'Emirne, il grosso e l'avanguardia si congiunsero, il 25 proseguirono fino ad Andavabary e il 26, cacciati i Hova dalle alture di Ambohipiara, sostarono a Tsinamandry. Il 28 i 3 scaglioni riuniti avanzarono per le alture a E. della strada, allo scopo di evitare le paludi che questa attraversava, e giunsero il 29 di fronte a Tananarivo, molestati durante la marcia da attacchi sui fianchi e alla retroguardia. Il 30 il corpo di operazioni mosse su due colonne contro le alture che difendevano la capitale e le occupò dopo qualche resistenza. Nel pomeriggio sul palazzo della regina apparve la bandiera bianca.
Il i° ottobre il gen. Duchesne entrò in Tananarivo e alle 15 veniva firmato il trattato che dava ai Francesi il possesso effettivo dell'isola: infatti alla regina rimaneva la sovranità nominale dell'isola, ma il governo effettivo di essa veniva affidato a funzionarî francesi e la sicurezza a una forza armata di 2000 europei e 3000 indigeni.
Quasi subito numerosi Merina, malcontenti dell'intromissione straniera, insorsero tentando di ristabilire nelle campagne l'antico culto pagano, e un missionario protestante, W. Johnston, fu ucciso con la propria figlia. Tuttavia in capo a qualche settimana il generale Duchesne, giudicando spenta questa insurrezione, ordinava il rimpatrio delle truppe e partiva lasciando il paese sotto il governo di M. Laroche, residente generale. Il primo ministro della regina fu esiliato, ma il Laroche si lasciò ingannare e i capi merina prepararono sotto mano l'insurrezione della popolazione. Tanto nel nord quanto nel sud dell'Imerina scoppiarono delle insurrezioni e parecchi Europei furono massacrati. Allora, nell'agosto del 1896, il governo francese inviò a Madagascar il generale J.-S. Gallieni, valoroso soldato quanto abile amministratore, che aveva avuto parte importante nell'occupazione dei possedimenti dell'Africa occidentale e dell'Asia (Tonchino). Il generale Gallieni, giunto a Tananarivo in settembre, sebbene l'Imerina fosse in piena sollevazione, chiamò la regina, che gli rese visita come vassalla della Francia; poco dopo però l'esilio della regina, che era il centro di tutte le ribellioni, s'impose, e il generale Gallieni la fece condurre alla Riunione. La situazione era critica e il nuovo residente ebbe grandi difficoltà da vincere per il fatto dell'improvvisa abolizione della schiavitù, promulgata senza riflessione dal suo predecessore, e per l'antagonismo dei missionarî protestanti e cattolici. Le truppe francesi, nella campagna del 1895, erano salite dalla costa verso Tananarivo; nella pacificazione del 1897 partirono da Tananarivo per irradiarsi verso le coste, applicando il processo che è stato denominato "della macchia d'olio", cioè da un centro solidamente fortificato inviando alla periferia tanti piccoli presidî, che alle loro spalle lasciavano paesi pacificati e sicuri dove si ristabiliva la vita normale: villaggi si ricostruivano, le colture si riprendevano. Dalla periferia poi questi presidî inviavano ramificazioni verso l'esterno e in tal modo allargavano la "macchia d'olio". Così fu pacificata e occupata l'Imerina, senza colpi improvvisati, progressivamente e tanto più agevolmente in quanto che questi presidî acquistavano nelle regioni circostanti i varî prodotti, per modo che prodigavano il denaro, invece di opprimere gli abitanti, come facevano i Hova. Grazie a questa penetrazione lenta e progressiva, che adoperava la mano d,opera locale per il bene pubblico e l'incivilimento, il contatto fu ripreso o instaurato, non solo con i Hova, ma anche con le altre tribù.
Il 1° settembre del 1897 i Francesi non occupavano che, parzialmente, l'Imerina, e il Betsileo; alla fine di quell'anno erano padroni delle due provincie con le due strade di vettovagliamento di Tamatava e di Majunga; nel mese d'ottobre essi avevano preso possesso di tutto il nord dell'isola, della provincia dei Bara e di una zona costiera che giungeva verso SE. fino a Fort-Dauphin; infine al 31 dicembre 1897 non rimaneva ai Francesi che di stabilirsi nell'estremo sud e in qualche punto del Menabé, sul versante ovest, conquiste che venivano compiute nel 1901 e nel 1902.
Il metodo che il Gallieni ha usato per la pacificazione e la colonizzazione di Madagascar è esposto da lui stesso in uno dei suoi rapporti, ed è opportuno citarne qualche frase che ne mostra lo spirito: "Il miglior modo di giungere alla pacificazione è quello d'impiegare l'azione simultanea della forza e della politica. Bisogna ricordare che nelle lotte coloniali non dobbiamo distruggere che nei casi estremi, e anche in questi casi, non distruggere se non per meglio ricostruire. Sempre noi dobbiamo curare il paese e i suoi abitanti, poiché quello è destinato a ricevere le nostre imprese di colonizzazione futura, e questi saranno i principali agenti e collaboratori per condurre a buon fine tali imprese. Ogni volta che un ufficiale è costretto ad agire contro un villaggio o un centro abitato, non deve dimenticare che la prima sua cura, dopo aver ottenuto la sottomissione degli abitanti, sarà quella di ricostruire il villaggio, di crearvi un mercato, di aprirvi una scuola. È da questa azione combinata della politica con la forza che deve scaturire la pacificazione del paese e l'organizzazione che gli si dovrà dare più tardi".
Quando il generale Gallieni, nel 1905, lasciava Madagascar, l'occupazione dell'isola era compiuta; dappertutto l'azione della Francia era sentita sotto la forma, non solo di un'influenza politica, ma di un'effettiva autorità, che del resto la maggior parte delle popolazioni autoctone accettava volontieri. Tenendo conto dei gruppi etnici, egli aveva lasciato gran parte dell'amministrazione nelle mani di agenti indigeni, sotto sorveglianza di comandanti militari ai quali aveva dato istruzioni di carattere generale molto precise, autorizzandoli nel tempo stesso a una grande iniziativa personale nel regolare le questioni particolari, poiché il loro compito era quello di preparare la via all'autorità civile.
Quest'opera che, in pochi anni, ha trasformato un paese selvaggio in un paese quasi civilizzato, non tardò molto a produrre i suoi frutti. Continuata dai successori, essa ha condotto Madagascar a un considerevole grado di prosperità economica, nonostante le difficoltà presentate dalla scarsa popolazione, e in soli 35 anni di occupazione.
Bibl.: L. Brunet, La France à Madagascar, Parigi 1895; Ch. Duchesne, Rapport sur l'expédition de Madagascar, in Revue du cercle militaire, 1895-1897; L. Brunet, L'oeuvre de la France à Madagascar; Gallieni, Parigi 1903; Ditte, Observations sur la guerre dans les colonies, Parigi 1905; A. Cavaciocchi, La spedizione al Madagascar (1895), Torino 1905; G. Grandidier, Quarante annés de Madagascar, Parigi 1924; H. Johnston, La colonizzazione dell'Africa, Torino 1925; G. Hardy, Hist. de la colonis. franç., Parigi 1928.
Lingua.
La parola indigena malagasy, sostantivo e aggettivo, designa il popolo e la lingua del Madagascar. Questa lingua si divide in un gran numero di dialetti, dei quali gli uni conservano un l originario, e dicono quindi limi "cinque", mentre gli altri mutano in d un l seguita da un i e quindi dicono dimi. In base a ciò, G. Ferrand distingue due gruppi di dialetti, il gruppo L e il gruppo D; a quest'ultimo appartiene anche il hova.
Il hova è parlato nell'Imerina, il centro dell'isola, con la capitale Tananarivo. Invece di hova, è anche chiamato merina, e anticamente lo si designava, a torto, col nome di malagasy. Il hova è, politicamente e culturalmente, il più importante dialetto del Madagascar. Il malagasy, e con esso il hova, è un ramo della famiglia linguistica maleo-polinesiaca o austronesica. Nonostante l'enorme distanza dal paese originario, esso ha fedelmente conservato il carattere di lingua maleo-polinesiaca. Così, per es., sono stati conservati tutti i numerali: hova arivu - malese ribu. Notevoli sono le numerose concordanze con la lingua dell'altro estremo del territorio linguistico maleo-polinesiaco, quella dell'isola di Pasqua: per es., all'importante termine culturale di quest,isola atua "dio" corrisponde il hova matuatua "spirito".
A quale lingua della famiglia maleo-polinesiane è più prossimo il malagasy? R. Brandstetter crede al dayak, e attira l'attenzione in diversi suoi scritti sulle notevoli concordanze, come, per es., la forma passiva dayak buah = hova vua. Dapprima si adoperò in Madagascar la scrittura araba; nel 1820 missionarî inglesi fondarono in Tananarivo una scuola e introdussero l'alfabeto europeo. La loro ortografia, ancor oggi adoperata, ha tre particolarità: si scrive o invece di u; in fine di parola y per i; j sta per d + z. Si scrive, per es., fotsy e si pronunzia futsi "bianco". Il sistema fonetico del hova ha soltanto quattro vocali: a, e, i, u; mancano o ed (il pěpět), o è diventato u, ed ě si trasforma in e nelle sillabe toniche e in i nelle atone. Perciò di fronte all'originario e antico giavanese tĕkĕn "bastone", in hova si ha tehina. Delle consonanti mancano le palatali; la lettera . J non rappresenta quindi la palatale media, ma il nesso d + z (z è la sibilante sonora).
Leggi fonetiche. - L'r sottoposta alla legge RGH (v. maleo-Polinesiache, lingue) dà in hova z, ma anche altri suoni; così accanto al malese urat "vena" al tagal ogat, al dayak uhat, si ha in hova uzatra. Le tenu; k, t, p subiscono in certi casi una variazione che corrisponde a quella della legge di Grimm nelle lingue germaniche; le forme maleo-polinesiache originarie kuku "artiglio" e putih "bianco" suonano in hova huhu e futsi. Una forte modificazione hanno subito in hova le consonanti finali: le originarie forme maleo-polinesiache apuy "fuoco", tĕkĕn "bastone", urat "vena" sono diventate aju, tehina, uzatra. L'accento cade per lo più sulla penultima sillaba, ma le parole con finale allargata accentuano la terzultima, per es., téhina; lo stesso avviene nel makassar.
Il vocabolario presenta un numero mediocre di prestiti; i più notevoli provengono dal sanscrito, come trusa "debito", con tr invece di d, come in tratra "petto" accanto al malese dada. Inoltre si hanno prestiti dalle lingue africane, come ambua "cane", dal bantu mbwa; e inoltre dall'arabo, come salama "pace"; da lingue europee moderne, come buki, dall'inglese book, dite dal francese du thé. Il verbo è assai sviluppato, ma quasi tutte le forme si trovano nell'una o nell'altra delle lingue maleo-polinesiache; così, per es., il morfema attivo ma, antico giavanese matakut, neozelandese mataku, si ritrova nel hova come matahutra. Alcune lingue maleopolinesiache hanno morfemi per indicare i tempi, altre ne sono prive; il hova appartiene alle prime: per es., presente mitehina "camminare col bastone", perfetto nitehina, futuro hitehina. L'n come segno del perfetto si trova in parecchie lingue della famiglia, l'h del futuro è una formazione originale del hova, sorta basandosi sulla preposizione hu, che indica lo scopo, la direzione. Anche gli elementi formativi del sostantivo sono patrimonio comune delle lingue maleo-polinesiache; si confronti hova hamurana da ha + mura + ana, col malese kamurahan, da ka + murah + an "bontà", derivanti da hova mura, malese murah "buono". L'articolo personale è i o ra; il primo ha qualche cosa di confidenziale; l'articolo di cosa suona ni. Tutt'e tre gli articoli si trovano anche in altre lingue maleo-polinesiache; per es., ra in antico giavanese: hova ra Be "il Signore grande", ant. giav. ra Hyîn "la divinità". Lo studio del malagasy cominciò già nel sec. XVII, con F. de Houtman ed E. de Flacourt. Benemerito di questi studî è G. Ferrand con i suoi numerosi libri e articoli.
Bibl.: Grammatica e vocabolario di P. Malzac, Parigi 1926; Richardson, A new Malagasy-English Dictionary, Antanarivo (una nuova ed. è in preparazione); G. Ferrand, Essai de grammaire malgache, Parigi 1903; H. Berthier, Manuel de langue malgache, Tananarivo 1922.