Madame de...
(Francia/Italia 1953, I gioielli di Madame de…, bianco e nero, 100m); regia: Max Ophuls; produzione: Ralph Baum per Franco-London/Indusfilms/Rizzoli; soggetto: dall'omonimo romanzo di Louise De Vilmorin; sceneggiatura: Marcel Achard, Max Ophuls, Annette Wademant; fotografia: Christian Matras; montaggio: Boris Lewyn; scenografia: Jean d'Eaubonne; costumi: Georges Annenkov, Rosine Delamare; musica: Georges Van Parys.
Parigi 1932. Louise, la Madame de… che dà il titolo al film, moglie del generale André, decide di vendere un paio d'orecchini di diamanti, senza dirlo al marito, per pagare certi debiti. Davanti ad André, la donna sostiene di averli distrattamente perduti a teatro. La notizia però si diffonde e il gioielliere a cui Madame de… si è rivolta decide, per prudenza, di avvertire il generale di questa vendita segreta. L'uomo ricompra gli orecchini e li dona a sua volta a un'amante, che li perde al gioco a Costantinopoli, dove li acquista un diplomatico italiano, il barone Fabrizio Donati. Giunto a Parigi, l'uomo conosce Madame de…, si innamora di lei e le regala, come pegno d'amore, proprio i due gioielli. La donna, per riuscire a indossarli, vuole far credere al marito di averli ritrovati casualmente. Il generale però ha intuito la relazione segreta di sua moglie e decide di sfidare a duello Donati. Louise, venutolo a sapere, cerca di convincere il barone a non presentarsi all'appuntamento concordato. Ma la sua è una vana speranza: l'indomani infatti il duello ha luogo. Louise si ferma in una chiesa per chiedere una grazia e offre sull'altare come pegno gli orecchini. Poi si reca ad assistere alla sfida. Udito un colpo di pistola, si sente male e si accascia. La sua domestica, che è andata avanti per vedere, quando torna da Louise si accorge che la donna sta morendo. Rimangono, conservati nella teca, gli orecchini.
Tratto da un romanzo breve di grande successo di Louise De Vilmorin, Madame de… è considerato tra i film di più intensa e personale maturità di Max Ophuls, un regista che ai temi della passione, vissuta all'interno della condizione femminile e in una società nobile e agiata, ha spesso dedicato la propria sensibilità e una notevole ricerca estetica. Ma il fascino segreto del film, ancor più che nella soffice e virtuosistica ricchezza linguistica con cui sono messe in scena le superfici visive (costumi, arredi e scenografia) o nella soave mobilità della macchina da presa ‒ caratteristiche che hanno reso Ophuls un regista assai amato da autori come François Truffaut e Stanley Kubrick ‒ sta forse nella sperimentazione di una sorprendente modulazione tonale, che trascolora dalla commedia alla tragedia prendendo possesso dello spettatore per assorbimento, prima che questi si renda conto dell'inappellabilità dell'esito finale. È una strategia di racconto sorretta da interpreti che indossano i loro personaggi tenendoli in bilico perenne tra ironia e disillusione, collera e affetto, sofferenza e premura. L'autore dirige superbamente Danielle Darrieux, Charles Boyer e Vittorio De Sica, tutti prigionieri tanto di una inviolabile disciplina sociale quanto del sogno impossibile di poterla trasgredire.
Ophuls muove dalla perfetta descrizione di una civiltà che addestra ogni individuo ad adattarsi alla vita grazie all'esercizio incondizionato della futilità, riflessa nella forma elegante degli spazi che abita, dei comportamenti e delle parole che adotta, ma approda all'inferno nascosto di un'esistenza soggettiva di cui l'amore è il più irredimibile simulacro. La donna ne è lo specchio di maggiore trasparenza. Essa può solo seguire un'inclinazione fatta di devozione, trasporto e martirio, anche quando la società la trasfigura in un ideale di bellezza e privilegio, per poi abbandonarla all'autodistruzione e additarla all'umiliazione.
Nel passaggio dalla malizia del vaudeville a un dramma dagli spessori psicologici complessi e sfaccettati, il regista dissimula con una apparente mancanza di sforzo il suo remoto ma disperato scetticismo, camuffato dal piacere del gioco narrativo che riprende per certi versi l'ossessione della circolarità del suo film precedente, La ronde (La ronde ‒ Il piacere e l'amore, 1950). Il ritorno sarcastico dei fatidici gioielli al loro posto di partenza, che avrebbe potuto tranquillamente appartenere a una commedia di Ernst Lubitsch (come del resto è lubitschiana la figura del gioielliere), è il segno della radicale riluttanza del mondo a essere diverso da ciò che è. Una lettura che è stata applicata dalla critica anche a una delle figure che più contraddistinguono il cinema di Ophuls, i lunghi carrelli che seguono e aggirano i personaggi in movimento sulla scena, come accade nella più bella sequenza di Madame de…. (il valzer infinito dei due protagonisti che mette a fuoco l'inesorabile e definitivo appartenersi di due corpi e due sguardi, costruito grazie ad una fuga di dissolvenze e transizioni temporali): non c'è film nel quale Max Ophuls non tenti, con il cinema, di raggirare la vita sapendo meglio di chiunque altro che non è possibile. Nessuno può sottrarsi alla passione che inganna sensi e intelletto, alla tragedia dell'amore, alla sua dolce e provvisoria promessa di felicità, annullamento e abbandono ("La felicità non è mai gaia" era uno dei motti preferiti dal regista). Madame de…, mai a corto di uno scintillio di tenerezza, bellezza, humour e rimpianto, è uno dei più eleganti esempi di come si possa reagire a tutto questo con uno stile inconfondibile.
Interpreti e personaggi: Danielle Darrieux (Madame Louise de…), Charles Boyer (generale André de…), Vittorio De Sica (barone Fabrizio Donati), Jean Debucourt (M. Rémy, il gioielliere), Lia Di Leo (Lola, amante del generale André de…), Paul Azaïs (primo cocchiere), Michel Albert (secondo cocchiere), Madeleine Barbulée (amica di Madame de…), Beauvais (maggiordomo), Jean Degrave (uomo del club, debitore di Madame de…), Claire Duhamel (nipote di Madame de…), Guy Favières (Julien, domestico di Madame de…), Jean Galland (M. de Bernac), Emile Genevois (sentinella), Serge Lecointe (Jérôme Rémy), Robert Moor (diplomatico), Hubert Noël (Henri de Maleville, pretendente di Madame de…), Georges Paulais (testimone del duello), Mireille Perrey (governante), Pauléon (usciere), Colette Régis (venditrice di candele), Michel Salina (testimone del duello), Germaine Stainval (ambasciatrice), Georges Vitray (giornalista).
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 351, juin 1986.