MONTALBAN, Maddalena
– Nacque a Conegliano Veneto il 16 sett. 1820, primogenita del conte Girolamo e di Lucrezia Guizzetti. Fu educata in collegio, forse a Venezia, e nel 1842 sposò il ricco commerciante veneziano Angelo Comello.
Costantemente celebrata nei florilegi della letteratura patriottica postrisorgimentale la biografia della M. è ricordata soltanto nei due momenti cruciali della sua partecipazione alle vicende risorgimentali: l’insurrezione veneziana del 1848-49 e i processi subiti negli anni Sessanta per attività antiaustriche. Ancora da esplorare è il contesto sociale e familiare che contribuì in modo determinante a formarla. La famiglia nobiliare dei Montalban, feudataria imperiale, nel corso del XVIII secolo aveva ottenuto un titolo comitale dalla Repubblica entrando a far parte della nobiltà di Terraferma. Non sono chiari i sentimenti politici dei Montalban, forse antiaustriaci perché nostalgici della Serenissima, ma almeno un altro patriota uscì dalla stirpe, il giovane cugino della M., Oscalco, che morì in seguito a ferite riportate in combattimento durante la difesa di Venezia nel 1848 mentre il padre di lei fece parte del Governo provvisorio di Conegliano alla fine del marzo 1848.
Più noto è il versante della famiglia d’acquisto. Di origine friulana i Comello erano inseriti da generazioni nella vita veneziana. Appartenenti a quel ceto borghese che in epoca napoleonica aveva tratto profitto della vendita dei beni nazionali, in epoca austriaca la loro fortuna, una delle più ingenti in città, era solidamente ancorata al commercio dei grani ma si sostanziava anche per una gran numero di possedimenti agricoli in tutto il Veneto, compresa la proprietà di Mottinello, nel circondario padovano, che fu una delle residenze degli sposi.
Con il matrimonio la M. si legò a un ambiente familiare e sociale di orientamento patriottico, benché prima del 1848 sia difficile metterne in luce i contorni. Un fratello di Angelo Comello, Valentino, sposò Anna Papadopoli, sorella del ricco mercante e banchiere Spiridione. Le due famiglie, partecipi dell’ideale radicale e repubblicano, ebbero strette relazioni con Daniele Manin e furono tra le principali finanziatrici del governo provvisorio. La M. condivise in modo autonomo gli ideali del marito e della famiglia in generale (il suo nome compare spesso associato a quello di Anna Papadopoli e a quello della moglie di Spiridione, Teresa Mosconi, a sua volta legata al circolo milanese di Clara Maffei), e la sua partecipazione diretta alle vicende politiche dei diciassette mesi dell’ultima Repubblica veneziana lo dimostra.
La sua attività è testimoniata da una letteratura otto-novecentesca che non si stacca dall’agiografia. Collegata ad altre patriote, la M. prese parte a una serie di iniziative di raccordo, propaganda, raccolta di fondi, assistenza e tenuta di contatti con altri gruppi di insorti nel nord della penisola. Nell’aprile del 1848 entrò a far parte di un comitato di donne (Pia associazione pel soccorso ai militari) nata per organizzare l’assistenza e la cura dei feriti e il rifornimento di armi e indumenti ai volontari. Il 12 aprile a una pubblica lettera di donne (sottoscritta tra le altre dalla cognata Teresa) che chiedevano alle autorità di potere costituire un battaglione femminile di volontarie armate, fu risposto negativamente con un invito a occuparsi della sussistenza senza dare scandalo con una presenza sulla scena pubblica che nemmeno i più aperti politici veneziani, N. Tommaseo e D. Manin in testa, erano ancora in grado di accettare.
Per questa ragione il tema dell’uguaglianza nella cittadinanza ritorna di continuo negli interventi scritti delle patriote venete, nelle perorazioni a mezzo stampa, nella corrispondenza superstite ma la società e la classe politica criticano, irridono o, semplicemente ignorano un’esigenza femminile assai sentita ancorché non misurabile a pieno. Conscia della situazione, in una lettera a Garibaldi la M. osservava: «La natura mi fece il torto di farmi donna perché il nostro sesso è pieno di schiavitù» (Bianchi, p. 23). Complessivamente, anche la sua esperienza può essere letta alla luce degli studi di genere che hanno riesaminato la partecipazione delle donne al Risorgimento da un lato ampliando e conferendo maggiore solidità al contesto delle singole biografie, dall’altro proponendo l’apprendistato patriottico come momento chiave nel duplice processo di costruzione di cittadinanza e di legittimazione del ruolo sociale della donna. Si tratta di un cantiere aperto nel quale la figura della M. ha trovato uno spazio ancora in grado di alimentare percorsi di ricerca interessanti sia sul versante della storia più intima (per esempio la relazione tra le scelte patriottiche e gli equilibri familiari), sia su quello della presenza pubblica (per esempio l’impegno nel campo caritativo e in quello educativo).
Pur in mancanza di fonti che lo confermino, è probabile che la M. partecipasse all’impresa del primo giornale politico delle donne veneziane: il Circolo delle donne italiane. Foglio della sera patriottico, politico, serio-faceto (settembre-ottobre 1848), d’ispirazione repubblicana, che fu uno dei pochi giornali femminili del Quarantotto italiano.
Intanto, con l’inasprirsi del confronto armato, per impulso della M. il palazzo Comello nella parrocchia di S. Cassiano divenne un ospedale per i sempre più numerosi feriti e qui fu curato anche il generale G. Antonini, protagonista di un curioso quanto macabro episodio: in ricordo dell’assistenza ricevuta donò alla M. il suo braccio amputato e imbalsamato che gli Austriaci sequestrarono negli anni Sessanta.
Domata l’insurrezione del Veneto, le truppe austriache ripresero presto la Terraferma ribelle e già nell’estate del 1848 i Veneziani, nella manifesta impossibilità di consolidare le istituzioni repubblicane, si trovarono di fronte alla necessità di prendere partito per l’annessione al Piemonte: secondo la testimonianza di F. Dell’Ongaro, la M. assistette in lacrime alla scelta annessionista dell’Assemblea che era in contrasto con la sua fede repubblicana. Intanto i parenti acquisiti, oltre a ricoprire cariche di rilievo nel Governo provvisorio e nell’esercito, versavano ingenti somme di denaro per il sostegno della Repubblica. Tale fu il coinvolgimento finanziario dei Comello (che in più, con il ritorno degli Austriaci furono pesantemente multati) che la loro solidità economica ne uscì compromessa.
Dopo la delusione quarantottesca, per la M., come per molti altri Veneti in passato sensibili al richiamo municipalistico, il repubblicanesimo fu declinato in una prospettiva nazionale sempre più lontana da istanze municipalistiche: questo le procurò l’epiteto di «contessa mazziniana», a riprova di una militanza politica più connotata. Ne fanno fede la corrispondenza con Mazzini, che ancora nel 1869 le rivolgeva richieste di aiuti per la cospirazione antimonarchica, e la partecipazione a comitati di azione che nel nome dell’ideale mazziniano promossero i temi dell’indipendenza a Venezia durante gli anni Cinquanta e Sessanta.
Il 13 ag. 1851 la M. perse il marito che la caduta della Repubblica aveva costretto all'esilio insieme con l'omonimo nipote con cui è stato più volte confuso. Rimasta sola con il piccolo Giovanni, unico loro figlio, la donna fu sottoposta, da allora, a uno stretto controllo di polizia che si intensificò dopo la liberazione della Lombardia che aveva deluso le aspettative dei patrioti veneti e che aveva invece rinvigorito la sua partecipazione a iniziative volte al sostegno della causa di liberazione del Veneto.
La fede repubblicana della M. fu mantenuta sullo sfondo di una azione che, al contrario, puntava a sollecitare l’intervento della monarchia italiana per il successo della soluzione unificatrice. Mentre la famiglia vendeva la villa di Galliera Veneta per sostenere finanziariamente la neonata Società Nazionale, la M., ancora in collegamento con altre patriote venete, scriveva a Garibaldi, raccoglieva fondi, teneva vivo tra i conterranei l’ideale nazionale distribuendo materiali patriottici e premeva sulla corte dei Savoia per lo scioglimento del nodo veneto. Dopo che perquisizioni e controlli a suo carico erano andati a vuoto, nel 1861 gli Austriaci riuscirono ad arrestarla: l'accusa, presto caduta, era quella di avere organizzato con Teresa Danielato, Laura Sardi e Marianna Goretti, una messa di suffragio per la morte di C. Cavour.
Nel 1863 fu di nuovo arrestata con la padovana Leonilde Lonigo Calvi per avere commissionato una spada artistica da donare a Garibaldi come invito a intervenire in armi per la liberazione del Veneto e per avere inviato in dono alla principessa Maria Pia di Savoia, sposa in Portogallo nel 1862, un album dall’aperto messaggio simbolico, con immagini delle Tre Venezie, offerto dalle donne venete, triestine e istriane. Nel corso del processo emerse il quadro delle attività antiaustriache del comitato repubblicano del quale faceva parte la contessa e il procedimento si concluse con una condanna che la M. scontò prima nel carcere del Ponte della Paglia e in seguito, dopo la scoperta della sua corrispondenza con altri detenuti politici, in quello, più duro, della Giudecca. Durante la prigionia subì nel 1864 un secondo processo per reati analoghi, ma nella fase istruttoria un atto di clemenza di Francesco Giuseppe portò alla sua scarcerazione. Tornata libera dopo ventotto mesi di detenzione, fu prosciolta dalle imputazioni il 2 ag. 1864.
Non tardò molto a riprendere l’attività patriottica. Un rapporto della polizia austriaca del 1865 testimonia di un suo viaggio a Firenze, nuova capitale del Regno, con la cognata Anna Papadopoli, per le celebrazioni del centenario dantesco. Nel 1867, un anno dopo la liberazione del Veneto, la M., la cui fama di «contessa mazziniana» si era ormai consolidata, ricevette una visita di Garibaldi, con il quale era in corrispondenza fin dal 1848. In seguito all’incontro il generale ottenne dalla M. un contributo per l'impresa di Mentana, segno che l’interesse patriottico di lei non si era esaurito con il conseguimento dell’obiettivo principale.
Nel 1868 le condizioni di salute della M. peggiorarono e non valse a ristabilirle un soggiorno nel meridione d’Italia. Morì a Venezia il 31 maggio 1869.
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