MAESTRO del PARAMENTO DI NARBONA
Pittore anonimo, attivo in Francia a partire dagli anni settanta del sec. 14°, che deriva la propria denominazione da un paramento di altare proveniente secondo la tradizione da Narbona, dove dovrebbe essere stato rinvenuto, agli inizi dell'Ottocento, dal pittore Jules Boilly, che lo vendette nel 1852 al Louvre di Parigi, dove tuttora si conserva (Brière, 1924).
Del pezzo, realizzato a grisailles su sciamito di colore bianco, probabilmente destinato a ricoprire la parte superiore e posteriore di un altare (Bouchot, 1904a, p. 6), non si ha alcuna testimonianza documentaria. Riferimenti a opere realizzate con la medesima tecnica, indicate come chapelles quotidiennes nell'inventario di Carlo V (1364-1380) del 1379 (Parigi, BN, fr. 2705, nrr. 1121-1122; Bouchot, 1904b, pp. 107-109), attesterebbero l'appartenenza del paramento all'ambito artistico gravitante intorno al sovrano francese, che forse ne fu proprio il committente, come sembrano testimoniare la presenza del ritratto dello stesso re e quella della cifra K, ripetutamente indicata lungo i bordi.
La superficie del paramento è spartita da un sistema architettonico continuo di arcate gotiche, di diverse dimensioni, che inquadrano al centro una Crocifissione; a sinistra è il ritratto di Carlo V, sormontato dalla personificazione della Chiesa e dal profeta Isaia; a destra è il ritratto della regina Giovanna di Borbone, sua consorte, anch'essa ritratta di profilo come il sovrano, al di sotto della personificazione della Sinagoga e del profeta Davide. Ai lati della composizione centrale si trovano, partendo da sinistra, le seguenti raffigurazioni: la Cattura di Cristo, la Flagellazione, la Salita al Calvario, la Deposizione, la Discesa agli inferi e il Noli me tangere. Per la realizzazione dell'opera è generalmente accettata una datazione intorno agli anni 1370-1375 (Meiss, 1967, p. 100; Sterling, 1987, p. 220), in ogni caso anteriore al 1378, anno di morte di Giovanna di Borbone.L'opera del M. del Paramento di Narbona si ricollega palesemente alle esperienze artistiche di Jean Pucelle, inserendosi coerentemente nel contesto delle ricerche figurative francesi e specificamente parigine della fine del sec. 14°, al corrente dei fatti artistici italiani e soprattutto delle tradizioni figurative senesi tardoduecentesche (Duccio di Buoninsegna e allievi), la cui conoscenza è incontrovertibilmente attestata dal repertorio iconografico prescelto (Meiss, 1967). Ma l'originalità dell'opera del M. del Paramento di Narbona, che ne fa un artista di primissimo livello, consiste in una sorprendente capacità creativa, in grado di gestire disinvoltamente l'ampio e variegato patrimonio culturale a disposizione, non privo di significativi contatti con la tradizione fiamminga (Meiss, 1967), con l'approdo a un linguaggio del tutto personale, anche rispetto alle esperienze artistiche pucelliane e di altri suoi conterranei, che si segnala per tratti di naturalismo di evidente estrazione nordica.Tra le proposte di identificazione del M. del Paramento di Narbona - oltre agli isolati riferimenti ad André Beauneveu (Hulin de Loo, 1925, p. 123ss.), a Jacquemart de Hesdin (Winkler, 1924), al Maestro aux Boqueteaux (Byvanck, 1930) e a Jacques Daliwe (Kreuter Eggemann, 1964) - va segnalata quella che, benché costruita esclusivamente in base a ipotesi e pertanto da valutare con cautela, è la più accreditata presso gli studiosi (Lemoisne, 1931, pp. 37-38): avanzata già da Bouchot (1904a), e recentemente accolta e ampiamente argomentata da Sterling (1987, p. 220ss.), tale proposta suggerirebbe un'identificazione del M. del Paramento di Narbona con il pittore Jean d'Orléans, la cui prestigiosa attività artistica, al seguito dei sovrani francesi Giovanni II il Buono, Carlo V e Carlo VI, appare ampiamente documentata dal 1361 al 1407 (Henwood, 1980). Peraltro i rapporti accertati di Jean d'Orléans con Jean de Valois, duca di Berry (v.) - correlati all'attribuzione pressoché unanime al M. del Paramento di Narbona e alla sua bottega di alcune parti delle Très Belles Heures de Notre-Dame, la cui commissione dovrebbe rapportarsi proprio al duca -, sembrerebbero costituire per Sterling (1987) un'argomentazione decisiva in favore dell'ipotesi di identificazione da lui sostenuta.Il manoscritto delle Très Belles Heures de Notre-Dame, eseguito in due diverse fasi, è oggi smembrato tra Parigi (BN, nouv.acq.lat. 3093; quattro fogli erratici sono al Louvre, Cab. Des., inv. R.F. 2022-2024) e Torino (Heures de Milan; Mus. Civ. d'Arte Antica), mentre della sezione un tempo conservata a Torino (Heures de Turin; Bibl. Naz., K.IV.29), distrutta in occasione di un incendio avvenuto nel 1904, resta ora quale testimonianza esclusiva la documentazione grafica offerta dalla pubblicazione di Durrieu (1902). Della parte conservata a Parigi, originariamente costituita da trentuno miniature, di cui ne restano solo venticinque, sembrerebbe riconducibile al M. del Paramento di Narbona l'ideazione di parte dei disegni relativi alla prima fase illustrativa, avvenuta con buone probabilità intorno agli anni ottanta del secolo, disegni ai quali avrebbe poi lavorato un artista di ipotetica estrazione fiamminga. Si tratterebbe delle otto scene delle Ore della Vergine, di quelle dell'Ufficio dei morti, delle Orazioni della Passione e delle prime quattro miniature delle Ore della Croce.Maggiori riserve devono nutrirsi sull'attribuzione in prima persona all'artista di miniature delle Heures de Milan (Hulin de Loo, 1911, p. 11ss.; Ring, 1949, p. 191; Kreuter Eggeman, 1964, fig. 83), dove qualche scadimento di ordine qualitativo palesa l'intervento di collaboratori meno dotati (Sterling, 1987). Sembrerebbero fare eccezione le raffigurazioni con l'Incoronazione della Vergine e con il Cristo in pietà (Sterling, 1987, figg. 139-140), nelle quali, soprattutto per quel che concerne la seconda, sono del tutto ragionevolmente riscontrabili le sigle tipiche dell'artista, specie nel raffinato assottigliamento delle figure, che richiama da presso le eleganti immagini del paramento di Narbona.È infine da segnalare la suggestiva proposta avanzata da Pächt (1956), e accolta da Sterling (1987, fig. 135), di assegnare al pittore anche un disegno conservato a Oxford (Christ Church Lib., A 2), raffigurante un arciere, da altri ritenuto opera di un artista boemo (Meiss, 1967, p. 132).
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