Vedi OLIMPIA, Maestro di dell'anno: 1963 - 1996
OLIMPIA, Maestro di
Con questo nome convenzionale si indica l'ignoto scultore che creò la decorazione in marmo di Paro del tempio di Zeus a Olimpia. Pausania (v, 10, 1-9) attribuisce il frontone orientale a Paionios e l'occidentale ad Alkamenes e H. Brunn nel 1887 seguiva fedelmente queste attribuzioni del periegeta. Questa testimonianza di Pausania ha contribuito a ritardare la classificazione stilistica delle sculture, perché mentre si andavano riconoscendo i caratteri che accomunano metope e frontoni, da un lato rimaneva difficile rifiutare la precisa testimonianza di Pausania, dall'altro si cercava almeno di giustificarla in qualche modo e, inoltre, anche escludendo i nomi di Alkamenes e di Paionios, restava la suggestione di una cerchia ionica o di una cerchia attica in cui inquadrare le sculture. La lunga serie di studi critici sui marmi di Olimpia rivela così una serie di giudizi contrastanti, di soluzioni di compromesso, finchè in tempi più recenti non si è andata rafforzando la convinzione che tutta l'opera è creazione di un unico maestro che si è chiamato appunto il Maestro di Olimpia. Le varie teorie si possono raggruppare in alcuni giudizi fondamentali: già nel 1883 il Förster non dava credito a Pausania escludendo i nomi di Paionios ed Alkamenes, ma l'esplicita attribuzione del periegeta ha seguitato tuttavia a trovare sostenitori come il Waldston nel 1926, e come lo Schrader nel 1944, che peraltro cercò di dare una diversa giustificazione della menzione di Pausania attribuendo i due frontoni a Paionios e le statue in pentelico, rimpiazzate in un secondo tempo negli angoli del frontone occidentale, ad Alkamenes.
A parte lo studio del Buschor del 1926, che volle distinguere ben cinque maestri forse peloponnesiaci attivi ad Olimpia, in genere si sono attribuite le sculture o a due diversi maestri o a un solo artista, oppure si è parlato più genericamente di scuola peloponnesiaca (Studnizcka 1887, Collignon 1897, Studnizcka 1926, Rumpf 1936, Poulsen 1937). La presenza di due scultori è sostenuta nel 1928 dallo Schweitzer che distingue il fondatore dell'officina e creatore del frontone orientale e delle metope nella scia peloponnesiaca, argiva, e un maestro ionico più evoluto creatore del frontone occidentale. Anche il Langlotz, nel 1934, pur attribuendo la creazione di tutte le sculture e la direzione del lavoro ad un unico "Maestro di Olimpia", considerandolo un dorico, forse argivo, distingue anche mani di aiuti e scolari, fra i quali un maestro giovane ionico, che si affermerebbe specialmente nel frontone occidentale. Più numerosi sono peraltro i critici che riconoscono lo stile unitario di tutti i marmi e parlano di un unico maestro (Loewy 1911, Trendelenburg 1914, Picard 1923), sebbene sulla caratterizzazione di questo stile i giudizi tornino ad essere spesso discordanti. Quest'unico maestro è di Paro secondo il Furtwängler (1893), è ionico per il Rodenwaldt (1926), pur ammettendo che avrebbe copiato tipi peloponnesiaci nelle metope e avrebbe risentito l'influsso della pittura attica nei frontoni, ed è ugualmente ionico per il Curtius (1928), mentre per il Laurenzi è uno ionico isolano ma trapiantato nel Peloponneso (1950); è invece un attico per il Klein (1904) e addirittura Fidia giovane per il Sitte (1925, 1929), il Weege (1935) il Ducati (1939). Il nome di Alkamenes è pronunciato per tutte le sculture dal Della Seta nel 1930, mentre nello stesso anno la Richter suggeriva un Alkainenes più antico del discepolo di Fidia, e ad un Alkamenes leniniota più antico con varî aiuti argivi, attici, ionici pensava nel 1939 anche il Bulle. Di un unico maestro di formazione peloponnesiaca ha parlato il Becatti (1939) e in generale come tale si tende a definire questo artista negli studî più recenti, nei quali resta affermata l'unità stilistica di tutta la decorazione plastica, pur rimanendo tuttora stranamente isolato nella sua epoca questo singolare e altissimo genio creatore.
(G. Becatti)
Il tempio di Zeus ad Olimpia (v.) era ornato, con straordinaria ricchezza, da sculture: 21 figure, in parte di dimensioni superiori al naturale, decoravano il frontone orientale, 22 quello occidentale. Dodici metope scolpite erano divise tra la fronte del pronao e quella dell'opistodomo, e la sima del tetto era dotata, su ogni lato lungo del tempio, di 51 gronde con protomi leonine. Tutte queste opere sono uscite dall'officina del Maestro di O.; benché si avverta chiaramente che ad esse ha lavorato uno dei più grandi scultori dell'antichità, esse non possono assolutamente essere frutto di una sola mano. Questo complesso artistico preclassico lascia lungi dietro di sé l'arte arcaica, e il suo creatore deve essere annoverato fra i grandi dell'arte mondiale. Fino ad ora tutte le indagini dirette a scoprirne il nome sono state vane. Pausania (v, 10, 6 ss.), che descrive in modo relativamente dettagliato i frontoni e le metope, menziona anche due nomi di maestri attribuendo a Paionios di Mende il frontone orientale e ad Alkamenes quello occidentale. Ma questi nomi non hanno retto all'indagine critica e sono stati scartati per motivi stilistici e cronologici.
La poderosità dell'opera risulta già dalle dimensioni dei timpani, che misurano m 26,40 di lunghezza, 3,30 di altezza, nel centro, e 1 m di profondità; questo significa che l'altezza della figura centrale ammontava all'incirca a m 3,15.
Nessuno degli innumerevoli frontoni dell'arte greca si è conservato in modo, anche approssimativamente, così completo come i due frontoni del tempio di Zeus. La loro ricostruzione è quindi assolutamente certa, salvo pochi particolari problematici. Le dodici metope, lavorate, come i timpani, in marmo di Paro, sono alte m 1,60 e larghe m 1,50, e sono decorate, ognuna, da due o tre figure in vigoroso rilievo; anche questo è un lavoro molto ampio già dal punto di vista puramente esteriore. Se aggiungiamo ancora i 102 blocchi della sima con le protomi leonine, che certamente erano stati collocati sul tetto quando l'edificio era già stato ultimato, e se facciamo presente le loro dimensioni (lunghezza del blocco della sima m 1,30, altezza della sima m 0,45, profondità del tegolo applicato m 0,90), appare chiaro che qui è esistita una officina in cui erano all'opera, sotto la direzione di un artista, numerosi aiutanti e innumerevoli scalpellini.
Sul frontone orientale (Paus., v, 10, 6-7), sulla facciata principale e l'ingresso del tempio, Zeus, al centro della composizione, con il fulmine nella mano sinistra abbassata, sovrasta tutte le altre figure quale signore del luogo e del tempio; i re Enomao e Pelope, gli eroi dei tempi primitivi, con le loro mogli, seguono, uno a destra e l'altro a sinistra del dio, mettendo così in rilievo la loro funzione nell'istituzione dei giochi e, nello stesso tempo, la loro secondarietà in ordine gerarchico. Senza gli altri due gruppi negli angoli, il significato della rappresentazione, ossia la storia del santuario e dei giochi, non sarebbe chiaro.
Più propriamente, qui è raffigurato il giuramento del regolamento della gara, alla presenza del protettore stesso del giuramento, e la preparazione della corsa con i cocchi divini. I due indovini barbuti, Iamos e Klytios, progenitori delle caste sacerdotali di Olimpia, sono un'allusione alla caratteristica di luogo oracolare. Le altre figure completano significativamente l'azione. La fanciulla inginocchiata sottolinea l'atteggiamento regale di Sterope, mentre accanto a Pelope le fa riscontro un fanciullo che regge le redini dei cavalli. Un auriga, dietro la quadriga, appartiene anch'egli al seguito di Pelope. Le due figure angolari, interpretate da Pausania, secondo lo spirito dell'età imperiale, come le due divinità fluviali Alfeo e Cladeo, saranno state, più probabilmente, gli aiutanti degli indovini, appartenenti al personale stabile addetto al culto nel santuario. In questo modo viene dato maggior risalto alla santità dell'azione di sacrificio che ha luogo all'altare di Zeus nell'Altis: non è necessario che l'altare venga raffigurato sul frontone, perché esso si trova nelle immediate vicinanze. L'allusione al giuramento è significativa, in quanto l'importanza di Olimpia poggiava proprio sull'osservanza della pace divina che era stata giurata e sull'adempimento delle condizioni che regolavano le gare.
Sul frontone occidentale l'azione risulta più facilmente comprensibile, benché già all'epoca di Pausania alcuni particolari fossero fraintesi.
Si può ricordare, per esempio, che nel Il sec. d. C. la figura al centro del frontone (Apollo) fosse falsamente interpretata come Piritoo. Ai due lati di Apollo, che appunto vediamo nel mezzo del timpano ma che figura come invisibile, infuria una mischia selvaggia tra i Lapiti ed i centauri. Alle nozze di Piritoo, re dei Lapiti, che dovevano essere festeggiate alla presenza del suo amico ateniese, Teseo, si accese una lotta con gli ospiti, i centauri, che, nell'ebbrezza, volevano rapire i giovani e le fanciulle. Questi esseri della natura non erano abituati al vino, e poche gocce di bevanda bastarono a scatenare la loro furia selvaggia. Possiamo individuare Apollo, Piritoo con la sposa Deidamia, assaliti dal vecchio centauro Eurizione, sulla metà sinistra del frontone; sull'altra metà Teseo, accanto ad Apollo. Ci mancano i nomi delle altre singole figure, dei centauri e dei partecipanti alla festa, dei giovani, delle fanciulle e delle vecchie governanti dei Lapiti.
In questo caso l'esegesi della rappresentazione del frontone non è problematica; ci si domanda piuttosto perché mai questo mito fondamentalmente attico sia stato trattato nel santuario di Olimpia, nel cuore del Peloponneso, e, per di più, in un luogo così significativo. L'unica spiegazione possibile è la seguente: dopo le grandi vittorie nelle guerre persiane, nelle quali così importante era stata la partecipazione degli Ateniesi, le formule attiche si erano affermate nel campo dell'arte figurativa. A questo si aggiunga che il Maestro di O., del quale non si è ancora potuto accertare in modo ineccepibile l'origine, si era liberato totalmente dei legami regionali, sia dal punto di vista formale che da quello artistico, ed aveva trovato per le sue figure espressioni universali e, infine qui, nella patria degli agoni panellenici, era semplicemente diventato un greco. Egli si solleva quindi al di sopra del carattere puramente attico del mito raccontato, per approdare nella regione umana, universale. Più importanti del primo significato del mito di Piritoo sono le affermazioni sostanziali sulla lotta e la rozzezza, sulla vittoria e la barbarie, sulla punizione dell'infrazione alle leggi dell'ospitalità, sulla gioventù e la vecchiaia, sulle azioni di donne e uomini.
Le dodici metope proclamano la fama di Eracle, l'eroe della stirpe dorica, qui rappresentato soprattutto in qualità di fondatore dei giochi olimpici. Questo è il terzo grande tema delle narrazioni illustrate del tempio di Zeus. I temi divini dominano il campo dei frontoni; Eracle si trova in una posizione più modesta, perchè le metope erano applicate all'ordine di colonne interno, sei sulla fronte del pronao e sei su quella dell'opistodomo. Anche qui, nelle parti più antiche della decorazione figurativa, il Maestro di O. supera la contingenza del tema di Eracle e non si limita a raccontare la storia della vittoria sul leone di Nemea, della cattura del toro cretese, della vittoria su Diomede ecc., ma esprime le fatiche dell'uomo, la grandezza dello sforzo, l'aiuto e l'assistenza degli dèi. E questo risulta già dalla scelta del momento rappresentato: in contrapposizione alle antiche raffigurazioni dell'età arcaica, ora non si indica tanto l'azione vera e propria, lo strozzamento del leone, ma il riposo dopo l'impresa, non il momento in cui Eracle lega il toro, ma il toro domato dopo la cattura, non l'eroe in atto di scagliare dardi contro gli uccelli di Stinfale, ma Eracle che presenta gli uccelli ad Atena, la sua divinità protettrice.
Le 102 protomi leonine della cimasa sono state applicate qui in continuazione della tradizione arcaica, e non si può attribuire loro una particolare importanza al di là del loro carattere tipologico. Esse sono però elaborazioni molto vivaci dell'antico tema, indubbiamente eseguite nella stessa officina che ha prodotto i frontoni e le metope. Queste gronde hanno anche un particolare interesse dal punto di vista archeologico, perché se ne può seguire l'evoluzione durante i secoli, dato che i frequenti danni subiti da questa parte del tetto, molto esposta alle intemperie, esigevano continui lavori di rinnovamento e di riparazione.
Gli acroteri centrali e quelli degli angoli non sono sicuramente più della mano del Maestro di Olimpia. Paionios di Mende, nell'iscrizione sulla base della Nike, si gloriava di averli eseguiti: su ogni frontone, una Nike dorata al centro e due tripodi dorati agli angoli.
È comunque probabile che questi soggetti fossero già compresi nel programma complessivo del Maestro di O., e che egli li avesse ideati dando particolare importanza al tema. La Nike, acroterio centrale, ha qui una funzione specifica, in quanto porta la corona di vittoria olimpica, per incarico del titolare del tempio, Zeus, sia al vincitore della gara, Pelope, che ai concorrenti dei giochi olimpici. I tripodi, gli acroteri angolari, sono un'allusione agli agoni del passato, quando i tripodi costituivano ancora i premi della vittoria. Così anche in questo punto, forse di minore importanza, vengono ricollegati, in modo particolarmente significativo, passato e presente.
Per comprendere la grandezza del Maestro di O., dobbiamo far presente tutti gli elementi nuovi ed originali di cui ha colmato le sue figure. Egli abbraccia la vita intera: gli dèi, gli eroi e gli uomiui, i dèmoni e gli animali, la terra e gli oggetti, tutto viene espresso in modo nuovo e veramente universale.
Il Maestro di O. raffigura soltanto tre figure divine: Zeus sul frontone orientale, Apollo su quello occidentale ed Atena sulle metope. In contrapposizione all'affollamento di divinità, tipico dei fregi e frontoni arcaici, il fatto che qui gli dèi siano raffigurati separatamente aumenta la potenza delle loro apparizioni. Mai prima si era visto uno Zeus (purtroppo non se ne è conservata la testa) con un gesto così contenuto e, nello stesso tempo, così energico, con la destra che stringe il lembo della veste, mentre la sinistra è pronta a scagliare il fulmine. E soprattutto è mirabile il grandioso gesto di Apollo, con il quale il dio doma i rozzi centauri e offre contemporaneamente aiuto alla sposa e ai Lapiti in lotta, tenendo anch'egli l'arco nella mano sinistra abbassata.
Sulle metope, dove si narrano le eroiche imprese di Eracle, più vicine al mondo umano, Atena assume un atteggiamento meno ufficiale, ed aiuta il suo protetto a portare la vòlta celeste, gli indica il metodo per pulire la stalla di Augia, siede su una roccia mentre Eracle le mostra gli uccelli di Stinfale catturati. In quest'ultima metopa la dea, benchè rivestita dell'egida, ha però deposto l'elmo, e appare con elmo, scudo e lancia soltanto sulla metopa di Augia. Sulle metope di Atlante e del leone la dea non ha con sé nessuno degli attributi tradizionali, eppure resta inconfondibilmente Atena. La sua personalità viene indicata mediante svariate allusioni: la dea è la saggia consigliera nell'avventura di Augia, pronta ad intervenire con la sua lancia in caso di necessità; è invece un'efficace aiutante, che sorregge anch'essa la vòlta celeste, nell'episodio di Atlante; una giovane ammiratrice dell'eroe sulla metopa del leone, e, infine, sulla metopa degli uccelli di Stinfale, è una divinità imperturbabile, che si rivolge amabilmente al vincitore, degnandosi di concedergli un momento di attenzione (v. eracle, fig. 464).
Gli eroi dei tempi antichi, sempre presenti alla memoria, sono rappresentati sui frontoni dalle possenti figure di Pelope e di Enomao, di Piritoo e di Teseo e delle loro mogli, e anche le figure secondarie, gli indovini e gli inservienti addetti al culto, sono innalzate nella sfera degli eroi.
Anche in questo caso la caratterizzazione, mediante attributi, dei singoli personaggi è stata limitata all'estremo; età e costume, movimento e atteggiamento, e infine la posizione all'interno del frontone e della composizione complessiva, tutti questi elementi conferiscono ad ogni singola figura il rango che le spetta.
Il mondo intermedio dei dèmoni è rappresentato dai mostri incontrati da Eracle nelle sue fatiche, l'idra, Cerbero, i cavalli carnivori di Diomede, il leone di Nemea, e culmina nelle figure dei centauri del frontone occidentale. Il mondo mitico dell'età arcaica riecheggia ancora nelle avventure di Eracle, ma nelle figure dei centauri è stato interpretato in modo diverso e nuovo: essi sono l'immagine delle passioni umane e della barbarie selvaggia, intento espressivo, questo, che è estraneo all'arte più antica.
Innumerevoli animali appartengono al mondo del mito di Eracle, il cinghiale, la cerva di Artemide, il leone e il cavallo, che già sono stati ricordati, e infine l'animale più possente raffigurato sulle metope, il toro cretese domato. Tutti questi animali sono vinti di gran lunga dai cavalli, moblii e immobili, delle due quadrighe del frontone orientale, che con le loro vene enfiate sotto la pelle tesa, con le loro code sferzanti, con i loro occhi sbarrati, sono una delle più impressionanti raffigurazioni di animali dell'antichità.
Molti oggetti servono a chiarire la narrazione, a giustificare movimenti, a collegare o a separare le figure. I due carri del frontone orientale, sicuramente eseguiti in bronzo, sono andati perduti, e così pure gli altri oggetti in bronzo, le spade, i coltelli, i dardi, gli archi e il fulmine di Zeus, oggetti che dobbiamo immaginarci ricoperti in parte da una doratura, se non altro per aumentarne la durata.
Eseguiti nello stesso marmo delle figure sono gli elmi di Atena, di Pelope e di Enomao, lo scudo di Gerione, le clave di Eracle, il pìthos di Euristeo. Nessun oggetto appare più di quanto non sia necessario, ma ogni volta serve a fornire una spiegazione indispensabile.
Le vesti sono sempre state considerate con particolare ammirazione, perché sono indubbiamente la creazione più originale del Maestro di Olimpia. Stoffe ricadenti pesantemente vengono modellate in larghe superfici, suddivise in panneggi ampi e chiari, che scendono, si raccolgono, vengono stretti da una cintura: qui appaiono per la prima volta le cosiddette "pieghe a occhio". Le vesti servono stupendamente alla costruzione di ogni singola figura, chiarendo così la composizione complessiva dei frontoni e delle metope. Magistralmente eseguito, da questo punto di vista, è il manto di Zeus, che, con le sue due diagonali principali e con l'arco della veste che scende sui fianchi, dà un impulso ascensionale alla figura di Zeus, e nello stesso tempo arresta le correnti di movimento delle due parti del frontone e le equilibra entrambi, nel centro.
La posizione del Maestro di O. all'interno dell'arte greca non è problematica, dal punto di vista cronologico, perché è determinata dalle date di costruzione del tempio (471-456). Sono invece problemi ancora da risolvere l'origine di questo artista, la sua stirpe e i suoi contatti artistici, e, infine, la ripartizione delle opere tra differenti mani. I nomi ricordati da Pausania sono stati rifiutati dopo tutte le recenti acquisizioni dell'archeologia, non possiamo quindi servircene. Per tutti gli interrogativi che ci siamo posti esistono innumerevoli proposte nella letteratura scientifica, ed è assolutamente impossibile riferirle tutte.
Si può però affermare con certezza che fino ad ora non è stata trovata una soluzione per questi problemi. Un grande artista, che si trovava già all'apice delle sue possibilità artistiche, deve essere stato incaricato della decorazione del tempio di Zeus dall'amministrazione del santuario di Olimpia. Egli deve aver collaborato con l'architetto Libon di Elide, cui era affidata la costruzione del tempio. Ci si può dunque chiedere se anche lo scultore fosse originario di Elide. Ma, dato che né in Elide, né ad Olimpia esisteva una scuola di scultura, il Maestro di O. deve aver trascorso la sua gioventù e il periodo di tirocinio altrove. Sicuramente egli fece venire ad Olimpia da scuole differenti i collaboratori che gli erano necessari, ed essi gli furono docilmente subordinati; così, per un breve periodo di tempo, si costituì ad Olimpia una scuola e un'officina propria ed autonoma. Le acquisizioni e le caratteristiche di tutte le scuole di scultura greche si incontrarono qui e si fusero in un insieme nuovo ed unitario, così che tutti i tentativi di scoprire delle derivazioni e delle rotture appaiono senza senso.
(U. Jantzen)
Bibl.: G. Treu, in Olympia, Ergebn., III, 1897, pp. 44 ss.; E. Buschor-R. Hamann, Die Skulpturen des Zeustempels zu Olympia, Marburgo 1924; E. Buschor, Die Olympiameister, in Ath. Mitt., LI, 1926, pp. 163 ss.; E. Langlotz, Die Herkunft des Olympiameisters, in Jahrbuch, XLIX, 1934, pp. 24 ss.; W. Hege-G. Rodenwaldt, Olympia, Berlino 1936; G. Becatti, Osservazioni sul Maestro d'Olimpia, in La Critica d'Arte, IV, 1939, pp. 1 ss.; VI, 1941, pp. 65 ss.; id., Il maestro di Olimpia, Firenze 1942, con bibl. prec.; W. H. Schuchhardt, Die Niobidenreliefs vom Zeusthron in Olympia, in Mitt. d. Inst., I, 1948, pp. 95 ss., soprattutto pp. 128 ss.; L.Laurenzi, Revisioni e prospettive critiche sui marmi di Olimpia, in Arch. Class., II, 1950, pp. 7 ss.; S. Stucchi, in Annuario Atene, 30-32, 1952-54, pp. 77 ss.; M. Floriani Squarciapino, ibid., 30-32, 1952-54, pp. 131 ss.; F. Willemsen, Die Löwenkopf-Wasserspeier vom Dach des Zeustempels, in Olympische Forschungen, IV, 1959; v. anche la voce olimpia.
(G. Becatti - U. Jantzen)