Vedi OLIMPIA, Maestro di dell'anno: 1963 - 1996
OLIMPIA, Maestro di (v. vol. V, p. 656)
Continua il tentativo d'identificare l'anonimo Maestro di O. con uno degli scultori di epoca classica il cui nome è noto, e proseguono al contempo i tentativi di sistemazione, secondo officine, della decorazione scultorea del Tempio di Zeus. Gli artisti che lavorarono a olimpia all'epoca della costruzione del tempio sono quelli che allora erano maggiormente tenuti in considerazione.
Pitagora di Reggio, che eseguì nel santuario statue di atleti, è, secondo il Fuchs (1976), l'artista che con la sua personalità dà l'impronta all'insieme delle sculture, mentre l'esecuzione sarebbe opera di un'officina peloponnesiaca in collaborazione con scultori di Paro. La Schlörb (1979) concorda con l'opinione del Fuchs circa Pitagora, ma suppone un'eventuale collaborazione di Dionysios di Argo, autore, nel terzo decennio del V sec. a.C., del donario di Mekythos. La sua ipotesi si basa sulle somiglianze rilevate tra l'orfeo di Pietroburgo (probabile copia dell'orfeo del donario) e le figure dei frontoni.
Per questi ultimi anche lo Schefold (1963) pensava a uno scultore argivo proponendo il nome del celebre flageladas. Escludendo l'officina di Egina, anche la Walter-Karydi (1987) lascia intendere di pensare all'ambiente argivo. Nell'area peloponnesiaca ricerca il Maestro di O. pure il Dörig (1987), che ritiene gli elementi dorici e ionici dei frontoni giustificabili con il luogo di formazione dello scultore, la Laconia, dove erano attivi poeti e artisti provenienti dall'Asia Minore e dalle isole: secondo questa ipotesi il maestro dei frontoni fu forse il lacedemone Kalliteles, il cui nome, corrotto in Alkamenes, sarebbe stato tramandato da Pausania. Kalliteles lavorò con onatas per il donario degli Achei a olimpia e, in opere che egli ritiene repliche degli eroi del donario, il Dörig trova somiglianze con figure del frontone orientale.
Per quanto riguarda lo schema generale, all'incirca allo stesso orizzonte si rivolge anche l'Alscher (1976), che tuttavia non indica il nome del maestro principale, ma sottolinea il fatto che ai frontoni operarono due scultori: uno peloponnesiaco, il «Maestro di Apollo» al quale sono attribuiti i caratteri stilistici dorici, e uno ionico, il «Maestro di Zeus», caratterizzato da elementi ionici. I due avrebbero lavorato simultaneamente in entrambi i frontoni: al «Maestro di Apollo» sono assegnate le figure più severe, come p.es. Enomao, la figura femminile con peplo argivo cinto (Ippodamia o Sterope), il Lapita del gruppo a tre figure di sinistra. Lo ionico «Maestro di Zeus» avrebbe invece eseguito le figure stilisticamente più evolute, come Pelope, Piritoo e l'indovino di destra. A un collaboratore di Paro sarebbero dovute la figura con il peplo sciolto (Sterope o Ippodamia) e quella del Cladeo. Con il punto di vista dell'Alscher press'a poco coincide quello di H. V. Hermann (1987), che alla concezione formale dorica collega un maestro probabilmente argivo, mentre a uno scultore ionico assegna le stesse figure proposte dall'Alscher, ammettendo anche la partecipazione di scultori parii e di altre isole all'esecuzione delle statue.
La tradizione peloponnesiaca viene respinta dal Robertson (1975) che ritiene probabile l'attività di due scultori con reciproci apporti: uno, originario dell'Egeo orientale, sarebbe il responsabile delle metope e del frontone orientale; per l'altro, esecutore dell'ornamento del lato occidentale del tempio, non andrebbe escluso il nome di Alkamenes, influenzato dalla pittura polignotea. Un riflesso della ethographìa polignotea riconosce nei frontoni anche lo Yalouris (1967). La stessa ipotesi è accettata, per il frontone orientale, dalla Säflund (197o), che ritiene probabile l'attribuzione a un più antico Paionios membro della stessa famiglia del Paionios che eseguì gli acroterî del tempio e la Nike. L'Ashmole riconosce l'omogeneità stilistica dell'insieme delle sculture e sottolinea che l'uso del marmo pario è un indizio dell'origine dell'artista. La Kostoglou-Despini (1979) non vede nella costruzione delle sculture di olimpia la concezione tettonica delle opere parie, ma ammette che artisti parii abbiano partecipato alla loro esecuzione come appare da alcuni dettagli dei panneggi, principalmente nelle sculture dei frontoni. Alla vecchia interpretazione che poneva in relazione le sculture del tempio con la tradizione attica ritorna la Tölle-Kastenbein (198o). Basandosi sulla corrispondenza delle peplophòroi dei frontoni e delle metope con analoghe statuette bronzee, la studiosa giunge alla conclusione che le sculture del tempio sono in rapporto con la plastica, la pittura e la poesia dell'Atene di età severa. Diverse tendenze artistiche, peloponnesiache, ioniche e attiche contribuirono, secondo E. La Rocca (1985), alla formazione di un particolare e innovativo linguaggio stilistico. Sculture architettoniche cronologicamente più recenti, come p.es. quelle da Mazî in Elide e altre che possono attribuirsi a officine peloponnesiache di età classica, permettono, come ha messo in evidenza la Triandi (1985), di ricondurre alle sculture di olimpia la tradizione artistica che esse rappresentano.
Parallelamente all'indagine sul maestro dei frontoni, la ricerca di questi ultimi anni si è interessata anche di altri problemi, concernenti in particolare la disposizione delle figure e dei gruppi, la loro interpretazione, le integrazioni, la cronologia delle sculture di epoca successiva presenti all'interno dei frontoni, i procedimenti di esecuzione.
Nel frontone occidentale la composizione acquista in equilibrio con la collocazione dei due eroi della Centauromachia, Teseo e Piritoo, a destra e a sinistra della figura centrale di Apollo e con l'inversione dei gruppi a due figure. A tale soluzione, che ha ricevuto una visualizzazione nella nuova esposizione del frontone, è giunta la maggioranza degli studiosi. Delle figure angolari, interpretate come spettatori, solo quella distesa di destra, in marmo a grana grossa, è originale; quella di sinistra, in marmo pentelico, è una copia, molto probabilmente di età classica, che ha dato luogo al tentativo di collegamento con Alkamenes. Le due successive statue raffiguranti personaggi più anziani che, un poco sollevati, si adagiano su cuscini sono, anche queste, di marmo pentelico, ma furono eseguite probabilmente in epoca tardo-ellenistica o romana, quando, come ha dimostrato il Grunauer, sulla facciata occidentale del tempio vennero sostituite le figure angolari abbattute da un terremoto.
Sul frontone orientale le opinioni divergono per quanto concerne la posizione degli eroi Pelope ed Enomao, i contendenti nella corsa dei carri: è incerto se la loro posizione, a destra o a sinistra di Zeus, come tramandato da Pausania, sia da considerarsi in rapporto alla figura della divinità o al punto di vista dell'osservatore. Irrisolto rimane anche il problema dell'identificazione delle due figure femminili, cioè quale di esse sia Sterope e quale Ippodamia. La figura con il peplo cinto che solleva con la mano destra l'estremità della veste, pur severa nella sua concezione, ha una conformazione più acerba, più giovanile, e forse è Ippodamia. La figura contrapposta, dal seno molle e più basso, resa con maggior morbidezza nel caratteristico gesto esprimente lutto, meglio si addice a Sterope. Delle rimanenti figure sono interpretati come semplici spettatori gli indovini e le personificazioni di fiumi (Säflund, 197o), come Arkas (Yalouris, 1967) o come Melampo (Simon, 1968) il giovinetto seduto in terra che si appoggia con la mano sulle dita del piede.
Non è certo, infine, se Zeus volgesse la testa verso destra o verso sinistra. Si può tuttavia affermare con sicurezza che questa statua rappresenta la figura stilisticamente più evoluta dei frontoni. Al contrario, l'Apollo del frontone occidentale è la creazione più conservatrice di tutto il frontone, legata ancora allo stile severo. La loro diversità potrebbe rispondere solo a una differenza di cronologia, poiché è innegabile l'omogeneità dell'evoluzione artistica di queste e di tutte le figure dei frontoni e ci si domanda se le sculture siano state realizzate sulla scorta di modelli fittili.
In questo caso si dovrebbe pensare a un numeroso gruppo di scultori che avrebbe realizzato i bozzetti in argilla, in collaborazione con un maestro responsabile della composizione e delle rifiniture e che la traduzione in marmo dei bozzetti sia avvenuta a opera di un'officina di scultori che riuscirono a mantenere la sensazione di morbidezza dei panneggi e degli incarnati. Un tale procedimento giustifica tanto le parziali differenze che possono attribuirsi alle diverse mani, quanto l'unità stilistica delle sculture, che è sostanzialmente l'apporto del maestro principale. Il carattere ionico, riconosciuto da molti studiosi soprattutto nelle sculture dei frontoni, va forse posto in rapporto con la collocazione artistica di alcuni degli artefici e può tuttavia esser dovuto anche alle particolarità che presenta la lavorazione dell'argilla, nella quale gli scultori del Peloponneso avevano una lunga tradizione.
Bibl.: K. Schefold, B. Ashmole, N. Yalouris, olympia. The Sculptures of the Temple of Zeus, Londra 1967; E. Simon, Zu den Giebeln des Zeustempels von olympia, in AM, LXXXIII, 1968, p. 147 ss.; M.-L. Säflund, The East Pediment of the Temple of Zeus at olympia (Studies in Mediterranean Archaeology, XXVII), Göteborg 197o (rec. di W. Fuchs, in Gnomon, XLVIII, 1976, p. 416 ss.); Β. Ashmole, Architect and Sculptor in Classical Greece, Londra 1972, p. 27 ss.; Κ. Schefold, Die Aigineten, onatas und olympia, in AntK, XVI, 1973, p. 9o ss.; M. Robertson, A History of Greek Art, Londra 1975, p. 271 ss.; L. Alscher, Zum Anteil verschiedener Bildhauerschulen an der Ausführung der Giebelskulpturen vom Zeustempel. Der Zeus- und der Apollonmeister, in WissZBerlin, XXV, 1976, pp. 449-456; W. Fuchs, Die Skulptur der Griechen, Monaco 1976, pp. 389-392; J. Dörig, onatas of Aegina, Leida 1977, p. 24 ss.; B. Vierneisel Schlörb, Glyptothek München. Katalog der Skulpturen, II. Klassische Skulpturen, Monaco 1979, p. 27 s.; A. Kostoglou-Despini, Προβλήματα της παριανής πλαστικής του ¡ου αι. π. Χ., Salonicco 1979, p. 169 ss.; R. Tölle-Kastenbein, Frühklassische Peplosfiguren. originale, Magonza 198o, p. 27o ss.; H. Geertman, Riflessioni sulle metope del tempio di Zeus a olimpia. Disegno e esecuzione, in BABesch, LVII, 1982, pp. 7o-86; E. La Rocca, Amazzonomachia. Le sculture frontonali del tempio di Apollo Sostano (cat.), Roma 1985, p. 6o; I. A. Triandi, Ο γλυπτός διάκοσμος του ναου στο Μαζι της Ηλείας, Salonicco 1985, p. 128; J. Dörig, The olympia Master and His Collaborators, Leida 1987; H. V. Hermann, olympiameister, olympiawerkstatt, olympiastil, in N. V. Hermann (ed.), Die olympia-Skulpturen, Darmstadt 1987, p. 3o9 ss.; H. Waiter-Karydi, Die äginetische Bildhauerschule. Werke und schriftliche Quellen (AltÄgina, II, 2), Magonza 1987, p. 99 ss.