MAESTRO di S. MARTINO
Anonimo pittore pisano della seconda metà del sec. 13°, così denominato dalla tavola con la Madonna con il Bambino, undici Storie dei ss. Gioacchino e Anna, quattro santi nel riquadro laterale in basso a destra e l'episodio di S. Martino e il povero al di sotto del trono della Vergine (cm. 160123; Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), proveniente dalla chiesa pisana di S. Martino in Cinzica.
L'autore del dipinto, identificato con Cimabue dalla critica ottocentesca (Grassi, 1838; Nistri, 18522), venne indagato e apprezzato per la prima volta come personalità autonoma da Venturi (1907), che individuava nel Protovangelo di Giacomo la fonte delle storie dipinte ai lati della tavola. Lo studioso giudicava il pittore in contiguità stilistica con le prime opere di Cimabue, che per la chiesa pisana di S. Francesco aveva realizzato, in anni precedenti il 1285, la Maestà oggi a Parigi (Louvre), mentre Sirén (1922) lo riteneva un seguace di Giunta Pisano. All'anonimo pittore fu riferita (Khovoshinsky, Salmi, 1912) una seconda tavola con S. Anna in trono e Maria bambina (cm. 125x75; Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), proveniente dalla chiesa pisana di S. Anna, che costituisce, per evidente contiguità formale, l'altro elemento certo della produzione del pittore.
L'importanza del M. di S. Martino nel quadro della pittura italiana del secondo Duecento venne valutata appieno da Longhi (1948). Lo studioso ampliò anzitutto il corpus dell'artista riconoscendogli un Cristo benedicente (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), parte superiore di un crocifisso, una tavola con un monaco davanti a S. Francesco (Filadelfia, Mus. of Art, Johnson Coll.) e, come opera cronologicamente più avanzata, una Madonna con il Bambino e angeli (Firenze, Coll. Acton). Dell'anonimo pittore Longhi esaltò in particolare la grande libertà compositiva e formale e l'indipendenza dagli stilemi orientali, dominanti - nella sua ottica - la pittura italiana del 13° secolo. Osservandone la sostanziale affinità con il Terzo Maestro di Anagni, lo riferiva al primo decennio della seconda metà del secolo, indicandolo perciò quale precursore dello stesso Cimabue.Garrison (1949) e Cuppini (1952) proposero l'identificazione dell'artista con Ranieri di Ugolino, opinione poi non più condivisa dal resto della critica. Quest'ultimo studioso aggiungeva al gruppo di dipinti riferito al pittore un'acerba Madonna con il Bambino della chiesa pisana di S. Biagio in Cisanello e riconosceva l'inizio del suo sviluppo artistico in ambito coppesco. Coletti (1941) attribuì al M. di S. Martino anche una Madonna proveniente dalla chiesa di S. Stefano dei Cavalieri di Pisa (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo). Ragghianti (1955), Carli (1958; 1974; 1994) e Bologna (1962) hanno datato invece le due opere maggiori leggermente più avanti nel secolo (ottavo decennio), ponendo così il pittore in stretta contiguità con Cimabue, mentre Caleca (1986), confermandone la diretta dipendenza cimabuesca, ha riferito le due opere principali e la Madonna della Coll. Acton al 1290 circa. Carli (1958), infine, propose di riconoscere il M. di S. Martino anche come pittore di libri in alcune miniature di un Exultet toscano (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana, Exultet 3), mentre dubitò dell'autografia della Madonna di S. Biagio in Cisanello proprio per il carattere fortemente coppesco del dipinto, da cui discendeva una data eccessivamente precoce degli inizi del pittore.Indubbiamente il M. di S. Martino costituisce una delle personalità più originali della pittura toscana della seconda metà del Duecento e, assieme a Cimabue, uno dei protagonisti del periodo. Il referente imprescindibile della sua pittura è proprio Cimabue, che fu operoso a Pisa in un momento imprecisato fra il settimo e l'ottavo decennio del sec. 13° e vi morì, dopo aver realizzato nel 1302 parte del mosaico absidale nella cattedrale. Con Cimabue l'anonimo pittore pisano manifesta indubbie affinità nell'impianto generale delle tavole con la Madonna con il Bambino, sino a mostrare diretta conoscenza del dipinto del Louvre nella figura del Bambino della tavola di S. Martino. Il pittore si qualifica inoltre per il sentito naturalismo nelle scene laterali della stessa tavola, indice di contiguità con il classicismo della coeva scultura pisana e, in particolare, con il pergamo del battistero di Pisa eseguito da Nicola Pisano nel 1260.
Bibl.: R. Grassi, Descrizione storica e artistica di Pisa e de' suoi contorni, III, Pisa 1838, p. 211; G. Nistri, Nuova guida di Pisa e de' suoi contorni, Pisa 18522, p. 205; Venturi, Storia, V, 1907, pp. 55-61; C. Weigelt, Duccio di Buoninsegna. Studien zur Geschichte der frühsienesischen Tafelmalerei, Leipzig 1911, pp. 65, 151, 228; B. Khovoshinsky, M. Salmi, Pittori toscani dal XIII al XIV secolo, I, I Primitivi, Roma 1912, p. 35; O. Sirén, Toskanische Maler im XIII. Jahrhundert, Berlin 1922, p. 173ss.; L. Coletti, I Primitivi, I, Novara 1941, p. LXII nr. 45; Pittura italiana del Duecento e Trecento. Catalogo della mostra giottesca di Firenze del 1937, a cura di G. Sinibaldi, G. Brunetti, Firenze 1943 (19812), pp. 78-83; R. Longhi, Giudizio sul Duecento, Proporzioni 2, 1948, pp. 5-54 (rist. in id., Opere complete, VII, Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell'Italia centrale, Firenze 1974, pp. 1-53); E.B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting, Firenze 1949, p. 26; L. Cuppini, Ranieri di Ugolino, Commentari 3, 1952, pp. 7-13; C.L. Ragghianti, Pittura del Dugento a Firenze, Firenze 1955, pp. 122-127; E. Carli, Pittura medievale pisana, Milano 1958, pp. 58-64; F. Bologna, Pittura italiana delle origini, Roma-Dresden 1962, pp. 110-113; E. Carli, Il Museo di Pisa, Pisa 1974, pp. 41-44, 121-122; A. Caleca, Pittura del Duecento e del Trecento a Pisa e a Lucca, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 233-264, 626; E. Carli, La pittura a Pisa dalle origini alla ''bella maniera'', Pisa 1994, pp. 21-23.