MAFFEI
Famiglia di artisti di origine carrarese discendente probabilmente dai Maffioli, nota casata di marmorari anch'essi carraresi, ma di provenienza lombarda.
Capostipite fu Giovanni, nato a Carrara verso il 1560, di cui è stata ipotizzata (Grosso Cacopardo, 1845) la partecipazione all'allargamento delle mura della città natale e, in qualità di mastro fabbriciere, la collaborazione alla costruzione delle chiese del Carmine e dei Ss. Giacomo e Cristoforo, entrambe ispirate alle regole postridentine (la prima a pianta centrale, la seconda a unica navata scandita da tre pilastri dorici per lato che sorreggono la copertura a volta su archi). Forse per questo, o per una consuetudine tutta messinese di chiamare a lavorare come "magistri" scultori famosi in terra toscana, Giovanni fu chiamato a ricoprire la carica di architetto del Senato di Messina nel 1600 (Susinno, p. 174; Accascina, 1964, p. 39, data l'arrivo al 1601). Si occupò di conseguenza della direzione dei lavori del cantiere del duomo (Boscarino); nel 1601 sposò Caterina, una giovane genovese di origini tedesche (Susinno, p. 174), dalla quale ebbe vari figli tra cui Nicolò Francesco, che ben presto avrebbe seguito le orme paterne.
Tra il 1602 e il 1605 Giovanni lavorò alla fabbrica dell'ospedale Grande di Messina: Gallo (1755, p. 206) gli attribuisce la realizzazione sia del portale principale sia di quello della chiesa di S. Maria della Pietà a esso annessa, forse entrambi su disegno di A. Calamecca (distrutti nel terremoto del 1908).
Il 5 dic. 1605 Giovanni con Giuseppe Fulco di Castrogiovanni fu nominato perito dai maestri costruttori della fontana dell'Acqua Nuova di Caltagirone per stimare la buona esecuzione della fabbrica e pattuire il prezzo (Di Marzo, p. 589 n. 1).
Nel 1616 il Senato messinese lo chiamò per controllare lo stato dei lavori dell'acquedotto del Bordonaro iniziato da Natale Masuccio nel 1611. La sua relazione negativa (i lavori non erano stati realizzati conformemente alle indicazioni progettuali e contrattuali) gli costò un agguato nel quale fu ferito gravemente. Morì a Messina quindici giorni dopo l'attentato (Susinno, pp. 174 s.).
La recente storiografia ha cercato di dare alla figura di Giovanni un rilievo artistico che non è facile dimostrare se si resta legati alla scarsa documentazione. Se risultasse vera l'esistenza, testimoniata fino alla fine dell'Ottocento, di alcuni manoscritti e di un album di disegni di porte, finestre, balconi, capitelli, altari, pile e altri studi architettonici (Accascina, 1964, pp. 39-41), ne emergerebbe la figura di un artista di grande finezza intellettuale, di solida cultura artistica appresa non solo nei cantieri nei quali lavorò, ma soprattutto nell'attenta lettura di trattati e nella loro personale rielaborazione. Non sono attribuibili a Giovanni l'arco trionfale per l'ingresso del principe Emanuele Filiberto di Savoia, avvenuto nel 1621, né la progettazione del convento dei benedettini (Boscarino) iniziato nel 1669. È più verosimile che siano di sua mano alcuni resti della decorazione della chiesa di S. Francesco alle Stimmate (costruita a partire dal 1621), conservati nel Museo regionale di Messina (Accascina, 1964, p. 39), comprati probabilmente dai committenti dopo la morte di Giovanni. È stata inoltre avanzata l'ipotesi che i disegni, e forse anche la realizzazione, delle chiese dei Ss. Andrea e Biagio a San Piero Patti (oggi di S. Maria) e di S. Filippo a Sant'Angelo di Brolo, possano essere suoi. Per quanto l'impianto planimetrico risponda a un modello controriformista di matrice toscana molto comune nel Messinese (tre navate separate da archi a pieno centro su colonne ioniche con alto collarino di ispirazione michelozziana e rosselliniana, ampio transetto non sporgente, cupola cieca su pennacchi, scarsella allungata), la documentazione archivistica e alcuni successivi completamenti e trasformazioni non permettono un'attribuzione certa.
Nicolò (Niccola) Francesco, figlio di Giovanni, nacque probabilmente a Messina nel 1607 (e non nel 1590: Grosso Cacopardo; Campori), come si evince dal documento della sua nomina a ingegnere del Senato cittadino avvenuta nel 1656, all'età di quarantanove anni (Impallomeni, p. 139).
Rimasto presto orfano, Nicolò Francesco fu posto dalla madre sotto la guida di Giovanni Simone Comandè. Tra il 1618 e il 1632 frequentò a Roma, a spese del Senato di Messina, la scuola di pittura di Giovanni Lanfranco e quella di matematica e d'architettura di Simone Gullì che presto ne divenne non solo tutore morale ma anche economico. Ritornato nella città natale sposò Isabella Stilo, secondo Grosso Cacopardo (1845, p. 24), l'8 marzo 1624; ma è plausibile pensare, in assenza di riscontri documentari, che il cronista abbia sbagliato nella trascrizione della data e che quella più verosimile sia il 1634, dal momento che la nascita della prima figlia risale solo al 1641. La data del matrimonio compariva probabilmente alla fine di un perduto manoscritto di disegni di mano di Nicolò Francesco.
L'opera, a quanto ricorda Grosso Cacopardo (ibid., p. 23 n. 14), era composta di otto volumi suddivisi secondo i più disparati argomenti che vanno dal disegno di porte, finestre, balconi di stile michelangiolesco, disegni di targhe, iscrizioni, fonti battesimali, lampade. Seguivano capitelli d'invenzione dell'autore con conchiglie, delfini molto simili a quelli decorati nella chiesa delle Anime del Purgatorio. Il testo faceva riferimento ai rapporti proporzionali degli edifici, degli ordini, degli elementi architettonici nella più aderente tradizione palladiana e vignolesca. Il manoscritto era sicuramente posteriore al 1647, data di nascita del figlio Michele, nominato nella nota finale al testo.
Nel 1634 si smantellava la vecchia chiesa dell'Allegrezza sulla quale si sarebbe costruita, secondo il progetto di Nicolò Francesco, quella di S. Maria di Monte Vergine. La costruzione iniziò nel 1636 e si concluse nel 1641 (Samperi, p. 347).
La chiesa è a navata unica, insolitamente slanciata e coperta a botte; le pareti sono scandite da due ordini sovrapposti di doppie paraste, le inferiori con capitello composito con festoni di frutta e fiori (pere e camelie), di chiara matrice michelangiolesca, e trabeazione ionica, le superiori con capitello corinzio e trabeazione con fregio a cornici, probabilmente rimaneggiato dal figlio Antonio per adeguarlo al fregio del presbiterio. Di mano di Nicolò Francesco dovevano essere molti dei fregi a puttini dei riquadri degli altari pensati per contenere le tele della precedente chiesa dell'Allegrezza e il portale dell'ingresso laterale con colonne scanalate e fregio arabescato (Mauceri).
In qualità di ingegnere del Senato Nicolò Francesco doveva redigere relazioni di collaudi di lavori o di stime su vertenze tra privati. Negli archivi messinesi si ha memoria di due vertenze in cui fece da arbitro, in una delle quali, redatta con Giovanni Antonio Ponsello, poneva fine, con giudizio negativo per l'esecutore, alla vertenza tra lo scultore Nicola Melluso e la chiesa di Alì in riferimento alla cattiva esecuzione della copertura del fonte battesimale (31 marzo 1634: Di Bella).
L'incontro con Andrea Suppa, con il quale avrebbe iniziato un fortunato sodalizio professionale, avvenne durante i lavori nell'oratorio di S. Francesco dei Mercanti (Accascina, 1964, p. 43). La distrutta chiesa delle Anime del Purgatorio è la prima opera realizzata insieme (post 1664: Coglitore).
L'idea originaria può essere ascritta a Suppa, ma i disegni esecutivi e la direzione dei lavori sono di Nicolò Francesco, che li condusse fino alla morte. Per le chiare reminiscenze romane dell'impostazione, di matrice vignolesca, la facciata, a due ordini di colonne sovrapposte con timpano finale triangolare e ricche volute di raccordo nelle parti corrispondenti alle navate laterali, è probabilmente da attribuire a Nicolò Francesco e non a Raffaele Margarita, che lo sostituì nella direzione dei lavori dopo la sua morte. Accascina (1964, p. 47), che non nota armonia tra gli effetti fortemente chiaroscurali della facciata e l'andamento quasi piatto della partitura architettonica del vicino monastero, sottolinea invece che all'interno della chiesa, "dove più si era svolta l'opera di Nicola Francesco Maffei, i pochi frammenti esistenti [(] indicano una decorazione raffinata e, in alcuni capitelli ornati da bulbi con fresche foglie accartocciate, qualità di dettaglio di notevole interesse".
Sempre Accascina (ibid., p. 50) individua l'attività di Suppa e di Nicolò Francesco anche in provincia, per esempio nella chiesa madre di Larderia Superiore e nella chiesa madre di Barcellona. Tali attribuzioni non sono condivise da Impallomeni (pp. 154-161) che, data la povertà di linguaggio e le soluzioni accademiche, ritiene entrambe le chiese opera di architetti minori.
Susinno attribuisce a Nicolò Francesco la parrocchiale di S. Lorenzo a Messina, cioè la chiesa della Madonna dell'Itria (di parere discorde Gallo, che individua in Giovanni Angilo fiorentino l'architetto: 1755, I, p. 159), la chiesa di S. Antonio da Padova accanto alla basilica di S. Francesco d'Assisi (Guida di Messina, 1902, p. 344), la chiesetta e l'oratorio di S. Cristoforo (1629: distrutti nel terremoto del 1908). Secondo Natoli sono di mano di Nicolò Francesco il frammento architettonico con un morbido viso di putto e festoni proveniente dalla chiesa di S. Barbara e un frammento di pregevole fattura appartenente all'Annunziata dei Teatini, raffigurante una delicatissima creatura in mutazione (conservati presso il Museo regionale di Messina).
Nel 1657 Nicolò Francesco disegnò, per la festa della Madonna della Lettera, l'apparato decorativo per la processione (Grosso Cacopardo, 1845, p. 20). Tra il 1666 e il 1671 Nicolò Francesco progettò e realizzò il monastero dei padri cassinesi di S. Placido, abbattuto nel 1680 per far posto a una parte della cittadella.
Il monastero era costituito da un lungo edificio prospiciente il mare con un'ala che costeggiava il bastione di S. Giorgio. A quattro piani, era scandito da tre maestosi portali e da trentasette finestre a timpani alternati. Se ne vede una pianta sommaria nella Pianta di Messina di A. de La Vigne (Aricò, 2002, pp. 72 s.). Grosso Cacopardo ricorda, in una nota del suo testo del 1845, che presso i padri cassinesi si conservava il disegno del prospetto dipinto dall'autore; del resto Nicolò Francesco era l'architetto ordinario del monastero. Nel 1671 Nicolò Francesco, qualche mese prima della sua morte, si occupò della continuazione dei lavori del grande baldacchino del duomo di Messina ideato da Simone Gullì (Accascina, 1956, pp. 46 s.).
Oltre a distinguersi come apprezzabile scultore (sue sono le statue di S. Tommaso e S. Giacomo nella tribuna laterale del duomo di Messina), Nicolò Francesco si distinse anche come valente pittore. "La maniera sua di dipingere fu felice, sbrigativa, naturalistica, di un impasto carnoso" (Susinno, p. 176), molto simile a quella di Lanfranco. Una prima opera documentata, ma purtroppo non conservata, è il Martirio di s. Romano, per il chiostro dei padri carmelitani. Altre due opere si trovavano nella chiesa di S. Domenico: un Beato Errigo, considerato da Susinno (ibid.) così ben fatto per intensità e veridicità che poteva essere equiparato alle belle figure realizzate dallo Spagnoletto (Jusepe de Ribera), e il S. Domenico. Fu inoltre autore dei riquadri marmorei dove furono inserite le tele. Gli sono stati inoltre attribuiti (Gallo, 1755) due quadri nella cappella di S. Antonio nella chiesa di S. Francesco d'Assisi (poi delle Vergini Riparate, oggi non più esistente), la Madonna della Vittoria e la Concezione (la prima nei depositi del Museo regionale; l'altra perduta) e la Vergine con s. Carlo nella chiesa dei trinitari (ibid.).
Secondo Grosso Cacopardo (1845, pp. 20, 24 n. 21) Nicolò Francesco fu anche un buon orafo.
Morì a Messina nel 1671 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco d'Assisi dei padri minori (Susinno, p. 178).
Antonio (Antonino), figlio di Nicolò Francesco e di Isabella Stilo, nacque a Messina il 12 dic. 1646. Ben presto, attorno al 1666, affiancò il padre in qualità di aiutante. Nel 1670 ricevette la carica di ingegnere del Senato dopo la rinuncia del padre. In quell'occasione ebbe l'incarico di progettare e realizzare le mura dei borghi che stavano sorgendo tra porta Zaera e il monastero di S. Salvatore. Alla morte di Giovan Battista Quagliata, avvenuta nel 1673, assunse la direzione dei lavori del baldacchino della cattedrale di Messina. Nel 1686 collaborò alla costruzione della cappella di S. Nicolò dei Greci a Messina: probabile sia suo il prospetto a ordine unico, con alto fastigio su timpano simile a quello della chiesa di Monte Vergine: ne resta memoria in un'incisione di Salvatore Donia (Accascina, 1964, p. 80).
A causa della guerra degli anni 1674-78 la zona presbiteriale della chiesa di Monte Vergine, dedicata a S. Eustochia, aveva subito parecchi danni. Il "restauro" (1689-97) fu affidato ad Antonio, coadiuvato da una serie di artisti appartenenti alle migliori famiglie di lapicidi messinesi, tra cui gli Juvarra.
Forse seguendo alcune indicazioni contenute in disegni preparati precedentemente dal padre e mai utilizzati, Antonio mantenne inalterata la suddivisione a doppio ordine della navata riproponendo gli stessi elementi strutturali, ma appesantendo lo spazio con una decorazione a volte eccessiva che risente non solo dell'imperante gusto spagnolo, ma anche di una consolidata cultura romana, che si individua, pure, nelle scelte progettuali per la chiesa di S. Matteo dove Antonio progettò e realizzò la cupola. Questa si erge su di un grande tamburo suddiviso in otto scomparti da un ordine di colonne corinzie tra le quali si aprono otto finestre a timpano triangolare. Lo completa un'alta trabeazione ad attico. La cupola, a sua volta, è scandita da otto robusti costoloni che, raccordandosi l'uno all'altro, fanno da base a uno slanciato lanternino.
Nel maggio del 1700 curò la realizzazione di una piramide da porsi all'interno della chiesa di S. Giovanni Battista dei cavalieri gerosolimitani sulla cui sommità fu posto il ritratto di fra Giovanni di Giovanni dipinto da Mattia Preti.
La critica ha spesso puntualizzato la scarsa qualità artistica di Antonio e la sua dipendenza dal padre e dai disegni da questo lasciati in eredità. È pur vero però che seppe assorbire con molta intelligenza le lezioni che architetti a lui contemporanei, come Guarino Guarini, davano a una Messina ancora tradizionale, intuendone le capacità costruttive e le arditezze strutturali senza comunque avere il coraggio di applicarle.
Morì poco dopo il 1700.
Michele, figlio di Nicolò Francesco e di Isabella Stilo nacque a Messina il 12 ott. 1647. Studiò i primi rudimenti di pittura col padre per passare, nel 1666, a Napoli alla scuola di Salvator Rosa (Hackert, 1821, p. 59). Morto il padre fece ritorno a Messina e seguì le lezioni di Agostino Scilla, famoso pittore e filosofo messinese, specializzandosi nel genere paesaggistico. Durante le sommosse iniziate nel 1674 dovette fuggire da Messina per recarsi a Tolone insieme con Scilla; qualche anno dopo fece ritorno in Italia stabilendosi a Napoli, dove morì nel 1677 (Susinno).
Fonti e Bibl.: F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi (1724 circa), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. XV, XVIII, XL, XLVIII, 174-179; P. Samperi, Messina illustrata, Messina 1742, ad indicem; C.D. Gallo, Apparati degli Annali della città di Messina (1755) e Annali della città di Messina (1756), in Apparato agli Annali della città di Messina, a cura di G. Molonia, Messina 1985, ad indicem; F.J. Hackert, Memorie de' pittori messinesi (1821), Messina 1932, ad indicem; C.G. Grosso Cacopardo, Memorie de' pittori messinesi e degli esterni che a Messina fiorirono (1821), Bologna 1972, p. 176; Id., Guida per la città di Messina, Messina 1841, p. 9; Id., Memorie storiche di Giovanni, Niccolò Francesco, Antonio e Michele M., architetti, pittori e scultori del secolo XVI e XVII, in La farfalletta. Giornale di scienze lettere ed arti, II (1845), pp. 17-24; G. Coglitore, Storia monumentale-artistica di Messina, Messina 1859, pp. 9-17, 71; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, Modena 1873, p. 151; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie e documenti (1880-83), Palermo 1979, III, pp. 589, 797 s.; Guida di Messina e dintorni (1902), Messina 1973, pp. 278 s., 305, 346; L. Testi, Ancora i Calamecca, in Archivio storico messinese, IV (1904), p. 165; Messina e Reggio prima e dopo il terremoto del 1908, Firenze 1909, ad indicem; E. Mauceri, Messina nel '700, Palermo 1924, p. 230; G. Cara, Note nel monastero Montevergine, in Il santuario di Montevergine, 1934, n. 2, p. 263; M. Accascina, La formazione artistica di Filippo Juvara. L'architettura del '600 a Messina, in Bollettino d'arte, s. 4, XLI (1956), pp. 42, 46 s.; XLII (1957), pp. 150-152; Id., Profilo dell'architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, pp. 39-50, 79-81; S. Boscarino, Architettura e urbanistica dal Cinquecento al Settecento, in Storia della Sicilia, V, Napoli 1981, p. 369; G. Impallomeni, Anime e pietre. Il monastero e la chiesa di Montevergine nel corso dei secoli, I, Palermo 1983, pp. 127-135, 139, 154-161; E. Natoli, Sculture a Messina (1630-1676 circa), in Quaderni dell'Istituto di storia dell'arte dell'Università di Messina, 1983-84, nn. 7-8, p. 38; M.L. Ferruzza, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, I, Architettura, Palermo 1993, pp. 273 (per Antonio), 274 s. (per Nicolò Francesco); M.C. Ruggieri Tricoli, ibid., p. 274 (per Michele); L. Paladino, ibid., II, Pittura, ibid. 1993, p. 318 (per Michele); M.P. Pavone Alaimo, ibid., III, Scultura, ibid. 1994, p. 197 (per Michele); S. Di Bella, Alì. La chiesa madre. La cultura artistica, Messina 1994, App. 1, doc. 2, pp. 43, 150; T. Pugliatti, Messina nella seconda metà del secolo XVII. Le chiese, le strade, gli edifici monumentali, in Messina. Il ritorno della memoria, Palermo 1994, p. 95; F. Paolino, Architetture religiose a Messina e nel suo territorio fra Controriforma e tardo Rinascimento, Messina 1995, pp. 42-44; N. Aricò, Illimite Peloro, Messina 1999, ad indicem; Id., Segni di Gea, grafie di Atlante. Immagini della falce dal VI secolo a.C. all'epifania della cittadella, in DRP. Rassegna di studi e ricerche, 2002, n. 4, pp. 70-78; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 550 s.; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, pp. 461 s.