AGOSTINI (Augustini, Augustini "dal Banco"), Maffeo (Maffio)
Nato verso la metà del sec. XV a Venezia presumibilmente da un Pietro, fu banchiere, proprietario e direttore dell'omonimo banco a Rialto che aveva dato epiteto alla famiglia (dal Banco). Mentre mancano su di lui notizie da fonti genealogiche e pubbliche, sono invece ricordate con abbondanza di particolari, nei Diarii del Sanudo e negli Annali veneti del Malipiero, le movimentate vicende dei banchi dell'A.: clamoroso, prima di tutto, un tentativo di furto alle sue casse in Rialto, avvenuto nella notte del 27 nov. 1497; e che sembra erroneamente connesso (come trasmessoci dal Sanudo e dal Malipiero) con il ben più significativo fallimento del banco dell'A. nella primavera del 1499.
Tale fatto (anch'esso documentato e diffusamente narrato dai cronisti) s'inserisce nel più generale fenomeno di collasso monetario della Repubblica al cadere del sec. XV: da cui soffersero crisi, o furono trascinati a rovina, anche i banchi dei "nobeli" Pisani, Garzoni e Lippomano. Entrambi i diaristi descrivono il panico dei depositanti e l'assalto dei creditori alla sede del banco; e come per quella volta l'A. potesse salvarsi, soddisfacendo subito i tumultuanti per un importo di 16.000 ducati, e poche ore appresso per altri 40.000 ducati, tra oro e moneta. Ma il fallimento ebbe una grande eco, tale da suscitare un discorso del pontefice in concistoro, di sfiducia a Venezia (cfr. nello stesso Malipiero).
Poco prima di questa importante vicenda, il 29 genn. 1499, in occasione di una crisi premonitrice del banco Garzoni, l'A. era stato richiesto dalle autorità di "alcuni danari": "qual io - attesta il Sanudo - vidi foro portati in caxa di principe in sacheti"; ossia fedelmente forniti in contanti a Palazzo ducale. E, pochi mesi dopo (già avvenuto il primo crollo dell'A.), Marco Saxo, capo di guardia in Rialto, "volse retenir sier Mafo Agustini dal Banco, per una sententia havia contra di lui de ducati 100". Ma ciò fu solo "per farli vergogna", e nulla seguì alle doglianze espresse dal nostro travagliato banchiere ai capi del Consiglio dei Dieci. Più significativo, un episodio di atteggiamento paterno del marzo 1504. L'A., già provetto, non volle di nuovo pagare per un minor fallimento (ch'era di circa 3.000 ducati) del figlio Paolo dedito anch'egli in proprio, in quegli anni, all'esercizio del domestico banco rialtino. Questa volta sarà un nipote dell'A. (figlio di Paolo) a presentarsi in Collegio, accompagnato da un Savio di Terraferma: "dicendo quel bancho aver tanta pressa, che non ponno resister"; ed era per la solita tempesta e tumulto dei creditori atterriti. Ma l'A. restò deciso a non intervenire del suo per placarli. E il caso parve abbastanza storico, per indurre i capi stessi del Consiglio dei Dieci a recarsi "lì in bancho, acciò non seguisse disordine"; anzi ritennero di dover prendere essi stessi vari provvedimenti per la sua salvezza.
Certo tutti gli incagli, sia quelli del 1499 sia gli altri del 1504, dovevano essere felicemente superati dal nostro A. e dalla sua famiglia: il 15 marzo 1507, infatti, quello dell'A. e fratelli (detti "populari", in distinzione dagli altri banchi di "nobeli") vien nominato come primo dei "banchi di secrita in Veniexia; e il 5 aprile e il 27 maggio se ne rinnova l'attestazione. Perciò dovette sorprendere il fallimento dell'A., esploso come "una nova grande" tra il pomeriggio del 10 e il mattino dell'11 febbr. 1508.
Il Sanudo ne nota le circostanze in due susseguenti ragguagli, con gran copia di particolari (Diarii, VII). L'A. e fratelli possedevano bensì vasti capitali, ma non il contante necessario a fronteggiare l'ondata dei pagamenti loro richiesti; e "cussi faliteno". L'A. dovette addirittura rifugiarsi, con i congiunti, nel convento dei frati minori "per segurtà di loro persone" (ibid., col. 284). L'eco del fallimento degli A. in giorni e mesi seguenti, sia nella piccola ma fervida vita economica rialtina (con le ripercussioni sugli affari degli altri banchi), sia in deliberazioni di confisca, ecc., da parte di autorità civili, si protrae dallo stesso febbraio 1508 all'aprile, al giugno, al luglio e sino almeno al gennaio del seguente 1509. Il Sanudo sembra severo ("è da saper questi Agustini à malla fama...", ecc.), ma i recenti storici dell'economia veneziana (dal Ferrara al Lane) tendono a considerare i fallimenti degli Agostini come incolpevoli conseguenze di ben più vasti fattori di economia generale.
Dichiarato il fallimento, si scelsero i consueti tre "zentilhomeni" per la sua curatela, e si fecero le solite pubblicazioni sopra le scale di Rialto e a S. Marco: il debito dell'A. ascendeva a netti ducati 88.229. Una transazione poté convenirsi, mercé l'impegno di fideiussori, con più di duecento creditori dell'A.: i quali rappresentavano poco meno di 44.000 ducati; ma ne restavano esclusi altri, per un altrettanto e ancor maggiore capitale. Fu proposto di esaurire il pagamento a ciascuno in quattro rate, delle quali rimangono documentate le modalità ed eccezioni: tutte di singolare interesse tra i documenti della vita bancaria veneziana del primissimo Cinquecento. Parimenti un estremo decreto senatoriale sulla faccenda, in data 30 ott. 1514, col quale si approvava una richiesta di provvigione a favore dei commissari od esattori "di tutte le sententie et acti... intorno alle cause del banco di Augustini". È appunto il testo della transazione, insolitamente conservato in inserto presso il decreto, quel che ci segnala i nomi di due figlioli dell'A. e suoi collaboratori di banco, Geronimo ed Andrea; come pure del fratello di lui Alvise, coi propri figlioli Piero e Alessandro; mentre, dalla parte dei creditori, si desume tutto un elenco di distinti personaggi e mercanti, ciascuno dei quali è contrassegnato dal suo genere di commercio.
Dopo il 1514 non sappiamo più nulla dell'Agostini.
Fonti e Bibl.: Oltre i docc. ufficiali presso l'Arch. di Stato di Venezia, desumibili dagli scritti seguenti, le precipue attestazioni contemporanee: D. Malipiero, Annali veneti, a cura di F. Longo, V, in Arch. stor. ital., VII, 2 (1844), pp. 708, 715-716; M. Sanuto, Diarii, I-VIII (=Codd. Marc. It., VII, 419-426, per gli anni 1497-1510), Venezia 1878-83, sub voce (dagli indici): specialmente I, col. 823; II, coll. 377, 774-775, 1121; V, col. 965;VII, coll. 30, 42, 81, 283-284, 289, 307, 367, 391, 543, 545, 582, 722; VIII, col. 88. - Quindi: F. Ferrara, Gli antichi banchi di Venezia, in Nuova Antologia, XVI (1871), pp. 198, 435-436 e n. 1 (rifer. a un doc., rimasto inedito, che doveva seguire a quelli pubbl. dallo stesso F. Ferrara nei suoi interrotti Documenti per servire alla storia de' banchi veneziani, in Arch. veneto, I [1871], pp,. 106-155, 332-363); E. Nasse, Das venetianische Bankwesen im XIV., XV. und XVI. Jahrhundert, in Jahrbücher für Nationalakönomie und Statistik [del Conrad], XXXIV (1879), pp. 349-350, 354; C. F. Dunbar, The Bank of Venice, in Quarterly Journal of Economics, VI (1892), pp. 315-319; V. Manzini, La bancarotta e la procedura fallimentare nel diritto veneziano, in Atti d. R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXXXV, 2 (1925-26), pp. 1133-1135 (§. 10, V: Fallimenti Pagani e Agostini); E. C. Lane, Venetian Bankers, 1496-1533: A Study in the Early Sta ges of Deposit Banking, in The Journal of Politicai Economy, XLV (1937), pp. 189, 190 n. 18, 191, 192, 194, 196, 199 (e ulter. bibl. a p. 188 n. 2); M. Brunetti, Banche e banchieri veneziani nei "Diarii" di M. Sanudo, in Studi in onore di G. Luzzatto, II, Milano 1950, pp,. 27 e passim; C. Belloni, Diz. stor. dei banchieri ital., Firenze 1951, p. 23. Per l'inquadramento ed una valutazione storico-economica del banco Agostini tra le istituzioni bancarie antiche della Repubblica veneta, cfr. inoltre E. Lattes, La libertà delle banche a Venezia dal sec. XIII al XVII, Milano 1869; G. Luzzatto, Les banques publiques de Venise (siècles XVI-XVIII) § I: Les banques privées de virement (siècles XIV-XVI), nel vol. History of the principal Public Banks, The Hague 1934, pp. 39-78, ristamp., nel vol. di O. Luzzatto, Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, pp. 225-258; altra bibl. ivi a p. 252.