CONTARINI, Maffeo
Figlio di Domenico di Nicolò del confinio di S. Angelo e di una nobildonna di cui nulla ci dicono le fonti, nacque con ogni probabilità a Venezia sul finire del Trecento, in data non meglio precisata.
Tanto suo padre, quanto il suo avo paterno avevano ricoperto numerosi incarichi politici e amministrativi. Domenico era stato bailo e capitano di Corfù nel 1407, avogadore di Comun nel 1410. podestà a Cividale di Belluno nel 1411, e consigliere nel 1413; Nicolò era stato avogadore di Comun nel 1344, ambasciatore presso il re di Cipro nel 1360, consigliere ed ambasciatore ad Alessandria nel 1361, savio di Terraferma nel 1368 C, infine, ambasciatore a Bologna nel 1370. Poco sappiamo dei fratelli del C. - Marino, Antonio e Nicolò -, i quali, a quanto risulta, non si distinsero nella vita pubblica.
Fin da giovane il C. decise di abbandonare un'esistenza dedita alle ricchezze e agli interessi mondani: divenuto sacerdote, volle seguire una vita di rinunzia e di ascesi secondo la regola di s. Agostino, entrando a far parte della comunità dei canonici regolari di S. Giorgio in Alga, raccoltasi intorno ad Antonio Correr e a Gabriele Condulmer - il futuro papa Eugenio IV - nell'antico cenobio degli eremitani di S.- Agostino, sito su di unisola della laguna, a ponente di Venezia. Lepoca e le motivazioni di questa sua scelta ci sono ignote, per il silenzio mantenuto in proposito dalle fonti a noi note. Possiamo tuttavia ritenere, sulla base di quanto sappiarno della sua vita posteriore, che dovettero maturare in lui gradualmente, seppur tempestivamente, un senso di estraneità al mondo e alle sue cure, e l'aspirazione ad una vita di più intensa spiritualità, legata agli obblighi originati dai voti.
La Congregazione dei canonici regolari di S. Giorgio in Alga si stava caratterizzando, nei primi decenni dei Quattrocento, come protagonista di spicco nell'ambito dei movimento di riforma dei clero secolare e del monachesimo tradizionale. Nel suo interno si formò, tra gli altri, anche Lorenzo Giustinian, poi arcivescovo e primo patriarca di Venezia, di cui il C. fu un fedele discepolo.
Quanti hanno scritto di lui celebrano il C. come esempio di mortificazione e di povertà, ma lo ricordano anche per la sua cultura e per il suo grande amore per lo studio. Secondo notizie, che la letteratura storica del Sei-Settecento trae da una biografia, a noi non pervenuta, composta da Francesco Paradiso, che fu generale della Congregazione di S. Giorgio in Alga e morì nel 1516, il C. aveva accentrato la sua attenzione di studioso e di esegeta sulle Sacre Scritture e, in particolare, sui quattro Vangeli, le testimonianze dei quali aveva coordinato cronologicamente, in modo da dare, in un solo volume, il racconto unitario e continuato della vita e dell'attività missionaria di Gesù. L'opera di esegesi biblica del C., probabilmente rimasta manoscritta, non è giunta sino a noi: non siamo pertanto in grado di valutarla. Essa, pero, è stata ampiamente lodata dai suoi contemporanei e da quanti in seguito la conobbero per la profondità della dottrina e per la sapienza delle riflessionì morali. La cultura del C. dovette essere senza dubbio assai vasta e la sua produzione non indifferente. se taluni autori - come il Barbaro lo definiscono "scrittor" mentre altri come il Degli Agostini lo collocano tra i più illustri teologi veneziani.
Nel 1425 fu rettore del ecnobio di S. Angelo di Verona, e, due anni dopo, di quello di S. Giacomo di Monselice, ambedue appartenenti alla sua stessa Congregazione. Nel 1438 venne eletto rettore generale della Congregazione, carica che gli fu affidata in seguito per ben altre otto volte (nel 1433, nel 1437, nel 1439, nel 1443, nel 1446, nel 1448, nel 1451, nel 1454). Nel 1448, insieme con Paolo Maffei del cenobio di S. Leonardo di Verona, fu investito dal papa Niccolò V di un delicato incarico (breve pontificio del 14 aprile).
Si trattava di compiere un'inchiesta sulla vita interna del monastero femminile di S. Tommaso in Vicenza, dove - a quanto risultava - non si rispettavano più gli obblighi della vita religiosa, non si osservava la regola, che era quella di s. Marco, e dove si erano verificate, e si verificavano, gravi irregolarità, sarebbero stati compiuti, inoltre, persino dei reati. I due canonici erano autorizzati a deporre la badessa, se fossero risultate a suo carico precise responsabilità nei confronti di un simile deplorevole stato di cose. Dovevano altresì costringere a rientrare nel monastero quelle religiose che se ne erano allontanate o che a qualsiasi titolo si trattenevano fuori dalle sue mura.
Recatosi a Vicenza insieme col Maffei. il C. iniziava immediatamente l'inquisizione; il 21 di giugno erano terminati gli interrogatori delle monache. La badessa venne deposta d'autorità. Con bolla del 26 luglio il C. ed il Maffei ricevettero dal papa l'ordine di restaurare la disciplina religiosa nel monastero, riportando - se possibile - le monache all'osservanza della loro antica regola, quella di s. Marco; ove però i due canonici avessero ritenuto inattuabile questa soluzione, avrebbero dovuto introdurre nel monastero la regola di s. Agostino. A tale scopo venivano autorizzati a trasferire nel monastero alcune agostiniane, traendole anche contro il parere delle rispettive badesse dalle comunità delle città più vicine. Fu appunto secondo quest'ultima linea d'azione che il C. e il Maffei compirono la loro opera di riforma del monastero vicentino.
Si andavano intanto sviluppando a Venezia quelle condizioni che dovevano portare il C. sul soglio patriarcale. Data la avanzata, età e la cagionevole salute del patriarca, Lorenzo Giustinian, le autorità della Serenissima si erano poste il prqblema della successione, che si presentava assai complesso. Si trattava infatti di rivendicare una certa autonomia edi affermare i diritti della Repubblica sulla scelta dei candidato, senza urtare i diritti e la suscettibilità della Sede apostolica. Il 14 dic. 1454 il Consiglio dei dieci sottopose in termini assai accorti, con un suo dispaccio, la questione al pontefice.
Dopo aver ricordato l'alta considerazione in cui era tenuto l'attuale patriarca, ormai in età avanzata, si esprimeva il timore, "ne uno die a nobis naturali iure dimdat et cius loco succedat aliquis, qui sibi dissimilis sit et exinde apud nostram mestitiam aliquod scandalum possit oriri". Perciò si pregava il papa di venire incontro alle aspettative legittime dei Veneziani "pro singulari gratia et complacentia nostri Domini, prius quani eligat et det nobis patriarcham". Di fatto, il risultato dell'azione veneziana fu quello di assicurare al Senato la designazione dei candidato, che avrebbe dovuto poi essere consacrato patriarca dal pontefice.
Una volta risolto questo problema, un altro se ne affacciava sul piano della politica interna: individuare un candidato, su cui le diverse fazioni dell'aristocrazia senatoria potessero trovarsi unanimi. Mentre erano in corso tali maneggi, l'8 genn. 1456 Lorenzo Giustinian spirò. In questi frangenti il C. sembrò avere i requisiti necessari per suscitare il consenso generale e per raccogliere l'eredità spirituale e pastorale del defunto presule. La opzione si rivelò giusta. Il 12 gennaio il C. fu designato infatti al soglio patriarcale dal Senato, a larga maggioranza (centoventicinque voti contro quarantatré). Lo esito del ballottaggio (centotré suffragi contro quarantatrè: per Gregorio Correr, sessantaquattro contro centoundici per Andrea Bondumier) rivela tuttavia che la scelta non fu così unanime, come mostra invece la tradizione storiografica.
Il C. diede in questa occasione un'ulteriore prova della sua umiltà e del suo carattere schivo dagli onori e dagli interessi mondani: affermò infatti di essere immeritevole della designazione, protestando la propria indegnità a reggere l'alto incarico; si acconciò infine ad accettare, per pura obbedienza, solo dopo che fu giunta l'approvazione del papa alla sua elezione. Nella lettera di congratulazioni che Maffeo Vallaresso, arcivescovo di Zara, gli scrisse il 5 apr. 1456, troviamo l'eco delle titubanze che egli dovette conoscere in quella circostanza. Al di là delle espressioni di circostanza, la missiva lascia infatti trasparire sentimenti di amicizia e di sincera ammirazione per la modestia e le virtù cristiane del C. nell'invito caloroso ad accettare serenamente, con la volontà divina, "labores molestiasque" che la nuova dignità avrebbe portato inevitabilmente con sé. Al suo ingresso nella archidiocesi, il C. ricevette dalle monache di S. Zaccaria un dono, che divenne poi tradizionale per i nuovi patriarchi di Venezia: un letto, due cuscini un paio di lenzuola e una coltre.
Il governo pastorale dei C. si ispirò a principi di rigidità disciplinare e fu tutto pervaso dall'ansia di promuovere il progresso spirituale del popolo cristiano. Nella liturgia cercò di abolire l'antichissimo rito "gradense" o "patriarchino" - derivato alla Chiesa veneziana, insieme con la dignità patriarcale, dalla Chiesa di Grado -, sostituendolo con il rito romano. A tale scopo ottenne dal papa Callisto III una bolla, datata 12 dic. 1456, che autorizzava il patriarca e i canonici della cattedrale di Venezia a celebrare le funzioni sacre secondo il rito romano. Da allora, il rito gradense si conservò, radicandovisi, nelle chiese parrocchiali, che opposero una tenace resistenza alla sua sostituzione. Responsabile, per volontà del papa, dei canonici regolari lateranensi tra il 1457 e il 1458, nel 1459 il C. si trovò al centro di una complessa controversia tra Venezia e la Sede apostolica per la successione alla cattedra episcopale di Padova. Mentre il pontefice intendeva nominare Pietro Barbo, vescovo di Vicenza, il Senato veneziano sosteneva la candidatura di Giorgio Correr, protonotaro apostolico e abate di S. Zeno in Verona. La polemica assunse toni così violenti, da far temere che il papa avrebbe lanciato l'interdetto sulla città lagunare. Ulteriori motivi di tensione derivavano dagli indugi che Venezia frapponeva all'invio di suoi rappresentanti alla Dieta di Mantova. Il patriarca seppe muoversi tra gli opposti fuochi con abilità e riuscì a conciliare la dovuta obbedienza agli ordini del papa con la stima ed il prestigio di cui godeva in Senato, giungendo a risolvere per il meglio la difficile situazione.
Fu infatti il C. a presentare alla Signoria, nel marzo del 1459, il breve pontificio relativo alle questioni di Padova e della Dieta di Mantova, portato a Venezia da Bernardo del Bosco, uditore di Rota e vescovo eletto di Girgenti. A lui il papa indirizzò il breve del 30 marzo di quello stesso anno, coi quale gli ordinava di contribuire, per la somma di 25.000 ducati da prelevare sulle decime della Dalmazia, alle spese per l'allestimento di una flotta, che si sarebbe dovuta inviare a difendere Rodi e le altre isole già occupate dallo Scarampo; e con il quale lo pregava altresì di invitare il governo veneziano ad aggiungere una sua squadra navale alla flotta pontificia. Fu ancora lui che volle accanto a sé Bernardo dei Bosco, quando si presentò al Senato, il 3 settembre, per sollecitare l'invio degli oratori veneziani alla Dieta di Mantova. In queste delicate circostanze il C. dimostrò rare capacità dì azione e meditazione, che, congiunte alla sua rettitudine morale, ne fecero un punto di equilibrio fra Venezia e il Papato.Morì il 26 marzo 1460; venne sepolto nella "sua" isola di S. Giorgio in Alga, accompagnato dal cordoglio generale.
L'epitaffio apposto sulla sua tomba loda dei C., "per oboedientiam patriarcha (.II.) Venetiarum", lo spirito di rinun ia e di povertà e la santità della vita, di cui, "ordine suo et Laurentio Justiniano predecessore dignus", aveva saputo dare esempio nel corso della sua esistenza. La fama delle sue virtù non tardò a trasformarsi in venerazione, ma il suo culto non venne mai approvato dalla Chiesa. Il patriarca Luigi Tiepolo fece eseguire un suo ritratto nella chiesa di S. Maria dell'Orto. La biografia del C., composta in latino da Francesco Paradiso, fu inizialmente conservata a Firenze, presso la Biblioteca degli Angeli: ancora consultata nella prima metà del Settecento, è andata successivamente dispersa in epoca e in circostanze a noi ignote.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. Codd., I, Storia venera, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, p. 499; Ibid., III, Codd. Soranzo, 31: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, p. 795; Ibid., Notat. del Collegio, reg. 9 (1453-1460), c. 67v; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Mss. Cicogna, 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 174r; M. Sanuto, Vitas ducum Venetorum, in Rerum Italicorum Scriptorum, XXII, Mediolani 1733, col. 1161; F. Comer, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis, VII, Venetiis 1749, p. 71; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 1299 s. (dove è pubblicata la lettera di Maffeo Vallaresso del 5 apr. 1456); G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori venez., II, Venezia 1754, pp. XLVI, 66, 71, 124, 297; G. Cialliccioli, Delle mem. venete antiche, Profane ed eccles., IV, Venezia 1795, p. 55; G. M. Dezan, Quaranta immagini di santi e beati viniziani, Venezia 1832, p. 26; G. Cappelletti, Storia della Chiesa di Venezia, I, Venezia 1849, pp. 144 s.; G. Moroni, Venezia e quanto appartiene alla sua storia Politica e religiosa, II, Venezia 1859, p. 835; G. B. Picotti, La Dieta di Mantova e la Politica de' Veneziani, in Atti d. Dep. venera di st. Patria, s. 3, IV (1912), pp. 120 n., 129, 261, 359, 375 s. (a pp. 417 s., 474-476 sono pubbl. due documenti relativi al C. e ai suoi rapporti con il pontefice); G. Mantese, Correnti riformistiche a Vicenza nel primo Quattrocento, in Studi in onore di F. M. Mistrorigo, Vicenza 1958, pp. 897 s., 934 ss. (a pp. 936 s. è pubblicato il breve di Niccolò V del 14 aprile 1448); V. Piva, IlPatriarcato di Venezia e le sue origini, Venezia 1960, p. 105; A. Niero, I Patriarchi di Venezia. Da L. Giustinian ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 31 ss.; C. Eubel, Hierarchia catholica, II, Monasteri 1901, p. 290.