MAFFII (Mafii, Maffi), Maffio
Nacque a Firenze il 6 ag. 1881 da Pasquale, di antico e illustre casato, e Bianca Faldi. Nella città natale trascorse l'intera giovinezza, frequentando il liceo classico e i corsi dell'Istituto di studi superiori, ove si laureò in lettere e filosofia nel 1904.
Al termine della formazione universitaria, entrò in relazione con gli ambienti intellettuali protonazionalisti, particolarmente attivi nella città di G. Prezzolini e G. Papini, condividendone i programmi di rigenerazione e di "rinascita morale" del Paese e le inclinazioni antiparlamentari, elitiste e superomiste.
Fu nel microcosmo delle riviste fiorentine di inizio secolo che il M. (o Celio Rufo, come prese repentinamente a firmare buona parte degli articoli pubblicati) mosse i primi passi di una fortunata e duratura carriera giornalistica. Oltre che a Il Regno di E. Corradini (1903-06), collaborò con le principali espressioni di quella "cultura militante" che, non limitando il proprio raggio d'azione alla dimensione municipale, avrebbe influenzato profondamente le scelte ideologiche e i comportamenti politici del vasto fronte antigiolittiano: Hermes, il periodico promosso, nel 1904, da G.A. Borgese e Il Marzocco, del cui cenacolo il M. rappresentò "il più distaccato e il più accorto, il meno retorico scrittore" (D. Frigessi, Introduzione, in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, p. 56).
Il giovane M. non tardò ad ampliare l'orizzonte delle proprie collaborazioni, e a orientare gli interventi di critica letteraria e teatrale degli esordi verso il campo della cronaca politica. Nel 1907 cominciò a lavorare per Il Nuovo Giornale di Firenze (1907-08); si trasferì quindi al Giornale di Vicenza, che contribuì a fondare su ispirazione di A. Fogazzaro, e che diresse fino al 1909. Nello stesso anno, dietro raccomandazione dell'amico U. Ojetti, provò a entrare nella redazione del Corriere della sera; il rifiuto di L. Albertini, direttore del quotidiano, lo portò a iniziare una lunga collaborazione con La Tribuna di Roma, il foglio di orientamento liberal-nazionalista ove rimase fino alla metà degli anni Venti, ricoprendo successivamente gli incarichi di redattore capo e vicedirettore.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale il M. si schierò tra le file dell'interventismo, prendendo parte alle campagne per l'ingresso dell'Italia in guerra e alla diffusione del credo nazionalista di cui esse furono permeate. Nel 1915 si arruolò volontario, partecipando attivamente alle operazioni di guerra - nel corso del conflitto ottenne la promozione a capitano di artiglieria e una decorazione al valor militare -, e contemporaneamente ricoprendo il ruolo del corrispondente di guerra.
Inviato, insieme con M. Appelius, per La Tribuna e La Nazione di Firenze, percorse i fronti marittimi a bordo delle unità navali, affidando alle proprie cronache la ricostruzione delle varie fasi della guerra in Adriatico con il dichiarato intento di "rendere giustizia alla Marina" (M. Mafii [Mario Fiamma], Guerra di mare. In appendice: Diario delle operazioni navali italiane dal maggio 1915 al 1917, Milano 1917, p. 5); all'argomento dedicò anche alcune raccolte di articoli che riunì in volume: La riscossa navale. Dal Piave a Premuda. In appendice: Diario della nostra guerra sui mari fino a tutto il mese di luglio 1917, ibid. 1918; La Marina italiana nelle operazioni di terra, ibid. 1918; La vittoria in Adriatico. In appendice: Diario della nostra guerra sui mari, ibid. 1919.
Per La Gazzetta del popolo di Torino si occupò inoltre dei lavori della conferenza di pace a Versailles e dei colloqui istitutivi della Società delle Nazioni, nella cui Section d'informations sarebbe stato nominato, nel 1925, rappresentante per l'Italia.
Nel primo dopoguerra riprese l'attività redazionale per La Tribuna, seguendo con partecipazione la nascita del Partito nazionale fascista (PNF) e gli eventi che condussero, nell'ottobre 1922, alla marcia su Roma. Con l'avvento al potere del fascismo, la sua carriera subì una repentina accelerazione.
Nazionalista della prima ora e combattente, il M. venne cooptato nel vasto progetto di disciplinamento dell'informazione che accompagnò l'avvento del fascismo, e assegnato a funzioni di responsabilità nel giornalismo di regime.
Nel 1924 sostituì C. Rossi alla guida dell'Ufficio stampa della presidenza del Consiglio; carica che tenne fino al 1925, affiancando B. Mussolini nei difficili mesi del delitto Matteotti, della secessione aventiniana e dell'emanazione delle leggi speciali con cui ebbe di fatto inizio la dittatura. Nel 1925 passò a dirigere La Gazzetta del popolo di Torino, l'antico foglio dei finanzieri piemontesi divenuto espressione, nel 1924, degli elettrici della SIP, per approdare infine al Corriere della sera.
Tra le misure adottate nel corso del processo di allineamento della stampa italiana al regime, particolare importanza rivestì la politica di controllo sulle nomine dei direttori, la cui fedeltà al fascismo premeva a Mussolini ancor più di quella delle proprietà editoriali. Le ingerenze nella gestione dei giornali di tradizione liberale furono tradotte in provvedimento legislativo il 16 nov. 1927, quando una delibera del Gran Consiglio del fascismo riaffermò "la funzione educativa della stampa e la necessità che essa sia permeata e modellata dallo spirito fascista", intimando a tal fine che i posti di direzione e di comando venissero affidati a "camicie nere fedelissime".
Un mese dopo, il M. venne chiamato a sostituire Ojetti al vertice del Corriere della sera, per ovviare alle manifestazioni di indipendenza del predecessore e "in pieno accordo" - come sottolineava lo scarno comunicato redazionale pubblicato il 19 dic. 1927 - "con le gerarchie fasciste".
Nei due anni in cui ne fu alla guida, procedette speditamente sulla via della fascistizzazione del Corriere della sera, allontanando le personalità invise al regime, assumendo i collaboratori graditi ai vari gerarchi che esercitavano il potere nel capoluogo lombardo e sollecitando i redattori più capaci a chiedere la tessera del PNF, in ottemperanza alle direttive dell'Ufficio collocamento dei giornalisti diretto da A. Turati. Applicò con solerzia i numerosi decreti con cui la dittatura pose fine, nella seconda metà degli anni Venti, ai pur minimi residui di libertà di stampa: rispettò scrupolosamente il peso sempre crescente dell'Agenzia Stefani, ai cui bollettini i redattori furono invitati a riferirsi nel commento dei principali avvenimenti politici interni e internazionali; si attenne alle prescrizioni del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti e alla regolamentazione dei rapporti di lavoro imposta dall'istituzione dell'Albo (r.d. del 26 febbr. 1928, n. 384); non esitò a fornire la lista dei corrispondenti all'estero perché il governo potesse vagliarne l'effettiva "italianità" (25 apr. 1929), per non citare che alcuni dei condizionamenti cui il M. dovette far fronte nell'esercizio delle proprie funzioni direttive, ulteriormente limitate dalla supervisione del capo dell'ufficio stampa del fascio di Milano C. Ravasio, alle dirette dipendenze del vicesegretario del PNF A. Starace.
Fin dai primi mesi del 1929, tuttavia, l'operato del nuovo direttore cominciò a essere messo in causa: l'aver garantito l'amministrazione ordinaria non fu circostanza sufficiente a evitare le accuse di non procedere con la dovuta speditezza nella fascistizzazione della redazione, nonché di un suo scadimento tecnico-qualitativo di cui andavano lamentandosi tanto A. Mussolini quanto il gerente della Società del Corriere, il futuro senatore M. Crespi. Nell'estate del 1929, il M. venne dunque licenziato e, senza poter prendere commiato dai propri lettori, fu sostituito da A. Borelli, che sarebbe rimasto al Corriere fino al 1943.
Conclusa l'esperienza milanese, il M. venne reclutato come corrispondente del quotidiano La Razón di Buenos Aires, e come redattore della cronaca politica dalla Nuova Antologia (Firenze). Riprese quindi con sistematicità gli studi classici coltivati in gioventù, impegnandosi nella composizione di due opere di divulgazione storica particolarmente apprezzate dagli antichisti del regime: Cicerone e il suo dramma politico (Milano 1933) e Cleopatra contro Roma (Firenze 1939), per il quale fu insignito del premio Firenze.
Nel 1932 tornò ad assumere incarichi di prestigio nel mondo della carta stampata, prendendo il posto di U. Guglielmotti alla direzione de La Nazione di Firenze.
Le testimonianze dei collaboratori restituiscono l'immagine di un direttore esperto, capace di filtrare le disposizioni dei vertici del partito e dello Stato a beneficio della redazione, senza peraltro disattendere alle funzioni di proselitismo affidate ai giornali dalla stabilizzazione totalitaria.
Alla guida della Nazione rimase fino alla caduta di Mussolini: dopo aver commentato lo sbarco degli Alleati in Sicilia con un editoriale dal titolo L'ora della resistenza è scoccata (10 luglio 1943), si dimise il 25 luglio 1943, affidando le sorti del foglio fiorentino al redattore capo B. Micheli.
Anche in occasione del secondo conflitto mondiale, il M. vestì i panni del volontario e del corrispondente al fronte, partecipando alle imprese della Marina e alla guerra nel Mediterraneo. Con il progredire delle ostilità, la sua fede nel fascismo sembrò nondimeno affievolirsi, e con essa la sua osservanza ai dettami dell'informazione di regime.
Un rapporto della Polizia politica del 20 luglio 1940 riferisce come "notizia delicatissima" che "il Maffii, che era a bordo delle nostre unità che parteciparono allo scontro del 9 corrente, avrebbe dichiarato che questa battaglia navale è stata di assai relativa importanza e che i nostri giornalisti insistono per ragioni di propaganda" (Roma, Arch. centr. dello Stato, Polizia politica, Fascicoli personali, f. M., M.).
Nel 1948 venne coinvolto nel processo di epurazione e deferito in giudizio per aver diretto La Nazione durante il ventennio fascista. Prosciolto da tutte le imputazioni, poté riprendere il proprio lavoro di giornalista collaborando con Il Tempo, Il Messaggero e, saltuariamente, con il Corriere della sera. Negli ultimi anni di vita, si dedicò alla stesura di alcuni volumi di ricordi.
Il M. morì a Roma, dove risiedeva con la moglie Bianca Badaloni, il 30 nov. 1957.
Tra le opere del M., oltre a quelle già citate, si ricordano ancora: Le origini di Chantecler, Firenze 1910; La cooperazione britannica in Adriatico, Milano 1917; Alle prese coi lupi, Roma 1920; La donna romana dal telaio al trono, ibid. 1948; Sacco in spalla, Tivoli 1953; Come li conobbi, Roma 1954; Uomini "El". Personaggi antichi e moderni, Tivoli 1955; Vita sul mare, Roma 1955.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. storico del Corriere della sera, Carteggio personaggi e Società, 126, f. 333: Maffii Maffio, e ad ind.; Roma, Arch. centr. dello Stato, Polizia politica, Fascicoli personali, f. Maffii, Maffio; Segreteria part. del duce, Carteggio riservato, b. 8, f. 168, sottofasc. 5; b. 78, f. wr; Partito nazionale fascista, Direzione nazionale, Servizi vari, s. 1, b. 824, f. Milano, sottofasc. Situazione giornalisti di fronte al regime.
Vedi inoltre: Necr., in Il Tempo, 3 dic. 1957 (P. De Francisci); Carteggio Arnaldo - Benito Mussolini, a cura di D. Susmel, Firenze 1954, pp. 164 s., 174; A. Hermet, La ventura delle riviste, Firenze 1941, p. 34; La cultura italiana del '900 attraverso le riviste. "Leonardo" "Hermes" "Il Regno", a cura di D. Frigessi, Torino 1960, pp. 14 n., 51 n., 54 e n., 56, 58, 77 n., 433, 642; O. Malagodi, Conversazioni della guerra, 1914-1918, Milano-Napoli 1960, p. 55; F. Nasi, Il peso della carta, Bologna 1966, p. 200; A. Accame Bobbio, Le riviste del primo Novecento, Brescia 1975, pp. 117, 124 s., 127, 150-154; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, pp. 112, 240-258; P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari 1986, pp. 19, 50 s., 63, 67 n.; V. Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, Roma-Bari 1995, p. 160; P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Bologna 1996, pp. 142, 150; M. Isnenghi, L'Italia del fascio, Firenze 1996, pp. 270 s.; P. Ciampi, Firenze e i suoi giornali. Storia dei quotidiani fiorentini dal '700 a oggi, Firenze 2002, pp. 347 s.; M. Forno, Fascismo e informazione. E. Amicucci e la rivoluzione giornalistica incompiuta, Alessandria 2004, pp. 74 s. e nn., 78 e n., 82-84, 104 s. e n., 108 s. e n., 127-130, 157, 159 e n.; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, ad ind.; Annuario della stampa italiana, a cura del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, Bologna 1937, p. 231; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, pp. 579 s.; D. Cinti, Diz. degli scrittori italiani: classici, moderni e contemporanei, Milano 1939, ad ind.; Enc. Italiana, Appendice II, II, p. 240; E.M. Fusco, Scrittori e idee. Diz. critico della letteratura italiana, sub voce.