MAFILM
Sigla di Magyar Filmgyárto Vállalat, ente statale ungherese di produzione cinematografica fondato a Budapest, nel 1948, dal Partito ungherese dei lavoratori, nell'ambito della nazionalizzazione di tutte le industrie. Rispetto all'immediato dopoguerra, caratterizzato a livello cinematografico dall'importazione di film americani e dalla produzione di pochissime pellicole, la nascita della M. segnò l'inizio della ripresa artistica ungherese, improntata ai canoni formali di un rigido realismo socialista. La fabbrica e l'ideale del nuovo operaio socialista furono subito eletti dalla M. luoghi privilegiati della narrazione cinematografica, insieme all'intento di diffondere l'emergenza della ricostruzione politica ed economica in atto, modellata dai nuovi valori forniti dal socialismo. Passione per il lavoro, tenacia nelle difficoltà quotidiane, altruismo e fiducia nell'avvenire socialista furono le virtù che lo schermo volle instillare nel pubblico nella maggioranza dei quasi cento film prodotti dalla M. durante i suoi primi dieci anni, tra le cui pellicole si ricordano Szabóné (1949) di Félix Máriássy e Becsület és dicsöség (1951, Onore e gloria) di Viktor Gertler, esempi di un ingenuo realismo cinematografico, che soltanto nel tempo avrebbe acquistato consapevolezza critica. Composta di un solo studio negli anni Cinquanta, la M. venne ampliata e riorganizzata nel 1962: gli studi divennero quattro e ai registi, stabili per ciascuno di essi, furono delegate responsabilità nell'iter produttivo. La constatazione generale della difficoltà per i giovani a inserirsi nella M. portò all'abrogazione dell'obbligo per i registi di lavorare esclusivamente per uno solo degli studi, il cui numero scese fino a due per tornare poi negli anni Settanta definitivamente a quattro ‒ rispettivamente Hunnia, Budapest, Objektiv, Dialog. Finanziati per realizzare almeno cinque film all'anno dalla Direzione generale del cinema, dipendente dal Ministero della cultura, ogni studio della M. aveva un direttore che presiedeva un consiglio artistico e un vicedirettore, solitamente un regista. Proprio dai registi venivano scelti i soggetti dei film da produrre che, una volta superato il giudizio del Consiglio dello studio ‒ composto da un consesso di registi, operatori, specialisti ‒ e ratificato il parere del Ministero della cultura, si avviavano alla produzione. Pur non esistendo una censura cinematografica, il regista doveva naturalmente tener conto, nella sua opera di mediazione con la burocrazia, delle direttive implicite nella cinematografia di Stato ungherese. Stabiliti i finanziamenti statali per il cinema come veri e propri investimenti culturali, si sviluppava una dialettica tra l'apparato ministeriale e il regista, che trovava nel concetto di cosa fosse il realismo socialista e nella prospettiva da assumere nei confronti della società e della storia ungherese i limiti, quasi prefissati, di discussione e accettabilità dei film proposti. In tale contesto e in seguito all'invasione sovietica del 1956, maturò la realizzazione nel 1958 dello Studio Béla Balázs, indipendente dalla M., compiuta da un gruppo di giovani cineasti, tra cui István Szabó, Imre Gyöngyössy, Ferenc Kardos, al fine di creare un lavoro collettivo completamente svincolato dalla procedura burocratica ed espressivamente libero. Pure la stessa M. non rimase indenne dallo spartiacque segnato dal 1956: la produzione posteriore si mosse secondo una nuova direzione, quasi opposta alla precedente e tollerata dal Kadarismo. Film come Oldás és Kötés (1963, Sciogliere e legare) di Miklós Jancsó, Pacsirta (Allodola) di László Ranódy, Sodrásban (Corrente) di István Gaál, entrambi del 1964, testimoniano una rinnovata coscienza critica del cinema ungherese circa la complessità del dato storico e la sua riluttanza alle facili semplificazioni ideologiche. Non si cadde in uno scetticismo sulle potenzialità del socialismo, quanto piuttosto si verificò un ispessimento esistenziale delle sceneggiature elaborate. L'incomunicabilità personale, le difficoltà e contraddizioni incontrate nel socialismo reale presero il posto della facile visione di una società destinata a un invincibile progresso. I nuovi registi del decennio Sessanta sentirono soprattutto l'esigenza verbale di chiarire, a scapito dell'aspetto visivo, il nuovo corso delle cose (cfr. Micheli 1982, pp. 130-31), impoverendo la tradizionale forza iconica ed espressiva della cultura ungherese, che invece tornerà dirompente negli anni Settanta. Magyar rapszódia (Rapsodia ungherese) di Jancsó, realizzato nel 1978 ma uscito nel 1979, rappresenta un cinema che riconosce nello stile, nell'elaborazione di un tutto armonico nelle sue parti e fortemente simbolico, una delle sue necessità. Ancorata indissolubilmente alla realtà quotidiana, politica e culturale, anche negli anni Ottanta, con la privatizzazione degli enti pubblici avviata in Ungheria nel 1993, la M. divenne dal 1° gennaio 1994 una società per azioni.
S. Micheli, Cinema ungherese. Tradizioni, idee, forme, Roma 1982, passim.