MAGAZZINO (ὡρεῖον, σιτοϕυλακεῖον, ἀποϑηκη; horreum [granarium])
Speciali costruzioni ideate per scopi puramente pratici come depositi di derrate alimentari e, quindi, magazzini, ma per uso esclusivamente privato, sono ricordate dagli scrittori greci (che le chiamano thesauròi) per i regni dell'Asia Anteriore e del Vicino Oriente e sono testimoniate negli avanzi archeologici dei "palazzi" delle civiltà mesopotamiche (v.) e della Creta minoica (Cnosso, Festo, ecc., v.). Questi m. consistono in serie di ambienti rettangolari allungati, allineati lungo stretti corridoi e spesso affrontati, da una parte e dall'altra dei corridoi stessi, con nell'interno grossi pìthoi, parzialmente interrati, per la conservazione dei liquidi (olio, vino) e delle derrate alimentari.
Con un carattere più propriamente pubblico e indipendente, ma con funzioni soprattutto di deposito temporaneo e in stretta connessione con un mercato (v.), si ritrova il m. nella Grecia classica (Atene, Corinto), specialmente a partire dal III sec. a. C., nelle grandi città mercantili del mondo ellenistico (Pergamo, Cnido, Efeso, Smirne, Perge, Afrodisiade in Caria, ecc.). Si tratta, in generale, di serie di ambienti allineati attorno ad un cortile porticato per lo più destinato a mercato, tuttavia non mancano esempi di diversa concezione e di maggiore autonomia. Essi sono ampiamente testimoniati per l'Egitto tolemaico, anche se quasi esclusivamente attraverso le rappresentazioni figurate (ma un esempio superstite è presso il Ramesseo di Tebe) e appaiono a pianta centrale (circolare o ellittica) coperti con vòlte ad ogiva e costruiti in legno e argilla e anche in mattoni. I resti più importanti sono stati, però, ritrovati nelle città di Aigai e di Pergamo: a Aigai, nella Misia (v. aigai) doveva essere adibito a m., all'estremità nordorientale della città alta, un grandioso edificio almeno nel primo piano che, diviso nel senso della lunghezza in due parti uguali da un muro con grandi arcate, si presentava con due serie parallele di trentadue ambienti tutti uguali fra loro. A Pergamo si tratta del cosiddetto Arsenale (v.), press'a poco coevo dell'edificio di Aigai (fine sec. III-inizio II a. C., con restauri di età imperiale romana) formato da edifici rettangolari allungati costruiti in legno su robuste fondazioni di pietra. Benché destinati, almeno prevalentemente, a scopi militari, principî informatori e tecnica costruttiva di questi edifici dovevano essere identici per i m. alimentari (soprattutto granai).
L'Arsenale di Pergamo può essere considerato come un precedente dei m. romani, specie in campo militare (v. per esempio nell'accampamento di Scipione Emiliano al Castillejo presso Numanzia). Tuttavia, presso i Romani, il m. acquista presto, insieme a una completa autonomia, una importanza tutta particolare raggiungendo una straordinaria diffusione favorita dalla organicità dei concetti informatori, dalla perfezione della tecnica costruttiva e dalla sapienza dell'ordinamento giuridico e funzionale.
Le testimonianze, per tutta l'età romana, ma specialmente per il periodo imperiale, sono particolarmente abbondanti e significative e, alle fonti letterarie, giuridiche, epigrafiche, fanno da riscontro e complemento quelle monumentali.
Designato con il nome di horreum (di incerta etimologia e spesso usato indifferentemente insieme a quello di granarium, che però mantiene quasi sempre un significato più limitato, il m. dei Romani può essere privato e distinto allora in horreum rusticum, per la campagna e in horreum urbanum per la città, o pubblico ossia dello Stato e designato in tal caso più comunemente con il plurale horrea e l'appellativo di publica o fiscalia.
Sull'horreum rusticum si diffondono, in relazione all'agricoltura e alla vita dei campi, Columella, Varrone, Catone, Plinio, Vitruvio e Palladio. Sempre lontano dalla casa per evitare il pericolo degli incendi e in luoghi asciutti e areati, preferibilmente esposti a N o a E, esso deve essere costruito, se destinato al grano, in legno e su alti pilastri oppure in mattoni con muri spessi tre piedi, pareti senza finestre e copertura a vòlta; se destinato all'olio e al vino, a livello del terreno, con celle basse, particolarmente fresche quelle per il vino, a temperatura più mite quelle per l'olio.
Esempî di horrea rustici o domestici sono conservati a Ostia, Pompei, Boscoreale e generalmente corrispondono ai precetti dei trattatisti.
Importanza tutta speciale, anche dal punto di vista architettonico e monumentale, assumono gli horrea urbani e in particolare quelli dello Stato, destinati al deposito del grano e delle derrate per le distribuzioni al popolo e dei generi di monopolio (come il sale) e altre merci. Posti sotto la sorveglianza degli edili, durante la Repubblica, e del praefectus annonae, attraverso procuratores, durante l'Impero, essi erano particolarmente numerosi a Roma, a Ostia e a Porto, a Pozzuoli e nelle province più direttamente interessate ai rifornimenti della capitale (Sicilia, Africa settentrionale, Egitto).
A Roma l'esempio più antico dovette essere rappresentato dagli Horrea Sempronia sorti (forse sulle pendici dell'Aventino in quello che fu sempre il quartiere annonario per eccellenza e l'emporio del porto fluviale) in conseguenza della legge di C. Gracco (123 a. C.) sulla distribuzione di grano al popolo. L'esempio più grande e famoso fu invece costituito dagli Horrea Gaibana (in un primo tempo detti forse Sulpicia) sorti anch'essi fra il Testaccio e il Tevere e formati da un complesso di edifici il cui nucleo originario si deve forse far risalire circa al tempo degli Horrea Sempronia, ma che furono notevolmente ampliati e sostanzialmente rifatti dall'imperatore Galba. Destinati alle merci più disparate, dal frumento all'olio, dal vino ai legumi e anche ai marmi, all'avorio e alle stoffe, essi furono in ogni tempo i veri e forse unici m. pubblici generali della capitale.
Accanto a questi e ad altri minori, non mancavano gli horrea per così dire, specializzati, destinati a particolari generi di merci o derrate (come ad esempio gli Horrea Piperataria, per le spezie e le droghe orientali; i Candelaria, per la cera; i Chartaria, per la carta; i Fabaria, per i legumi, ecc.); mentre presero a poco a poco a diffondersi degli horrea speciali d'affitto (e, più generalmente privati) per il deposito di merci e soprattutto di beni personali. Durante l'impero di Alessandro Severo, pare che horrea di questo tipo fossero fatti costruire in ogni quartiere della città.
Quanto alle caratteristiche planimetriche e architettoniche degli horrea romani, l'ampia documentazione monumentale a Roma stessa (soprattutto: Horrea Germaniciana et Agrippiana e, parzialmente, Horrea Galbana, Seiana, Lolliana) e specialmente a Ostia (diciassette edifici fino ad ora riportati alla luce), cui si aggiunge, ancora per Roma, la singolare documentazione rappresentata dai frammenti della pianta marmorea severiana (Forma Urbis), ci offre un panorama, sotto molti punti di vista, completo.
Tipo fondamentale e caratteristico dell'horreum romano è l'edificio costituito da tre o quattro serie di ambienti (cellae) disposte ai lati di un vasto cortile, spesso porticato, e sul quale soltanto si aprono gli ambienti stessi spesso fra loro comunicanti. Un corridoio di accesso corre dalla strada direttamente al cortile, mentre un muro continuo circonda per intero l'edificio che viene il più possibile isolato dalle costruzioni attigue per evitare soprattutto il pericolo degli incendi.
Ma, accanto a questo che, pur fondato su una sostanziale semplicità ed elementarietà di caratteristiche, rappresenta il tipo base che appare organicamente studiato e meglio adatto alla funzione cui era destinato e che richiedeva regolarità di pianta, capacità e accessibilità di depositi, libertà e ampiezza di movimento e di disimpegno, almeno altri due sono i tipi cui si rifanno gli esempî più numerosi. Da una parte, quello più complesso derivato dalla giustapposizione di due o più cortili con conseguente iterazione di tutti gli altri elementi che finiscono con il creare quasi un nuovo organismo, particolarmente complesso e articolato quando le varie sezioni sono comunicanti fra loro, circondate da un unico muro perimetrale comune e fornite di portici continui. Dalla parte opposta, il tipo più semplice in cui, sparito il porticato interno e ridottosi il cortile all'aspetto e alle dimensioni di una strada o corridoio, pur sempre di una certa ampiezza, restano due sole serie di celle affrontate e aperte sul corridoio stesso.
Quest'ultimo è un tipo particolarmente rappresentato nelle città portuali (v. porto; pozzuoli) adatto com'è a disporsi lungo le banchine e in prossimità degli scali; in realtà, la sua evidente funzionale semplicità, lo stesso ricollegamento che se ne può fare con i m. dei palazzi cretesi e, infine, la costatazione che i due horrea ostiensi più antichi sono per l'appunto rappresentati da edifici di questo tipo (Reg. iii, i, 7 e Reg. iv, 12: inizio I sec. d. C.) portano a considerare questo stesso come il tipo originario in un possibile processo di sviluppo planimetrico-architettonico delle fabbriche horrearie. Seconda tappa di questo processo sarebbe allora quella rappresentata dallo edificio attorno al cortile, il quale costituirebbe poi il momento definitivo nella formazione dell'horreum tipico. Oltre questo si dovette andare soltanto per esigenze di maggiore ampiezza e capacità, con l'unica relativa novità che non poté venire se non da una duplicazione dello schema fondamentale. È da dire però che accanto ai tre tipi cui si può ricondurre la maggioranza degli esempî documentati, numerosi altri horrea, a cominciare da Roma stessa e più ancora in periferia e nelle province, si presentano con caratteristiche particolari, adattamenti, contaminazioni che non è possibile ricondurre a tipi determinati, anche se, in definitiva, non alterano in maniera sostanziale gli schemi divenuti in generale canonici.
Specialmente negli esempî accentrati attorno ad un cortile gli horrea avevano di solito due piani, di cui il secondo doveva essere destinato alle merci più delicate e pregiate e anche agli uffici dell'amministrazione e agli alloggi del personale. Le scale di accesso erano disposte alle estremità di ogni lato e anche al centro del porticato che continuava nel secondo piano con una specie di lunga loggia coperta dallo spiovente del tetto. Al piano terreno degli edifici era molto frequente il caso che all'esterno del muro perimetrale, lungo uno o più lati, ma indipendentemente dalla disposizione dell'interno, si disponessero file di tabernae o botteghe, date in affitto a negozianti di vario genere.
Le ripartizioni interne degli ambienti ci sono note attraverso le fonti letterarie e specialmente giuridiche, ma soprattutto per gli horrea d'affitto (che forse differivano per qualche particolare dalle disposizioni degli horrea di Stato) la cui funzione era regolata da speciali leges horreorum. Oltre alle cellae o apothecae, che costituivano le prime grandi ripartizioni, sono ricordati gli armaria, armadi a muro o di legno fissati alle pareti e le arcae, specie di grandi cassoni bassi e mobili, di legno.
Una disposizione speciale era nelle celle vinarie in cui una sorta di piattaforma a più gradini costituiva il cuneus, così chiamato per la somiglianza con i cunei dei teatri.
Per ciò che concerne i materiali da costruzione, prevale, nei tempi più antichi, la grossa pietra da taglio (tufo, peperino) preferita per la solidità che conferiva all'edificio e l'efficace riparo che offriva contro l'umidità, il fuoco ed i ladri. In un secondo tempo si introduce, anche nella costruzione degli horrea, la tecnica dell'opera reticolata, mentre in piena epoca imperiale si diffondono, fino a prevalere del tutto, l'opera laterizia e il calcestruzzo.
Edifici sostanzialmente diversi da quelli finora esaminati non mancano di avere una relazione diretta per la loro destinazione, almeno parziale, con i m. per esplicita testimonianza delle fonti antiche o per ipotesi moderne. A Roma, per esempio, una categoria di edifici designati con il nome generico di porticus stava forse a rappresentare speciali m. di deposito e vendita: così la Porticus Aemilia (192 a. C.) presso l'Emporio, la Porticus Margaritaria (epoca domizianea) presso il Foro e la Porticus Minucia Frumentaria (forse del tempo di Claudio) nel Campo Marzio. Ma dal tipo dei veri e proprî portici essi si distaccano nettamente presentandosi (almeno i primi due che ci sono sufficientemente noti) come vasti quadrilateri in cui file di pilastri determinavano serie di ambienti allineati e intersecantisi senza alcuna sostanziale separazione fra loro. La probabile destinazione di questi "portici" anche alla vendita e alla distribuzione diretta delle merci può forse richiamare a quei cosiddetti "mercati" (v.) (esemplificati a Tivoli, a Ferentino e, per certi aspetti, fin nella grande aula a crociera dei Mercati Traianei a Roma) che si presentano con un lungo ambiente coperto a vòlta, aperto ad una estremità verso la strada e fiancheggiato lungo tutto un lato da ambienti minori disposti perpendicolarmente.
Sempre come uno speciale magazzino-mercato potrebbe essere interpretato un caratteristico tipo di costruzione ricavata nei fianchi di speroni rocciosi o di terreni in declivio, che si presenta (per esempio a Ferentino; ma qualcosa di simile, anche se più complesso, si sta scavando a Coimbra) con un ambulacro perimetrale a quattro bracci che si incontrano ad angolo retto limitando un quadrilatero interno a sua volta articolato con ambienti allungati, intercomunicanti, cui si addossa, da un lato, una galleria cieca.
Collegati a questo tipo di costruzione sono, per la loro pianta, i grandi horrea di Narbona (a S del Foro) che si presentano ugualmente con un grande quadrilatero di gallerie, stavolta completamente sotterranee, fiancheggiate a sinistra e a destra, almeno nelle due ali scavate, da piccoli ambienti rettangolari coperti a vòlta.
Gli horrea di Narbona se sono essi, come tutto porta a credere, gli horrea menzionati per questa città da Sidonio Apollinare (Carm., XXII, v. 40 ss.), con la loro planimetria a quadrilatero e la caratteristica di sotterranei hanno fatto più volte richiamare a confronto quella serie di gallerie sotterranee indicate con il nome generico di "criptoportici" (v.) presenti ad Aosta ed in alcune città della Gallia (Arles, Reims, Bavai), sulla cui destinazione gli studiosi sono peraltro ancora divisi. In questi criptoportici che si presentano, schematicamente, come tre ali di gallerie disposte a ferro di cavallo e ognuna divisa in due ambulacri per mezzo di una fila centrale di pilastri, una delle teorie più diffuse vi riconosce una speciale varietà di horrea; ma a questo riconoscimento ostano la mancanza di una ripartizione delle gallerie in ambienti (che potrebbero però essere stati anche determinati da scomparti e tramezzi lignei), la eccessiva angustia degli accessi, la dipintura degli intonaci, insolita per dei magazzini e dal confronto con i criptoportici delle ville destinati al passeggio in luoghi freschi e riparati.
Una particolare categoria di veri e proprî m., sempre nel mondo provinciale, è rappresentata dagli horrea militari, specialmente documentati nei castella e nei castra della Germania e dell'Inghilterra (Kapersburg, Urspring, Weissenburg, Saalburg). Generalmente al centro del campo, lungo la via principalis, presso il pretorio, essi constano di robuste costruzioni di pietra spesso rafforzate da contrafforti, con un unico vasto ambiente a pianta rettangolare (ma non è raro il caso in cui le costruzioni si presentano accoppiate) cui talvolta si affiancano ambienti minori destinati ai servizi. Il pavimento, in terra battuta, è generalmente sollevato dal terreno mediante pilastrini o muretti secondo il sistema delle suspensurae termali, e l'intercapedine che ne risulta per tenere lontana l'umidità, è areata da piccole feritoie aperte nei muri.
Di derivazione probabilmente militare sono degli horrea documentati specialmente nelle province danubiane e renane (v. per esempio a Treviri) che presentano un corpo di fabbrica (ma spesso sono due identici, accoppiati) a pianta rettangolare molto allungata, suddiviso internamente in tre navate da due file di pilastri, a due piani, coperto da un tetto a capriate e aperto all'esterno con un piccolo portico.
Caratteristiche di tradizione ellenistica si mantengono vive, anche in questo campo, nelle province orientali dell'Impero dove avanzi di horrea particolarmente notevoli rimangono a Patara e ad Andriake nella Licia, con edifici a pianta rettangolare ad un sol piano suddivisi in ambienti allungati e coperti con vòlta a botte, comunicanti fra loro e aperti, sulla fronte, verso un piccolo portico comune. (Varrà la pena di ricordare che edifici in tutto simili a questi per la planimetria si ritrovano ampiamente documentati nella già ricordata pianta marmorea di Roma, ma sulla loro destinazione nulla è possibile dire con sicurezza data l'assenza di avanzi monumentali sul terreno per quanto le loro caratteristiche, l'ubicazione in zone spesso chiaramente commerciali e il confronto con gli esempi citati dell'Asia Minore, rendano estremamente probabile l'ipotesi degli horrea).
Numerosi horrea furono infine costruiti, soprattutto dal tempo del trasferimento della capitale a Costantinopoli (Troadensia, Valentiniana, Constantiaca, Alexandrina, Theodosiana, ecc.), ma, benché ricordati dalle fonti, di essi nulla si conosce.
Bibl.: H. Thédénat, in Dict. Ant., s. v. Horreum; P. Romanelli, in E. De Ruggiero, Diz., s. v. Horreum; id., in Enc. Ital., s. v. Magazzino; G. Carcopino, Ostensia. Les quartiers des docks, in Mél. Arch. et Hist., 1910, pp. 397-446; A. Grenier, Les "horrea" de Narbonne, in Gallia, XII, 1954, pp. 93-96; id., La question des cryptoportiques, in Manuel archéol. Gallo-rom., III, i, pp. 305-322; R. A. Staccioli, Tipi di horrea nella documentazione della Forma Urbis, in Hommages A. Grenier (Coll. Latomus) in corso di stampa.