maggiore (maggio)
Aggettivo ad altissima frequenza, usato assolutamente o seguito da un secondo termine di paragone, ovvero come superlativo relativo. La forma apocopata (‛ maggior ') ricorre spessissimo, anche al plurale. In più luoghi della Commedia (If VI 48, XXXI 84, Pd VI 120, XIV 97, XXVI 29, XXVIII 77, XXXIII 55), in Fiore III 8 e in Detto 8 si registra la forma nominativale ‛ maggio '-‛ maggi ', largamente usata nei dialetti toscani antichi; ‛ maggio ' non è mai usato nella prosa e nella lirica di D., e nella Commedia ricorre quasi sempre in rima, per cui si può affermare che D. cerca di evitare tale forma. Non rara la contrapposizione a ‛ minore '.
Come il positivo ‛ grande ', il termine può indicare le qualità più disparate, a seconda dei contesti in cui è adoperato.
In riferimento a una grandezza materiale, corporea, può valere " più ampio ": Pg IV 19 Maggiore aperta, " apertura ", " buco "; Pd IX 82 La maggior valle; XXVIII 68 e XXX 39 maggior corpo; If XXXI 84 assai più fero e maggio, " più alto ", detto del gigante Fialte; quanto a If XXVI 85 Lo maggior corno de la fiamma antica, la punta " più alta " della fiamma che cela Ulisse e Diomede racchiude l'anima del primo, in quanto più importante del suo compagno di pena per peccato e per opere: " a Dante piace spesso porre una corrispondenza tra la grandezza ideale del personaggio e il suo aspetto " (Porena). Vale " più profondo " in If XIX 16, detto dei fori in cui sono confitti i simoniaci.
In contesto metaforico: Cv IV XXIII 7 l'arco de la vita d'un uomo è di minore e di maggiore tesa che quello de l'altro; Pg VIII 138 cotesta cortese oppinïone / ti fia chiavata in mezzo de la testa / con maggior chiovi che d'altrui sermone, " con chiodi più lunghi e robusti ", cioè con " argomenti più persuasivi " (Sapegno).
Riferito a ‛ lume ' e simili, vale " più grande " e quindi " più lucente " (Come distinta da minori e maggi / lumi [" stelle "] biancheggia... / Galassia..., Pd XIV 97; Pg XVII 45; lo maggior foco, Pd XXIII 90), mentre in altri casi la relazione grandezza-lucentezza è esplicita: Pg II 21 ridivil [il lume, l'angelo nocchiero] più lucente e maggior fatto; XXVII 90 le stelle / di lor solere e più chiare e maggiori; Pd XXII 28 la maggiore e la più luculenta / di quelle margherite.
Il termine ricorre anche come attributo del passo dell'uomo: If XVIII 27 con passi maggiori, " più lunghi "; Pg XX 120 ir... / ora a maggiore e ora a minor passo; XXIV 97.
L'aggettivo designa talvolta superiorità in ordine a fatti o fenomeni fisici e naturali: Pg VI 49 andiamo a maggior fretta, " più in fretta "; Pd I 123 quel c'ha maggior fretta, il Primo Mobile, il quale si volge " più rapidamente " degli altri cieli; VIII 69 maggior briga, " l'assalto più impetuoso " del vento Euro; Cv II III 14; anche in contesto metaforico: Rime CIII 4 questa bella petra, / la quale ognora impetra / maggior durezza.
Indica superiorità in estensione temporale, in Cv I V 9 lo maggiore tempo, " più lungo "; IV V 12 la maggiore adolescenza di Roma, cioè " il periodo più lungo " della sua adolescenza (nel senso di " crescita ").
Sempre nell'ambito della superiorità di carattere materiale, l'aggettivo, per lo più in unione con singolari collettivi (‛ parte ', ‛ numero '), vale " più numeroso ": Vn XXII 4 la maggiore parte di quelle donne; Cv I I 4, IV 3, II IV 8, 9, 12 e 15, IV XXV 1; XXVII 17 lo suo popolo ristorato li fu maggiore che, prima.
Nel senso di " più alto ", detto di cifra numerica: questo ‛ mille ', è lo maggiore numero, e più crescere non si può se non questo multiplicando (Cv II XIV 4). Cfr. anche IV XII 5 [le ricchezze] recano... maggiore quantitade a desiderio.
Numerosissime le accezioni figurate.
Riferito a persona, come attributo di superiorità spirituale, morale o intellettuale: Rime LI 6 la maggior de la qual si favelli, detto di una donna e non, come si è inteso da qualcuno, della Garisenda (cfr. Contini, Rime 31); Cv IV IX 6 maggior fattore, cioè Dio; XXVI 8 Virgilio, lo maggiore nostro poeta (cfr. anche Pd XV 26); Cv IV IX 12 vedemo... contenzione tra li artefici, e domandare consiglio lo maggiore al minore. Ancora contrapposto a ‛ minore ', come predicativo: 'l magnanimo sempre fa minori li altri che non sono, e lo pusillanimo sempre maggiori (Cv I XI 19). Riferito ad ‛ amico ' - non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore (II XV 6) - può valere anche " più intimo ": Rime L 35 tutti incarchi sostenere... / de ' l'uomo... / prima che 'l suo maggiore amico provi. Cfr. ancora Fiore III 8, predicativo come in Detto 8 i' l'ho tenuto maggio. Anche sostantivato, a indicare " superiore per grado e autorità ": Cv IV VIII 1 la reverenza che dee lo minore a lo maggiore; Pg XXXIII 26 color che troppo reverenti / dinanzi a suo maggior parlando sono.
In If II 24 il successor del maggior Piero, il papa è detto successore di s. Pietro: l'aggettivo non è un comparativo o superlativo, ma " un titolo d'onore " in sé (Barbi, Problemi I 237; e prima S. Betti, Scritti danteschi, IV 30); così anche Casini-Barbi e Sapegno (nel Tommaseo: " Gesù Cristo dicendo in Luca: Pietro, conferma i tuoi fratelli, lo fa quasi il fratel maggiore de' sacerdoti tutti "), mentre il Torraca intende maggior " rispetto agli altri apostoli "; in Scartazzini-Vandelli è presentata l'ipotesi che l'attributo possa essere inteso relativamente a " tutti gli altri santi di nome Pietro "; il Mattalia chiosa " maggiore o massimo per priorità storica ideale e istituzionale ".
Nel senso di " più importante ", riferito a cose o a figure di personificazione: Rime LXVII 67 lo spirito maggior, cioè lo spirito della vita, che è " il più importante " fra quelli che albergano nel corpo umano; Cv IV XI 11 maggiori cose; XII 17 maggiori appariscono li desiderabili; Pd X 28 Lo ministro maggior de la natura, cioè il sole. In contesto metaforico: Vn II 10 verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi, " più ricchi d'eventi e più degni di ricordo " (Sapegno).
In Cv III III 7, il sintagma l'Ovidio Maggiore designa, per metonimia, " l'opera più importante " di Ovidio, cioè le Metamorfosi.
Riferito a stati d'animo, il vocabolo vale " più intenso ", detto di amore (Pd XXVI 29); cura, cioè " preoccupazione ", " occupazione ", " pensiero " (Pg II 129, XIX 93, XXXIII 124); desiderio (Vn XXXVIII 6, Cv III X 2), ovvero disio (Pd III 126); voglia (Pg XXVI 61); sete, nel senso figurato di " desiderio di sapere " (XXVI 20); diletto (Cv III VI 8, IV XXII 9); gioia (Fiore CCII 4); piacere (LIX 11); dolore (If V 121), ovvero dol (Rime XLIV 11); pena, " dolore " (Vn XXXIV 11 12; nel senso di " tormento " cui sono sottoposti i dannati, in If VI 48 e XXXIV 61); pieta, cioè " dolore ", " angoscia " (If VII 97); tormento (Fiore XLVII 6); tristizia (If XXIX 58, e, come " tormento ", XXII 111); paura (XVII 106).
Superiore intensità il vocabolo denota in Pd XXX 94 così mi si cambiaro in maggior feste / li fiori e le faville, " in aspetti più festosi " (Sapegno), mentre vale " più profondo " riferito a sonni (Pg XXXII 78) e a letargo, cioè " oblio ", " dimenticanza " (Pd XXXIII 94). Si aggiunga il maggior savere, " più saggezza ", di Fiore CXX 13.
Riferito a sostantivi astratti, il termine assume vari significati, che ipotizziamo sulla base degli elementi contestuali: " più ampio ", detto dell'autoritade (Cv I IV 13), o della licenza (Vn XXV 7, due volte); " più alto ", riferito a bando, " celebrazione " (Pd XXX 34), a grado, cioè " rango " (If XVI 36), a loda (Cv II X 5); " più largo ", cioè " più generoso ", detto di beneficio (Cv I XIII 2), dono, cioè " favore " (Rime L 41, Pd V 19), gaggi, cioè " compensi " (Pd VI 120), grazia (Vn XIX 10 41); " più pieno ", " più completo ", riferito a confusione, cioè " umiliazione " (Cv IV XIV 2), a diversitade (X 9), a grandezza, in senso morale (I X 8), a perfezione (II VIII 11, IV XIII 2), a persuasione (III XIV 12), a subierione (IV IX 11), a testimonianza (XII 7); " più grave ", riferito a detrimento (IV VII 10), a difetto (I III 2, II VIII 11 [due volte], If XXX 142), a inreverenza (Cv IV VIII 15), a magagna, cioè " vizio " (Pg XV 46); " più forte ", " più potente ", detto di bontà, cioè " virtù " (Pd XXVIII 67), di effetto (Cv II IV 14), di forza (Pg XVI 79), di salute, cioè " effetto salutare " (Pd XXVIII 67 e 68), di vigore (Cv IV XV 9); " più importante ", attributo di punto, nel senso di " aspetto " di una questione (Pd V 34); " più impellente ", attributo di mestiere, cioè " necessità " (CV IV VI 2).
Sostantivato, come singolare neutro: Pg VII 78 come dal suo maggiore è vinto il meno, cioè " come il meno è superato dal più "; Pd XXVIII 77 tu vederai mirabil conseguenza / di maggio a più e di minore a meno, / in ciascun cielo, a süa intelligenza, cioè " troverai una mirabile conseguenza, corrispondenza di estensione e velocità maggiore (maggio) a virtù maggiore, e di estensione e velocità minore a virtù minore, in ciascun cielo, in rapporto alla intelligenza motrice del cielo stesso " (Chimenz).
Nel senso di " anziano ", rispetto all'adolescente, come plurale sostantivato: Cv IV XXIV 12 l'adolescente, che entra ne la selva erronea di questa vita, non saprebbe tenere lo buono cammino, se da li suoi maggiori non li fosse mostrato; così anche al § 18, e in XXVI 10.
Analogamente, sempre col valore di sostantivo, nel senso di " antenato ", " progenitore ", al singolare: Cv IV VII 9 quelli che dal padre o d'alcuno suo maggiore [buono è disceso ed è malvagio], non solamente è vile, ma vilissimo; ma più frequente al plurale (cfr. il latino maiores): If X 42 Chi fuor li maggior lui?, e Cv IV XXIX 2, 6 (due volte) e 7, Pg XI 62, Pd XVI 43.
In Pd XXXII 136 contro al maggior padre di famiglia / siede Lucia, il termine sembra usato nel duplice significato di " il più anziano ", perché più antico nel tempo, e di " progenitore ", in quanto Adamo fu " padre di tutta l'umana famiglia " (Scartazzini-Vandelli).
Talvolta il termine introduce un paragone fra un oggetto e il senso che non è in grado di afferrarlo: Pg XXIX 79 Questi ostendali in dietro eran maggiori / che la mia vista, questi stendardi, cioè le strisce luminose lasciate dai candelabri, " Si allungavano tanto nella lontananza che la mia vista non ne discerneva il fine " (Casini-Barbi); ovvero indica la superiorità della capacità visiva in atto sulle facoltà espressive della parola umana: Pd XXXIII 55 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che 'l parlar mostra, detto a proposito dell'eccezionale esperienza di contemplazione con cui si conclude il poema.
La maggior fortuna di Pg XIX 4 è un gruppo di stelle, " piccolo ma assai spiccato per la forma, composto di sei piccole stelle... [che] fa parte della costellazione dei Pesci " (Porena). v. GEOMANTE.