PAGANI, Maghinardo
PAGANI, Maghinardo (da Susinana). – Nacque prima del 1243 (doveva essere almeno venticinquenne nel 1268, quando testimoniò in un atto notarile) da Pietro di Pagano, signore di Castel Pagano, Susinana e di numerosi altri castelli lungo le strade di valico appenninico tra Toscana e Romagna, e da Diana, di ignota origine.
Ereditata dal padre l’ampia signoria estesa sulle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno, fu protagonista delle vicende politiche e militari romagnole dell’ultimo quarto del secolo XIII, perseguendo per tutta la vita un progetto di egemonia politica sulle città di Faenza e di Imola.
Ultimo esponente di una dinastia di orientamento filoimperiale fin dalla metà del secolo XII, Maghinardo, per il conseguimento dei propri obbiettivi nell’intricato quadro delle lotte politiche tardo duecentesche, dovette confrontarsi e variamente collegarsi con le diverse forze in campo: i Comuni romagnoli e le loro parti; i fuoriusciti Lambertazzi bolognesi e la coalizione antiangioina romagnola; il Comune di Bologna, principale antagonista nella costruzione di un’egemonia sulla Romagna occidentale; i legati e i rettori pontifici di Romagna; il Comune di Firenze e, in particolare, alcune delle famiglie della parte guelfa di quella città, cui Maghinardo appare strettamente legato. Se il suo schieramento nei confronti di tutte le citate forze in campo mutò nel corso del tempo, solo a quest’ultima alleanza tenne sempre fede.
La spregiudicatezza politica gli valse la condanna di Dante che lo definì «il lioncel dal nido bianco che muta parte dalla state al verno» (Inf., XXVII, 50 s.), con riferimento allo stemma di Maghinardo, un leone rampante blu, linguato e armato di rosso, in campo argento. Alcuni dei primi commentatori della Commedia (Iacopo della Lana, Benvenuto da Imola) interpretarono il verso dantesco non solo come generica accusa di mutevolezza e inaffidabilità politica, ma come preciso riferimento alla contraddizione insita nella doppia fedeltà politica di Maghinardo: a meridione (la state) dell’Appennino, e cioè in Toscana, dove egli agì sempre a favore della parte guelfa, e a settentrione (il verno), e cioè in Romagna, dove fu spesso in raccordo con le forze ghibelline, in funzione antibolognese.
Il fermo biasimo di Dante, ribadito nel canto XIV del Purgatorio dove si profetizza la morte del «dimonio» dei Pagani (vv. 118-120), certo dovuto alla spregiudicata condotta di Maghinardo che dovette essere evidente agli occhi dei suoi contemporanei, colpisce comunque un potente alleato dei guelfi neri: il collegamento del signore romagnolo con le famiglie della fazione avversa a Dante, stretto già nel 1282 mediante l’unione matrimoniale con Mengarda della Tosa, permise a Maghinardo di passare tra le file dei sostenitori di Bonifacio VIII sullo scorcio del secolo, e vedere così sancito il proprio dominio romagnolo: il 1° novembre 1301 egli entrò a Firenze con il proprio contingente militare al fianco di Carlo di Valois.
Se Dante ebbe gioco facile nello stigmatizzare l’inaffidabilità politica di un alleato dei suoi avversari, Giovanni Villani si preoccupò invece di spiegarne la condotta. Nel passo dedicato al «grande e savio tiranno» Maghinardo, descritto in termini molto positivi (Nuova Cronica, VIII, 149), Villani riporta che egli: «ghibellino era di sua nazione e in sue opere, ma co’ Fiorentini era guelfo e nimico di tutti i loro nimici o guelfi o ghibellini che fossono». E subito dopo fornisce una spiegazione: «E ciò fu, che morto il padre, che Piero Pagano avea nome, grande e gentile uomo, rimanendo il detto Maghinardo piccolo fanciullo e con molti nimici, conti Guidi, Ubaldini e altri signori di Romagna, il detto suo padre il lasciò alla guardia e tuteria del popolo e Comune di Firenze, lui e le sue terre: dal quale Comune benignamente fu cresciuto e guardato e migliorato il suo patrimonio e per questa cagione era grato e fedelissimo al Comune di Firenze in ogni sua bisogna».
Tuttavia, poiché sappiamo che Maghinardo doveva essere almeno venticinquenne nel 1268 e possediamo l’attestazione che Pietro di Pagano era ancora vivo nel 1266, quest’ultimo non può aver lasciato orfano il figlio meno che ventitreenne. Il racconto di Villani potrebbe, dunque, essere inteso come tentativo di risolvere un’evidente incongruenza riguardo a un personaggio del quale a Firenze si conservava memoria positiva.
Le prime attestazioni dell’attività politica e militare di Maghinardo lo vedono impegnato a fianco dei ghibellini faentini Accarisi nella lotta contro gli avversari guelfi Manfredi e Sassatelli: nel 1273, nell’assedio della rocca di Gallisterna, subì una sconfitta da parte di questi ultimi, nella quale perse Bonifacio, suo unico fratello legittimo. A partire dal 1274 la cacciata dei Lambertazzi da Bologna provocò la saldatura delle diverse parti ghibelline e antibolognesi romagnole sotto il comando di Guido da Montefeltro: le successive vittorie della coalizione portarono Maghinardo a ricoprire nel 1275, per la prima volta, la carica di podestà di Faenza. I Geremei bolognesi, uniti con i fuoriusciti guelfi romagnoli, radunarono quello stesso anno un esercito con l’obbiettivo di riconquistare le città romagnole e spingersi fino a Forlì, città guida della coalizione antibolognese. L’armata guelfa però, fermata al ponte di S. Procolo dai faentini di Maghinardo, andò in rotta quando a questi si unirono i forlivesi di Guido da Montefeltro (13 giugno 1275). Nel tardo autunno dello stesso anno Maghinardo, nelle vesti di podestà, accolse in Faenza gli emissari di Rodolfo di Asburgo e prestò loro giuramento insieme con i rappresentanti degli altri Comuni romagnoli.
La successiva decisione del neoeletto imperatore di cedere definitivamente la Romagna al dominio papale (1278) cambiò però gli equilibri delle forze nella regione. I tentativi papali di pacificazione tra le parti e tra i diversi Comuni non poterono condurre a una tregua duratura: la seconda cacciata dei Lambertazzi (settembre 1279) e il loro acquartieramento a Faenza e negli altri centri romagnoli sembrò riproporre la situazione di cinque anni prima, ma la defezione di Tibaldello degli Zambrasi, che aprì nottetempo le porte della città ai Geremei, condusse alla strage di ghibellini faentini e fuoriusciti (novembre 1280). Maghinardo scomparve dalla scena politica romagnola in questi anni: non abbiamo testimonianze della sua presenza alla battaglia di Forlì, il «sanguinoso mucchio» che costituì l’ultima grande vittoria di Guido da Montefeltro contro l’esercito angioinopapale (1° maggio 1282).
L’occasione per il ritorno sulla scena politica faentina gli fu offerta dal cosiddetto eccidio della Castellina, in seguito al quale Alberigo Manfredi, autore della strage dei propri parenti, trovò rifugio presso il suo vecchio nemico Maghinardo (1285). Nel contesto della riorganizzazione delle parti in funzione del contrasto all’esosità dei legati papali, Maghinardo riuscì a riconquistare Faenza e spingersi con la forza delle armi fino a Forlì: nel 1286 fu podestà di entrambi i Comuni. L’anno seguente riuscì a far eleggere vescovo di Faenza il cognato Lottieri della Tosa. Dalla metà degli anni Ottanta appare sempre più strettamente legato alle alleanze fiorentine: se la città mosse in suo aiuto nel 1287 per liberarlo dall’assedio delle sue rocche appenniniche da parte degli avversari faentini, nel 1289 combatté a Campaldino al fianco dei fiorentini contro i ghibellini aretini. E proprio grazie al Comune di Firenze e all’intervento di Corso Donati e di Bindo della Tosa (rispettivamente podestà e capitano del Popolo di Bologna in differenti semestri tra 1288 e 1289) riuscì a ottenere il riconoscimento e l’alleanza dal Comune bolognese: il 16 ottobre 1289 giurò fedeltà al Comune di Bologna e alla parte guelfa.
Fedeltà destinata a venir meno rapidamente: allo scoppio delle ostilità tra gli Estensi e i Comuni di Parma e Bologna, Maghinardo accorse ad Argenta al richiamo rivolto da Azzo VIII d’Este ai signori romagnoli per la formazione di una lega antibolognese (1295). Mentre l’esercito ferrarese attaccava da ovest, la Lega romagnola guidata da Maghinardo strappava Imola ai bolognesi. Le carte di S. Cristina nell’Archivio di Stato di Bologna conservano le registrazioni dei forti prestiti concessi per i fini bellici a Maghinardo e agli altri capi romagnoli da parte dei banchieri fiorentini delle famiglie Bardi e Spini tra 1297 e 1299. Proprio il collegamento con la parte guelfa fiorentina consentì a Maghinardo di uscire vincitore anche da questa impresa: la pacificazione generale sotto l’arbitrato di Bonifacio VIII e con l’appoggio del Comune di Firenze lo lasciò padrone di Imola (di cui fu podestà dal 1297 al 1299 e capitano del Popolo dal 1299 al 1302) e sancì la sua egemonia su Faenza (dove teneva la carica di capitano del Popolo ininterrottamente dal 1289) e Forlì (capitano del Popolo nel 1300).
Nel momento in cui, col sostegno offerto al nuovo rettore di Romagna Carlo di Valois e ai guelfi neri, raggiunse la massima fortuna politica, Maghinardo improvvisamente si ammalò e morì nel suo castello di Benclaro (27 agosto 1302).
Il testamento a favore delle due figlie Andrea e Francesca e dei suoi più stretti collaboratori dettato il 19 agosto 1302, conservato in originale nell’Archivio di Stato di Firenze, testimonia la ricchezza e la potenza raggiunta dal suo estensore.
Fonti e Bibl.: Per Pietro di Pagano e Diana: Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Parma 2007, in partic. p. 1028. Le fonti narrative che forniscono il maggior numero di informazioni sui Pagani e su Maghinardo sono: Pietro Cantinelli, Chronicon Faventinum(a.a. 1228-1306), a cura di F. Torraca, in Rer. Ita. Script., II, XXVIII/2, Città di Castello 1902; Giovanni Villani, Nuova Cronica, I, a cura di G. Porta, Parma 1990, in partic. libro VIII, c. 149, pp. 624 s. Le carte che registrano i prestiti ottenuti da Maghinardo si trovano nell’Archivio di Stato di Bologna, Corporazioni religiose soppresse, S. Cristina, 1/2862. Il testamento di Maghinardo è pubblicato in S. Gaddoni, Il testamento di M. P. da Susinana, in Studi danteschi a cura della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna nel VI centenario della morte del poeta, Bologna 1921, pp. 75-88; P. Beltrani, Lettere inedite del comune bolognese a M. P. da Susinana, in La Romagna, III (1906), pp. 43-53; Id., M. P.da Susinana, Faenza 1908; su quest’ultimo studio si veda la recensione di F. Torraca in La Romagna, VI (1909), pp. 154-163 e la risposta di Beltrani, ibid., pp. 256-259; G. Zaccagnini, M. P. da Susinana ed il comune di Bologna, in Atti e memorie della regia Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, VIII (1908), pp. 52-145; Id., Personaggi danteschi a Bologna e in Romagna,ibid., XXIV (1933-34), pp. 49-59; A. Torre, M. P. da Susinana, in Studi romagnoli, XIV (1963), pp. 1-22; A. Vasina, I romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di Dante, Firenze 1965, in partic. pp. 223-241, 261-267; J. Larner, Signorie di Romagna. La società romagnola e l’origine delle Signorie, Bologna 1972, in partic. pp. 68-74 e 83-85; N. Galassi, M. P., in Id., Figure e vicende di una città, I. Imola dall’età antica al tardo medioevo, Imola 1982, pp. 431-518.