Pagani, Maghinardo
Figlio di Pietro di Pagano; ancora bambino fu affidato dal padre vicino a morire (metà circa del secolo XIII) alla " guardia e tuteria " - scrive il Villani - del comune di Firenze, con un atto dalle conseguenze politiche notevolissime, come premessa delle nuove fortune di questo dinasta e della sua famiglia. Il Villani ricorda (VII 149, VIII 16) con ampiezza di particolari l'accomandigia stipulata da Pietro e la fedeltà conservata dal figlio ai Fiorentini; come da Firenze Maghinardo " benignamente fu cresciuto, e guardato, e migliorato suo patrimonio ", così il P. corrispose lealmente, conservandosi " grato e fedelissimo al comune... in ogni sua bisogna ", e " co' Fiorentini era guelfo e nimico di tutti i loro nimici, o guelfi o ghibellini che fossono; e in ogni oste e battaglia ch'e' Fiorentini facessono... fu con sua gente a loro servigio, e capitano ". Il Villani esprime anche una valutazione lusinghiera delle qualità di politico e di condottiero di questo dinasta, definendolo " grande e savio tiranno... savio di guerra e bene avventuroso in più battaglie ", e operatore di " grandi cose ". Se le parole del cronista sono un'eco dell'importanza attribuita da Firenze all'amicizia del potente feudatario confinante, esse appaiono in forte contrasto con le espressioni di biasimo con le quali D. aveva ricordato Maghinardo, bollandone come ‛ demoniaca ' l'azione svolta nella Romagna del Due-Trecento per la spregiudicatezza, l'astuzia e la mutevolezza delle scelte da lui compiute fra guelfismo e ghibellinismo (il lïoncel... / che muta parte da la state al verno) e per l'intima contraddizione colta dal poeta nella fedeltà conservata da un ardente ghibellino come il P. agl'interessi di una città guelfa come Firenze (If XXVII 49-51, Pg XIV 118-120). Più tardi, i commentatori della Commedia sarebbero ritornati su quest'ultimo giudizio dantesco sviluppandone il significato in due sensi: come oscillazione della politica di Maghinardo fra la meridionale Toscana (la state) e la Romagna posta a settentrione dei suoi feudi appenninici (il verno) - Lana, Benvenuto da Imola -, oppure considerandola un'ironica iperbole in senso temporale (Francesco da Buti, Anonimo). Nel delineare la vicenda storica e genealogica dei P. si è osservato come D. abbia guardato agli aspetti moralistici dell'azione politica di questa casata e, in particolare, di Maghinardo, piuttosto che alla condizionante realtà politica tosco-romagnola contemporanea e al bisogno che quei dinasti avevano di protezione contro gli appetiti territoriali delle altre grandi consorterie feudali viciniori (fra le quali pericolosissime quelle dei Guidi e degli Ubaldini), bisogno da essi soddisfatto mediante l'acquisizione e la conservazione dell'amicizia fiorentina.
I primi dati biografici disponibili a proposito di Maghinardo lo mostrano già nel 1273 autorevole capo dei ghibellini imolesi e faentini, impegnato nella lotta contro i guelfi Sassatelli, ai danni dei quali edificò il fortilizio di Galisterna. Gli avversari imolesi, uniti ai Manfredi di Bologna, assaltano quella rocca, sconfiggono Maghinardo e gli uccidono il fratello Bonifazio; ma non ciescono a impedire la crescita delle sue fortune politiche, perché nel quadro dei successi ghibellini egli riesce a diventare (1275) podestà di Faenza e s'inserisce autorevolmente nella lega antibolognese raccolta attorno a Guido da Montefeltro e sostenuta dai Guidi. I successi dei ghibellini sono consolidati dalla vittoria conseguita al ponte di S. Procolo, dall'espugnazione del castello di Roversano e dalla conquista di Cesena; per rafforzare la propria posizione Maghinardo presta giuramento all'imperatore Rodolfo, fortifica Cotignola, s'impadronisce di Bagnacavallo. Né i guelfi riescono a capovolgere la situazione, sconfitti come sono a S. Stefano di Palazzuolo e a Civitella nel corso di un tentativo compiuto nel 1276. Più efficace si dimostra, alla lunga, l'azione che i pontefici intraprendono in Romagna per arginare il dilagare delle forze ghibelline; se poco dura (è rotta nel 1281) la pace imposta alle fazioni da Niccolò III, e se ancora una volta (presso Forlì) sono sconfitte da Guido di Montefeltro le milizie che Martino V invia contro Faenza, nel 1283 è Maghinardo ad avere la peggio, in conseguenza dei rinnovati e più vigorosi assalti di nuove forze papali. L'intervento della Chiesa rende, però, più complessa e convulsa la lotta politica romagnola, perché, contro il malgoverno dei vicari ecclesiastici, guelfi e ghibelini, Manfredi e P., si coalizzano, dimenticando contrasti ideologici e rivalità politiche; nel 1286 Faenza e Forlì vengono riprese e Maghinardo vi è riconosciuto nuovamente signore. Ma il trionfo dura poco, perché anch'egli suscita scontento ed è espulso da Faenza a opera degli stessi compagni di parte, i quali gli preferiscono il governo del legato pontificio; ed è in questa circostanza che rivela tutto il suo valore la protezione di Firenze, da cui Maghinardo è soccorso mentre è assediato in Susinana. Gratitudine e contingente interesse politico inducono il P. a compiere un clamoroso voltafaccia, unendo le proprie forze a quelle fiorentine contro i ghibellini toscani, impegnandosi militarmente tanto da prender parte alla battaglia di Campaldino (11 giugno 1289) come alleato di Firenze; ma questo gesto non fu l'unico a caratterizzare la posizione filo-fiorentina assunta da Maghinardo, perché già sette anni prima (1282) egli aveva mostrato di volersi legare maggiormente al ceto dominante del comune sposando una dei della Tosa, Mingarda, che gli sarebbe sopravvissuta e avrebbe da lui ereditato una sistemazione economica degna della sua condizione. Il comportamento adottato nel 1289 lo fa ritenere un guelfo convinto, e come tale Maghinardo riesce a conseguire ancora una volta il suo principale fine politico, facendosi eleggere nuovamente signore di Faenza, mentre quella città era ancora soggetta all'autorità della Chiesa. L'anno dopo, però, la Romagna è nuovamente in rivolta contro il governatore pontificio Pietro Colonna, il quale vien cacciato da Rimini e da Ravenna a opera dei Manfredi; alla fuga del Colonna segue il bando dei ghibellini, che trovano asilo nei castelli dei Pagani. Il prevalere dei Manfredi rimette in discussione il potere signorile di Maghinardo, e lo costringe a compiere un altro voltafaccia, riavvicinandosi ai ghibellini, a capo dei quali attacca ora il nuovo legato papale (il vescovo di Arezzo Ildebrandino Guidi), i possedimenti dei consorti di costui e le terre dei Manfredi stessi. Conseguenza dei successi che ottiene insieme con i compagni di partito di un tempo è per Maghinardo la conferma della signoria su Faenza e su Forlì (1294), esercitata mediante il rinnovato conferimento delle cariche di podestà e di capitano del popolo.
Non può, tuttavia, neppure questa volta godere a lungo del successo conseguito, perché le forze ghibelline si dividono per effetto dell'azione mediatrice intrapresa dall'arcivescovo di Monreale, inviato in Romagna, come vicario, da Bonifazio VIII; con un calcolo opportunistico anche Maghinardo lascia campo ai Manfredi e si ritira nella sua rocca di Belcaro, quasi in un larvato esilio, mentre gli stessi ghibellini si adoperano per riportare la città sotto l'autorità del legato. È pronto, però, a cogliere ancora il momento favorevole per una ripresa offensiva quando il pontefice, mutando la persona del suo rappresentante, mostra di voler combattere a fondo il ghibellinismo. Gli esponenti di quella Parte politica si radunano in convegno ad Argenta e qui nominano loro capo Maghinardo; sotto la guida di lui i ghibellini riprendono il terreno perduto e s'impadroniscono di Imola, dove il P. ritorna signore. La lotta armata coinvolge tutte le forze politiche romagnole e si prolunga con fasi alterne fra il 1297 e il 1298; solo il 29 aprile 1299 si raggiunge in Castel S. Pietro un compromesso, in virtù del quale, in attesa di ulteriori, definitivi accordi, Imola è affidata alla custodia di milizie milanesi e scaligere. Poco più tardi, Maghinardo viene riconosciuto ancora una volta signore di Faenza, Imola e Forlì, e riesce a piegare definitivamente le ambizioni dei Sassatelli rovinandone la roccaforte di Linari.
Inutilmente Bonifazio VIII chiede la sottomissione di ambedue le Parti in lotta; i baroni spregiano i patti stabiliti e rifiutano obbedienza ai vicari di Carlo di Valois, inviato come rettore e conte di Romagna per la santa Chiesa. Ma essi non possono contare più a lungo sull'aiuto da parte del P., perché Maghinardo, infermo, muore il 27 agosto 1302 nel castello di Benclaro, dopo aver provveduto a suddividere beni e domini feudali fra gli eredi ancora viventi, mediante un testamento che nell'ampiezza e minuziosità del suo testo è fonte di prima mano per la conoscenza dei luoghi sui quali i P. avevano esercitato la loro plurisecolare signoria nonché della ricchezza del loro patrimonio. Questo fiero ghibellino, ultimo rampollo legittimo della sua stirpe - dei collaterali e dei discendenti di lui si è fatto ampio cenno concludendo l'esposizione delle vicende del suo casato -, volle essere sepolto nella chiesa di S. Maria di Rio Cesare vestito dell'abito vallombrosano, dopo aver fatto lascito di larghe elemosine a chiese, a poveri, a monasteri, ordinando per di più che fossero risarciti i vescovi, gli ospedali, i luoghi pii da lui danneggiati nel corso dell'avventurosa esistenza.
Il testamento di Maghinardo (conservato nell'Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Riformagioni, atti pubblici, 19 agosto 1302, " testamentum Maghinardi de Suxenana cum certis aliis scritturis Maghinardi Novelli "; e Diplomatico, Provenienza Polverini, in copia del 4 gennaio 1322) fu rogato da ser Martino di Ranieri da Cesena, alla presenza del vescovo di Faenza, l'agostiniano Matteo Eschini, e di molti frati e preti della diocesi faentina. Lo ha pubblicato S. Gaddoni (Il testamento di Maghinardo P. da Susinana, in Studi danteschi, a c. della R. Deputaz. St. Patria Prov. Romagna, Bologna 1921, 63-68), il quale ne studia la tradizione archivistica e vi aggiunge un elenco di nomi di persone e di località ricordate dal testatore, utilissimo per individuare i luoghi ove sorgevano i castelli dei Pagani, dei quali oggi nella maggior parte dei casi non esistono più neppure le rovine. Il Gaddoni si sofferma anche a ricordare alcune leggende tuttora diffuse in quelle località, che costituiscono una nuova prova della potenza di quei feudatari e dell'impressione destata dalle loro imprese (leggenda dei fantasmi che presso la Rocchetta cercano febbrilmente tesori dopo l'Ave Maria; racconti di pastorelle che trovano verghe d'oro fra gli sterpi presso le rovine di alcuni castelli).
Bibl. - Insieme alle opere citate alla voce Pagani di Susinana, nella maggior parte delle quali l'attenzione degli autori è rivolta soprattutto alla figura e alle imprese di M., si vedano, oltre al saggio di P. Beltrami, Maghinardo P. di Susinana, Faenza 1908 (per la cui valutazione cfr. F. Torraca, in " La Romagna " VI [1909] 154-163, e P. Beltrami, ibid., 256-259), gli studi e le ricerche dello stesso Beltrami, Lettere inedite del comune bolognese a Maghinardo P. di Susinana, in " La Romagna " III (1906) 43-53; G. Zaccagnini, Maghinardo da Susinana e il comune di Bologna, in " Atti Mem. Deputazione St. Patria Prov. Romagna " s. 4, VIII (1917-1918) 52-145; G. Livi, D. e Bologna. Nuovi studi e documenti, Bologna 1921, 194, 199; P. Amaducci, Per le nozze di A. Campana e R. Fabi, Faenza 1933, 46-48; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi a Bologna e in Romagna, in " Atti Mem. Deputaz. St. Patria Prov. Romagna " s. 4, XXIV (1934); A. Torre, M.P. da Susinana, in " Studi Romagnoli " XIV (1963) 1-22; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1965, ad indicem; per i rapporti di Maghinardo con Firenze, Davidsohn, Storia, ad indicem.