Magia e divinazione in Grecia
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La magia può essere definita come l’arte di controllare e influenzare il corso della natura o la volontà degli uomini con poteri soprannaturali. Possiamo distinguere due tipi di magia: la “magia naturale”, che ha lo scopo di influenzare e controllare eventi naturali, la “magia nera” che mira a sottomettere alla volontà del mago demoni e dèi. La mantica, o divinazione, ha un ruolo centrale nella religione e nella politica greca. È associata a stati di furore ed è considerata una forma di sapienza superiore. I Greci non accettano l’astrologia, ma elaborano teorie filosofiche e cosmologiche che ne facilitano la diffusione in età ellenistica.
La definizione della magia e dei suoi rapporti con la religione, la filosofia della natura e le tecniche è una questione storiografica tra le più controverse nello studio dell’antichità classica. Si può definire la magia, sapendo che si tratta di una definizione alquanto generica, come l’arte di controllare e influenzare il corso della natura o la volontà degli uomini con poteri soprannaturali.
Con magia si è soliti indicare molteplici attività che stabiliscono un contatto con entità soprannaturali, spesso estranee alla religione ufficiale della polis. Possiamo includere nell’ambito della magia anche misteri bacchici, culti estatici privati, purificazioni. La magia presenta molteplici connessioni con i culti misterici, innanzitutto la terminologia; il rituale magico è infatti chiamato mysterion, mentre i rituali magici sono detti mysteria e teletai. Mysterion ha il significato di cosa segreta, ma indica anche l’oggetto magico. Analogamente ai culti misterici, la magia ha carattere segreto, ricerca un contatto col divino, prevede riti di iniziazione (spesso in una comunità). Lo stregone ritiene di avere un rapporto con qualche demone che svolge il ruolo di “assistente”. In uno dei papiri magici (che costituiscono la fonte principale per lo studio della magia nel mondo antico) conservato a Berlino, si legge che il demone vive, mangia e dorme con il mago.
Qualunque tentativo di definire la magia nel mondo antico non può però prescindere dalla considerazione del senso che gli antichi davano a tale termine – con la consapevolezza che esso ha sia carattere descrittivo che normativo, essendo usato spesso per indicare un insieme piuttosto vario di pratiche ritenute illecite. Il termine magos e i suoi derivati magheia, maghikos si riferiscono inizialmente ai sacerdoti persiani e alle loro arti. Platone sostiene che la magia dei Persiani sia il culto degli dèi. Erodoto e Senofonte attribuiscono ai magoi attività quali i sacrifici, la divinazione e l’interpretazione dei sogni. Accanto a questo significato del termine magos, si ha anche quello di indovino itinerante, esperto di incantesimi. Nel II libro della Repubblica Platone li raffigura come ciarlatani e sedicenti indovini che “si presentano alle porte dei ricchi e li convincono che con sacrifici e incantesimi essi sono dotati del potere, proveniente dagli dèi, di rimediare all’ingiustizia commessa da qualcuno o dai suoi antenati mediante i piaceri delle feste. Se poi qualcuno vuole rovinare un nemico, lo convincono che con piccola spesa potrà danneggiare il giusto al pari dell’ingiusto, perché, dicono, con incantesimi e legami magici sono in grado di persuadere gli dèi a mettersi al loro servizio”. Platone non fa qui uso del termine magos, che invece troviamo nell’Oreste di Euripide, dove la comparsa di Elena è attribuita alle arti di un qualche mago.
In genere il termine magheia ha connotazioni negative e indica pratiche estranee alla religione delle poleis. Per Platone, la religione, a differenza della magia, non pretende di persuadere gli dèi, ma insegna a sottomettersi alla loro potenza. Il mago ambisce invece a controllare le potenze soprannaturali, demoni o dèi, vuole renderli suoi servitori per realizzare quanto desidera.
Nella Magna Grecia del V secolo a.C. comincia a diffondersi una forma di “magia nera”: le cosiddette “tavolette magiche” (katadesmoi), con le quali si invoca l’intervento delle divinità infere (di preferenza Ermes, in quanto psicopompo, Persefone ed Ecate), oppure di defunti (in particolare coloro che non avevano avuto sepoltura) ai danni di una persona o anche dei suoi discendenti. In alcuni casi, le tavolette magiche sono finalizzate a ottenere giustizia o la restituzione di beni rubati. Si scrive una maledizione o una minaccia per lo più su una lamina di piombo, che è collocata preferibilmente in zone di contatto con il mondo degli inferi: tombe, templi, fonti, grotte. Gli scopi delle tavolette sono molteplici: amorosi, politici, giudiziari e agonistici – alcune tavolette mirano a impedire ad atleti di conseguire la vittoria in qualche gara. Un’analoga forma di “magia nera” è quella di trafiggere con aculei, malmenare o gettare nel fuoco immagini di cera della vittima o delle figurine. Nel IV secolo a.C. queste forme di magia sono così diffuse ad Atene che Platone propone di reprimerle con pene molto severe, inclusa la condanna a morte del mago. Un passo dell’Orazione contro Aristogitone (attribuita a Demostene) ci dice che nel IV secolo a.C. si tenta di reprimere la “magia nera” con pene severissime, come avviene con Teoride, giustiziata ad Atene con tutta la sua famiglia, su denuncia della propria ancella. Platone non crede all’efficacia delle tavolette magiche, ma ritiene questa pratica pericolosa per la polis. Secondo Platone, lo stregone (goes), ovvero colui che pratica la “magia nera”, pratica riti paralleli al culto ufficiale ed è quindi una minaccia per la polis quanto colui che non crede negli dèi.
Se i filosofi ionici perseguono un’indagine filosofica di tipo naturalistico, che non contempla l’intervento di potenze soprannaturali, i filosofi della Magna Grecia presentano un orientamento differente, che lascia ampio spazio a pratiche magico-religiose, come è attestato dalla scuola pitagorica e da Empedocle. Erede di un’antica tradizione di sapienti-maghi, Empedocle di Agrigento è considerato un taumaturgo e in molti si rivolgono a lui per ottenere guarigioni. Poco più di un secolo dopo la morte, circolano leggende sui suoi poteri magici; gli sono attribuiti il potere di fermare i venti, produrre o arrestare la pioggia, risuscitare i morti, nonché particolari capacità terapeutiche. Magia e medicina, ancora nella Grecia classica, sono strettamente legate. Le guarigioni magiche sono ampiamente diffuse ancora per tutto il V secolo a.C., epoca in cui emergono le prime critiche. All’origine soprannaturale della malattia segue l’individuazione del dio che ne è responsabile – di qui la possibilità di placarlo con i sacrifici e riti adatti. Persone affette da varie patologie visitano il tempio di Epidauro per entrare nel “sonno di guarigione” attraverso l’”incubazione”, un rito che consiste nel dormire entro un’area sacra al fine di ricevere cure dal dio.
Il legame tra magia e medicina è particolarmente evidente per le malattie mentali. Per i Greci, come per altri popoli, tutti i tipi di turbamento mentale, senza cause immediatamente percettibili, sono ricondotti a un intervento soprannaturale. A Orfeo si attribuisce la tesi che i disturbi psichici fossero il risultato di delitti commessi dagli antenati. Malattie mentali di ogni specie, così come sonnambulismo e deliri febbrili, sono attribuiti all’azione di demoni; l’epilessia è detta “morbo sacro” e implica l’idea di una possessione. Tra le più comuni cure della follia vi sono quella coribantica e quella dionisiaca, che operano la catarsi mediante una contagiosa danza sfrenata, orgiastica, accompagnata da flauto e tamburello. La cura di malattie mentali per mezzo della musica sopravvive al suo originario significato magico-religioso: Teofrasto è convinto dell’uso terapeutico della musica per stati ansiosi, mentre Asclepiade di Bitinia cura i malati di mente con la musica. Tra i Greci la follia ha uno statuto ambiguo: il pazzo è considerato pericoloso e allontanato dalla città, ma anche rispettato, poiché a contatto con il mondo soprannaturale e quindi dotato di poteri soprannaturali, quale la profezia.
Le credenze magiche in campo medico cominciano a essere screditate in primo luogo nei trattati di medicina. Uno dei primi documenti della polemica contro la magia è lo scritto pseudoippocratico della fine del V secolo a.C., il Male sacro, dedicato all’epilessia. Vi si afferma un’origine naturale della malattia e si criticano coloro che pretendono di curarla con formule magiche. L’autore del Male sacro ha come obiettivo polemico i maghi, le cui pratiche di guarigione fatte di incantesimi e purificazioni sono liquidate come imposture. Nella stessa opera i guaritori sono anche accusati di empietà, in quanto pretendono sia di essere in possesso di poteri straordinari, che in realtà appartengono agli dèi, sia di servirsi degli dèi. Per i medici “ippocratici” gli dèi e il mondo soprannaturale sono separati e distinti dai fenomeni della natura e del corpo umano. Non è tuttavia possibile stabilire una netta demarcazione tra la cosiddetta medicina del tempio, praticata da sacerdoti e guaritori, e quella dei medici “razionalistici”; infatti i guaritori, oltre a pratiche rituali, fanno ricorso a farmaci, prescrizioni dietetiche e flebotomie.
L’autore del trattato pseudoippocratico Regime IV elabora una teoria dei sogni con lo scopo di interpretarli come segni diagnostici. L’interpretazione dei sogni è oggetto di interesse sia da parte dei medici che dei filosofi. Con poche eccezioni, come per esempio Eraclito, per il quale l’esperienza onirica non ha valore oggettivo, e Aristotele, che nega un’origine divina dei sogni e li accomuna alle allucinazioni, tra i Greci è generalmente condivisa l’idea che i sogni siano eventi reali e abbiano carattere premonitore.
Nel sogno l’anima si libera dai vincoli del corpo e mostra meglio la sua natura divina, può entrare a contatto con forze superiori, con la divinità o con demoni. Senofonte è convinto che nel sonno l’anima goda della massima libertà, la psyché è più attiva quando il corpo dorme, quindi può avere una visione di cose future. Gli stoici credono nei sogni terapeutici, ritenendo che siano l’espressione della provvidenza divina. Il medico Erofilo dà una classificazione dei sogni: alcuni sono mandati dagli dèi, altri hanno origine da chiaroveggenza naturale della mente, altri dal caso. L’Onirocritica di Artemidoro di Efeso, vissuto in Lidia e a Roma, contiene una trattazione sistematica dell’interpretazione dei sogni, sostenendo che alcuni sogni abbiano carattere profetico.
La mantica, o divinazione, è l’arte di conoscere eventi futuri o presenti (ovvero eventi distanti nello spazio e nel tempo) non attraverso la ragione e l’esperienza, ma per mezzo di poteri soprannaturali, che si ritiene siano concessi a pochi eletti. È concepita come una forma di sapienza superiore a ogni scienza umana. In età arcaica, l’indovino è sapiente e poeta allo stesso tempo, è considerato un uomo che vede l’invisibile, che vede ciò che gli altri uomini non vedono.
Il messaggio profetico può essere comunicato per via diretta all’indovino, oppure per mezzo di segni esteriori da interpretare. Nel primo caso, come accade a Cassandra nell’Agamennone di Eschilo, che rivede i delitti dei discendenti di Pelope e predice la propria fine e quella di Agamennone, si tratta di visioni spontanee e non determinabili. È inoltre possibile invocare un messaggio divino, che è trasmesso dal dio in luoghi e a persone scelte, per esempio i sacerdoti e le sacerdotesse degli oracoli. Il secondo tipo di divinazione, detta induttiva, implica l’interpretazione di segni inviati dagli dèi. Si ritiene infatti che gli dèi inviino messaggi, attraverso i quali si manifesta il loro potere o la loro volontà, per mezzo di eventi fausti o infausti, fenomeni naturali (per esempio, terremoti, eclissi, fulmini), eventi straordinari (per esempio, nascita di esseri deformi, casi di androginia). L’interpretazione di eventi naturali da parte dell’indovino si fonda sui poteri concessi dalla divinità e presuppone una corrispondenza, una simpatia tra le parti del cosmo – dottrina che sarà sviluppata dallo stoicismo. I Greci mettono in relazione mantis (“indovino, vate”) con mania (“follia, furore”), associando le doti profetiche alla pazzia, al furore. La profezia presuppone infatti l’entusiasmo. A Delfi, Apollo parla attraverso la Pizia, i responsi delfici sono espressi sempre in prima persona, poiché il dio è entrato in lei e utilizza gli organi vocali della sacerdotessa. La Pizia beve alla sacra fonte, prende contatto con l’alloro, siede sul tripode e quindi entra in uno stato di trance, di estasi. Il responso richiede l’interpretazione da parte dei sacerdoti – un fatto che spiega il ruolo politico giocato dagli oracoli. Indovini accompagnano in guerra re e strateghi ed esercitano un’influenza considerevole, cosicché, come riferisce Platone nel Lachete, una legge ateniese stabiliva che “il mantis non deve avere maggior potere del comandante”. Professionisti della divinazione operano nelle fiere, presso i templi, nelle piazze, prestando la loro opera alla città oppure a privati.
Anche se l’arte divinatoria prevede l’osservazione dei fenomeni celesti per interpretare il futuro e per conoscere la volontà degli dèi, i Greci non credettero mai nella validità dell’astrologia, nella possibilità di leggere il destino nel firmamento. La dottrina dei giorni fausti e infausti del mese – di cui ci dà un catalogo Esiodo nelle Opere e i Giorni – è universalmente accettata, ma essa non ha fondamenti astrologici. Occorre però considerare che, sebbene l’astrologia sia estranea alla Grecia classica, alcune idee filosofiche elaborate dai Greci forniscono i fondamenti concettuali per lo sviluppo delle dottrine astrologiche. Nel Timeo Platone afferma che gli astri sono animati e divini e che a ogni stella corrisponde un’anima. Nelle Leggi Platone si fa sostenitore di una religione astrale e il suo allievo Filippo di Opunte, nell’Epinomide (ovvero appendice alle Leggi), accetta il culto degli astri ed esprime rispetto e ammirazione per la sapienza astrologica dell’Oriente. Gli stoici sostengono l’esistenza di una simpatia universale, di un legame che unisce l’uomo all’universo. Berosso, astrologo e sacerdote di Bel, diffonde tra i Greci l’astrologia dei Caldei. In seguito, libri attribuiti a Nechepso-Petosiride e a Ermete Trismegisto sanciscono la fusione della filosofia greca con l’astrologia caldaica.