Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A volte difficilmente distinta dalla filosofia e dalla medicina, la magia attraversa la cultura medievale, mescolandosi spesso con i riti della religione cristiana, a volte scontrandosi con essa. Dai poteri magici dei minerali alla capacità dei re taumaturghi di guarire dalle malattie, le pratiche magiche godono di un’ampia trattazione nei testi medievali, ereditando molti elementi anche dalla tradizione pagana e da quella araba.
Nel Medioevo (fino al XII secolo) conoscere e spiegare il mondo naturale significa dimostrare che esso non è come appare, ma rappresenta un insieme di simboli e segni di una realtà più profonda. A fenomeni e oggetti naturali sono attribuiti significati di carattere morale o religioso. Gli animali sono assimilati a virtù o peccati e le loro caratteristiche non hanno nulla di accidentale, in quanto, come tutte le creature, sono stati creati in funzione dell’uomo. Ad animali, piante, minerali e pietre preziose sono attribuite straordinarie virtù terapeutiche e poteri occulti, simpatie e antipatie. Anche le parole e i suoni possono generare sugli uomini (e più in generale sulla natura) effetti straordinari in quanto operano per mezzo dell’immaginazione, cui è attribuita una funzione attiva.
Il termine magia denota a lungo una molteplicità di teorie e pratiche non facilmente distinguibili dalla filosofia naturale e dalla religione. La differenza tra un evento naturale e uno prodotto per mezzo della magia non è affatto netta, e assai sfumati sono i confini tra magia e religione, tra portenti prodotti dal mago ed eventi miracolosi, tra oggetti con poteri magici e reliquie. La contiguità tra pratiche magiche e riti religiosi e la necessità di garantire il monopolio della Chiesa nel contatto con il mondo soprannaturale sono le principali ragioni dell’ostilità e delle condanne delle autorità religiose nei confronti della magia. Anche se la Chiesa disapprova ogni forma di magia, i fedeli (ma spesso anche membri del clero) associano l’uso di reliquie a quelle di amuleti, preghiere a formule magiche, in primo luogo per scopi terapeutici, ma anche per esigenze della vita quotidiana. La magia medievale fonde, spesso senza distinguerli, riti propri della religione cristiana con pratiche magiche derivanti dal più antico mondo pagano. Piuttosto sfumate sono le differenze tra preghiere, scongiuri, esorcismi e formule magiche, utilizzate tanto da laici che dal clero, e finalizzate ad allontanare forze malefiche e neutralizzare fatture. Uno dei criteri per distinguere tra magia lecita e illecita è lo scopo per cui sono utilizzate cerimonie, formule e riti: se il fine è danneggiare una persona o la sua proprietà, allora coloro che praticano la magia incorrono nell’accusa di stregoneria.
Un’azione prodotta dalle proprietà manifeste dei corpi, che hanno origine dalle qualità primarie (caldo, freddo, secco e umido), è detta naturale; se è causata da proprietà di altra origine, ad esempio celeste, è detta magica. Fino al XII secolo magia e divinazione (tra loro strettamente connesse) sono quasi sempre condannate in quanto pratiche che implicano un commercio con il demonio.
Verso il XII secolo si afferma la distinzione tra la magia naturale da una parte, comprendente ad esempio la conoscenza e l’uso di virtù occulte, di simpatie e antipatie, e la magia demoniaca dall’altra. Quest’ultima è considerata una pratica illecita, che, rifiutando Dio, si rivolge ai demoni per ottenere il loro aiuto. È impensabile che un uomo possa compiere prodigi con le sue sole capacità. Se non è un santo, i cui miracoli sono compiuti da Dio, allora i suoi prodigi devono essere opera di spiriti impuri, con cui ha stretto un patto di alleanza. Secondo lo storico Raul Manselli “l’apparato gerarchico della Chiesa, nel quale il cristianesimo medievale tende a realizzarsi, non può non prendere posizione di fronte alla magia ed alla stregoneria, in uno sforzo intenso per capirle ed interpretarle. Ne deriva un giudizio che sarà sempre di condanna, ma con una significativa oscillazione tra ‘superstizione’ ed ‘eresia’”.
Nella Bibbia, Jahvè e suoi profeti condannano magia e divinazione: “Colui che si rivolgerà agli spettri e agli indovini per prostituirsi al loro seguito, diventerà il mio bersaglio e lo strapperò dal suo popolo” (Levitico, 20, 6). Negli Atti degli Apostoli Simon Mago sfida gli apostoli e incorre nelle ire di Pietro (8: 9-24); gli apostoli vincono il potere dei maghi e, quando i maghi di Efeso si convertono al cristianesimo, i loro libri sono bruciati (19: 13-19).
Per Agostino di Ippona, le terapie che utilizzano erbe, pietre e amuleti derivano da comunicazioni occulte o manifeste con i demoni. Le arti magiche e la divinazione sono sempre associate da Agostino all’azione di spiriti maligni, mentre i miracoli sono opera di Dio. Secondo Agostino, i demoni, in quanto provvisti di un corpo etereo, né materiale, né del tutto spirituale, sono dotati di una straordinaria sottigliezza, per cui possono introdursi dappertutto, anche nel corpo e nello spirito degli uomini. Grazie a questa loro natura, i demoni hanno il dono della predizione e straordinarie capacità tecniche, che agli uomini non sono date. Nel De divinatione daemonum (scritto tra il 406 e il 411) Sant’Agostino afferma che i demoni hanno il potere di provocare malattie, di rendere l’aria malsana, di suscitare visioni soprattutto nel sonno. La condanna agostiniana della magia e la sua demonologia eserciteranno una duratura influenza nel Medioevo e saranno in gran parte riprese dai canonisti del XII secolo, come ad esempio Ivo di Chartres.
Isidoro di Siviglia ha una concezione della magia meno rigida di Agostino e separa le arti magiche lecite da quelle proibite. Fra le prime include le forme di divinazione mediante gli elementi: geomanzia, idromanzia, aerimanzia e piromanzia (divinazione mediante la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco), l’osservazione del volo degli uccelli, delle viscere di animali sacrificali, degli astri. Nelle Etymologiae Isidoro sostiene che l’astrologia è una forma di divinazione che rientra nella magia lecita.
La magia operativa, come gli incantesimi basati sull’uso magico delle parole, e le legature, ovvero oggetti magici, quali erbe e pietre, legati al corpo, è invece disapprovata in quanto demoniaca. Nel IV secolo la Chiesa condanna la magia in vari concili, mentre il Codice di Giustiniano (534) punisce magia e divinazione. Nel 789 Carlo Magno stabilisce misure severissime contro chi pratica necromanzia, divinazione e altre forme di magia demoniaca. Il concilio di Tours dell’813 afferma che “le legature di osso o di erbe non sono che lacci del diavolo”. Nella diffusione del cristianesimo nelle isole britanniche e nell’Europa centro-settentrionale la Chiesa contrappone i miracoli dei santi alle pratiche magiche e divinatorie diffuse tra i popoli da convertire. La vita di san Patrizio è costellata da conflitti con i druidi, nei quali i miracoli del santo irlandese hanno la meglio sui poteri magico-divinatori dei sacerdoti celti. I conflitti e la vittoria finale di san Patrizio seguono modelli presenti nelle sacre scritture, ovvero la superiorità dei miracoli che derivano dal Dio cristiano su ogni forma di magia pagana. Nel processo di conversione al cristianesimo delle popolazioni germaniche (VI-X sec.), la Chiesa condanna le pratiche magiche diffuse tra i popoli del Nord Europa in quanto fondate sul contatto con il maligno. La magia e la divinazione sono arti in cui eccelle Odino (Woden), il dio supremo della religione dei popoli nordici, e la credenza nei poteri magici delle rune, benché condannata dalla Chiesa, sopravvive ben oltre la conversione al cristianesimo dei popoli germanici.
Malgrado le condanne della Chiesa, la diffusione della magia nella società medievale è molto vasta ed è presente in tutti gli strati sociali, incluso il clero. Nei penitenziali sono spesso indicate espiazioni per pratiche di magia (evidentemente molto comuni), quali la produzione di talismani, l’uso di formule magiche e la divinazione. Ma la commistione tra pratiche magiche e riti religiosi è spesso strettissima: preghiere e formule magiche sono recitate in successione per ottenere un dato scopo, come ad esempio scacciare demoni, allontanare malattie da uomini e animali, fermare tempeste. Ostie e reliquie di santi sono utilizzate per favorire la fertilità dei campi, allontanare pestilenze e carestie. Nel secolo XI cominciano a diffondersi pratiche sacrileghe in cui si fa uso dell’ostia consacrata (su cui talvolta sono scritte formule magiche) come amuleto, per curare malattie o assicurare la fertilità ad animali.
Uno dei più noti manuali di magia medievali è il Picatrix, redatto in arabo nell’XI secolo e influenzato dalla tradizione magico-astrologica ellenistica. Nel mondo islamico il contatto con culture diverse, come quella harraniana, in cui era diffusa l’adorazione degli dei astrali, aveva favorito lo sviluppo dei vari rami della magia.
Il contesto cosmologico e ontologico in cui la magia è collocata dai filosofi arabi, a partire dal De radiis di al-Kindi, la rende razionalmente comprensibile: l’intera realtà, infatti, è concepita come un campo di forze in cui l’alto e il basso sono in una relazione di “simpatia” che permette un’azione reciproca dell’uno sull’altro. L’uomo può agire in questo ambito dominando e orientando le forze che operano nel cosmo. L’idea centrale è quella della trasformazione del soggetto (il mago) e del mondo, che si attivano reciprocamente, senza che vi sia separazione né confusione fra soggetto e oggetto. Nel Picatrix, gli astri, i corpi del mondo terrestre (pietre, piante, animali), le parti del corpo umano, odori, sapori, colori, arti e mestieri, sono divisi in sfere di influenza magica, trovando la propria collocazione sotto il dominio di un determinato pianeta. Pertanto, le azioni magiche presuppongono la conoscenza di tali relazioni, che legano corpi celesti, corpi terrestri e agire umano. Ad esempio, sotto Saturno, fonte delle forze che trattengono e impediscono, sono collocate le ricerche occulte, la lingua egiziana e quella ebraica, tra le parti del corpo, la milza e l’orecchio destro, il piombo e il ferro tra i metalli e, tra le piante, la quercia, le palme e la vite. A Giove, invece, che dispensa influssi vitali, sono sottoposte religione e scienze teologiche, la filosofia e l’interpretazione dei sogni, la lingua greca, l’orecchio sinistro, il fegato, il sangue e l’arte del comando.
Alcuni trattati di carattere magico e astrologico che fanno parte del corpo di scritti (in gran parte redatti nei primi secoli dell’età cristiana) che va sotto il nome di Corpus Hermeticum riprendono a circolare nell’Occidente latino intorno al XII secolo. Tra i testi ermetici, quelli di magia cerimoniale suscitano maggiore curiosità e anche le prime condanne. I presupposti cosmologici su cui si basano i testi ermetici sono di carattere astrologico e vitalistico: nel mondo terrestre agiscono influenze celesti; la terra vive e si muove ed è impregnata di divino, e le stelle sono viventi animali divini. Gli Hermetica, che si presentano sotto forma di rivelazione divina, affermano una concezione unitaria del cosmo, non strutturato secondo un ordine immutabile, ma pervaso da forze spirituali, virtù occulte, influssi celesti, simpatie e antipatie. L’uomo, posto al centro del cosmo, può scoprire le recondite corrispondenze che sussistono tra le sue parti, così da dominarle e impiegarle per i propri fini. I testi ermetici postulano una gerarchia di divinità e di demoni, che è alla base della teurgia, ovvero l’arte diretta a realizzare un contatto con gli dei e a operare in virtù di esso. Nei testi ermetici si afferma che gli uomini sarebbero in grado di introdurre nelle statue e negli oggetti da loro fabbricati un principio divino, per mezzo del quale questi possono profetare o produrre prodigi. L’Asclepius (uno dei principali trattati ermetici) ha un’ispirazione ottimista: l’uomo è unito agli dèi grazie a ciò che ha in sé qualcosa di origine divina, l’intelletto. Unico tra tutte le creature, l’uomo è dotato di una duplice natura, una divina e una formata dagli elementi. Questa interpretazione pratico-operativa è condivisa da coloro che nel XII secolo adottano le concezioni proprie dell’Asclepius, come ad esempio Ildegarda di Bingen. Ildegarda afferma la superiorità dell’uomo sulle creature spirituali angeliche, perché la sua duplice natura (anima e corpo), che rispecchia la divinità e l’umanità di Cristo, gli consente di collaborare con Dio. Condannato da Agostino, che considera Ermete un profeta ispirato dai demoni e portatore di un culto pagano idolatrico, il Corpus Hermeticum comincia nel XII secolo a essere concepito come il frutto di un’ispirazione divina, che completa e perfeziona il messaggio cristiano.
I contatti con l’islamfavoriscono la diffusione di raccolte di segreti, conoscenze frutto di una rivelazione inizialmente destinata a pochi adepti. Il contenuto di questo genere di raccolte (che ancora agli inizi dell’età moderna avranno una straordinaria circolazione) è piuttosto vario: consigli pratici per la vita domestica, per il commercio, medicina, alchimia, magia. Il più noto dei libri di segreti è il Secretum secretorum falsamente attribuito ad Aristotele. L’opera, di origine araba e tradotta in latino nel XII secolo, contiene un insieme di presunti insegnamenti di Aristotele al suo discepolo Alessandro Magno. Scritto in forma di epistola, il Secretum include consigli politici, sul regime alimentare, nonché istruzioni di carattere magico-astrologico. Dichiarando di trasmettere le dottrine esoteriche di Aristotele, l’autore del Secretum assicura all’opera un prestigio straordinario: il pensiero di Roger Bacon sarà influenzato in modo significativo dalle dottrine magiche contenute nel Secretum.
I poteri di minerali, pietre e gemme sono descritti in trattati detti lapidari, opere che hanno larga circolazione nelle corti e in diversi strati sociali, come attestato dalle numerose traduzioni in volgare. Tra i più noti vi sono il lapidario attribuito ad Aristotele (che ha origine in Persia nel IX secolo) e il lapidario di Marbodo, vescovo di Rennes, in esametri. Marbodo afferma che, se è vero che le erbe sono dotate di poteri terapeutici, a maggior ragione lo sono le pietre preziose, cui Dio ha impresso virtù straordinarie. Lo zaffiro ha natura fredda e, se ridotto in polvere e mescolato al latte, cura le ulcere e l’emicrania; vince il terrore e l’invidia e rende Dio disposto ad accettare le suppliche. Gli usi delle pietre descritte nei lapidari sono i più vari: il magnete può accertare la fedeltà della moglie, mentre alcune gemme permettono di prevedere il futuro.
Alcuni trattati di magia, per lo più anonimi, costituiscono dei veri e propri manuali a uso pratico: contengono istruzioni e descrizioni di cerimonie magiche e tecniche per l’invocazione di spiriti. Queste ultime contribuiscono a suscitare sospetti sul carattere demoniaco di tali opere. Alcuni di questi scritti sono attribuiti ad autori famosi, come il Liber vaccae, o Liber experimentorum, attribuito a Platone oppure la Clavicula di Salomone, di cui si fantastica un’origine biblica.
L’attribuzione di potere magici e straordinarie proprietà terapeutiche a oggetti, pietre, erbe e animali ha origini molto antiche ed è presente in varie civiltà. Nel Medioevo cristiano, malgrado i sospetti e le condanne delle autorità ecclesiastiche, si diffondono nell’Europa pratiche magiche che presuppongono la presenza (oppure la introducono) di poteri particolari in vari tipi di oggetti e sostanze naturali. La preparazione di rimedi magici prevede una serie di procedure e rituali che determinano l’esito della cura: la cattura e l’uccisione di un animale, le cui parti devono essere usate per scopi medicinali, deve rispettare certe regole, così come al momento della sua uccisione si dovranno recitare preghiere e/o formule magiche. Inoltre, la scelta delle parti da usare per la preparazione della pozione è determinata da un insieme di simboli e simpatie di vario grado di complessità. Si va dai consigli relativi alla corteccia di un albero che deve essere presa dal lato della piante che guarda a est (perché lì si raccolgono gli influssi benefici del sole nascente), fino a complicate corrispondenze tra astri, corpo umano, piante e metalli. In questi casi, magia, astrologia e medicina sono tra loro strettamente legate.
Secondo uno schema presente in Manilio e Firmico Materno, che poi ritorna in numerosi testi ermetici, piante, astri e parti del corpo sono tra loro collegati: le varie membra sono associate ai segni zodiacali, ciascuno dei quali esercita uno speciale potere in fatto di salute e malattia sulla parte cui è collegato. All’interno dei segni vi è un’ulteriore suddivisione in decani, cosicché il primo decano dell’Ariete domina la nuca, il secondo le tempie e il naso, il terzo le orecchie. Ad esempio, al secondo decano del Toro sono sottoposte le tonsille e la trachea, cosicché, per tutelare queste parti, occorre portare un anello d’oro e argento, e sulla pietra va incisa la figura del decano. Attraverso una pianta, una pietra preziosa, un metallo portati sulla propria persona si può catturare l’influsso favorevole dell’astro su una determinata parte del corpo.
Oltre a complesse pratiche magiche, la medicina fa ampio uso di scongiuri ed esorcismi, che spesso si aggiungono a cure di carattere naturale, gli uni e le altre impiegati nella cura di un numero molto ampio di patologie. Ciò deriva da una concezione della malattia che la attribuisce a una combinazione di cause naturali e soprannaturali. Diffusissima la credenza che malefici fossero causa di impotenza e sterilità – malefici perpetrati per lo più da donne, con l’ausilio di spiriti maligni. In una lettera dell’arcivescovo Incmaro di Reims, dell’860, si sostiene per la prima volta l’idea che donne lascive, se si accorgono che il loro amante vuol contrarre un matrimonio regolare, uccidono con arti magiche il suo desiderio, cosicché egli non possa avere alcun rapporto con sua moglie. L’idea dell’impotenza come frutto di magia trova ampi consensi presso i teologi medievali, come Ivo di Chartres, Pietro Lombardo e Alberto Magno.
L’epilessia costituisce certo un caso limite, ma mostra (non solo nel Medioevo, ma ancora agli inizi dell’età moderna) l’inestricabile connessione tra elementi naturali e soprannaturali nella concezione della malattia e delle terapie. Ildegarda di Bingen ritiene che nel “mal sacro” il demonio entri nel corpo del malato, pur non essendo la causa diretta della malattia. L’ingresso del demonio avviene nel momento della crisi, quando gli umori sono eccitati e il cervello è in preda a convulsioni. La cura contempla quindi un duplice intervento, con diete e farmaci, ma anche con talismani ed esorcismi.
Nella cura dell’epilessia sono usate indistintamente cerimonie magiche, preghiere e farmaci. Anche coloro che adottano un approccio naturalistico, come ad esempio Costantino l’Africano che è tra i primi a distinguere tra epilessia e possessione, ritengono che la terapia debba essere coadiuvata dall’opera del sacerdote. Gilberto Anglico suggerisce che la somministrazione di farmaci sia preceduta da formule che invocano Cristo.
Poteri miracolosi sono trasmessi da Dio non solo ai santi, ma anche ai membri di alcune dinastie. Intorno all’anno Mille si diffonde in Francia (e un secolo dopo in Inghilterra) la credenza nel potere taumaturgico dei re, ovvero la capacità soprannaturale di curare con il tocco della mano una particolare malattia, l’adenite tubercolare, detta volgarmente “scrofolosi”. La pratica dell’imposizione delle mani si rifà a modelli biblici e in particolare alle guarigioni operate da Gesù. I medici indicano nei loro trattati il tocco reale come efficace rimedio contro quella particolare patologia, che in inglese prende il nome di King’s evil (malattia regia). L’afflusso di ammalati alle corti di Francia e Inghilterra è vastissimo e si protrae per molti secoli: in Inghilterra fino al 1714, in Francia fino alla Rivoluzione, per poi continuare dopo la Restaurazione fino al 1825.
Fin dagli inizi, al contatto della mano con il corpo del paziente si aggiunge un secondo importante gesto simbolico: il segno della croce. Questo deve essere impartito come benedizione al malato poco prima toccato. Scrive il cronista Guibert de Nogent: “Non abbiamo forse visto il re Luigi VI nostro signore operare un prodigio che per lui è cosa solita? Con i miei stessi occhi ho visto malati sofferenti di scrofola al collo o in altre parti del corpo accorrere in folla per farsi toccare da lui; e al tocco della mano egli aggiungeva un tocco di croce [...]. Anche suo padre, Filippo, aveva esercitato con ardore questo stesso potere miracoloso e glorioso”. Il significato del tocco col segno di croce indica che il sovrano svolge solo un’azione vicaria, essendo lo strumento della grazia celeste, che opera per il tramite del principe consacrato. Questo carattere strumentale e mediato del potere taumaturgico dei re è ancora evidenziato nel terzo elemento che accompagna e segue il tocco: le preghiere a Dio. Se per i re germanici, tra cui i Merovingi, le facoltà sovrannaturali del sovrano sono trasmesse per via ereditaria, e tutto il casato le possedeva, il tocco taumaturgico dei sovrani francesi e inglesi è conferito da Dio attraverso il papa, col sacramento dell’unzione col sacro crisma.