Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In un’epoca come il Rinascimento, nella quale l’uomo è posto al centro dell’universo, la cultura magico-ermetica viene vista come una forza che permette di dominare la potenza della natura e di trasformare il mondo secondo gli umani bisogni.
L’uomo del Rinascimento scopre la propria autonomia rispetto alla visione religiosa del mondo che dominava i secoli medievali: basta leggere il De hominis dignitate di Pico della Mirandola per capire come, mentre si appresta a detronizzare la Terra da centro dell’universo, il Rinascimento vi ponga l’essere umano, misura di tutte le cose. Tuttavia il Rinascimento elabora proprie forme di religiosità e di misticismo e l’uomo sente di vivere in un universo popolato di forze occulte e misteriose.
Astrologia, magia, alchimia, divinazione, cabala, commercio con forze angeliche o demoniache, sono più apertamente presenti nel mondo rinascimentale di quanto non fossero nei secoli del Medioevo, quando la Chiesa le manteneva ai margini della cultura ufficiale. Tuttavia la cultura magico-ermetica rinascimentale, rispetto alle sue fonti antichissime, esibisce un aspetto particolare, a tal punto che la si considera in qualche modo connessa alla nascita di un nuovo spirito scientifico. Il “mago” ora non è il negromante antico, capace di evocare i demoni a fini malvagi, ma il cultore di una “magia naturale” che permette di dominare forze della natura e di trasformare il mondo secondo gli umani bisogni.
Nel XV secolo erano stati tradotti numerosi testi greci che erano stati ritenuti più antichi di quanto non fossero: gli Inni orfici (probabilmente scritti tra II e III secolo d.C. ma attribuiti a Orfeo); gli Oracoli caldaici (dello stesso periodo, ma attribuiti a Zoroastro); i Ieroglyphica di Orapollo (testo assai tardo, ma che si riteneva rivelasse i segreti dell’antica scrittura egizia, e diede luogo nel Cinquecento alla voga degli emblemi – tra l’altro la prima edizione illustrata appare nel 1543); il Corpus hermeticum, pervenuto nel 1460 a Firenze, attribuito al mitico Mercurio (o Hermes) Trismegisto, e subito affidato da Cosimo de’ Medici a Marsilio Ficino perché lo traducesse. Solo più tardi Isaac Casaubon (De rebus sacris et ecclesiasticis, 1614) dimostrerà che si tratta di una raccolta di scritti tardoellenistici nutriti di spiritualità egizia, ma ormai si era radicata la persuasione della loro autenticità ed Hermes era stato identificato con Mosè.
La tradizione ermetica che si basa su questi testi propone una visione magico-astrologica del cosmo. I corpi celesti esercitano degli influssi sulle cose terrene e, conoscendo le leggi planetarie, questi influssi possono essere non solo previsti, ma anche orientati. La capacità di fare previsioni era chiamata nel mondo greco “apotelesmatica” e questa tradizione viene ripresa nel Cinquecento, per esempio, da Giovanni da Indagine (Johannes von Hagen), nel suo Introductiones apothelesmaticae in chyromantiam, physiognomiam, astrologiam naturalem (1522). Ma gli influssi astrali possono essere orientati perché esiste un rapporto di simpatia tra l’universo come macrocosmo e l’uomo come microcosmo, e si può agire su questo reticolo di forze grazie alla magia astrale.
Nel secolo precedente, per Ficino, il mezzo per agire sulle forze della simpatia cosmica erano i talismani, vale a dire immagini che possono consentire guarigione, salute, forza fisica – e il De vita coelitus comparanda abbonda di istruzioni su come indossare i talismani, nutrirsi di piante che attirano l’influsso di certi astri, celebrare cerimonie magiche usando profumi, abiti e canti adeguati.
Anche se il sapere e la pratica magica presuppongono un rapporto di simpatia tra fenomeni terreni e fenomeni celesti, Pico della Mirandola celebra il potere della magia e al tempo stesso contesta il sapere astrologico: tuttavia la contraddizione si scioglie se si intende la polemica di Pico come il rifiuto del determinismo astrologico proprio perché, grazie all’azione magica, l’uomo può operare sulle forze della simpatia universale.
Vivere in un universo popolato da forze occulte, regolate dal principio della simpatia, significa potere riconoscere queste parentele misteriose attraverso dei segni, dei caratteri impressi nella stessa forma esteriore delle cose. Ed ecco che il Rinascimento elabora la dottrina delle segnature.
Per Paracelso, l’ars signata insegna come si debbono assegnare a tutte le cose i “nomi veri”, quelli dati ad Adamo, che indicano al tempo stesso il potere, la virtù, la proprietà delle varie cose. In effetti l’ars signata non concerne tanto (o soltanto) i nomi veri, ma quegli aspetti esteriori delle cose che ne dichiarano la virtù. Ed ecco che si considerano segnatura le ramificazioni delle corna del cervo, da cui se ne può riconoscere l’età, le escrescenze sulla lingua della scrofa, che ne manifestano l’impurità, il colore delle nubi da cui si possono prevedere i mutamenti celesti. Come si vede, si tratta di segni che comprendono sia il sintomo medico o meteorologico sia proprietà ben più vaghe e indefinibili.
Paracelso
L’ars signata
De rerum natura
L’ars signata insegna il modo in cui si devono assegnare a tutte le cose i nomi veri e genuini, che Adamo, il Protoplasto, conobbe in maniera completa e perfetta (...) Non si può negare che i nomi genuini provengano anche dalla lingua ebraica e siano imposti a ciascuna cosa secondo la sua natura e la sua condizione. Infatti i nomi che sono tratti dalla lingua ebraica indicano nello stesso tempo la virtù, il potere e la proprietà di questa o di quella cosa. Per esempio, quando diciamo “costui è un porco”, indichiamo con questo nome un animale turpe e impuro. Allo stesso modo molte erbe e radici hanno avuto i loro nomi. Per esempio l’eufrasia o erba ocularis è detta così perché è utile anche agli occhi malati e offesi. La radice sanguinaria è chiamata cosi perché, più di ogni altra radice, arresta l’emorragia... Molte erbe e radici inoltre hanno avuto il loro nome non soltanto per la virtù o proprietà congenita, ma anche per la loro figura, la loro forma e la loro configurazione, come il morsus diaboli, il pentaphyllum, il cynoglossum, l’ophioglossum (...), il satyrion o orchis, l’heliotropium (...).
Questo è il signator, che segna le corna del cervo con tante ramificazioni perchè da esse si possa riconoscere la sua età: tanto sono gli anni del cervo quanti i rami delle sue corna.... Questo è il signator che dissemina di escrescenze la lingua della scrofa malata, da cui se ne può indovinare l’impurità: perciò come è impura la lingua cosi è impuro tutto il suo corpo. Questo è il signator che tinge le nubi di diversi colori, per mezzo dei quali è possibile prevedere i mutamenti celesti.
Paracelso, De rerum natura
A Paracelso, in quanto medico, interessa la segnatura come contrassegno della somiglianza di ogni oggetto naturale con una certa condizione causata dalla malattia, e attraverso la quale può essere restaurata la salute. Anche il carattere intimo di un uomo è espresso dal suo aspetto esteriore, persino dal suo modo di camminare o dal suono della sua voce. In tal senso la dottrina delle segnature si collega agli studi di fisiognomica, chiromanzia, metoscopia, che indagano come i tratti del volto o del palmo della mano, le rughe della fronte o i nèi esprimano la natura e il destino degli individui, o di phytognomonica (che indaga le segnature dei vegetali). Si veda per esempio Girolamo Cardano (in particolare De rerum varietate, 1557, e la Metoscopia postuma, 1658), Tadeusz Hagek (Aphorismorum metoscopicorum libellus unus, 1561), Giambattista della Porta (De humana physiognomia, 1586, Phytognomonica, 1583), Giovanni da Indagine, e prima ancora Bartolomeo della Rocca (Cocles), la cui Chyromantie ac physionomie anastasis appare nel 1504 e viene ristampata più volte in tutto il corso del secolo con titoli e adattamenti diversi.
In un quadro teosofico più ampio la dottrina delle segnature viene ripresa da Heinrich Khunrath (De signatura rerum naturalium, 1587, e Amphitheatrum sapientiae aeternae, 1595) e nel 1622 da Jakob Böhme, che, mutuando il concetto da Paracelso, vede la segnatura come prova di una forza divina che pervade le cose e può essere identificata da una mente misticamente illuminata.
Chi ha forse elaborato in modo più articolato la dottrina delle segnature è Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim con il suo De occulta philosophia (il primo volume appare nel 1531), che rappresenta una delle sillogi più caratteristiche della magia rinascimentale. Poiché vi sono tre mondi – l’Elementale, il Celeste e l’Intellettuale – e ogni cosa inferiore è governata dalla superiore e ne riceve l’influsso, la divinità ci trasfonde le virtù della sua onnipotenza per mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre.
Così noi possiamo “risalire gli stessi gradini” e giungere sino al mondo archetipo, causa prima di tutte le cose, e godere non solo delle virtù che preesistono nelle cose più nobili, ma conquistarne altre più efficaci.
A questo scopo si praticano la magia naturale (che agisce sugli oggetti del mondo), la magia astrale (per dirigere gli influssi delle stelle) e la magia cerimoniale (per evocare spiriti angelici).
A proposito delle segnature (che chiama signacula) e delle simpatie cosmiche, Agrippa definisce come solari il fuoco e la fiamma, il sangue e lo spirito vitale, i sapori violenti, acri, forti temperati di dolcezza, l’oro per il suo colore e il suo splendore, e tra le pietre quelle che imitano i raggi del sole per lo scintillio dorato, come l’aetite, che guarisce l’epilessia e debella il veleno, e l’occhio di sole, simile a una pupilla raggiante, che fortifica il cervello e irrobustisce la vista. Tra le piante sono solari tutte quelle che si volgono verso il Sole, come il girasole, e che ripiegano o chiudono le foglie al tramonto. La natura infatti attira i simili per mezzo dei simili. Ma la segnatura non è solo un fatto naturale, perché può essere anche effetto dell’arte. È lo stesso principio su cui si basava la pratica dei talismani in Ficino: si può operare magicamente attraverso fumigazioni, luci, suoni, sigilli che noi stessi produciamo. Per compiere queste operazioni si elaborano pratiche di magia cerimoniale che, con le sue invocazioni di potenze angeliche attraverso la pronuncia di nomi magici, fonde cabala, magia naturale e invocazione di potenze angeliche e demoniache, culto delle lingue segrete e dottrina della simpatia universale.
Heinrich Cornelius Agrippa
Come attingere virtù dal corpo degli animali
De occulta philosophia, XVII
Se dunque vogliamo adoperarci a produrre qualche proprietà o virtù, cerchiamo gli animali, o le altre cose, che maggiormente possiedono tale proprietà, e di questi prendiamo la parte, in cui tale proprietà o virtù è vigorosa al massimo grado. Ad esempio, se si vuole ottenere l’amore, ci si procuri qualche animale che ama più degli altri, come la colomba, la tortora, il passero, la rondine, la cutrettola, e di questi si prendano le membra, o le parti in cui è più forte il desiderio venereo, che sono il cuore, i testicoli, l’utero, il membro virile, lo sperma, il mestruo. Tutto questo bisogna poi farlo in quella stagione, in cui gli animali sono maggiormente in preda a questa passione: allora, infatti, apportano e provocano molto amore.
In modo analogo, per accrescere il coraggio si vada in cerca di un leone, o di un gallo, e di questi si usino il cuore, gli occhi e la fronte. Così, dunque, si deve intendere ciò che dice Psello Platonico, che i cani, i corvi e i galli aiutano a vegliare, ed anche l’usignolo, il pipistrello e la nottola, soprattutto con a capo, il cuore e gli occhi. Perciò si dice che se qualcuno porterà su di sé il cuore del corvo o del pipistrello, non potrà prendere sonno fintantoché non l’avrà deposto. La stessa cosa provoca il teschio del pipistrello, legato al braccio destro di colui che veglia: se però verrà posto sopra un dormiente, questi non potrà svegliarsi finché il teschio non sarà stato allontanato da lui.
Nello stesso modo, la rana e il gufo rendono loquaci, soprattutto la loro lingua e il loro cuore. La lingua di una rana acquatica, messa sotto la testa, fa parlare nel sonno; e il cuore di un barbagianni, posto sulla mammella sinistra di una donna addormentata, è in grado di farle rivelare ogni segreto: la stessa cosa si dice che possa compiere il cuore della civetta, e il grasso di lepre applicato sul petto della dormiente.
Similmente, tutti gli animali longevi contribuiscono ad una vita lunga, e tutti quelli che possiedono il potere di rinnovarsi concorrono a rinnovare e a ringiovanire il nostro corpo (i medici hanno mostrato più volte di essere a conoscenza di questa virtù): questo è manifesto nel caso della vipera e dei serpenti, è noto che i cervi ringiovaniscono mangiando serpenti; ugualmente la fenice rinasce dalle proprie ceneri, e il pellicano possiede un potere simile: se s’immerge la sua zampa destra nel letame caldo, dopo tre mesi da essa si genera un nuovo pellicano.
In altri casi le segnature vengono viste piuttosto come strumenti per l’azione medicamentosa. Così per il paracelsiano Oswald Croll (o Crollius) (De signaturis internis rerum, 1609), il papavero con la sua corona rappresenta la testa e il cervello, e perciò il decotto del papavero è utile in molte affezioni del capo. Il muschio oblungo che cresce sui tronchi degli alberi assomiglia ai capelli e pertanto il suo decotto è utile per curare i capelli; i granelli neri dell’aconito ricordano la pupilla, perciò l’olio che si estrae da essi è medicina efficace nelle malattie degli occhi.
Comunque si esplori la vasta letteratura cinquecentesca sulle segnature, il concetto rivela una fondamentale ambiguità. Il concetto di segnatura si regge su un circolo vizioso: la simpatia cosmica è rivelata e istituita dalla segnatura, che è una somiglianza, ma questa somiglianza (che è già ambigua perché ogni cosa, da un certo punto di vista, può essere simile a qualsiasi altra) può venire identificata se già esiste la profonda persuasione che i rapporti di simpatia cosmica (o comunque forze occulte) ci siano e agiscano. Chi ha rappresentato meglio la fiducia mistica in questa grande “catena cosmica” è forse Giordano Bruno.
Naturalmente altri autori cinquecenteschi criticano la dottrina delle segnature, e Andreas Libau (Libavius) in Epistolarum chymicarum liber tertius (1599) osserva che se la forma di una pianta dovesse designare le sue qualità terapeutiche, allora non solo il papavero ma anche la mela e il cavolo dovrebbero guarire il mal di testa.
Questa ambigua nozione di somiglianza domina anche la tradizione mnemotecnica, che perviene al Cinquecento dai tempi antichi, e su cui la cultura rinascimentale innesta il progetto dei suoi teatri del mondo.
Dall’antichità classica (Aristotele, lo pseudociceroniano Rhetorica ad Herennium e Cicerone stesso) via via lungo il Medioevo si sviluppano varie tecniche per ricordare, o arti della memoria. Una mnemotecnica è un artificio che – in epoche in cui non esistevano libri a stampa né altri strumenti maneggevoli di registrazione del sapere – permette all’insegnante, all’oratore, a chiunque di ricordare nozioni di vario genere, e in particolare liste e sistemi di concetti, di cose, di regole.
In genere la struttura di una mnemotecnica è di questo tipo: si disegni o si imprima nella mente una qualsiasi struttura spaziale (palazzo, città, territorio) che permetta di discriminare strade, piazze, corridoi, stanze, scale. Ciascuno di questi elementi spaziali è detto “luogo”; si collochino in ciascuno di questi luoghi delle “immagini”, figure di cose facili da memorizzare (oggetti noti oppure forme mostruose ed eventi sorprendenti, come statue che rappresentino fatti terribili, tali da imprimersi nella nostra memoria); si colleghino a ciascuna di queste figure parole o concetti che si vogliono memorizzare; infine si faccia in modo che l’organizzazione dei luoghi e delle figure sia omologa, o simile a quella delle cose da ricordare.
Così figure di oggetti artificiali possono stare per lettere alfabetiche ignote, l’assenzio (amaro) può stare per l’aloe, la serie dei pianeti può rinviare alla serie delle gerarchie angeliche, o viceversa, talora l’iniziale del nome della cosa sta per la lettera alfabetica, e la cosa viene rappresentata da un’immagine (si può immaginare Asino, Elefante e Rinoceronte per ricordare la parola “aer”).
Tra i più interessanti autori di mnemotecniche cinquecentesche citeremo Johann Romberch (Congestorium artificiosae memoriae, 1520), Giulio Camillo Delminio (L’idea del Theatro, 1550), Guglielmo Gratarolo (De memoria reparanda, 1553), Ludovico Dolce (Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservare la memoria, 1562), Gerolamo Marafioto (Artificiosae memoriae libellus, 1570), Johann Spangerberg (Ars memoriae seu potius reminiscentiae, 1570), Cosma Rosselli (Thesaurus artificiosae memoriae, 1579), Filippo Gesualdo (Plutosofia, 1592). Inoltre non possiamo ignorare le varie edizioni cinquecentesche dell’Ars memorandi di Petrus von Rosenheim. Benché ne esistessero manoscritti e copie xilografiche prima dell’invenzione della stampa (Rosenheim nasce forse nel 1380 e muore nel 1470 circa), ed edizioni a stampa quattrocentesche senza illustrazioni, è solo con l’edizione del 1502 che si diffondono le sue inquietanti immagini mnemotecniche (attribuite a Lucas Cranach).
Se nell’antichità e nel Medioevo le mnemotecniche erano puri artifici per ricordare, nel Rinascimento diventano modi per rappresentare e organizzare il sapere, enormi e virtuali enciclopedie o “teatri” dell’universo (come accade con L’Idea di Theatro di Giulio Camillo e con Giordano Bruno). Cosma Rosselli, nel suo Thesaurus, costruisce così dei sistemi di luoghi assai complicati, teatri di strutture planetarie, di gerarchie celesti, di gironi infernali.
Le regole di somiglianza che assegnano immagini o luoghi ai concetti corrispondenti sono di varia natura. Basta sfogliare L’Idea del Theatro per vedere come sotto la categoria della similarità vengano ammassati i più vari procedimenti retorici. Si ha similarità per tratti morfologici (il centauro per l’ippica), per azione (due serpenti che lottano per l’arte militare), per contiguità storica o mitologica (Vulcano per le arti del fuoco), per causa (i bachi da seta per la vestiaria), per effetto (Marsia scorticato per il macello), per rapporto agente/azione (Paride per il foro civile), per rapporto agente/fine (fanciulla con vaso di odori per la profumeria), per antonomasia (Prometeo, donatore del fuoco, per l’uomo artefice), e così via. Non è in base alla stessa regola che Ercole quando tira una saetta verso l’alto sta per le scienze delle cose celesti, e Mercurio con un gallo sta per la mercatura.
Cosma Rosselli elenca correlazioni per similitudine in sostanza (l’uomo come immagine microcosmica del macrocosmo), in quantità (le dieci dita per i dieci comandamenti), per metonimia e antonomasia (Atlante per gli astronomi o per l’astronomia, il leone per la superbia, Cicerone per la retorica), per omonimia (il cane animale per il cane costellazione), per ironia e contrasto (il fatuo per il sapiente), per traccia (lo specchio, in cui Tito si è ammirato, per Tito), per somiglianza di nome (Arista per Aristotele), per genere e specie (leopardo per animale), per simbolo pagano (aquila per Giove), per popoli (i Parti per le frecce), per rapporto tra organo e funzione, per accidente comune (il corvo per l’Etiope), per geroglifico (la formica per la provvidenza), e così via.
Si cerca di correlare una forma dei luoghi e delle immagini alla forma e agli oggetti del mondo, stabilendo catene di similitudini, ma senza elaborare una logica rigorosa della somiglianza e mettendo in gioco un ermetismo interpretativo per cui, dato che tutto può essere segno di tutto, il gioco delle corrispondenze si fa proteiforme. Così le mnemotecniche condividono con la teoria della simpatia cosmica l’esagerata flessibilità nello stabilire rapporti e analogie. Questo demone dell’analogia dovrà essere esorcizzato perché dalla magia rinascimentale si possa passare alla scienza moderna, basata su rapporti tra quantità (controllabili) e non tra imponderabili qualità. Tuttavia questa propensione a trovare ovunque segni, simboli e somiglianze sarà elemento di ispirazione per gli artisti del Rinascimento.