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MAGIA

di Nicola Turchi - Enciclopedia Italiana (1934)
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MAGIA

Nicola Turchi

. Questo termine, nelle lingue classiche (gr. μαγεία, lat. magia) designò la dottrina o arte dei magi (v.), poi, dato il carattere attribuito a questi nel mondo antico, passò a significare l'insieme delle operazioni poste in atto da uno stregone o fattucchiere o mago in virtù dei suoi poteri occulti.

La magia è l'arte di dominare le forze occulte della natura e della vita. Nell'ambito della magia - intesa nel suo significato più ampio - rientra pertanto anche la divinazione (v.); essa spiega pure larga parte dei fenomeni della religione o del folklore, quali il feticismo (v.), le credenze nella iettatura (v.), il malocchio (v.), l'uso degli amuleti (v.), ecc. Le forze misteriose che la magia cerca di dominare non sono soltanto personali, ossia dovute all'azione di "spiriti individuali", ma anche (anzi nelle religioni primitive soprattutto) impersonali, quasi corrente elettrica che circola nelle cose e che il mago sa captare e costringere al suo volere. Questa forza impersonale si designa di solito col termine mana (v.).

La magia si basa sopra due postulati fondamentali: 1. il simile agisce sul simile; 2. il contiguo agisce sul contiguo. Il primo postulato dà origine alla magia imitativa o mimetica, detta anche simbolica, in quanto l'atto magico significa, e riproduce in piccolo, ciò che deve essere operato in realtà; e omeopatica, in quanto vale a operare un effetto eguale a quello da essa raffigurato. Il secondo postulato dà origine alla magia detta simpatica, in quanto è fondata su una connessione o affinità delle cose, sia per contiguità sia in quanto sono parti rispetto al tutto, connessione che resta sempre anche dopo la separazione e le obbliga a subire la stessa sorte; e contagiosa, in quanto l'atto compiuto su una parte, integrante o contigua, diffonde il suo effetto sul tutto.

Tutt'e due queste specie di magia hanno avuto e hanno presso tutti i popoli applicazioni svariatissime, le quali non cessano tuttavia di rivelare l'uniformità del principio informatore. Anziché, pertanto, elencare per razze e per civiltà i varî esempî di magia, si espongono qui i principali esempî delle due specie sopraindicate.

Esempî di magia imitativa: Caccia. - Volendo catturare un animale, uno dei cacciatori ne indossa la pelle e ne imita i movimenti; gli altri, circondandolo in danza mimica, riproducono le varie fasi della caccia, fino alla cattura. Così fanno i Pellirosse per la caccia al bisonte; così, gl'isolani dello Stretto di Torres fanno immagini della testuggine e del dugungo e intorno a esse compiono movimenti mimetici per provocarne la cattura.

Incremento di animali e di piante. La più tipica cerimonia per provocare la moltiplicazione del bestiame è quella detta intichiuma (v.) compiuta dagli Arunta, tribù dell'Australia centrale, per l'incremento dei loro animali totemici, rispettivamente emu, canguro, bruco, ecc. Gli uomini del clan dell'emu s'incidono un vena e ne fanno colare il sangue in terra, sulla quale tracciano linee di varî coloi che rappresentano le parti più desiderate dell'emu, intestini, uova, adipe. Intanto viene collocato sulla pittura il churinga (o tjurunga: emblema di legno su cui inciso l'animale totemico), mentre canti monotoni spiegano il significato del rito e tre uomini, che portano in capo un casco che raffigura la testa e il collo dell'emu, si avvicinano imitando i movi menti dell'animale. La polverizzazione, dispersione di quella terra intrisa nel sangue degli uomini emu provocherà la moltiplicazione della specie (v. australia, V, p. 444). Per le piante, la credenza (ancora viva nel folklore: v. luna) che i Romani avevano nella simpatia lunare ossia nell'influenza che la luna, crescendo, esercita sulla crescita delle piante e viceversa, è dimostrata dagli scrittori di cose rustiche, dai quali si ricava che tutte le operazioni che riguardano il nascere e il progredire del seme si devono fare e a luna nuova la luna crescente, come per una simpatia misteriosa tra le evoluzioni astronomi che del pianeta e quelle germinative della pianta. Le operazioni di taglio e di potatura si debbono fare quando la luna decresce, quasi che il suo calare eserciti l'opportuna influenza sull'analoga opera dell'agricoltore. E appunto per questo non si devono tagliare a luna calante quelle cose che si vuole si riproducano e crescano, come la lana delle pecore, i capelli del capo, l'uva della vendemmia.

Piante medicinali. - I poteri curativi della maggior parte delle piante e dei minerali erano, secondo la medicina antica e medievale (dottrina delle segnature), basati sulla magia imitativa. Così l'erba polmonea guarisce i mali del polmone, la perlina (Euphrasia officinalis) serve per i mali d'occhi a causa dei puntolini neri simili a pupille sparsi sulla sua corolla, lo zafferano cura l'itterizia, ecc.

Pioggia. - Per provocare la pioggia basta riprodurre in piccolo il fenomeno. Il mago delle Isole Murray quando vuole la pioggia scava una buca nel suolo, la tappezza di foglie, vi colloca una pietra raffigurante un uomo orientata verso il punto donde l'acqua si aspetta, la unge di olio e la copre di erbe odorose, indi le versa sopra un decotto di foglie di varie piante. Quattro larghi ventagli fatti di foglie di noce di cocco, che raffigurano le nuvole, vengono collocati ai quattro lati della fossa, e una torcia accesa che raffigura il fulmine vi viene agitata sopra, mentre tamburi di bambù imitano il rumore del tuono. La pioggia deve cadere nel momento in cui il decotto colato su la pietra si altera. Questo è il più bell'esempio di magia, imitativa di tutta la vicenda temporalesca; altri esempî sono: il far cadere l'acqua da un recipiente tenuto alto e opportunamente agitato; il versare acqua su fanciulle vestite di erbe mormorando una preghiera o facendo un'elemosina (Grecia, Serbia, Armenia); il versare acqua sopra una pietra di valore sacrale (in Roma nella cerimonia dell'aquaelicium). Per far cessare la pioggia si compiono gesti opportunamente espressivi: si spruzza acqua su un tizzone ardente, intendendo di far cessare la pioggia come il fuoco fa evaporare l'acqua; si arroventa una pietra e la si espone alla pioggia con lo stesso significato; si gettano contro la pioggia tizzoni accesi.

Vento. - Anche il vento può essere scatenato o trattenuto secondo il bisogno. Un modo comune per provocarlo è quello di sciogliere i tre nodi di una cordicella o di un fazzoletto venduti dallo stregone ai marinai fermi per la bonaccia (Finlandia). Gl'isolani di Muralong girano vorticosamente dalla cima di un albero il rombo per imitare il sibilo del vento. Volendo cacciarlo, lo si spaventa con fruste (Eschimesi), con colpi di mazza, di arma da fuoco, di spada o lancia (Sumatra e Borneo).

Sole e luna. - Soprattutto nei casi di eclissi la magia imitativa mette in opera le sue risorse. Poiché l'eclissi è come una morte del sole, i pellirosse Ojibwai gli lanciano contro frecce infocate per rianimarlo, i Kamciadali portano i fuochi fuori delle loro capanne, gl'indiani Chilcotin si mettono in tenuta da viaggio e marciano appoggiati al bastone quasi per sostenere il cammino del sole.

I cosiddetti "fuochi di San Giovanni", che si accendono in forma di corone o di bracieri al solstizio d'estate, hanno per scopo di rafforzare l'energia del sole che dal 21 giugno comincia a diminuire; l'offerta del cuore di giovani appositamente immolati che gli Aztechi dell'antico Messico facevano al sole aveva lo scopo di rinnovare le sue energie di calore e di movimento. Ed è da interpretare nello stesso senso il sacrificio della quadriga che i Rodî facevano al sole, sommergendola nel mare, e l'offerta dei cavalli che gli Spartani facevano al sole sul Taigeto, dietro cui il sole tramonta. È superfluo moltiplicare gli esempî per la luna.

Esempî di magia contagiosa. - Poiché la parte può agire sul tutto, capelli, peli, ritagli di unghie, grumi di sangue, denti, saliva, appartenenti a una persona, possono servire, in mano al fattucchiere, a compiere atti di magia ostile. Tutto quello che il mago compie su dette parti: bruciamento, seppellimento, sommersione, laceramento, ecc., si ritiene debba ripercuotersi su colui al quale appartengono. Per questo era costante preoccupazione presso i Romani di celare capelli e unghie. Così faceva il flamine diale, i ritagli dei cui capelli e unghie dovevano essere sotterrati presso un albero di buon augurio perché nessuno se ne potesse servire a suo danno. Anche oggetti che non facciano parte del corpo, ma siano stati in suo contatto o comunque siano con esso in relazione, possono servire allo stesso scopo, in quanto per la mentalità primitiva ciò che appartiene in proprio a un individuo fa parte integrante della sua personalità. Così orme lasciate sul terreno, vesti, ornamenti, armi, immagini di una persona, possono essere adoperate a suo danno. È noto il malefizio che la maga compie in Virgilio (Ecl., VII, ispirata dall'Idillio 11 di Teocrito) per ricuperare l'amore di Dafni. Attorno a un altare, cinto da tre licci di diverso colore, dinnanzi al quale bruciano verbene e grani d'incenso "maschio", la maga fa girare due immagini dell'amante, una di cera che, fondendosi, faccia stemperare d'amore il cuore di Dafni, l'altra di argilla, che, indurendosi al fuoco, lo renda duro e insensibile alle lusinghe di altre donne.

Cannibalismo. - Dal medesimo punto di vista vanno spiegati i casi di cannibalismo. La lingua, gli occhi, il cuore, il fegato, l'adipe di un nemico ucciso dànno a chi li mangia le qualità del defunto. Senza giungere al cannibalismo, gl'isolani dello Stretto di Torres fanno bere ai giovani il sudore di guerrieri gagliardi e mescolano al cibo le ripuliture d'unghia imbevute di sangue umano affinché diventino valorosi in guerra. (V. antropofagia).

Simpatia. - Anche all'influsso reciproco tra congiunti o tra membri dello stesso clan si applica la legge di contiguità. A Borneo, quando l'uomo va a caccia nella giungla, quelli che restano in casa non debbono toccare con le mani né acqua né olio, altrimenti le dita del cacciatore diverranno come burro e lasceranno sfuggire la preda. Pure a Borneo, quando un guerriero parte per una spedizione militare o va a caccia di teste, nella sua casa i fuochi debbono restare accesi affinché egli non abbia freddo, e la tettoia della casa deve essere aperta prima dell'alba affinché egli non dorma troppo a lungo con pericolo di cadere nelle mani dei nemici.

Covata. - Il caso tipico di questa simpatia tra congiunti è la covata (v.), per cui l'uomo prossimo a essere padre prende speciali precauzioni affinché tutto proceda bene per il nascituro.

Nome. - Il nome è parte integrante della persona, anzi è la sua anima; cosicché chi è in possesso di quello e lo pronunzia o evoca al momento opportuno ha in sua mano la persona. Così si spiega la ripugnanza di tutti i primitivi a rivelare il proprio nome, l'uso dei nomignoli o dei nomi segreti, tutta quella categoria di fiabe in cui la soluzione è data dalla conoscenza del nome; così si spiega il ritegno che ha il popolino di nominare le cose di cui ha terrore, specialmente il fulmine e il terremoto designandoli con un epiteto o una circonlocuzione, quasiché nominarli sia suscitarli; e il rito romano dell'evocazione delle divinità di una città vinta, perché venissero a far parte del pantheon romano; e il segreto col quale il sacerdozio celava il nome vero di Roma affinché nessun nemico, evocandola, potesse provocarne la caduta.

Parola. - La parola detta con l'intonazione giusta ha un valore magico di prim'ordine. Essa può essere o una formula sacra (v. formula, XV, p. 708) capace di produrre ogni buon effetto; o una parola possente, che apre ogni porta, abbatte ogni ostacolo, come quelle che aprivano le porte dell'oltretomba al defunto egiziano e all'iniziato orfico; o uno scongiuro fatto con formule ed epiteti tanto più efficaci quanto più misteriosi e con modulazione ritmica (carmen, incantesimo, charme). Note sono quelle registrate da Catone e Varrone contro talune malattie e le prescrizioni delle XII Tavole contro chi malum carmen incantassit. La parola è efficace anche se è scritta (amuleti gnostici, filatterî degli Ebrei, lamine di esecrazione contro avversarî [tabellae defixionum]). Talora le carte o stoffe, ove tali formule sono scritte, vengono deglutite, per assicurarne l'efficacia.

Magia e Scienza; magia e religione. - Questione vessata quella dell'origine della magia e della sua posizione di fronte sia alla religione sia alla scienza. Essa si è cominciata a trattare a fondo, dal punto di vista scientifico, soltanto col consolidarsi degli studî etnologici. E. B. Tylor considera la magia come la pseudoscienza dei primitivi, basata sopra una sofistica associazione d'idee, che persiste come patrimonio presso le genti incolte, e che sotto il nome di spiritismo rivive nelle credenze e nelle preoccupazioni pseudofilosofiche di parecchie persone di scarsa cultura. J. G. Frazer insiste anche di più sul valore pseudoscientifico della magia, affermando che la magia vera e propria si ha quando, nella persuasione di chi la opera, un fatto segue all'altro per forza propria e non per l'intervento di agenti spiritici superiori: il mago sa che se egli adopera a dovere le regole della sua arte, l'effetto deve seguire infallantemente; di qui un'analogia tra la concezione magica e quella scientifica del mondo. La magia differisce dalla scienza in questo: ch'essa sbaglia nell'interpretazione di quelle due leggi fondamentali di associazione delle idee che sono: l'associazione per similarità (magia imitativa) e l'associazione per contiguità (magia contagiosa).

Data questa concezione, per il Frazer la magia è più antica della religione, la quale implica la credenza in esseri spiritici superiori e la possibilità di piegarli con la preghiera e con il rituale, ammette cioè che l'ordine delle cose può essere cambiato a piacere di quegli esseri. Sarebbe questo un concetto più arduo e più difficile da raggiungere che non quello della successione naturale e invariabile dei fenomeni. In appresso, quando lo sviluppo della riflessione mise in luce l'inutilità delle pratiche magiche, si concluse che il mondo procedeva nel suo ritmo solo in grazia di esseri superiori concepiti come simili all'uomo ma più possenti, e così nacque la religione.

Ma la questione non va posta secondo il criterio della priorità, giacché magia e religione sono in stretto rapporto tra loro. A guardar bene, la magia non ha nulla di quel che s'intende per scienza o arte, perché queste presuppongono sempre l'iniziativa individuale e sono suscettibili di progresso, mentre la magia è una tradizione i cui principî si apprendono, dagli anziani che ne sono in possesso, grazie a una iniziazione rigorosa, e non possono venire alterati né nel gesto né nelle formule, sotto pena di perdere la loro efficacia. Questa tradizione ha dunque l'intangibilità di una fede; e se il mago oserà allontanarsene sperimentando per conto suo, comincerà a far della scienza ma non farà più della magia, come chi discute liberamente sul dogma fa della filosofia, ma non più della religione.

Del resto il rituale di tutte le religioni naturali sia antiche sia primitive, dimostra che i due elementi erano fusi e che i riti magici facevano parte della religione in Egitto (Libro dai morati, in Babilonia (le varie serie di esorcismi shurpu, maqlu, utukku limnuti), in India (Atharvaveda). Lo stesso atto centrale della religione, il sacrifizio, contiene in fondo un lato magico in quanto, mediante operazioni e riti meccanici, vuol raggiungere effetti di carattere superiore. Così nell'intichiuma degli Arunta le cerimonie mimetiche relative all'animale totemico tendono ad attuare la sua moltiplicazione; così i riti agrarî, sia quelli rimasti tali (le Bufonie, le Fordicidie, la festa di maggio degli Arvali), sia quelli poi sublimati a misteri (eleusini, metroaci, adoniaci, ecc.) sono diretti a promuovere e aiutare l'azione della natura.

Religione e magia sono dunque nelle religioni naturali due attitudini parallele dello spirito umano, di cui ciascuno, in momenti di minor controllo della ragione riflessa e di maggior predominio delle aspirazioni istintive, specialmente di fronte a grandi bisogni e a grandi emozioni, sperimenta in sé la coesistenza cercando di rivolgerle entrambe al raggiungimento del medesimo fine.

Ciò che distingue veramente magia e religione è il loro rapporto con l'organismo sociale, come la scuola sociologica di E. Durkheim ha messo inoppugnabilmente in rilievo. La religione è un culto ufficiale e pubblico compiuto dal sacerdote in rappresentanza di tutto il gruppo sociale; la magia è un rituale privato i cui riti sono eseguiti da un uomo che non riveste carattere pubblico e che serve interessi individuali. Né vale il dire che nelle società primitive il sacerdote e il mago sono riuniti nella stessa persona, che è quella del capo del gruppo sociale, giacché gli atti da essa compiuti nell'interesse di tutto il gruppo, anche se pieni di elementi magici, sono atti religiosi. Questo si può rilevare perfino nell'intichiuma australiano, in cui alla fase strettamente magica, esposta più sopra, segue la seconda nella quale l'animale totemico viene ritualmente mangiato in sacrifizio di comunione, prima dal capo e poi da tutti i membri del clan, i quali per l'occasione indossano l'insegna totemica e passano la notte a rievocare, con canti, le imprese dell'animale totemico e dei primi antenati che fondarono il gruppo.

Magia privata. - A questa va dunque soprattutto applicato il nome di magia, in quanto è operata da un individuo non rivestito di pubblica autorità e che agisce solo in virtù dei suoi poteri e in nome di un interesse privato. Questa magia privata può essere diretta a beneficio altrui (magia bianca) come nei varî casi di medicina popolare, di riti apotropaici, ecc.; ma anche in danno altrui (magia nera) contro la salute, le sostanze, la vita di un nemico o dei suoi parenti, mediante procedimenti diversi, con uso di formule e gesti di cui il mago è in possesso.

Il mago. - Il mago non è un uomo normale, ma un essere psichicamente più ricettivo e dalla sensibilità nervosa assai sviluppata, che lo rende capace di scrutare più a fondo le forze misteriose in giuoco nella natura e di escogitare i mezzi adatti per costringerle al fine voluto. La sua scienza egli non l'ha acquistata attraverso esperienze, ma gli viene - secondo la credenza di tutti i primitivi - comunicata da uno spirito che risiede in lui e gli dà facoltà di comandare agli altri spiriti e alla natura stessa.

Il mago è fatto idoneo al suo ufficio: 1. a titolo di nascita, ossia quando vi è trasmissione dei poteri magici di padre in figlio; 2. a titolo di rivelazione, fatta generalmente (in Australia) dai genitori defunti ai figli, mentre questi dormono un sonno estatico, provocato dal digiuno e dalla solitudine, sopra la loro tomba. Durante il sonno lo spirito rinnova i visceri del candidato e lo fornisce degli oggetti che sono l'insegna del suo ufficio (cristalli di quarzo, ossa di morto); 3. per iniziazione, da parte di altri maghi, iniziazione preceduta da pratiche estenuanti, digiuni, esercizî fisici, solitudine, che inducono il candidato in uno stato di incoscienza morbosa durante il quale avviene il rinnovamento dei suoi visceri e la consegna dei simboli del potere magico.

Dati questi suoi poteri, il mago è il medico naturale della tribù, perché la malattia è provocata da mali spiriti cacciatisi nel corpo: ne è l'indovino, perché gli spiriti che lo invadono dànno a lui la chiaroveggenza delle cose; ne è talora il capo politico, perché le sue comunicazioni con gli spiriti superiori lo rendono venerabile agli occhi della tribù e gli conferiscono quell'autorità che serve a dominare, nei momenti opportuni, la vita sociale.

Società di maghi. - Ordinariamente i maghi sono riuniti in società segrete, che hanno a patrono uno spirito da cui prendono il titolo e che mantengono nel seno della tribù la loro fisionomia fondamentale comune, in quanto intendono raggiungere una relazione mistica con la potenza divina o spiritica patrona della società, mediante un'iniziazione in virtù della quale l'iniziato che abbia compiuto debitamente i riti partecipa a una nuova vita, che è quella dello spirito a cui si è affiliato. Detta iniziazione esprime mimicamente la morte del candidato e la sua risurrezione grazie all'acquisto di un'anima nuova che lo affilia al patrono della società e lo assimila agli altri membri di essa nei diritti e nelle prerogative di dominio sulle cose e sugli uomini.

Bibl.: H. Hubert, Magia, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et romaines, VI, pp. 1494-1520; R.R. Marett, Magic (Introductory), in Hastings, Enc. Relig. and Ethics, VIII, p. 245 segg.; E.B. Tylor, Primitive culture (3ª ed.), Londra 1891; F. T. Elworthy, The evil eye, Londra 1895; T. W. Davies, Magic, Divination and Demonology, Londra 1898; A. C. Haddon, The study of man, Londra 1898 (trad. it., Palermo s.a.); E. Clodd, Tom Tit Tot: an Essay on savage philos. in Folktale, Londra 1898; (trad. it. Torino 1906); B. Spencer e F.J. Gillen, The native tribes of central Australia, Londra 1899; W.W. Skeat, Malay Magic, Londra 1900; A. Lang, Magic and Religion, Londra 1901; W.E. Roth, North Queensland Ethnography, Bull. 5, Brisbane 1903; B. Spencer e F. J. Gillen, The native tribes of northern Australia, Londra 1904; H. Hubert M. Mauss, Esquisse d'une théorie générale de la magie, in Année social., VII (1904); K. Th. Preuss, Der Ursprung d. Religion u. Kunst, in Globus, LXXXVI (1904); A. C. Haddon, Magic and fetishism, Londra 1906; W. Wundt, Völkerpsychologie, II, Lipsia 1907; A. Vierkandt, Die Anfänge des Religion und Zauberei, in Globus, XCII (1907); A. Lehmann, Aberglaube und Zaquberei, Stoccarda 1908; H. Webster, Primitive Secret Societs, Londra 1908 (trad. it. Bologna 1922); J. B. Jevons, The definition of Magic, in Sociol. Review, I (1908), p. 105 segg.; H. Hubert e M. Mauss, L'origine des pouvoirs magiques dans les Sociétés austral., in Mélanges d'histoire des religions, Parigi 1909; 2ª ed., ivi 1929; J.G. Frazer, Totemism and éxogamy, III, Londra 1910, p. 457 segg.; A. Loisy, Magie, science et religion, in Revue d'hist. et de litt. religieuses, s. 2ª, I (1910), p. 144 segg.; J. G. Frazer, The Golden Bough, I; The magic art, Londra 1911 (trad. it. ridotta, Roma 1925); R. R. Marett, The Threshold of Religion, 2ª ed., Londra 1914; E.S. Hartland, Ritual and Belief, Londra 1914; P. Saintyves, La force magique, Parigi 1914; C. Clemen, Wesen u. Ursprung d. Magie, in Archiv für Religionspsych., 1921; W. J. Perry, The origin of magic and religion, Londra 1923; K. Beth, Religion und Magie bei den Naturvölkern, 2ª ed., Lipsia 1928.

Dal punto di vista della psicanalisi o di moderni tentativi di far rivivere le scienze occulte, v. J. Maxwell, La magia, trad. it., Bari 1932; G. Roheim, Psycho-analysis of Primitive cultural types, in The intern. journal of Psychoanalysis, 1932, nn. 1-2; v. anche occultismo e spiritismo.

Vedi anche
occultismo Complesso di dottrine e pratiche connesse con la supposta esistenza di forze situate fuori del piano empirico, ma conoscibili e dominabili con particolari tecniche. Tali dottrine e pratiche, antichissime, si sono sviluppate storicamente in vari indirizzi di pensiero (aspetti misteriosofici e iniziatici ... stregoneria Attività delle streghe o degli stregoni. In senso concreto, operazione magica spesso diretta con l’intenzione di danneggiare qualcuno. ● Secondo la mitologia popolare, streghe e stregoni sono esseri soprannaturali nocivi o persone reali cui si attribuisce un’attività di magia nera e che dirigono i loro ... rito Il complesso di norme che regola lo svolgimento di un’azione sacrale, le cerimonie di un culto religioso. Suo connotato essenziale è l’imprescindibilità da un ordinamento preesistente alle singole azioni sacre; diversamente si possono avere manifestazioni soggettive di religiosità, non riti. 1. Caratteri ... talismano Oggetto naturale o manufatto, spesso decorato di figure o di segni simbolici, cui si attribuisce un valore e un potere magico di aiuto e di propiziazione, e in alcuni casi di protezione. Nel linguaggio comune (ma riscontrabile non di rado anche nella letteratura etnologica, storico-religiosa e folcloristica) ...
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