magnanimitate (Magnanimitade)
E la μεγαλοψυχία, la quinta virtù morale nel catalogo redatto da Aristotele (Eth. Nic. II 7, 1107b 22), punto mediale fra la χαυνότης (presunzione) e la μικροψυχία (piccineria d'animo, pusillanimità) con riguardo alla τιμή (onore) e all'ἀτιμία (disonore), concetto ripreso e ampliato in Eth. Nic. IV 3, 1123b-1124a-1124b-1125a (v. MAGNANIMO).
La m. si definisce come " aspirazione all'onore nella misura in cui si deve ", in corrispondenza con meriti effettivamente posseduti. In tal senso è ornamento e compimento di tutte le altre virtù, che presuppone per sussistere, e che a sua volta rende più grandi (cfr. Eth. Nic. IV 3, 1124a 16-18).
L'insegnamento del filosofo greco - La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice a acquistatrice de' grandi onori e fama (CV IV XVII 5) - si riflette nel De vulg. Eloq. su giudizi di carattere linguistico e poetico: come esistono vocabula grandiosa e altri lubrica... et reburra... quae in superfluum sonant, così in magnis operibus quaedam magnanimitatis sunt opera, quaedam fumi; ubi, licet in superficie quidam consideretur ascensus, ex quo limitata virtutis linea praevaricatur, bonae rationi non ascensus, sed per altera declivia ruina constabit (II VII 2).
Ma il luogo del Convivio dove si parla dell'appetito irascibile e concupiscibile che la ragione deve sottoporre al freno e agli sproni (Lo freno usa quando elli caccia... lo sprone usa quando fugge, per lui tornare a lo loco onde fuggire vuole, e questo sprone si chiama fortezza, o vero magnanimitate, la quale vertute mostra lo loco dove è da fermarsi e da pugnare, IV XXVI 5), piuttosto che all'autore dell'Etica Nicomachea, sembra ispirarsi a s. Tommaso (Sum. theol. II II 141).