MAGNASCO, Alessandro, detto il Lissandrino per la sua piccola statura
Pittore, nato a Genova nel 1667, morto ivi il 12 marzo 1749. Presto rimasto orfano del padre, anch'egli pittore, fu mandato a Milano; un ricco cittadino di quella città lo prese con sé e lo fece educare da Filippo Abbiati, che godeva allora grande rinomanza a Milano. Ivi il M. trascorse presso che tutta la vita, tranne qualche viaggio in varie città d'Italia, fra le quali Firenze, dove l'aveva chiamato il granduca Gian Gastone de' Medici, e dove soggiornò più lungamente, lavorando per conto di quel principe.
Intorno al 1735 da Milano fece ritorno in patria, dove rimase fino alla morte.
Esordì come pittore di ritratti e figure di grandi dimensioni, e come tale ebbe a Milano, ancora giovinetto, grande successo. Ma la natura del suo ingegno lo indusse presto verso una pittura fatta di rapide e sprezzanti annotazioni, che, per serbare tutta la loro intensità plastica e il loro dinamico vigore, esigevano di essere raccolte in breve spazio, in composizioni nelle quali entro sfondi di architettura o di paesaggio, oppure nell'inquadratura di un interno, le figure - che raramente nel M. oltrepassavano il palmo di altezza - prendevano aspetto di macchietta e dimettendo, anche plasticamente, il loro carattere di "protagonisti", si adeguavano alle altre forme. Tale omogeneità plastica nelle figure col proprio ambiente è caratteristica dell'arte del M. e la sua mancanza permette di riconoscere quei quadri dove egli dipinse soltanto le macchiette contro sfondi di altri pittori, come Carlo Antonio Tavella e Clemente Spera, che spesso lo fecero in tal modo collaborare all'opera loro.
L'evoluzione dell'arte del M. si può cogliere nel progressivo distacco da espressioni decorative come l'Apoteosi della carità di San Carlo (Museo Poldi-Pezzoli, Milano) e il Baccanale (coll. Italico Brass, Venezia), ovvero concepite sotto l'aspetto del puro arabesco pittorico, come le Storie di Pulcinella, fino a giungere a rappresentazioni il cui argomento, anche se trasfigurato attraverso la fantasia e nel più esasperato pathos, è concepito attraverso emozioni e impressioni direttamente ricevute dal vero, col quale esse serbano un nesso potentemente evocativo. Come punto d'arrivo di tale evoluzione sono da ricordarsi alcune delle scene della vita conventuale dove la veridicità episodica s'intesse strettamente alla più prodiga invenzione; nonché quei tempestosi e sinistri paesaggi in cui le figure sembrano tutta una cosa con la natura e gli elementi, assorbite e coinvolte nella loro tragedia. Tali Le tentazioni di S. Antonio, S. Antonio predica ai pesci, S. Agostino e il Bambino Gesù, La tempesta, il Paesaggio con le lavandaie. Seguendo codesto cammino, l'arte del M. tende a diventare sempre più romantica abbandonando qualsiasi preconcetto di formalità, per soddisfare sempre meglio alla sua funzione espressiva di un mondo interno. Ecco perché il suo stile, destituito di ogni armonia esteriore, piacque poco ai suoi concittadini quando egli ritornò a Genova, dove avevano trionfato fino allora pittori di un gusto tutto decorativo, come lo Strozzi, i De Ferrari, il Fiasella, ecc.
Nel Ricevimento in una villa genovese, che è da annoverarsi fra le sue ultime opere, sia per l'incontro con un argomento più lieto, sia per gli aspetti sereni della sua città natale, il cruccio si placa, l'esagitazione si distende e nella composizione stessa circola un ritmo tranquillo.
Gli argomenti prediletti del M. furono scene di monasteri e conventi di frati, eremi e sinagoghe; aspetti della vita popolaresca con botteghe e fondachi oscuri; artefici intenti ai loro mestieri; scene soldatesche in castelli diruti, fra rovine, dentro spechi sinistri; paesaggi e marine tempestosi.
La materia plastica del Caravaggio, stilisticamente sistemata in masse serrate fra crudi profili, che già nello stile del Morazzone aveva subito un processo disgregativo a vantaggio di una più morbida liricità, viene dal drammatico dinamismo del M. spezzata e infranta e trova nel suo tocco una nuova articolazione pervasa di un'impennata e quasi irosa energia; mentre la composizione luministica, dal tetragono piedistallo caravaggesco, si trasferisce in equilibrî paradossali, giuocando in arrischiate armonie che sembrano dover crollare e dissiparsi da un momento all'altro. Nella rappresentazione il M., precorso anche qui dal Morazzone, riprende, psicologicamente, l'impulso del barocco e ne riassume il movente originario, essenzialmente romantico, volgendolo secondo le sue capacità e giusta lo spirito etico, già decadente, del suo tempo a un senso narrativo e descrittivo che, con l'originaria grandezza eroica e tragica, serba una qualche relazione per quel soffio d'anelito che muove e stravolge i suoi ritmi plastici.
Il romanticismo pittorico del M. è già tutto in nuce nel Tintoretto, da taluni aspetti della cui opera, come due polloni al piede delle querce, si proiettano le due espressioni liriche del M. e del Greco. Ma mentre nel Tintoretto l'empito tragico è ancora misurato, nel M. trabocca sotto l'influsso del misticismo gesuitico.
Tuttavia il M., grazie all'interiore virtù del proprio stile, seppe elevare la pittura di genere, che prima di lui e nel suo tempo aveva avuto cultori illustrativamente efficaci ma plasticamente mediocri, a quel livello dove l'arte non soffre più distinzioni di genere e di categoria. Allo stesso modo, la pittura di tocco e di macchia non degenerò mai nel M. in virtuoso manierismo, ma, come verace emblema stilistico di movimenti patetici ed emotivi genuini, si avviò con lui a quelle soluzioni decisamente impressionistiche che attraverso Sebastiano Ricci - l'unico meritevole scolaro del M. - saranno poi condotte verso più estreme deduzioni dal Tiepolo e dal Guardi. Lo stile impressionistico del M. influì, oltre che su quella del suo tempo, su tutta la pittura moderna, mentre alcuni aspetti del cosiddetto "espressionismo" trovano in lui e nel Greco i loro grandi predecessori.
Bibl.: B. Geiger, A.M., Berlino 1914; id., A.M., Vienna 1923; A. Ferri, M., Roma 1922; Peosner, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929 (con bibl.); R. Giolli, Il M. delle grandi figure, in Poligono, novembre 1929; G. Delogu, Pittori minori liguri lombardi piemontesi del '600 e del '700, Venezia 1931, pp. 74-143.