MAGNESIA al Meandro (Μαγνησία ἡ πρὸς Μαιάνδρῳ)
Antica città della Caria presso il fiume Leteo, affluente del Meandro, fondata intorno al 400 a. C. a breve distanza da una precedente M. che le leggende dicevano colonia dei Magneti di Tessaglia che aveva soggiaciuto alle successive distruzioni dei barbari (625 a. C.) di Mezares, generale di Ciro (530 a. C.), luogo ove era morto Temistocle transfuga presso la corte di Persia (460 a. C. - restano monete con la sua leggenda). Tale città era stata poi definitivamente distrutta dalle alluvioni del Meandro senza lasciare alcuna traccia di sé.
La città nuova, le cui rovine furono scoperte nei primi anni del secolo scorso, sorse sulla destra del Leteo, in prossimità del santuario di Artemide Leukophryene, per opera dello stratega spartano Tibrone, utilizzando la collina del Thorax per lo stadio ed il teatro e cingendosi di mura a bei blocchi regolari. Di queste resta ben poco: solo due o tre strati e sul punto più alto del monte una potente torre, mentre nella pianura le fortificazioni furono completamente demolite per la costruzione delle mura bizantine.
Il santuario di Artemide, presso il quale sorse la città nuova, doveva essere ben più antico: la dea vi doveva avere un culto simile a quello di Cibele. Resti di un più antico tempio ionico, in pietra calcarea, probabilmente con otto colonne sulla fronte (VI-V sec.) furono rinvenuti negli scavi tedeschi, al disotto della costruzione più tarda.
La città conobbe il suo più fiorente periodo costruttivo fra la seconda metà del III e la prima del Il sec. a. C. quando, sotto l'impulso dei diadochi, rinnovò tutti i suoi monumenti secondo un piano unitario che venne a rappresentare uno dei più completi esempî di quella nuova scienza, l'urbanistica, che solo le condizioni sociali dell'ellenismo avevano potuto incrementare. L'architetto cui fu affidato tale compito fu Hermogenes di Alabanda e la sua attività ed il suo stile sono noti, oltre che dai monumenti, anche per la menzione di Vitruvio il quale si servì dell'illustrazione delle opere di Hermogenes per definire i canoni dello stile ionico, quali del resto già lo stesso architetto aveva fissato in un trattato teorico che servì di base alla fonte romana.
L'Artemision sorge in una vasta piazza chiusa da portici dorici fiancheggiati da un gradino che reggeva basi marmoree. Come il Didymaion di Mileto e l'Artemision di Efeso il tempio era costruito su un alto stilobate di sei gradini; la sua fronte era ad O, come in altri templi dell'Asia Minore e probabilmente per omaggio all'aspetto notturno di Artemide.
Era un anfiprostilo di 8 × 15 colonne con pronao sostenuto da quattro colonne, pseudodiptero con intercolumnio maggiore al centro dei lati brevi, cella in antis, tetto marmoreo, timpani vuoti con tre aperture rettangolari, di cui la centrale maggiore delle due laterali, e tre acroteri rappresentanti viticci avvolti intorno a un calice. Il rapporto fra pronao, cella e opistodomo è 2 : 2 : 1 e la cella è divisa in tre navate da due file di tre colonne. Le colonne sono ioniche, ma del tipo che Vitruvio definisce attico, insolito fino a questo momento in Asia Minore. Nulla resta dell'immagine di culto, lo xòanon ligneo trasferito dal vecchio nel nuovo tempio e che le monete della città lasciano riconoscere simile all'Artemide Efesia. Sull'architrave del tempio correva un fregio continuo lungo circa 175 m, di cui serbano membra disiecta i musei del Louvre, di Costantinopoli e di Berlino. Con intento esplicitamente decorativo è rappresentata un'amazzonomachia in uno stile piuttosto rozzo e qualitativamente vario da un lato all'altro; di gran lunga il migliore è il fregio O che ornava la fronte principale. Il complesso rivela un indirizzo classicista ed una sobrietà lontana dal ridondante gusto pergameno e, semmai, alcune consonanze con l'arte rodiota che ritroveremo in altri prodotti artistici di Magnesia.
Dinanzi al tempio e in asse con esso sono le fondamenta di un grande altare (23,07 × 15,62) che come quello di Priene, costituisce un'edizione minore del grande altare di Pergamo.
Di forma quadrangolare è formato da un alto podio a gradini su cui si eleva una costruzione con colonne disposte in modo da formare una specie di cortile e che costituisce il vero e proprio altare per le offerte. Sul podio era posto un fregio con figure di divinità (museo di Berlino), mentre forse un secondo fregio incompiuto era destinato alla decorazione dell'interno della corte dell'altare, istituendo così una diretta corrispondenza col piccolo fregio di Telefo dell'altare pergameno.
La grande piazza dell'Artemision, come si è detto, è circondata a N, S, E, da un portico dorico con tetto ligneo. Ad O un grande pròpylon di quattro colonne ioniche fra due pilastri, sormontato da un frontone, immetteva nell'agorà.
L'agorà è orientata da N a S e circondata di portici preceduti da tre gradini marmorei chiusi da un colonnato dorico e suddivisi lungo l'asse maggiore da una fila di colonne ioniche che rispondono di due in due alle colonne dell'ordine interiore. Nel portico E si apre il grande pròpylon ionico che immette nel recinto dell'Artemision; nel mezzo di quello O è un grande ambiente con architettura dorica che il ritrovamento di due statuette di Atena rivela dedicato a questa dea; lungo i muri dei portici O e N e su parte di quello S si trova una serie di camere.
Al di fuori del portico S lungo quattro strade si aprono i quartieri privati della città.
Attaccato immediatamente al portico fra le due strade più occidentali è il pritaneo.
Nella zona S dell'agorà sorge il Tempio di Zeus Sosìpolis, identificato da un'iscrizione sul lato S dell'anta N-O. Come il tempio di Artemide esso ha la sua fronte ad O, è prostilo con un pronao di quattro colonne sulla fronte e opistodomo in antis con due colonne fra le ante. Sul pavimento della cella restano i frammenti della statua di culto fracassata presumibilmente dal vandalismo dei primi cristiani. Il dio, grande due volte il vero, era seduto col busto nudo, un panneggio intorno alle gambe, nella destra l'idolo di Artemide Leukophryene e nella sinistra lo scettro: è un tipo di Zeus Nikephòros di ispirazione lisippea e ne resta una immagine completa su una moneta di Settimio Severo. Stilisticamente rivela le più stringenti affinità con le sculture dell'altare di Artemide e tradisce il medesimo gusto classicista, già rilevato nel fregio dell'Artemision, che lo avvicina all'Anytos di Damophon già a Lykosoura.
Innanzi al tempio è l'altare e intorno basi di età romana, due delle quali portavano statue di Traiano e di Nerva. A S-O del tempio, presso l'uscita dell'agorà, è l'edificio monumentale dell'atleta P. Elio Aristomaco (138 d. C.) e, sempre nell'agorà, sono edifici minori: fontana, basi, edicole, ecc.
Il tempio e l'altare di Artemide, il tempio di Zeus, i portici e la porta dell'agorà offrono, come si è detto, un esempio di così singolare unità da non poterli disgiungere dal nome di Hermogenes e della sua scuola. Ma se una cronologia relativa consente di porre senza discussione per talune peculiarità tecniche, come le colonne ancora di tipo microasiatico, il tempio di Zeus in un lasso di tempo di poco anteriore a quello degli altri edifici e per evidenze stratigrafiche, l'altare di Artemide prima del tempio stesso della dea, la determinazione di una cronologia assoluta di tutto il complesso non è stata priva di contrasti.
Si collegava infatti la costruzione e la dedica dell'Artemision alla celebrazione di una ἐπιϕανεῖα della dea proclamata nel 221-20 che non si era potuta festeggiare prima del 203-2 a. C. Il riesame dei dati epigrafici ha indotto a fissare la costruzione del tempio di Zeus Sosìpolis a dopo la pace del 197 a. C. che seguì una fortunata guerra con Mileto. Tale nuova datazione e il collegamento con un'iscrizione di Priene ove è menzionato un Hermogenes hanno indotto il von Gerkan (Der Altar des Artemistempel in M. a. M., Berlino 1929) a spostare la cronologia di Hermogenes al 170-100 a. C. A questa nuova datazione non osta alcun dato di scavo né per Magnesia e neppure per Teos ove l'architetto lavorò, in seguito, al tempio di Dioniso. Anzi il riaffiorante classicismo delle sculture, le precise notizie di Vitruvio (che verrebbe così a porsi solo due generazioni dopo) favorirebbero tale seriore cronologia.
Sulle pendici N-O del Thorax fu costruito il teatro che un'iscrizione dedicatoria data intorno al 200, ma fu soggetto a numerosi rifacimenti; l'edificio della scena, costruito con grande ricchezza, è diviso in cinque parti e su questo si è venuto a inserire, nel III-IV sec. d. C., un edificio più tardo, un'alta tribuna, accessibile da due rampe in pietra collocate al posto delle pàrodoi. La cavea era divisa in due diazòmata, di cui quello inferiore a due gradinate. Nel teatro furono rinvenute due statue di muse del tipo attribuito allo scultore rodio Filisco (inizio Il sec. a. C.).
Lo stadio è disposto da N a S e utilizza ugualmente una piega collinosa; la costruzione fu interamente rinnovata in marmo all'inizio della signoria romana: i banchi, ricavati in blocchi di marmo, poggiano direttamente sulla roccia e sono disposti in 26 file chiuse sulle scale con zampe leonine. Nella parte più alta una galleria per posti in piedi è limitata da un muro con nicchie semicircolari alcune delle quali costituiscono gli ingressi.
Al florido impulso costruttivo dell'età romana (M. fu una delle poche città microasiatiche fedeli ai Romani nelle guerre mitridatiche, tanto che Silla la riconobbe come città libera) appartengono inoltre un acquedotto che scendendo dalle pendici N del Thorax arrivava in città e bagnava un Ginnasio che costituisce ora la più imponente rovina di M. e presenta una complessa pianta con varî ambienti per bagni, esercizi ginnastici, ecc. A metà strada fra l'Artemision e il teatro è un odèion; sulla riva sinistra del Leteo di fronte alla città sono le rovine di un tempio e sullo stesso Leteo presso la porta E delle mura una caserma dominava l'accesso alla valle del Meandro.
Le numerose sculture ellenistiche (Il-I sec. a. C.) rinvenute a M. confermano una stretta relazione con l'ambiente rodio: statue caratterizzate da un trattamento pittorico del panneggio e tipi ascrivibili addirittura ad artisti rodî come le due muse del teatro. Il ricco materiale della M. romana, statue onorarie femminili sul tipo, ad esempio, della cosiddetta Pudicitia o statue onorarie maschili di tipo eroico e togato, che dovevano ornare i portici dell'agorà o dell'Artemision (I sec. d. C.) sono esempî della corrente neo-attica microasiatica, improntata ad un classicismo che non determina però una frattura con i precedenti prodotti ellenistici nati sullo stesso suolo.
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