MAGNETISMO (XXI, p. 922; App. II, 11, p. 243)
Come è noto, i materiali che presentano suscettività magnetica negativa vengono denominati diamagnetici, quelli che hanno suscettività positiva paramagnetici, e in particolare, se questa è molto grande e variabile con il campo, ferromagnetici. Accanto a queste forme di magnetismo, che si possono chiamare classiche, ne sono state messe in luce altre, denominate antiferromagnetismo e ferrimagnetismo, interpretabili anch'esse, come le prime, in base alle diverse interazioni dei dipoli magnetici elementari nell'interno del materiale. Riportiamo in fig. 1 una rappresentazione dei diversi tipi di magnetismo nei casi di: A, interazione debole (paramagnetismo); B, interazione positiva (ferromagnetismo); C, interazione negativa (antiferromagnetismo); D, interazione negativa tra momenti disuguali (ferrimagnetismo).
Diamagnetismo. - Nella prima teoria elaborata da P. Langevin (1905), la suscettività diamagnetica risultava espressa nella forma:
dove e, m, sono la carica e la massa dell'elettrone, N è il numero di atomi per unità di volume, c la velocità della luce nel vuoto e
è la somma estesa a tutte le orbite elettroniche del valore quadratico medio del loro raggio.
Nella meccanica quantistica il significato classico di raggio orbitale perde di significato, poiché si assume per gli elettroni una distribuzione non localizzata. Calcoli di questa distribuzione sono stati eseguiti da parecchi autori, sia per atomi o ioni sia per molecole. Solo in casi molto semplici si hanno soluzioni esatte del problema; per la molecola H2 nello stato fondamentale, J. H. van Vleck e A. Frank trovarono, usando le funzioni d'onda di Wang, una suscettività molare pari a −4,20 × 10-6, in ottimo accordo coi valori sperimentali (compresi tra 3,9 e 4,0 × 10-6).
Paramagnetismo. - La teoria classica di Langevin sul paramagnetismo porta ad una intensità di magnetizzazione
in cui H è il campo magnetico applicato, N, μ, k, T sono rispettivamente il numero di atomi per unità di volume, il momento magnetico di ognuno di essi, la costante di Boltzmann e la temperatura assoluta mentre
è una "funzione di distribuzione" detta "di Langevin". Nel caso in cui sia μH 〈〈 kT, dalla [1] si deduce: χ = M/H = C/T (legge di Curie), con C = Nμ2/(3kT).
L'interpretazione quantistica dello stesso fenomeno conduce ad una espressione della suscettività χ più complessa della [1], in quanto, mentre nella teoria classica di Langevin si assume che il momento magnetico può assumere qualsiasi direzione rispetto al campo magnetico applicato, nella teoria quantistica si ammettono invece solo variazioni discrete del momento angolare e quindi si pongono delle limitazioni alle possibilità di orientamento del momento magnetico. In questa nuova interpretazione la [1] diventa:
μB è il magnetone di Bohr (μB = eh/4πmc = 9,27 × 10-21 erg/oersted, h = costante di Planck), g è il fattore di separazione spetaoscopica, che nel caso dell'elettrone è uguale a 2,00 e per atomi liberi è dato dalla relazione di Landè:
J, S, L, essendo i numeri quantici totale, di spin, momento orbitale. La funzione di Brillouin BJ, per gJμBH 〈〈 kT, si può opportunamente approssimare, così che la [2] diventa:
da cui si ha in definitiva per la suscettività paramagnetica l'espressione
dove p = g[J(J + 1)]1/2 rappresenta il numero effettivo di magnetoni di Bohr per atomo: esso è il fattore che permette il passaggio dall'espressione classica della legge di Curie a quella quantistica [3]. La fig. 2 mostra la dipendenza lineare di χ da 1/T.
In molti casi, specialmente per i sali magneticamente "diluiti", nei quali cioè la densità dei centri magnetici è bassa, la legge di Curie viene verificata entro un largo intervallo di temperatura.
Paramagnetismo a basse temperature. - Poiché a temperature sufficientemente vicine allo zero assoluto l'interazione tra i momenti magnetici predomina nei confronti dell'azione disordinatrice dei moti di agitazione termica, tutte le sostanze paramagnetiche tendono verso stati "magneto-cooperativi" simili a quelli ferromagnetici. La suscettività a basse temperature di conseguenza non è più indipendente dall'intensità del campo, e la magnetizzazione del materiale si avvicina al valore limite corrispondente all'allineamento dei momenti magnetici nella direzione del campo. Nella fig. 3 sono riportati (in unità magnetoni di Bohr per ione) gli andamenti sperimentali e quelli calcolati per i momenti magnetici per sali di cromo, ferro, gadolinio.
I dipoli magnetici possono interagire tra loro oppure con il resto del reticolo; in quest'ultimo caso si può avere interazione col campo elettrico creato dagli atomi vicini attraverso un meccanismo equivalente a quello Stark in spettroscopia, interazione coi nuclei a spin diverso da zero, interazione di momento di quadripolo elettrico. Tutti questi effetti hanno riscontro nella struttura iperfina delle righe spettrali. Di questi meccanismi d'interazione alcuni hanno scarsa influenza sul comportamento della suscettività magnetica, mentre tutti influiscono, in maniera rilevante, sui calori specifici. Le misure dei calori specifici "magnetici" a bassa temperatura forniscono informazioni di notevole importanza sui sali paramagnetici: le notevoli difficoltà sperimentali inerenti a tali determinazioni sono oggi superabili con metodi basati sul fenomeno del rilassamento magnetico.
Processi di rilassamento. - Come è noto dalla legge di distribuzione statistica di Boltzmann, le popolazioni Ni degli stati di energia di un dato sistema termodinamico, a una data temperatura, decrescono esponenzialmente col crescere dell'energia Wi degli stati; si ha cioè:
Qualsiasi altra distribuzione tenderà spontaneamente a ritornare alla [4], e in ciò appunto consiste il cosiddetto rilassamento, con una legge che, per il sistema imperturbato, è del tipo:
dove ΔΝ è lo scarto tra la popolazione [4] e quella reale, t è la variabile temporale e τ è il tempo di rilassamento, costante caratteristica del sistema.
Nel campo del magnetismo si distinguono due tipi di processi di rilassamento: a) processi che contribuiscono allo scambio di energia tra gli spin magnetici e l'ambiente circostante considerato come deposito di calore o "termostato"; il tempo di rilassamento di questi processi, τ1, tempo di rilassamento di spin-reticolo o anche longitudinale, regola il contatto termico tra i centri magnetici e l'ambiente circostante; b) processi che contribuiscono soltanto all'interscambio di energia tra i gradi di libertà magnetici del sistema senza dar luogo a variazioni dell'energia magnetica totale. Il tempo di rilassamento per questi processi, τ2, tempo di rilassamento spin-spin o trasversale, regola il contatto termico tra i livelli magnetici a cui esso si riferisce.
Risonanza paramagnetica di spin elettronico e nucleare. - Uno dei fenomeni magnetici più studiati in questi ultimi anni è quello della risonanza. Si consideri un caso, il più semplice possibile, di una particella libera, isolata, con spin S in un campo magnetico costante H; i 2S+1 sottolivelli magnetici corrispondenti alle diverse orientazioni spaziali quantizzate dello spin nel campo H, risultano separati tra loro da una differenza di energia E = gμBH nella quale μB è il magnetone di Bohr (nel caso di risonanza elettronica) o quello nucleare (nel caso di risonanza nucleare) e g il solito fattore di separazione spettroscopica. Nel caso che la particella sia l'elettrone, g ha il valore 2,00 e S il valore ½.
Se il campione viene eccitato da una radiazione elettromagnetica di frequenza ν, applicata perpendicolarmente al campo statico H, tutte le volte che si verifica la relazione hν = gμBH si inducono transizioni tra i livelli magnetici vicini secondo la regola di selezione ΔmS = ± 1 e risulta assorbita energia dal campo di radiazione da parte del campione stesso, nel che appunto consiste la risonanza. Per ragioni tecniche, nella risonanza magnetica di spin elettronico si tiene costante la frequenza della radiazione e si fa variare il campo magnetico, mentre nel caso della risonanza nucleare si usa fare il contrario. Per H dell'ordine di qualche migliaio di oersted, la frequenza di risonanza elettronica cade nel campo delle microonde (v. microonde, in questa App.).
La risonanza paramagnetica di spin elettronico si ottiene purché il materiale esaminato contenga un certo numero di atomi, ioni, radicali liberi, o altri centri paramagnetici. Ciò succede quando qualcuno degli elettroni orbitali rimane spaiato: esempî di atomi paramagnetici sono quelli con un numero dispari di elettroni; sono ioni paramagnetici quelli del gruppo degli elementi di transizione; i metalli presentano pure un paramagnetismo degli elettroni di conduzione. Analogo fenomeno, risonanza nucleare, si verifica per nuclei con momento magnetico diverso da zero.
Gli studî sulla risonanza magnetica elettronica e nucleare hanno fornito importanti informazioni sulle interazioni nei solidi e nei liquidi, nonché su alcune proprietà dei nuclei.
Ferromagnetismo e antiferro magnetismo. - Una sostanza viene classificata "ferromagnetica" se possiede un momento magnetico spontaneo, cioè indipendente da ogni campo magnetico applicato. Se ad un materiale "paramagnetico" si aggiungesse un meccanismo di "interazione" capace di fare allineare parallelamente fra loro i momenti magnetici atomici e ionici, si avrebbe un comportamento "ferromagnetico" di esso.
In alcune sostanze, per es. nel MnO, in particolari condizioni di temperatura gli spin degli atomi tendono a disporsi antiparallelamente neutralizzandosi: è questo il caso dell'antiferromagnetismo. Le prime prove dirette della disposizione antiparallela degli spin furono date da C. G. Shull nel 1949 con un metodo basato sulla diffrazione dei neutroni.
L'insorgere di fenomeni di ferromagnetismo e antiferromagnetismo può essere interpretato in termini di "forze di scambio" quantum-meccaniche, agenti tra elettroni di atomi vicini.
Nell'espressione dell'energia d'interazione tra atomi vicini di spin Si, Sj, compare difatti un termine
dove J è il cosiddetto integrale di scambio, derivante dalla sovrapposizione delle distribuzioni di cariche dei due atomi. Questo termine si aggiunge a quelli ben noti dovuti alle forze elettrostatiche e magnetiche.
Quando l'integrale di scambio J della [6] è positivo, si ha ferromagnetismo; quando J è negativo, si ha antiferromagnetismo.
Nella fig. 4 sono riportate le suscettività χ in funzione della temperatura nei casi: paramagnetico, ferromagnetico e antiferromagnetico; Tc è la temperatura di Curie (per il caso antiferromagnetico la temperatura Tc è detta temperatura di Néel). L'antiferromagnetismo si riconosce dal particolare comportamento della suscettività rispetto alla temperatura; nel punto di Néel essa raggiunge il suo valore massimo; questa transizione si riscontra anche nei calori specifici e nei coefficienti di dilatazione termica.
L. Néel propose nel 1932 un modello per spiegare l'antiferromagnetismo, basato sull'esistenza di sub-reticoli compenetrantisi tra loro in un cristallo. J. H. van Vleck nel 1941 dette una dettagliata teoria del fenomeno.
Anche per lo studio delle sostanze ferromagnetiche si può sfruttare l'assorbimento di risonanza di spin che si ha ancora alle frequenze delle microonde: esso in linea di principio è simile a quello presentato dalle sostanze paramagnetiche di cui si è già detto. Per i cristalli antiferromagnetici si può pure parlare di assorbimento di risonanza di spin, purché si operi però a temperature opportune: C. J. Gorter e collaboratori hanno osservato una risonanza antiferromagnetica in CuCl2•2H2O.
Ferriti e ferrimagnetismo. - Le ferriti in questi ultimi anni hanno acquistato un grande interesse tecnico per le applicazioni che se ne fanno come materiali magnetici per alte frequenze: la loro resistività elettrica è difatti molto elevata, essa va da 102 a 106 ohm/cm in confronto a 10-5 del ferro. Néel ha proposto una teoria secondo la quale le interazioni nelle ferriti tra ioni occupanti posti diversi nel reticolo sono del tipo antiferromagnetico; ma poiché i loro momenti sono diversi il materiale si comporta da ferromagnetico.
Temperatura "negativa" dei sistemi magnetici. - Consideriamo un sistema contenente centri magnetici di spin 1/2. Un campo magnetico separerà i due livelli magnetici, come dianzi accennato. Per T > 0 °K il livello superiore sarà meno popolato (in condizioni di equilibrio) di quello inferiore, d'accordo con la [4]. Se adesso invertiamo il campo H in un tempo t 〈〈 τ (passaggio rapido adiabatico), il livello superiore risulterà più popolato di quello inferiore, e la situazione sarà descrivibile in termini di una temperatura "negativa". Più in generale, per un numero più grande, ma finito, di livelli, si potranno ottenere temperature negative sovrappopolando in modo opportuno i livelli più alti rispetto ai più bassi. Sistemi aventi una temperatura "negativa" sono stati oggetto, recentemente, di applicazioni pratiche importanti.
Applicazioni dei materiali magnetici. - Oltre agli amplificatori molecolari (o maser: v. amplificatore elettrico, in questa App., 1, p. 89), che costituiscono la più importante applicazione pratica dei cristalli paramagnetici, innumerevoli sono le applicazioni pratiche dei materiali ferro- e ferrimagnetici. Ricordiamo gli amplificatori magnetici, le memorie magnetiche delle calcolatrici elettroniche, gli stabilizzatori di tensione, i multivibratori magnetici, i moltiplicatori e divisori di frequenza, ecc.
Bibl.: C. J. Gorter, Paramagnetic relaxation, Amsterdam 1947; R. M. Bozorth, Ferromagnetism, New York 1951; L. F. Bates, Modern magnetism, Cambridge 1951; A. Fairweather, F. F. Roberts e A. J. E. Welch, Ferrites, in Reports Progr. Phys., XV (1952), p. 142; A. Lidiard, Antiferromagnetism, in Reports Progr. Phys., XVII (1954), p. 201; T. Nagamiya e altri, Antiferromagnetism, in Advances in Physics, IV (1955), p. 1; B. Bleaney e R. W. H. Stevens, Paramagnetic resonance, Cambridge 1955; E.R. Andrew, Nuclear magnetic resonance, Cambridge 1955; C. Kittel, Introduction to solid state physics, New York 1959.
Magnetismo terrestre (XXI, p. 928; App. II, 11, p. 250).
Origine del campo magnetico terrestre. - Un problema sul quale si è concentrata in questi ultimi anni l'attenzione degli studiosi è quello della causa del campo magnetico terrestre. Due tipi di teorie sono stati proposti: le teorie fondamentali e le teorie del nucleo.
Le teorie fondamentali attribuiscono l'origine del campo geomagnetico direttamente alla rotazione della Terra, considerandolo come una proprietà fondamentale di un corpo rotante in scala cosmica; a una tale spiegazione si può essere indotti anche dallo sviluppo della relatività generale, coi suoi tentativi di fornire una teoria unificata dei campi gravitazionale ed elettromagnetico. Del tipo fondamentale è l'ipotesi avanzata da P. M. S. Blackett nel 1947, secondo la quale esiste una relazione di proporzionalità fra momento angolare e momento magnetico di un corpo celeste. L'ipotesi non ha però resistito alla prova dei fatti: in primo luogo le misure dei momenti magnetici di numerose stelle hanno permesso di constatare che la suddetta proporzionalità non sussiste in generale; in secondo luogo non sono state confermate dall'esperienza talune conseguenze che discenderebbero dall'ipotesi medesima.
Oltre a questi insuccessi, anche l'impossibilità di trovare in una teoria fondamentale una spiegazione delle variazioni secolari e del probabile ripetuto rovesciamento del campo geomagnetico in varie ere geologiche fa preferire, oggi, le cosiddette teorie del nucleo. Queste attribuiscono l'origine del campo a fenomeni aventi sede nel nucleo centrale della Terra, i quali porterebbero alla formazione di un sistema di correnti elettriche tali da produrre un campo magnetico approssimativamente di dipolo. Si è supposta (M. W. Elsasser) l'esistenza di forze elettromotrici termoelettriche, generate sulla superficie di contatto tra materiali di natura diversa o che si trovino in diverse condizioni fisiche, come può essere la superficie di separazione tra il nucleo e il mantello o tra il nucleo esterno e il nucleo interno. Ma, più probabilmente, la soluzione del problema va cercata in fenomeni di induzione elettromagnetica nell'interno del nucleo terrestre, per cui nel nucleo stesso verrebbero a prodursi processi analoghi a quelli che hanno luogo in una dinamo ad autoeccitazione.
Importanti studî in questo senso sono stati compiuti da varî autori, in particolar modo da M. W. Elsasser e da E. C. Bullard. ll punto di partenza di tali processi deve ricercarsi nei moti della materia, in parte ionizzata, nel nucleo fluido; è probabile che si tratti di moti di convezione termica originati da un gradiente di temperatura sufficientemente intenso. Sotto l'azione di questo gradiente, di eventuali forze di natura idrodinamica e della forza di Coriolis, tali moti avrebbero dato luogo, inizialmente, a un campo magnetico "accidentale", il quale, reagendo a sua volta sulla materia conduttrice in moto, avrebbe poi generato correnti indotte tali da rinforzare e modificare il campo magnetico stesso, fino a giungere a uno stato di equilibrio caratterizzato dalla presenza di un campo magnetico di dipolo, avente l'asse approssimativamente coincidente con l'asse di rotazione terrestre. L'attuale sforzo degli studiosi è appunto quello di ricercare le condizioni, compatibili con le conoscenze che finora si hanno dell'interno della Terra e con le leggi fisiche conosciute, per le quali sia possibile un simile processo.
Anche le variazioni secolari possono essere considerate come il risultato di fenomeni di induzione elettromagnetica. Moti del nucleo, o nel nucleo, rispetto al campo geomagnetico prodotto mediante il processo sopra accennato, devono dar luogo a correnti indotte, le quali, a loro volta, producono campi magnetici che si sovrappongono al campo generale; una variazione nel tempo di queste correnti provocherebbe delle variazioni nei campi magnetici aggiunti, donde le variazioni secolari. Anche per questo fenomeno la teoria è ancora in formazione, e non si può affermare di essere giunti a una conclusione sicura, tuttavia è probabile che le ipotesi sopra accennate siano sostanzialmente esatte.
Paleomagnetismo. - Va sotto tale nome un'interessante branca della geofisica che si occupa della determinazione delle caratteristiche che il campo geomagnetico ebbe nel passato: tale determinazione può effettuarsi attraverso misurazioni delle proprietà magnetiche delle rocce e, per le epoche più recenti, di alcuni prodotti manufatti di terracotta.
La determinazione della direzione di magnetizzazione di campioni di roccia scelti opportunamente permette di risalire alla direzione del campo magnetico terrestre all'epoca della formazione delle rocce stesse. Negli ultimi anni le ricerche in questo campo si sono notevolmente sviluppate, e la scoperta di numerosi casi di rocce magnetizzate in verso opposto all'attuale campo geomagnetico fa ritenere probabile che questo abbia subìto in passato, soprattutto nel primo Quaternario e nel Terziario, ripetute inversioni. Tale conclusione è però ancora incerta, perché si è trovato sperimentalmente che in alcuni casi le rocce possono assumere una magnetizzazione opposta al campo inducente: ciò potrebbe spiegarsi ammettendo (L. Néel) che in tali rocce siano contenuti due componenti ferromagnetici diversi, aventi differenti temperature di Curie; la maggioranza degli studiosi sembra tuttavia favorevole all'ipotesi del rovesciamento del campo magnetico. Una teoria del campo deve evidentemente poter spiegare tale inversione: S. K. Runcorn ha fatto notare che secondo la teoria del nucleo basata sull'induzione elettromagnetica e sull'autoeccitazione è possibile un processo che determini il rovesciamento del campo; l'asse del dipolo terrestre deve tuttavia rimanere sempre apzione permette inoltre di interpretare i numerosi casi di rocce magnetizzarossimativamente parallelo all'asse di rotazione. Quest'ultima condizione permette inoltre di intepretare i numerosi casi di rocce magnetizzate in una direzione diversa da quella attuale del campo, ma non opposta, come una indicazione di uno spostamento dei poli geografici: dall'era pre-cambriana ad oggi il polo nord si sarebbe gradualmente spostato dal Pacifico centrale all'attuale posizione, attraverso il Giappone e la penisola di Camciatca.
Perturbazioni geomagnetiche. - Notevoli progressi sono stati compiuti negli ultimi anni anche nello studio delle perturbazioni del campo geomagnetico, le cosiddette tempeste magnetiche, che, a differenza delle variazioni secolari, sono di origine esterna alla Terra. L'esame morfologico di tali perturbazioni ha posto in rilievo che esse possiedono, nel complesso, un andamento temporale sistematico, risultante dalla somma di due campi di perturbazione, Dst (storm-time disturbance) e Ds (solar disturbance).
La variazione Dst ha un'intensità dipendente dal tempo trascorso dall'inizio della tempesta. Essa è particolarmente evidente nella componente orizzontale H del campo magnetico terrestre, che all'inizio della tempesta cresce al di sopra del suo valore normale, rimanendo elevata per lo spazio di qualche ora (fase iniziale), per poi diminuire, molto spesso con grande rapidità, a valori ben inferiori a quello che possedeva precedentemente all'inizio della perturbazione (fase principale), e infine ritorna gradualmente verso il valore normale. La fase principale è generalmente molto più intensa e di maggior durata della fase iniziale: donde l'abbassamento del valor medio diurno di H. La componente verticale Z si comporta in maniera opposta alla componente H nell'emisfero nord, in maniera analoga nell'emisfero sud; l'ampiezza della variazione è tuttavia molto minore. A tali variazioni generali si sovrappongono sempre fluttuazioni più o meno intense e rapide, che rendono estremamente movimentato l'aspetto di un magnetogramma. La variazione Dst viene interpretata come conseguenza di un campo di perturbazione parallelo all'asse geomagnetico, diretto verso nord durante la fase iniziale e verso sud durante la fase principale.
La variazione Ds dipende invece dal tempo locale. La notazione Ds si contrappone a quella con cui viene contrassegnata la variazione diurna normale, Sq (Solar quiet), e intende appunto indicare che il campo di perturbazione dipende dalla posizione del Sole rispetto al punto di osservazione, cioè dal tempo locale di questo.
La variazione Ds è rappresentabile per ogni componente del campo geomagnetico mediante una curva di periodo 24 ore, che per H e Z assume una forma molto prossima a una sinusoide; essa aumenta notevolmente di intensità all'aumentare della latitudine geomagnetica, e raggiunge la massima ampiezza nella zona aurorale, dove è largamente predominante rispetto alla Dst. La sua distribuzione geografica permette di interpretarla come l'effetto di un sistema di correnti elettriche scorrenti nella ionosfera, a un'altezza presumibile di 150-200 km, fisso rispetto al Sole come il sistema di correnti Sq; la caratteristica principale di tale sistema è costituita da una corrente fortemente concentrata nella zona aurorale (elettrogetto aurorale), diretta da ovest a est nell'emisfero pomeridiano, con un massimo nel meridiano delle 16h, e da est a ovest nell'emisfero notturno, con un massimo, più intenso del precedente, poco dopo la mezzanotte; le correnti degli elettrogetti si chiudono in parte attraverso le calotte polari e in parte attraverso le latitudini inferiori. È importante notare che la variazione Ds esiste molto spesso anche in assenza di tempeste magnetiche vere e proprie, anche se in questo caso essa si manifesta con intensità molto minore.
Tutto ciò è un risultato puramente statistico; in realtà sembra assodato che la variazione Ds e il suo sistema di correnti derivino, nella forma sopra descritta, dal fatto che, nel computo della variazione, si viene in definitiva ad eseguire una media su di un gran numero di perturbazioni singole, chiamate perturbazioni geomagnetiche polari. Queste sono delle perturbazioni frequentissime alle alte latitudini, con andamento strettamente dipendente dal tempo locale: esse hanno inizio nel pomeriggio, con temporanei aumenti della componente H, le baie (il nome è dovuto al caratteristico aspetto dei magnetogrammi che ricorda le profonde insenature di una costa); verso le 22h di tempo locale le variazioni di H tendono a cambiare di segno, e si formano delle intense baie negative, di ampiezza generalmente maggiore delle precedenti positive. Queste perturbazioni costituiscono il diretto effetto magnetico degli elettrogetti aurorali; esse si formano sia in occasione di forti tempeste magnetiche di carattere planetario, sia in assenza di queste, e sono le responsabili della quasi continua, intensa attività geomagnetica alle alte latitudini.
Si ritiene ormai certo che le tempeste magnetiche siano prodotte da fasci di particelle cariche provenienti dal Sole; tali fasci sarebbero costituiti da un insieme di particelle positive (in gran parte protoni) e negative (elettroni). Sotto l'azione del campo magnetico terrestre le particelle verrebbero a formare una corrente anulare nel piano dell'equatore geomagnetico, a una distanza dalla superficie pari a qualche raggio terrestre; questa corrente produrrebbe la variazione Dst. Una parte delle particelle deve venire convogliata dalle linee di forza del campo magnetico nell'atmosfera, dove, incidendo alle latitudini della zona aurorale, produrrebbe le aurore polari, una intensa ionizzazione dell'alta atmosfera e, attraverso processi non ancora ben chiariti, le correnti responsabili delle perturbazioni polari e quindi della Ds. Varie teorie e ipotesi basate su queste idee sono state costruite, tra cui le più note sono quella di S. Chapman, V. C. A. Ferraro, D. F. Martyn e quella di H. Alfvén; attualmente sono in corso numerosi tentativi di perfezionamento di tali teorie sulla base delle nuove conoscenze acquisite sui fenomeni magneto-idrodinamici e sui plasmi, nonché sull'osservazione sperimentale delle strette connessioni esistenti fra le tempeste magnetiche e le variazioni di intensità della radiazione cosmica.
In particolare un notevole sostegno all'ipotesi della corrente anulare è stato fornito dalla recentissima scoperta, fatta mediante i satelliti artificiali e le sonde spaziali, delle cosiddette cinture di Van Allen, regioni che circondano la Terra a qualche migliaio di chilometri dalla superficie, nelle quali si verifica un notevole addensamento di particelle cariche, che sono "intrappolate" dal campo magnetico terrestre.
Negli ultimi anni le ricerche volte a individuare le sorgenti solari dei fasci di particelle causanti le tempeste magnetiche hanno portato alla conclusione che questi verrebbero emessi dai centri di attività solare, e precisamente dalle regioni dove ha luogo un brillamento cromosferico di una qualche importanza. In particolare è stato assodato che i brillamenti efficaci sono quelli accompagnati da intensa radioemissione nella gamma delle onde metriche. Non tutte le tempeste magnetiche sono peraltro dovute ai centri di attività solare: così le perturbazioni che hanno luogo negli anni di attività solare minima non possono certamente avere l'origine suddetta. La caratteristica principale di queste ultime perturbazioni è la tendenza a ricorrere periodicamente ogni 27 giorni circa, cioè con un periodo pari al periodo di rotazione sinodica del Sole. Tali tempeste, che presentano in generale un aspetto diverso da quelle originate dai centri di attività per l'assenza di un andamento Dst ben definito e per una durata maggiore, sono state attribuite alle cosiddette regioni M del Sole, zone prive probabilmente di manifestazioni di attività (gruppi di macchie, brillamenti), ma dalle quali vengono emessi con continuità i fasci di particelle. La lunga vita delle regioni M, quale risulta dalle lunghe sequenze di tempeste ricorrenti negli anni prossimi al minimo dell'attività solare, ha fatto prospettare l'ipotesi che esse siano le regioni donde si originano i raggi coronali. Attualmente si è piuttosto inclini a pensare che la emissione di particelle avvenga con continuità da tutta la superficie solare, ma che in vicinanza dei centri di attività i campi magnetici di questi deflettano le particelle emesse concentrandole in regioni lontane, che sarebbero appunto le regioni M. Nella fase di bassa attività solare, quando i centri di attività sono molto deboli e non presentano emissione propria, soltanto tali regioni diverrebbero quindi efficaci per la produzione di tempeste magnetiche sulla Terra.
Bibl.: J. A. Jacobs, The Earth's interior, in Handbuch der Physik, xlvii, i, Berlino 1956, pp. 400-406; S. K. Runcorn, Magnetization of rocks, ibidem, pp. 470-497; S. K. Runcorn, The magnetism of the Earth's body, pp. 498-533; S. Chapman e J. Bartels, Geomagnetism, Oxford 1949; F. Mariani e F. Molina, Tempeste magnetiche, in Annali di geofisica, XII (1959), pp. 297-368.