MAILLARD DE TOURNON, Carlo Tommaso
Nacque a Torino il 21 dic. 1668, secondogenito del marchese Vittorio Amedeo e di Cecilia Maria Truchi. Fu avviato alla carriera ecclesiastica e, dopo aver conseguito a Torino il titolo di maestro di teologia il 28 ag. 1688 e il 25 genn. 1690 a Nizza quello di dottore in utroque iure, si trasferì a Roma. Qui, nell'ottobre 1690, fu tra i quattordici letterati che fondarono l'Accademia dell'Arcadia, in seno alla quale egli scelse il nome di Idalgo Erasinio.
Nel 1694 rientrò a Torino, dove si trattenne per un anno e mezzo. Il 12 giugno 1695 fu ordinato sacerdote e cercò invano di ottenere la sede vescovile, in quel periodo vacante, di Vercelli. Le sue aspettative non furono appagate probabilmente per l'opposizione del duca di Savoia che lo avversava per il sostegno da lui dato alla Curia romana, che si opponeva alla tassazione dei beni ecclesiastici voluta da Vittorio Amedeo II.
Nel settembre 1701, il M. accettò l'invito di Clemente XI di recarsi in Cina in qualità di legato apostolico, per dirimere la questione dei riti cinesi trattando direttamente con l'imperatore. Il 5 dicembre fu preconizzato patriarca di Antiochia in partibus infidelium, l'8 dicembre fu nominato assistente al soglio pontificio e consacrato vescovo il 21 dicembre. Il breve di nomina a visitatore apostolico con poteri di legato a latere con amplissime facoltà fu spedito il 4 luglio 1702.
La legazione non ebbe inizio sotto felici auspici, per non essere stata concertata col Portogallo, che vantava il padroãdo - conferitogli dagli stessi romani pontefici - sulle missioni dell'Estremo Oriente. Per di più, il M., approfittando dell'arrivo a Napoli di Filippo V di Borbone, il quale si era insediato sul trono di Madrid mentre infuriava la guerra per la sua contestata successione, lo visitò per chiederne l'appoggio, riuscendo a ottenere la promessa di un passaggio per la Cina su una nave della Spagna.
Il 4 luglio 1702 il M. con diverse casse di regali per l'imperatore cinese Kangxi partì da Roma per imbarcarsi a Civitavecchia, dove lo attendevano due galere pontificie.
Abbastanza numerosa la comitiva che lo accompagnava, formata da ben undici ecclesiastici: Giovan Battista Sidotti, Sabino Mariani, Andrea Candela, Francesco Sangiorgio, Giuseppe Cordero, Giovan Battista De Maij, cui si aggiunsero i laici, Giovanni Borghesi, medico; Marcello Angelita, che rivestì il ruolo di segretario; Pietro Sigotti, chirurgo; Antonio Marchini, domestico; e il cuoco Louis Eloins. Prima di partire aveva nominato suo procuratore, per la gestione e il disbrigo dei suoi affari, l'abate Giovanni Iacopo Fatinelli.
Dopo una lunga sosta a Genova, il M. toccò Tarragona, Gibilterra, Cadice e, infine, Siviglia, dove rimase alcuni mesi. Qui il 20 genn. 1703 una lettera del nunzio di Parigi, F.A. Gualterio, lo informava che il re di Francia Luigi XIV gli concedeva il passaggio sopra un convoglio della Compagnia delle Indie, che avrebbe prelevato lui e il suo seguito alle Canarie. Partito da Cadice con la flotta spagnola, il M. giunse a Tenerife il 17 febbraio e qui attese l'arrivo delle navi francesi, che giunsero dopo più di due mesi, buona parte dei quali egli trascorse a letto ammalato: era la prima avvisaglia di una salute fragile, che l'avrebbe ancora di più travagliato in seguito.
Il 1 maggio salì a bordo del Maurepas, diretto a Pondichéry, dove sbarcò il 6 nov. 1703 e dove di nuovo cadde ammalato. Qui nel luglio 1704, su sollecitazione dei cappuccini, pubblicò una formale condanna (Inter graviores) dei riti malabarici, la tanto contestata pratica di contaminazione tra cattolicesimo e tradizioni religiose induistiche, che il gesuita Roberto de Nobili aveva inaugurato più di un secolo prima, quasi contemporaneamente a quella tolleranza per alcune pratiche confuciane, che il suo confratello Matteo Ricci aveva adottato in Cina.
Il decreto del M., che suscitò polemiche e contrasti, condannava l'uso della saliva, del sale e dell'insufflazione sacerdotale nei battesimi, prescrivendo di imporre ai battezzandi un nome, non pagano né "idolatrico", ma tratto dal martirologio romano; ordinando la sobrietà e la brevità nelle cerimonie del battesimo dei neonati; vietando, infine, il matrimonio tra bambini. Parimenti il decreto proibiva le feste pubbliche in onore delle fanciulle pervenute alla pubertà, le abluzioni dei missionari e le discriminazioni di casta, cui indulgevano i missionari che non ammettevano i paria ai sacramenti. Infine, il divieto più tassativo riguardava la benedizione delle ceneri di sterco di vacca e la partecipazione di cantori e musici cristiani alle cerimonie nuziali locali, anch'esse ritenute "idolatriche".
Tuttavia il M. non può essere accusato di essere pregiudizialmente contrario ai gesuiti, perché, in un altro contenzioso che opponeva questi ultimi ai cappuccini - la pertinenza di una parrocchia rivendicata dagli uni e dagli altri - egli promulgò una sentenza favorevole alla Compagnia di Gesù.
Il 5 luglio 1704 il M. partì alla volta delle Filippine, dove rimase nella capitale, Manila, per alcuni mesi in attesa di un imbarco per la Cina. Frattanto il S. Uffizio emanò un decreto di condanna dei riti cinesi (Cum Deus optimus, 20 nov. 1704).
Il 1 apr. 1705, finalmente, sbarcava sul suolo cinese, sopra una isoletta a poca distanza da Macao, dove lo attendevano il vescovo della enclave portoghese, Giovanni Cazal, il capitano generale Diego Pinho de Teixeira, nativo di Goa ed ex domenicano, insieme con altre autorità civili e religiose. Qualche giorno dopo giunse a Canton, dove si trattenne cinque mesi, ospite degli agostiniani, in attesa dell'autorizzazione imperiale a recarsi a Pechino. Appena fu comunicata all'imperatore la notizia dell'arrivo dell'inviato papale, Kangxi ordinò che venisse accompagnato nella capitale.
Quando a Roma si seppe di questa benevola accoglienza, interpretata come un segnale del sicuro successo della legazione, Clemente XI conferì in pectore al M. la berretta cardinalizia: la nomina sarebbe stata ufficializzata solo il 1 ag. 1707.
Il M. giunse a Pechino il 4 dic. 1705, conducendo con sé anche il lazzarista Ludovico Antonio Appiani come interprete. Il viaggio, che si svolse tra neve e gelo, debilitò ancor più il M., sofferente per violenti dolori colici che lo tormentarono per un mese e mezzo.
Il M. ritrovò anche a Pechino l'ostilità, che aveva incontrato presso i gesuiti in India. Fu alloggiato presso i padri della missione francese, ma, come sottolinea il Fatinelli, senza nessun riguardo per il suo rango (Roma, Bibl. Casanatense. Mss., 1637, c. 2).
Nei giorni che precedettero l'udienza, il M., ancora infermo, veniva continuamente visitato dagli inviati dell'imperatore, i quali gli chiedevano ripetutamente di rivelare loro il vero scopo del suo viaggio in Cina. Egli rispose sempre genericamente che era venuto a ossequiare il monarca più potente della terra e a ringraziarlo per la benevolenza che mostrava nei confronti dei missionari. In realtà, il M. sperava in un diretto abboccamento con l'imperatore per trattare gli affari più riservati, aggirando la mediazione dei gesuiti, molto stimati da Kangxi e suoi fidati interpreti.
Il M., messo alle strette dai funzionari imperiali, riferì tramite l'Appiani, non senza qualche ambiguità, che il papa lo aveva inviato in Cina non solo per ringraziare Kangxi, ma anche per stabilire regolari rapporti con lui tramite un superiore di tutti i missionari che si trovavano nel Celeste Impero.
Con pressante insistenza i mandarini chiesero, tra l'altro, al M. come fosse stata accolta a Roma la dichiarazione imperiale del 1700 - si tratta della Brevis relatio, redatta su sollecitazione dei gesuiti, con la quale Kangxi si pronunciava sulla questione dei riti, asserendone il carattere civile e non religioso - invitandolo comunque a darne un giudizio. Il M. tergiversò: pur ammettendo di averne avuto qualche notizia, rispose che non poteva pronunciarsi sulla sua autenticità. Invitato allora a mettere per iscritto le sue richieste, dettò un memoriale, del quale Kangxi prese visione, un paio di giorni dopo la traduzione in cinese.
Prima che gli venisse tradotto il memoriale del M., l'imperatore apparve abbastanza accondiscendente alle richieste di questo. Ma nell'arco di tempo intercorso tra le concessioni, sia pure verbali e informali di Kangxi, e l'udienza del 31 dicembre, l'intervento dei gesuiti, e in particolare del "capofazione dei portoghesi", Tomás Pereira, - secondo il sospetto del M. e del suo entourage - avrebbe rimesso tutto in discussione. Infatti, dopo che fu presentata a Kangxi la traduzione del memoriale del M., gli avvenimenti presero tutt'altra piega e l'imperatore mutò del tutto il suo atteggiamento. Sulle prime mandò a dire al M. che il negoziato doveva essere differito di alcuni mesi, dopo il suo ritorno dal viaggio che stava per intraprendere in Tartaria. Per quanto poi riguardava la nomina di un superiore di tutti i missionari, era opportuno destinare a quest'ufficio uno dei gesuiti che si trovavano da tempo a corte. Era precisamente il contrario degli obiettivi della legazione, che doveva ridurre all'obbedienza i gesuiti e non certo conferire loro maggior potere.
Il M. replicò amaramente e con larvata ironia al cambiamento di condotta di Kangxi e si produsse in espressioni di rincrescimento in presenza degli inviati imperiali, uno dei quali osservò indignato che egli era giunto "al sommo dell'irriverenza, della petulanza e dell'ardire", come si legge negli Acta Pekinensia redatti dai gesuiti (per i loro avversari, invece, gli atti erano "un complesso d'imposture e d'alterazioni": Memorie storiche dell'eminentiss. monsignor cardinale di T., III, Venezia 1761, p. 132).
Quando gli fu richiesto il 29 dicembre di esporre per iscritto ciò che altro avesse da chiedere, il M. ripeté di fatto il memoriale che aveva inviato qualche giorno prima. Contemporaneamente i gesuiti al servizio dell'imperatore sia che volessero fugare ogni sospetto di prevaricazione, sia che seguissero, come poi dissero, gli ordini di Kangxi, inviarono al M. una formale rinuncia a qualsivoglia carica di superiore.
Il gesuita F.A. Rouleau - il cui studio (1962) tende essenzialmente a scagionare i suoi confratelli - sottolinea che in questo frangente "the Court Fathers were the victims, not the originators", e che fu Kangxi, geloso custode della propria sovranità, a opporsi autonomamente all'inaudita pretesa di un altro sovrano straniero, quale era il papa, di imporre un suo uomo per governare e controllare i missionari presenti in Cina, a loro volta stranieri, svincolandoli dunque in qualche modo dall'autorità dell'imperatore. Per Rouleau la nomina del superiore era un falso problema: lo scopo principale della legazione sarebbe dovuto essere quello di stabilire relazioni permanenti con Pechino.
Contrariamente a quanto aveva detto in precedenza, Kangxi non rinviò l'udienza, ma la confermò per il 31 dicembre. Il M., trasportato per le strade della capitale su una sedia gestatoria in mezzo a una grande folla di curiosi, ricevette grandi onori e, per le sue precarie condizioni di salute, fu esentato dalle genuflessioni di rito alla presenza imperiale.
Al di là delle reciproche cortesie - vi furono rituali scambi di doni, e il monarca espresse il desiderio di accogliere altri virtuosi alla sua corte, in particolare matematici, musici e medici - il M. non ebbe il placet imperiale né sulla richiesta di accettare un supervisore di tutti i missionari, né sulla domanda di acquisto di una casa nella capitale per conto di Propaganda Fide. Kangxi non fece mistero di riporre piena fiducia nei gesuiti e rimase indispettito per la diffidenza che il M. a malapena dissimulava per i missionari della Compagnia di Gesù, nei confronti dei quali, pur stimolato dall'imperatore, non ebbe alcuna parola di apprezzamento.
Il M. scrisse, poi, una relazione per informare il pontefice dell'esito della propria missione, ma l'attendibilità di questa relazione fu viziata dal fatto che del suo contenuto doveva essere messo al corrente l'imperatore, tramite ovviamente la traduzione dei gesuiti, prima che essa venisse spedita a Roma insieme con i regali inviati al papa, regali che, per una serie di vicissitudini, non giunsero mai a destinazione.
Nel frattempo l'operato del M. provocava crescente irritazione in Kangxi. Il legato infatti reiterava importune istanze ai mandarini per conferire di nuovo con l'imperatore su problemi gravi riguardanti, diceva, lo stesso Kangxi e la sua famiglia. In occasione del capodanno lunare si rese pubblicamente protagonista di un grave atto d'intolleranza, calpestando alcune suppliche, a suo parere non ortodosse, dei cristiani cinesi. La sua fiducia era riposta negli avversari dei gesuiti e dei riti cinesi, e per le sue querule ingerenze appariva alla corte sempre più come un fazioso e un sobillatore.
La tensione con i gesuiti si aggravò nel maggio 1706, quando il M. pronunciò una condanna formale del prestito usurario concesso a un mandarino dai gesuiti portoghesi. In quello stesso mese di maggio, seguendo il consiglio o piuttosto l'ordine di Kangxi, il M. si recò ai bagni termali della città di Tong Xian e qui si verificò l'episodio del suo presunto avvelenamento.
Che in quel frangente il M. fosse stato vittima di una intossicazione alimentare è fuori discussione. È invece da dimostrare che egli sia stato deliberatamente avvelenato dai gesuiti, i quali gli avrebbero somministrato il veleno in una caraffa contenente frutta sciroppata, come sostenne il segretario del M., Marcello Angelita, in uno scritto che fece circolare per tutta Roma al suo ritorno dalla Cina (Di Fiore).
La seconda udienza imperiale fu fissata per il 12 giugno 1706. Il M., "mezzo morto come stava" (Fatinelli, Mss., 1637, c. 47v), si fece portare nella residenza dell'imperatore, il quale, appena gli furono riferite le sue pessime condizioni di salute, gli comunicò che avrebbe spostato l'udienza di qualche settimana nella città proibita di Pechino. Pochi giorni dopo, il 21 giugno, un decreto di Kangxi accusò il M. di essere stato scorretto nel tacere le finalità della sua missione e di essere venuto in Cina per fomentare disordini.
Il 29 e il 30 giugno vi furono le due ultime udienze imperiali. Kangxi disse al M. che era scontento di lui, e gli fece chiaramente comprendere che la sua presenza in Cina non era più gradita.
Tornato alla sua residenza, il M. vi trovò Charles Maigrot, vescovo titolare di Comana e vicario apostolico del Fujian, che, ai primi di gennaio, incalzato dai mandarini a esprimersi sulla già ricordata Brevis relatio di Kangxi del 1700, egli aveva mandato a chiamare, per avere delucidazioni su questo punto. Il Maigrot era uno dei nemici storici dei gesuiti e si era reso inviso anche a Kangxi allorché, nel 1693, aveva emanato un decreto di condanna dei riti cinesi, che seguiva di solo un anno l'editto di tolleranza del cristianesimo da parte di Kangxi.
Nell'udienza finale di congedo del 30 giugno il M. commise l'imprudenza di decantare le virtù e il sapere di Maigrot all'imperatore. Questi lo incaricò di riferire al papa che la Cina da duemila anni si reggeva sugli insegnamenti di Confucio, che aveva piena fiducia nei gesuiti che aveva accolto alla sua corte, e ordinò che il Maigrot si portasse alla sua presenza per provare la sua tanto decantata conoscenza delle lettere cinesi.
Ricevuto ai primi di agosto, e interrogato da Kangxi, il vicario apostolico del Fujian non fu in grado di decifrare alcuni caratteri cinesi presenti in un quadro che pendeva dal soffitto. Fu così ufficialmente dichiarato ignorante con un apposito decreto imperiale. Seguì subito un altro decreto, che stigmatizzava l'operato del M. e lo ammoniva a non alterare surrettiziamente le deliberazioni imperiali.
Fu il segnale di un improvviso giro di vite che si abbatté sugli occidentali. L'11 ag. 1706 il M. subì un interrogatorio da parte dei funzionari imperiali sui suoi rapporti col Maigrot, e il 28 dello stesso mese partì da Pechino. Lo stesso Maigrot venne arrestato e poi espulso dal paese. L'Appiani, accusato di sobillare i cristiani cinesi contro le cerimonie dei loro connazionali, fu a sua volta arrestato il 23 novembre in presenza del legato papale. Contemporaneamente veniva introdotto il cosiddetto Piao, un permesso di soggiorno in Cina, da concedere solo ai missionari che, dopo un esame sostenuto davanti a un'apposita commissione, avessero giurato di conformarsi alla pratica di Matteo Ricci. Quelli che non vollero sottomettersi o non furono ritenuti affidabili dovettero lasciare il paese.
L'incontro fra il rappresentante del papa e Kangxi, che aveva suscitato tante speranze, si concludeva in modo traumatico. Grande fu la delusione fra i missionari, qualcuno dei quali, come il francescano Bernardino Della Chiesa, vescovo di Pechino, si era addirittura illuso che il M. avrebbe battezzato il sovran0. Alla penna dello stesso vescovo si deve l'elenco degli errori compiuti nel corso della legazione, in una lettera diretta al papa del 10 nov. 1707 (Arch. segreto Vaticano, Fondo Albani, 250, cc. 118-119), dove descriveva anche le proprie personali tribolazioni per il rilascio del Piao.
A Nanchino il 25 genn. 1707, il M. osò sfidare l'autorità imperiale con il cosiddetto decreto nanchinense (Quandoquidem audivimus; il testo in Bullarium Romanum, XXI, Torino 1871, coll. 204-222), nel quale ribadiva l'obbligo dei missionari di attenersi alle disposizioni pontificie senza concessione alcuna ai riti cinesi, minacciando ai trasgressori la scomunica, che neanche il S. Uffizio nel suo pronunciamento del 1704, da lui richiamato, prevedeva esplicitamente.
L'ultima, dolorosa fase della vita del M. ebbe inizio quando, il 30 giugno 1707, giunse a Macao. Qui il capitano generale, il già ricordato Pinho de Teixeira, si rese protagonista di numerose vessazioni nei confronti del M., che lo scomunicò, ma fu a sua volta scomunicato dal vescovo di Macao, Giovanni Cazal, che spalleggiava apertamente il capitano generale. La cronaca del soggiorno del M. a Macao fu scandita da una lunga serie di conflitti e di tensioni con i portoghesi, che fecero il vuoto attorno a lui.
Neanche la nomina a cardinale nel concistoro del 1 ag. 1707 cambiò lo status del M., costretto a vivere prigioniero in una casa sorvegliata dai soldati sino alla fine dei suoi giorni. Il 17 genn. 1710 ricevette la berretta cardinalizia, recatagli da un drappello di missionari appositamente partito dall'Europa, tra i quali Matteo Ripa, futuro fondatore del Collegio dei Cinesi di Napoli. Il 30 gennaio si vide costretto a scrivere addirittura al viceré del Guangdong e del Guangxi, residente a Canton, per denunciare i maltrattamenti che continuamente subiva. Ma ormai gli rimanevano pochi mesi di vita.
Il M. morì a Macao l'8 giugno 1710.
La città gli tributò solenni esequie, e così Manila, e naturalmente, Roma, appena giunse la notizia della sua morte. Il corpo del cardinale, posto in una triplice cassa, fu sistemato in una cappella laterale della cattedrale di Macao; nel 1721 il secondo legato pontificio a latere in Cina, Carlo Ambrogio Mezzabarba, lo trasportò a Roma. Qui i resti del M. vennero definitivamente tumulati, su consiglio di Giovanni Iacopo Fatinelli, nella cappella del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna, dove tuttora si trovano.
La figura del cardinale, morto ancor giovane per la fede in terre lontane, entrò ben presto nella leggenda e vi furono alcuni che dissero di averlo invocato e di aver ottenuto grazie. Alcuni avrebbero voluto aprire un processo di beatificazione, che avrebbe però inevitabilmente messo in luce le evidenti responsabilità dei portoghesi, e che, forse proprio per questa ragione, non riuscì mai a decollare, o, se pure fu in qualche modo avviato, non ha lasciato traccia nell'Archivio della congregazione dei Riti.
Fonti e Bibl.: Un accurato inventario di tutte le scritture, delle carte e dei documenti della legazione, redatto da A. Candela, protonotario al seguito del M., si trova nella Biblioteca Casanatense di Roma, Mss., 1631. G.I. Fatinelli, del quale sono parimenti conservate le lettere al M. nel ms. 2419 della stessa biblioteca - la maggior parte delle quali mai ricevute dal M. -, fu, dopo la morte del cardinale, impegnato per diversi anni, su mandato di Clemente XI, a scrivere la storia della legazione (Istoria del card. di Tournon nella Cina), che giace tuttora inedita nella stessa biblioteca (allora appartenente all'Ordine domenicano), alla quale donò i manoscritti (Mss., 1623-1625) nel 1733, tre anni prima di morire. La Biblioteca Casanatense possiede anche altri tre volumi manoscritti, numerati 1636-1638, che contengono una versione più meditata e corretta dell'Istoria. Oltre all'imponente documentazione presente nella Biblioteca Casanatense, vastissima è anche quella custodita in svariati fondi dell'Archivio di Propaganda Fide, ora dell'Evangelizzazione dei popoli, e nell'Archivio segreto Vaticano, soprattutto nel Fondo Albani. Altra documentazione è reperibile negli archivi centrali e periferici degli ordini religiosi missionari presenti in Cina. Il Macau Ricci Institute ha in corso la pubblicazione, a cura di Claudia von Collani e António Saldanha de Vasconcellos, dei monumentali Acta Pekinensia di Kilian Stumpf, conservati nell'Archivio romano della Compagnia di Gesù (Iap. Sin., 138).
La sterminata bibliografia sulla legazione si confonde, ai suoi inizi, con quella di carattere controversistico sui riti cinesi, e si inquadra nella lotta fra gesuiti e giansenisti, e comunque tra i gesuiti e le altre forze, interne o esterne alla Chiesa, che, oltre a rimproverare ai seguaci di s. Ignazio un troppo disinvolto metodo di evangelizzazione, avevano lo scopo di ridimensionarne la potenza. Un nutrito elenco di queste opere si trova in H. Cordier, Bibliotheca Sinica, Paris 1881 (e successive edizioni), pp. 373-414; da vedere a questo proposito anche J. Brucker, Chinois (Rites), in Dict. de théologie catholique, Paris 1909, coll. 2364-2391, sintetica ed eccellente ricostruzione delle tappe principali della questione dei riti. Fra le opere più importanti registriamo: Atti imperiali autentici, di vari trattati passati nella regia corte di Pekino tra l'imperatore della Cina e mgr. patriarca antiocheno al presente sig. cardinale di T. negli anni 1705 e 1706 (si tratta della versione degli eventi redatta dal gesuita Kilian Stumpf), Colonia s.d., che circolò in Europa prima della morte del cardinale e che fu poi raccolta, al pari della maggior parte della documentazione concernente la legazione, nelle Memorie storiche dell'eminentiss. monsignor cardinale di T., I-VIII, Venezia 1761 (pubblicazione promossa dall'antigesuita cardinale D. Passionei); Difesa del giudizio formato dalla S. Sede Apostolica nel dì 20 nov. 1704 e pubblicato in Nankino dal card. di T., Torino 1709 (opera attribuita al domenicano H. Serry); Mémoires pour Rome, sur l'état de la religion chrétienne dans la Chine, s.l. 1709; G.I. Fatinelli, Relazione della preziosa morte dell'eminentissimo e reverendissimo C. Tomaso M. di T., Roma 1711 (contiene anche l'allocuzione di Clemente XI e l'orazione del canonico C. Maiello in occasione della cerimonia funebre per il M.); G.M. Crescimbeni, Ristretto della vita del T., in Le vite degli arcadi illustri, III, Roma 1714, pp. 1-19. Al filone decisamente antigesuitico appartengono gli Anecdotes sur l'état de la religion dans la Chine, usciti anonimi a Parigi a partire dal 1733, ma opera di M. de Villermaule, nonché i Mémoires historiques sur les affaires des jésuites avec le Saint Siège, Lisbona [ma Parigi] 1766, opera di Platel, alias Norberto di Bar-le-Duc, oltre agli anonimi Mémoires de la Congrégation de la Mission, pubblicati dai lazzaristi sempre a Parigi in nove tomi fra il 1863 e il 1866 (di cui i tomi IV-VIII sono dedicati alle missioni in Cina e il IV alla legazione del M.). Tra le opere a stampa non antigesuitiche, è da ricordare la Relaçao sincera e verdadera do que fez, pretendeu e occasionou na missão da China e em Macau o Patriarcha de Antiochia C.T. M. de T., in J.F. Biker, Colleçao de tratados e concertos de pazes que o estado da India portugueza fez com os reis e senhores com quem teve relações até ao fim do seculo XVIII, V, Lisboa 1884. Tra l'immensa congerie di studi su questo o quell'aspetto della legazione sono da segnalare: R.C. Jenkins, The jesuits in China and the legation of cardinal de T., London 1894; G. De Vincentiis, Documenti e titoli sul privato fondatore dell'attuale R. Istituto (antico Collegio de' Cinesi in Napoli) Matteo Ripa sulle missioni in Cina nel secolo XVIII, Napoli 1904, passim; V. Pinot, La Chine et la formation de l'esprit philosophique en France (1640-1740), Paris 1932, ad ind.; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, ad ind.; A. Van den Wyngaert, Mgr. Bernardino Della Chiesa évêque de Pékin, et mgr. C.T. M. de T., patriarche d'Antioche, in Antonianum, XXII (1947), pp. 65-91; A.S. Rosso, Apostolic legations to China of the eighteenth century, South Pasadena 1948, passim; F. Combaluzier, Giovanni Borghesi, médecin du card. Charles-Thomas M. de T., in Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft, VII (1951), pp. 204-272; F. Margiotti, Il cattolicismo nello Shansi dalle origini al 1738, Roma 1958, ad ind.; F.A. Rouleau, M. de T. papal legate at the court of Peking, in Archivum historicum Societatis Iesu, XXXI (1962), pp. 264-323; M. Ripa, Giornale, a cura di M. Fatica, I (1705-11), Napoli 1991, ad ind.; C. von Collani, Claudio Filippo Grimaldi S. y. zur Ankunft des päpstlichen Legaten Charles-Thomas M. de T. in China, in Monumenta Serica, XLII (1994), pp. 329-359; E.J. Malatesta, A fatal clash of wills: the condemnation of the Chinese rites by the papal legate C.T. M. de T., in Monumenta Serica, monograph series, XXXIII (1994), pp. 211-245; C. von Collani, T., Charles-Thomas M. de, in Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, XII, Hamm 1997, s.v.; G. Dell'Oro, Oh quanti mostri si trovano in questo nuovo Mondo venuti d'Europa! Vita e vicissitudini di un ecclesiastico piemontese tra Roma e Cina: C.T. M. de T. (1668-1710), in Annali di storia moderna e contemporanea, IV (1998), pp. 305-335; G. Di Fiore, Il presunto avvelenamento del cardinal T. e la traslazione del suo cadavere da Macao a Roma, in Studi settecenteschi, IV (1998), pp. 9-43; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, LXXIX, coll. 26-29; R. Streit - J. Dindinger, Bibliotheca missionum, VII, Freiburg i.Br. 1931, ad ind.; Enc. Italiana, XXXIV, s.v.; Enc. cattolica, XII, coll. 384 s. (s.v. Tournon).