MAIMONIDE
Moise o Moshè ben-Maimon (abbreviato Rambam), o in arabo Mousa Ibn Maymoun, noto anche come M., talmudista, filosofo, medico, esegeta di famiglia rabbinica, nacque a Cordova nel 1138. Quando l'attività scientifica degli ebrei spagnoli fu minacciata dall'integralismo almohade (1148), in molti lasciarono la Spagna; tra questi vi fu M., che emigrò dapprima ad Acri e a Gerusalemme e poi in Egitto, ad Alessandria e al Cairo. Nel 1185, divenne uno dei medici ufficiali del saladino al-Malik al-Afḍal; al tempo stesso fu responsabile della comunità ebraica egiziana e per questo intrattenne rapporti epistolari con le altre comunità del Mediterraneo e, in particolare, con gli ebrei di Marsiglia. M. scrisse trattati di medicina, di interpretazione religiosa e di diritto talmudico, tra cui la Mishné Torah: terminata verso il 1180 e dedicata ai semplici fedeli, quest'opera presenta in forma chiara e razionale l'insieme della Legge orale, contenuta nella Mishnah e nel Talmud. La Guida dei Perplessi (Moré Névoukhim), ultimata nel 1190, scritta in origine in arabo, fu poi tradotta in ebraico agli inizi del XIII sec. e successivamente dall'ebraico in latino.
La Guida è destinata a un allievo prediletto, uno di quelli, scrive M., "che girano intorno alla dimora del sovrano e cercano l'ingresso" (LeGuide, 1981, III, 51, p. 433): tali sono, appunto, i perplessi, ugualmente lontani sia da una fede cieca nella rivelazione, sia dall'esclusivo affidamento alla ragione.
In risposta a una serie di quesiti dei rabbini francesi, M. compose invece una Lettera sull'astrologia ove passò in rassegna l'insieme delle visioni cosmologiche del tempo, ribadendo la centralità della responsabilità dell'uomo.
La fitta trama di relazioni intessute da M. nell'arco cronologico che vide il susseguirsi delle dinastie normanno-sveve fece di lui una fonte privilegiata del pensiero filosofico e scientifico delle corti del Regno di Sicilia. Questi influssi si collocano in uno scenario caratterizzato dalla consistente attività degli ebrei nei territori dell'Italia meridionale. Infatti uno dei primi contatti tra il mondo ebraico e il contesto culturale della Sicilia federiciana è stato segnalato da Udovitch (1994), il quale ricordava come un ebreo siculo avesse studiato con M. e con altri studiosi egiziani che gli auguravano di tornare come insegnante a Messina. Si aggiunga inoltre che il giurista e poeta ebraico Anatoli ben Yosef fu in corrispondenza epistolare con M. e che, in viaggio alla volta dell'Egitto, passò tra il 1170 e il 1180 in Sicilia: qui si fermò a Palermo, Mazara, Termini e Messina per intrattenersi con i poeti ebraici locali.
Relativamente al suo soggiorno ad Acri, si racconta che Riccardo Cuor di Leone abbia richiesto l'intervento medico di un M. ostile e non disponibile a curare il re d'Inghilterra. L'arrivo dei crociati nel delta del Nilo (1168-1169) comportò notevoli sofferenze per le comunità ebraiche del luogo; in particolare, nel 1169, molti ebrei furono deportati dagli eserciti cristiani e, per ottenerne la liberazione, M. organizzò un'affannosa raccolta di fondi. Questi fatti rendono ben evidenti le ragioni di un certo astio nei confronti dei crociati che viene sottolineato anche nei trattati di medicina; infatti M., nell'introdurre il suo Trattato sui veleni, dichiara che "il principale obbiettivo dei crociati è di confiscare le proprietà come bottino di guerra" (Maimonides' Medical Writings, 1984, I, p. 32).
La Guida dei Perplessi insiste sulla necessità del lavoro e di una strategia organizzata che renda possibile all'uomo non solo di mangiare, ma anche di proteggersi: è per queste ragioni che l'uomo è stato dotato del pensiero, in modo che egli possa cooperare con gli altri uomini e persino controllare gli organi del proprio corpo. Di conseguenza, se un essere umano fosse privato delle sue facoltà intellettuali, rimanendo così in possesso della sua sola forza vitale, in breve tempo sarebbe incapace di provvedere a se stesso. È l'intelletto la più alta delle facoltà delle creature viventi e questo può essere paragonato alla forza che controlla l'universo: in ambedue i casi si realizza un rapporto armonico tra le parti e il tutto. Proprio nell'opera di M. ritroviamo un'analisi del disordine della società, della diversità dei membri della specie umana, della necessità che l'agire dell'uomo sia regolato. Questo compito spetta ai profeti, agli estensori delle leggi e ai re, che accettano e applicano le norme. Il tutto è inserito nella fisica del mondo poiché M. sostiene che "la Legge benché non sia un prodotto della Natura è indubbiamente non estranea alla Natura stessa" (LeGuide, 1981, II, 40, p. 308). Non diversa è la disposizione di Federico II che si avvale di frequenti analogie naturalistiche con cui illustrare l'opera dei giudici, i quali, simili agli agricoltori, debbono saper irrigare con la giustizia ogni parte del proprio territorio.
In base a queste convinzioni si sviluppò l'idea della necessità di indagare, e possibilmente dominare, gli elementi costitutivi del cosmo e della terra: è questa un'impostazione che permise di coniugare scienze della natura, religione e strategie di sopravvivenza. Fu proprio Federico II a dar prova di quanto l'analisi dell'origine della materia fosse stata importante anche per l'interpretazione biblica. Di un suo intervento esegetico ci riferisce Jacob Anatoli: difatti nel commentare il passo ove è scritto che "Mosè ed Aronne videro Iddio d'Israele e sotto ai suoi piedi come l'azione per il biancore di pietra di zaffiro come il cielo quand'è sereno" (Esodo 24, 9-10) il sovrano intervenne con precisione. In questo caso la reportatio di Anatoli identificò il "biancore di zaffiro" con la "neve-materia prima" e osservò che: "Il nostro signore, il re Federico, ha spiegato il perché dell'uso della parola neve al posto di 'materia prima'. La neve è bianca, e ciò che è bianco può ricevere qualsiasi forma di colore. Parimenti la materia prima può ricevere tutte le forme" (Colafemmina, 1995, p. 73). Questa è la tesi che M. stesso sviluppò nella Guida dei Perplessi, ove si dice che gli oggetti trasparenti non hanno colori propri, ma sono in grado di ricevere successivamente ogni tipo di colore, e ciò corrisponde alla 'materia prima' che essendo priva di forma può ricevere diverse disposizioni. Inoltre sempre Anatoli racconta, nel Pungolo dei discepoli, che Federico II tentò di interpretare il precetto della purificazione tramite le ceneri della vacca rossa (Numeri 19, 2-10). È significativo che questi temi siano stati discussi da M. nella Guida dei Perplessi (LeGuide, 1981, I, 28, p. 94) e siano anche presenti nel ms. Sorbonne 601 della Bibliothèque Universitaire di Parigi, ove proprio nel Liber de parabolis et mandatis ‒ che precede la versione latina della Guida, nonché la traduzione aristotelica del De caelo ‒ si discutono molte delle argomentazioni di Maimonide.
L'elemento più avvincente che lega Federico II a M. emerge quando si osserva che l'imperatore svevo si risolse a minacciare gravi sanzioni pecuniarie a quanti si fossero dedicati a riti propiziatori al fine di evitare calamità naturali. Infatti, nel 1231, durante un'invasione di cavallette, si ordinò di punire con pesanti pene pecuniarie tutti gli abitanti che non avessero raccolto ogni giorno quattro boccali a testa di quegli insetti, che sarebbero poi stati dati alle fiamme. Il fatto è riportato dalla Chronica di Riccardo di San Germano, ma quel che è singolare è che il provvedimento, adottato nell'aprile del 1231, corrisponde esattamente all'invito di M. che prescrive di non seguire le pratiche magiche dei sabei per sterminare i bruchi dei vigneti, e le chiose del ms. Sorbonne 601 spiegano come la forza della Legge eviti ogni magia.
In quest'ottica nasce il problema del giusto modo di esercitare l'autorità, che in Federico II coincide con il pensiero di M. esegeta del Talmud, secondo il quale l'esercizio del sapere si identificava con quello del potere; idea questa sostenuta anche dal federiciano Jacob Anatoli. Sarà proprio quest'ultimo ad essere uno dei più accesi sostenitori di una concezione della politica che, per analogia, ripercorre il modello del cosmo. Si delinea così l'idea del sovrano che trasmette il sapere attraverso i suoi mediatori e amministra il mondo avvalendosi di quei funzionari che riproducono la scala gerarchica celeste. Questa impostazione si riscontra anche nella premessa, nel ms. Sorbonne 601, alla versione latina della Guida dei Perplessi: infatti in quel testo si fissa l'obbligo per il sovrano di essere sapiente. Il testo del manoscritto è fitto di esortazioni agli studi. In primo luogo si osserva che occorre rendere il popolo sapiente e intelligente, ottemperando alla Legge che è facta per rationem. A riprova di questa affermazione si richiama l'Ecclesiaste 9, 13, dove si racconta che una piccola città circondata e assediata da grandi torri fu liberata da un uomo povero che era saggio: d'altronde "la sapienza rende il saggio più forte di dieci capi che siano nella città" (Ecclesiaste 7, 20). Su questo tema si insiste a lungo citando ancora l'Ecclesiaste 4, 13: "Meglio un giovane povero e saggio che un re vecchio e stolto". In sostanza nel caso di Federico II si può dire che la sua lettura della Guida dei Perplessi diventa un ausilio estremamente efficace per confortare l'idea armonica dell'Impero svevo che si muove d'intesa con il mondo, così come l'organismo umano è regolato d'intesa con il moto delle sfere dell'universo. A ciò si lega la convinzione che il rispetto della Legge garantisce dagli eccessi che altrimenti danneggerebbero e deteriorerebbero le forze intellettuali prima del momento naturale; un tale degrado darebbe così luogo a un acuirsi dei rancori che disturbano l'ordine sociale e l'economia delle famiglie. L'importanza dei dotti che orientano il sovrano è più volte ripresa dalle chiose latine alla Guida dei Perplessi, in cui il re è esortato a non accogliere i diffusori di false teorie che possano infrangere la Legge. Pertanto la lettura dell'opera di M. divenne uno strumento molto particolare per giustificare l'affermarsi di un sovrano sapiente e autonomo dalla Chiesa di Roma. Il mondo italomeridionale del XIII sec. risentì profondamente della cultura ebraica maimonidea, come comprovano l'attività di Mosè di Salerno e di Niccolò da Giovinazzo, che confrontarono le diverse versioni, ebraica e latina, della Guida dei Perplessi e le di-scussero con i Domenicani di Napoli intorno al 1259. Nello stesso periodo Tommaso d'Aquino si servì della Guida e le sue note furono utilizzate nel 1254 da Hillel Ibn Shemuel da Verona per difendere a Napoli e a Capua le tesi maimonidee.
M. morì al Cairo nel 1204.
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