maiuscola
La maiuscola (dal diminutivo del lat. maius «maggiore») o lettera grande è una lettera che si rende più visibile rispetto alle altre attraverso la maggiore dimensione e con altre forme di enfasi grafica (come decorazioni e spostamento rispetto al corpo del testo).
La maiuscola (un tempo detta anche littera notabilior «lettera più importante») è in uso sin dall’antichità in primo luogo per segnalare l’inizio di una frase o di un periodo, ma anche come iniziale di nomi propri e di parole di particolare rilievo. Il suo impiego è stato oscillante per secoli.
L’esigenza di segnalare una lettera particolarmente significativa nel corpo del testo fu avvertita sin dagli inizi della storia della scrittura, benché i sistemi alfabetici, nelle prime fasi, siano stati caratterizzati da grafie esclusivamente maiuscole a lettere separate. Già in codici greco-latini scritti in caratteri capitali e in scriptio continua si riscontra la presenza di lettere più grandi o messe in rilievo (sporgenti nel margine sinistro): queste segnavano, solitamente, l’inizio di un nuovo paragrafo o di un nuovo capitolo.
Fu con l’affermarsi delle grafie minuscole tra VII e VIII secolo d.C. che la maiuscola acquisì per contrasto sempre maggior peso. In particolare, nel medioevo i copisti decoravano spesso le maiuscole con miniature ricchissime di colori e, talvolta, di figure portatrici di un messaggio per il lettore-osservatore (Jackson 1988: 74-101). Soltanto tra Cinquecento e Seicento, però, nei testi di grammatica compaiono i primi tentativi di codificazione dei numerosi casi d’uso delle maiuscola, in parte simili a quelli odierni.
Oggi la maiuscola è prevista dall’➔ ortografia italiana in alcuni casi principali (cfr. Serianni 2000: 45-48): l’iniziale della prima parola di un periodo (sia quando si tratta dell’inizio assoluto di un testo, sia dopo un punto fermo), i nomi propri di persona, i cognomi, i soprannomi e gli pseudonimi (Chiara Rossi, il Guercino, Cimabue), i nomi propri di animali (come la scimmia Makakita in Gozzano, il cane Belbo in Pavese, la celebre balena Moby Dick), i nomi di luogo come città, località, vie: Torino, Lago Maggiore (ma anche lago Maggiore), Via Verdi (ma, indifferentemente, via Verdi), i titoli di libri, film, opere artistiche, generalmente le ➔ sigle (CGIL, FIAT) e i secoli (il Trecento).
I corpi celesti si indicano con la maiuscola, tranne terra, sole e luna, comunemente minuscoli (se si escludono contesti scientifici e scelte letterarie). Per i nomi degli abitanti di una nazione e per ➔ etnici generali, oggi è prevalente la minuscola (gli italiani, gli australiani), obbligatoria per gli aggettivi (i vini italiani). In passato, o tuttora in usi marginali, i nomi designanti nazionalità si trovano con iniziale maiuscola.
La maiuscola è frequente quando un appellativo fa le veci del nome proprio, come nel caso di Stato, Paese per identificare uno stato, un paese specifico. Questo vale anche con le qualifiche di Dottore, Professore e via dicendo usate in riferimento a una persona specifica: per es., scrivendo di Giovanni Agnelli, si scriverà l’Avvocato, con iniziale maiuscola. Ne “La signorina Felicita”, il poeta Guido Gozzano fa un uso insistito, ridondante, ironico di questa applicazione della maiuscola:
(1) Per la partita, verso ventun’ore
giungeva tutto l’inclito collegio
politico locale il molto Regio
Notaio, il signor Sindaco, il Dottore
(Guido Gozzano, Poesie e prose, Milano, Feltrinelli, 20082, p. 144)
La lettera grande sembra, infatti, stridere col carattere esplicitamente localistico dell’«inclito collegio».
Se seguiti dal nome proprio, le apposizioni (➔ apposizione) e gli ➔ appellativi prediligono la lettera maiuscola (Ing. Paolo Bianchi, Dott.ssa Maria Rossi) in contesti formali come nelle intestazioni di lettere ed e-mail. Inoltre anche i pronomi personali e gli allocutivi riferiti a un destinatario di particolare riguardo sono scritti con la maiuscola:
(2) Egregio Professore,
desidero comunicarLe l’imminente pubblicazione del Suo libro.
Un simile impiego della maiuscola come segno di onorificenza per la persona (o in certi casi per la cosa) menzionata prende il nome di maiuscola di rispetto, reverenziale o di onorificenza, ed è uno degli usi più vari e instabili della maiuscola nella storia dell’ortografia italiana, ancora oggi soggetto al gusto e all’intenzione individuali. Solo dalla prima metà del Novecento le grammatiche impongono una netta diminuzione delle maiuscole reverenziali, abbondantemente attestate nel secolo precedente.
È, inoltre, caratteristico (ma non obbligatorio) l’uso della maiuscola per enfatizzare alcuni concetti astratti o per evidenziarne il carattere generale: si distingue, per es., la Storia dalle piccole storie quotidiane, la Camera dei deputati da una qualsiasi camera domestica e così via. Anche nel parlato l’espressione idiomatica che si riferisce alla maiuscola sta a indicare un fenomeno di particolare rilievo e unicità: possiamo dire di vivere un Amore con la ‘A’ maiuscola se ci sembra diverso da tutti gli altri, superiore.
Insomma, come si leggeva già nella Grammatica italiana di Raffaello Fornaciari (1879: 6) la maiuscola si usa da sempre, oltre che nei casi prestabiliti, «in altri casi per giovare alla chiarezza o alla forza dell’espressione»; lo stesso Fornaciari intitola il primo capitolo della sua grammatica Le lettere dell’Alfabeto, conferendo al nostro sistema grafico particolare dignità.
La maiuscola come espressione grafica di un’intensificazione semantica ha collocazione privilegiata nella letteratura anche recente, soprattutto nella poesia, come mostra bene questo testo di Umberto Saba (“Un pensiero”) in cui i nomi con la maiuscola (Nulla e Amore) si caricano di senso assoluto, mentre inferno e paradiso, solitamente scritti con la maiuscola, qui sono collocati su un piano secondario, segnalato dall’iniziale minuscola:
(3) Pochi fior, molta spina,
e una landa intristita,
che col Nulla confina
non è questa la vita?
Un singhiozzo e un sorriso
un’ortica ed un fiore
l’inferno e il paradiso
non è questo l’Amore?
(Umberto Saba, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 20049, p. 883)
Altro impiego tipicamente poetico è la maiuscola all’inizio di ogni verso, come a enfatizzarne visivamente il distacco dagli altri e l’unicità nel senso e nello spazio. È ciò che accade in “A Silvia” di Leopardi:
(4) Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
(Giacomo Leopardi, Poesie e prose, Milano, Mondadori, 19988, vol. 1°, p. 77)
Nel caso dei nomi, come scrive Serianni (2000: 45), «le norme che regolano l’uso della maiuscola sono più facili ad enunciarsi che ad applicarsi, anche perché non è sempre ovvio distinguere tra “nome proprio” e “nome comune”». Basti pensare a casi a metà tra le due categorie come la parola papa: si scrive Papa Benedetto XVI o papa Benedetto XVI? La benedizione del papa o del Papa? L’oscillazione permane e, in simili casi, è legata alla scelta stilistica dello scrivente in risposta a soggettive ragioni di rispetto e di ammirazione, o in dipendenza dal tipo di testo che sta elaborando (più o meno formale, rivolto a un determinato destinatario). È, inoltre, diverso se si intende il papa in genere (Il papa, nel corso della storia, ha avuto un potere spesso discusso) o un papa specifico (Il Papa domenica, durante l’Angelus, ha lanciato un messaggio di pace). Stesso discorso vale per presidente / Presidente: Presidente Obama o presidente Obama?
Gli esempi appena riportati richiamano all’attenzione altri due impieghi della maiuscola. L’Angelus ricorda che l’uso della maiuscola persiste nei nomi che si riferiscono alla dimensione del sacro e delle festività religiose (e non solo): Dio, Gesù, Vergine Maria, Pasqua (ma anche Ferragosto), e appellativi antonomastici come il Creatore o il Figlio di Dio, ecc.; per santi e sante, l’uso varia tra San Giovanni e san Giovanni. Nei nomi dei sacramenti, invece, l’impiego della maiuscola è oscillante: spesso resiste in casi come Battesimo, Comunione, Cresima, mentre si è perso in un sacramento ormai più laicizzato come il matrimonio, a riprova che anche un fatterello grafico come la maiuscola può testimoniare un mutamento nella percezione e nella coscienza comuni. L’altro uso della maiuscola che si nota negli esempi riportati è quello nell’iniziale degli esempi stessi, tra parentesi: malgrado non siano preceduti da un punto fermo, sono una frase a sé e la maiuscola lo segnala.
A parte questo caso particolare, la presenza della maiuscola è solitamente legata a quella del punto fermo e ai due punti che introducono un discorso diretto compreso tra ➔ virgolette o trattini lunghi (➔ trattino). Tuttavia, questa che oggi è la regola non è sempre stata tale nella storia della ➔ grafia dell’italiano. Per secoli il punto mobile o mezzo punto seguito da minuscola, con valore di pausa intermedia tra punto e virgola e punto fermo, ha continuato a essere utilizzato da scriventi comuni e colti come, nell’Ottocento, Antonio Cesari, che ne sosteneva l’uso nonostante la condanna delle grammatiche (Antonelli 2008: 182-183). Parallelamente i due punti mantenevano valori vari come quello di pausa media e di delimitatori di incisi.
Dopo il ➔ punto interrogativo e il ➔ punto esclamativo l’uso della maiuscola non dipende da una regola fissa, benché la prassi più diffusa tra gli scriventi sia quella di scrivere una maiuscola (va notato inoltre, che il correttore ortografico del programma Word riconduce sempre a maiuscola). L’impiego varia da caso a caso a seconda dell’intenzione dello scrivente di segnalare o meno una pausa forte, con interruzione di periodo; e lo stesso vale dopo i puntini di sospensione. Nel suo libro Tetto murato, per es., la scrittrice Lalla Romano esprime continuità in questo inciso con una minuscola dopo il punto interrogativo:
(5) sperò che incontrasse la bambina – chi sa? qualcosa che lo fermasse – perché non c’era dubbio che non sarebbe tornato indietro (Lalla Romano, Opere, Milano, Mondadori, 1991, vol. 1°, p. 631)
Invece, Primo Levi enfatizza la separazione dei periodi che seguono punto di domanda e puntini di sospensione facendoli iniziare con maiuscola:
(6) Il capocampo, deportato anche lui, ebbe il buon senso di procurare una scorta ragionevole di cibo ma non d’acqua: l’acqua non costa nulla, non è vero? E i tedeschi non regalano niente, ma sono buoni organizzatori … Neppure pensò a munire ogni vagone di un recipiente che fungesse da latrina (Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 19912, p. 88)
Attualmente l’impiego della maiuscola attraversa una nuova fase, sempre più slegata dalla norma grammaticale e sempre più dipendente da fattori espressivi o semplicemente estetici. Questo soprattutto per quanto riguarda scritture libere e a forte impatto comunicativo come ➔ titoli, nomi di prodotti, insegne e cartelloni pubblicitari (➔ nomi commerciali), siti Internet, forum, blog, ecc., mentre gli elaborati più controllati (come i temi scolastici o le lettere formali) tendono a mantenere un maggiore controllo nell’uso di questo espediente grafico.
Per capire il grado di libertà oggi raggiunto nell’impiego della maiuscola, si osservi, per es., la grafia dei titoli di quotidiani molto diffusi. Abbiamo LA STAMPA (tutta maiuscola), la Repubblica e l’Unità (con articolo minuscolo per mettere in rilievo la parola che segue), CORRIERE DELLA SERA (tutto maiuscolo, ma corsivo). La tendenza generale rilevata dagli studiosi è quella di un declino della maiuscola a vantaggio della minuscola anche nei casi di tradizionale inserimento della maiuscola (per es. nella grafia dei nomi propri).
Fornaciari, Raffaello (1879), Grammatica italiana dell’uso moderno, Firenze, Sansoni.
Antonelli, Giuseppe (2008), Dall’Ottocento a oggi, in Storia della punteggiatura in Europa, a cura di B. Mortara Garavelli, Roma-Bari, Laterza, pp. 178-210.
Jackson, Donald (1988), La scrittura nei secoli, Firenze, Nardini (ed. orig. The story of writing, London, Studio Vista, 1981).
Serianni, Luca (2000), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi; glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.