SOMMI, Maladobato
– Nacque a Cremona nei primi anni del Quattrocento da Andrea e da Isabella de Ho e risiedette, in città, nelle vicinanze di S. Ilario.
La famiglia Sommi è attestata nella documentazione cremonese sin dal XII secolo; come i suoi antenati, anche Maladobato ebbe in feudo terre episcopali. Svolse una limitata carriera pubblica che lo vide podestà di Soncino nel 1450 e poi membro del Consiglio di Cremona; nel 1470 compariva ancora nella documentazione pubblica cremonese in un elenco di cittadini «apti ad officia exercenda» (Gamberini, 2008, p. 31).
Da una lettera inviata da Michele, cugino di Sommi, a Filippo Maria Visconti nel 1447 (edita in Sommi Picenardi, 1893, p. 59) emerge la sua precoce fedeltà a Francesco I Sforza: fedeltà che non venne meno nel periodo in cui costui fu in conflitto con i Visconti. Forse Michele fu indotto a scrivere questa lettera, con cui intendeva discolparsi di fronte al signore di Milano, proprio dalla circolazione del De Cremonensi obsidione, la breve cronaca dell’assedio di Cremona del 1446 che costituisce l’unica opera di Sommi che possediamo e di cui abbiamo notizia.
In questa cronachetta, che porta la data 11 dicembre 1446, Sommi si schiera senza esitazione a favore dello Sforza il quale, dopo avere ricevuto in dote la signoria di Cremona al momento del suo matrimonio con Bianca Maria Visconti nel 1441, dovette difendersi dalle mire del suocero che intendeva riprendersi la città.
Il De Cremonensi obsidione si apre con una breve lettera indirizzata al pesarese Pier Giorgio Almerici, podestà di Cremona per conto dello Sforza appena giunto in città. In essa Sommi afferma di essersi messo all’opera spinto da Cicco Simonetta per offrire al nuovo podestà un racconto completo del recente assedio, così da integrare ed eventualmente correggere le informazioni che costui aveva raccolto oralmente a Pesaro e che «propter varietatem famae et locorum distantia‹m› et animorum diversitate‹m›» (Dell’assedio di Cremona, 1880, p. 13) avrebbero potuto essere imprecise. A questa epistola è fatta seguire un’altra breve lettera, indirizzata questa volta al già ricordato Cicco Simonetta (al tempo, già tra i collaboratori di Francesco Sforza, ma ancora lontano dagli onori che avrebbe raggiunto al culmine della carriera). Rivolgendosi al Simonetta, Sommi ricorda l’amicizia che li lega, ribadendo di avere scritto su invito dell’amico che non era stato presente all’assedio, e termina menzionando Angelo Simonetta, cancelliere dello Sforza e zio di Cicco, al quale pure Sommi si dichiara legato.
La necessità di conservare il ricordo dell’assedio appena concluso e del valoroso comportamento tenuto dai cremonesi in quell’occasione è ribadita nelle prime righe del De Cremonensi obsidione che fungono da piccolo prologo: Sommi non si attribuisce meriti particolari (come protagonista o testimone privilegiato dei fatti), ma ribadisce la necessità di affidarsi alla scrittura per evitare di perdere la memoria delle vicende. Passa poi al racconto dei fatti specificando in primo luogo che felicissimo era lo stato di Cremona governata dallo Sforza quando Filippo Maria Visconti, tradendo i patti, decise di riprendersi con le armi la città. Il 1° maggio 1446 – è questa l’unica data inserita nel racconto – le truppe viscontee guidate da Francesco Piccinino, con l’ausilio dei suoi fratelli più giovani Iacopo e Angelo, si avvicinarono a Cremona (in queste righe Sommi non ricorda il ruolo di Luigi Dal Verme che con il Piccinino condivise il comando delle truppe viscontee, ma che nel 1447 era già passato dalla parte veneziana in seguito a trattative condotte da Gherardo Dandolo). La città fu invasa dal terrore e si temettero tradimenti, ma Foschino Attendolo – che reggeva Cremona per conto dello Sforza dal 1444 – seppe organizzare la resistenza nel migliore dei modi (secondo il parere di Sommi, non condiviso peraltro da altri cronisti).
Le truppe cremonesi erano comandate da Giacomaccio Guarna di Salerno che con valore di soldato e abilità di stratega tenne testa alla superiore forza militare dei viscontei, nonostante la slealtà degli abitanti del contado. Sembrò un miracolo a Sommi che le truppe del Piccinino ripiegassero su Soncino senza recare troppi danni a Cremona. Ma a questo punto i viscontei presero a bombardare la città seminando il panico: solo l’arrivo di Angelo Simonetta riuscì a rincuorare i cremonesi mostrando loro – anche con il concreto aiuto finanziario – come lo Sforza tenesse a Cremona.
Va sottolineato il risalto che Sommi assegnò ad Angelo Simonetta, presentandolo da questo punto del racconto come uno dei protagonisti della difesa e associandone di norma il nome a quello di Foschino Attendolo. Sommi, che mai ha prestato reale attenzione al preciso svolgimento dei fatti d’arme, conclude la sua opera ricordando che alla battaglia di Casalmaggiore (28 settembre 1446), Micheletto Attendolo alla guida delle truppe di Venezia, alleata dello Sforza, sconfisse i viscontei, ma il cronista non fa cenno alle mire veneziane su Cremona che dipesero da tale vittoria ed ebbero come protagonista Gherardo Dandolo.
Il latino dell’operetta tende a imitare i modelli classici: il testo ospita numerosi discorsi, sempre piuttosto brevi, i magistrati cittadini sono chiamati con termini antichi (il podestà è pretor, i membri del consiglio cittadino sono patres conscripti e così via), compare qualche espressione dotta (il Po sempre detto Eridanius). Sommi tuttavia non rimanda mai a opere dell’antichità, neppure per fare sfoggio di cultura.
Morì nel gennaio del 1474, lasciando erede il fratello Caccino, al tempo massaro della cattedrale di Cremona. Dal testamento, che aveva fatto redigere nel 1472, sappiamo che dal matrimonio con Tommasina Tinti ebbe quattro figli: due maschi che gli premorirono e di cui non è noto il nome, e due femmine, Margherita, sposata a Tommaso Mussi, e Ziliola, sposata a Gabriele Piazza.
Fonti e Bibl.: Dell’assedio di Cremona (1446). Cronaca inedita di Maladobbato Sommi, [a cura di G. Sommi Picenardi], Firenze 1880; cfr. la recensione di F. Novati in Archivio veneto, X (1880), 19, pp. 145-148.
G. Sommi Picenardi, La famiglia Sommi. Note di storia cremonese, Cremona 1893, tav. 8; G. Gullino, Dandolo, Gherardo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXII, Roma 1986, pp. 469-472; A. Gamberini, Cremona nel Quattrocento. La vicenda politica e istituzionale, in Storia di Cremona. Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di Milano (1395-1535), a cura di G. Chittolini, Azzano San Paolo 2008, pp. 2-39 (in partic. pp. 26, 31).