MALARIA (XXI, p. 987)
Nell'ultimo quindicennio sono stati conseguiti progressi assai notevoli, che riguardano principalmente: a) la biologia del parassita; b) l'insetto vettore; c) la terapia; d) la lotta contro le zanzare vettrici.
Parassita. - Ricerche eseguite da G. Raffaele (1934-40) sulla malaria degli uccelli e rapidamente confermate in tutto il mondo hanno dimostrato che, diversamente da quanto si era per molti anni ritenuto, i parassiti inoculati dagli anofeli e cioè gli sporozoiti, non penetrano nei globuli rossi ma vanno nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale (criptozoiti), ove compiono il loro primo ciclo di sviluppo e di riproduzione (fase monogonica primaria o esoeritrocitica) che li rende poi atti a penetrare nei globuli rossi.
Nelle cellule reticolo-endoteliali i criptozoiti si accrescono e raggiungono dimensioni notevoli, usualmente assai più cospicue di quelle dei parassiti dei globuli rossi. Durante lo sviluppo, nell'interno del parassita, il nucleo si divide ripetutamente (schizogonia) cosicché alla fine dell'accrescimento ciascun parassita contiene 50-60 nuclei (a volte anche più) intorno ai quali si addensa e poi si separa una piccola porzione del citoplasma della cellula genitrice. Si hanno così parassiti figli o merozoiti i quali sono di due sorte: a) merozoiti istotropi che invadono altre cellule del reticolo-endotelio, vi si sviluppano (metacriptozoiti) e si riproducono come il loro genitore; b) merozoiti emotropi che, penetrando nei globuli rossi, iniziano il ben noto ciclo di sviluppo nel sangue.
I parassiti che si sviluppano nel reticolo-endotelio differiscono da quelli dei globuli rossi per le dimensioni più cospicue, per l'elevato numero di merozoiti cui danno origine e soprattutto per l'assenza del caratteristico pigmento elaborato nei globuli rossi con la digestione dell'emoglobina. Vengono quindi comunemente designati come schizonti apigmentati ed anche come forme esoeritrocitiche o, più brevemente, forme E. Negli uccelli si trovano in maggior numero nel fegato e nella milza; nel midollo osseo sono in genere relativamente rare. In alcune specie di parassiti aviarî (Plasmodium gallinaceum, P. cathemerium) le forme E si sviluppano anche negli endotelî dei capillari cerebrali.
Nella malaria dei mammiferi, epperò in quella umana, tali forme si osservano molto più difficilmente, perché dopo lo sviluppo dei criptozoiti derivanti dagli sporozoiti, prevalendo i merozoiti emotropi, le forme E diventano così scarse che la loro ricerca diventa praticamente impossibile. G. Raffaele (1937-40) riuscì ad osservare rarissime forme E nella malaria umana esaminando il midollo osseo estratto tra il 50 ed il 70 giorno d'incubazione da pazienti sperimentalmente inoculati. Le sue osservazioni tuttavia, per la rarità del reperto, furono generalmente accolte con scetticismo. Molti ritenevano che nella malaria umana la fase monogonica primaria non esistesse.
Recentemente tuttavia P. C. Garnham (1948), in Inghilterra, ha osservato la presenza di grosse forme E di aspetto molto simile a quelle degli uccelli in scimmie del genere Cercopithecus, sperimentalmente infettate con Hepatocystes (Plasmodium) kochi. Tali forme sono state osservate nel fegato e, in numero più esiguo, nel cuore. Secondo il Garnham esse si svilupperebbero sia nelle cellule del reticolo-endotelio, sia in quelle del parenchima epatico. Ulteriori ricerche sono state condotte da Shortt, Garnham e Malamos su P. cynomolgi, parassita delle scimmie del genere Macaca, morfologicamente molto simile a P. vivax dell'uomo, che può trasmettersi da A. labranchiae var. atroparvus, anofele che si alleva facilmente in laboratorio. Una scimmia venne punta da 500 anofeli infetti di P. cynomolgi e dopo venne inoculata con gli sporozoiti, contenuti nelle ghiandole salivari degli anofeli che avevano punto, iniettati nel peritoneo e nei muscoli. Sacrificato l'animale sette giorni dopo l'inoculazione, si poterono osservare numerosi schizonti apigmentati nel fegato. L'esperimento è stato ripetuto sull'uomo da Shortt e Garnham; un volontario si è esposto alla puntura di 2010 anofeli infetti di P. vivax ricevendo poi per via venosa il contenuto in sporozoiti di 200 anofeli infetti. Sette giorni dopo venne prelevato un pezzetto del fegato ove vennero osservate forme esoeritrocitiche dello stesso aspetto di quelle rinvenute precedentemente negli uccelli e nelle scimmie. Schortt e Garnham affermano che nelle infezioni da P. cynomolgi e da P. vivax tali forme non si svilupperebbero nelle cellule del reticolo-endotelio ma in quelle del parenchima epatico, tuttavia l'esame delle figure, delle microfotografie e dei preparati stessi presentati al Congresso internazionale della malaria tenutosi in Washington nel maggio 1948 lasciano in dubbio sulla esattezza di tale interpretazione che richiede ulteriori indagini. È probabile che nei mammiferi come negli uccelli la fase monogonica primaria si svolga nelle cellule del reticolo-endotelio e le rare forme rinvenute in precedenza dal Raffaele nel midollo osseo umano lo farebbero pensare.
I parassiti apigmentati non risentono l'azione di nessuno dei farmachi, quali la chinina o gli acridinici (atebrina), che distruttuggono invece rapidamente quelli dei globuli rossi. La loro scoperta ha finalmente spiegato la ragione del persistere dell'infezione malarica e delle sue frequenti recidive nonostante le cure più prolungate. Alla loro presenza si deve anche lo scarso successo ottenuto con la profilassi eseguita con chinina o altri antimalarici.
Insetto vettore. - Sono state confermate ed estese le osservazioni di P. Falleroni che dimostrarono come il principale vettore della malaria in Europa, Anopheles maculipennis, fosse specie composta di differenti varietà non tutte vettrici di malaria, riconoscibili dalle macchie presenti sulla superficie delle uova e dalla diversa grandezza delle camere d'aria. Alcune delle varietà distinte in questa specie sono attualmente considerate a loro volta specie vere e proprie, separate dal tipico A. maculipennis che non è vettore di malaria. La capacità degli anofeli a trasmettere la malaria è connessa con la loro maggiore o minore tendenza a punger l'uomo; nel gruppo di anofeli compresi un tempo sotto il nome di A. maculipennis vi sono specie affatto zoofile che non hanno importanza nella trasmissione della malaria. Il gruppo maculipennis è stato attualmente così suddiviso: specie vettrici: a) A. labranchiae con la varietà atroparvus; b) A. sacharovi; c) A. messeae (generalmente zoofilo e vettore solo in Romania); specie non vettrici: d) A. maculipennis; e) A. melanoon con la varietà subalpinus. Le specie zoofile e non vettrici si sviluppano in acque affatto dolci mentre quelle vettrici si sviluppano in acque più o meno salmastre il che spiega perché la malaria si diffonda spesso a preferenza lungo le fasce costiere. Nella zona del Mediterraneo e quindi in Italia la malaria viene mantenuta da A. labranchiae, da A. elutus e da un altro anofele, A. superpictus, del tutto separato dal gruppo del maculipennis.
Lo studio delle preferenze alimentari delle diverse specie e varietà di anofeli, iniziatosi in Italia con le ricerche del Falleroni, è stato esteso agli anofeli di tutto il mondo. Su 160 specie di anofeli e 70 varietà solo 54 trasmettono la malaria e, di queste, 20 specie sono particolarmente pericolose. Il fenomeno dell'anofelismo senza malaria, apparso un tempo oscuro, è dovuto quindi alla presenza in certe zone di specie o varietà zoofile.
Terapia. - Gli studî per la produzione di farmachi antimalarici sintetici hanno avuto grande sviluppo dopo il 1934 e, mentre si è modificato l'uso ed il dosaggio di quelli allora noti, è stata ottenuta la sintesi di diversi nuovi farmachi di grande efficacia. La chinina, pur conservando il suo indiscusso valore come antimalarico, è stata eguagliata ed a volte superata da alcuni prodotti sintetici.
Plasmochina e Certuna. - L'uso della plasmochina è stato sempre più limitato per la sua tossicità che può manifestarsi anche a dosi lievi di g. 0,02-0,03 al giorno se ripetute a lungo. Sembra tuttavia che la plasmochina a dosi elevate abbia azione contro le forme esoeritrocitiche ed è stato affermato che associata a piccole dosi alla terapia chininica o atebrinica ridurrebbe il numero delle recidive. Nella sua azione contro i gametociti di P. falciparum o semilune è stata sostituita con vantaggio dalla Certuna molto meno tossica.
Atebrina. - L'uso dei derivati dell'acridina si è esteso, e la larga esperienza fatta durante la seconda Guerra mondiale ha consigliato di aumentarne notevolmeute le dosi terapeutiche. Come profilattico gli acridinici si sono rivelati molto superiori alla chinina soprattutto nella profilassi contro la terzana maligna; g. 0,10 al giorno di atebrina presi durante il soggiorno in zona malarica sono sufficienti ad eliminare ogni pericolo di contrarre tale pericolosa forma d'infezione.
Pentaquine. - Nuovo derivato della chinolina che associato alla cura chininica, alla dose di g. 0,06 al giorno, eviterebbe le recidive.
Clorochina. - Derivato della chinolina ad azione più pronta di qualsiasi altro prodotto antimalarico. Somministrata alla dose di g. 0,60 il primo giorno e di g. 0,30 nei due giorni successivi farebbe scomparire febbre e parassiti dal sangue. Ha anche il vantaggio di non dare la colorazione gialla della cute che si ha con la somministrazione degli acridinici.
Paludrina. - Questo nuovo preparato, ottenuto attraverso varie e successive modificazioni della sulfametilpirimidina (sulfomerazina) ha effetto presso a poco uguale a quello dell'atebrina ma presenta il vantaggio di non colorare in giallo la cute. Sembra che abbia anche buona azione profilattica. Come curativo si somministra alla dose di g. 0,30 al giorno per 10 giorni e di g. 0,20 per 14 giorni. Come profilattico si usa alla dose quotidiana di g. 0,10. La letteratura sull'uso dei varî antimalarici recentemente sintetizzati è così vasta che non è possibile riassumerla in breve; i nuovi prodotti costituiscono un enorme progresso rispetto al passato ed in molti casi sono preferibili alla chinina, la cui rapida eliminazione impedisce di mantenere nel plasma la concentrazione sufficiente a renderne persistente l'azione.
Lotta antianofelica. - La lotta contro gl'insetti è entrata in una nuova fase con l'uso del p, p′ dicloro-difenil-tricloroetano, più brevemente detto DDT (v. in questa App.) sostanza di potentissima e duratura azione insetticida. Per la lotta contro gli anofeli se ne usa la soluzione in petrolio al 5% oppure l'emulsione in acqua ottenuta diluendo una parte di una soluzione concentrata di DDT in xilolo, contenente sostanze a funzione dispersiva, in quattro parti d'acqua. La soluzione più comunemente usata è la seguente: DDT 25%, xilolo 71%, Triton X 100 (disperdente 4% Il DDT va spruzzato con speciali pompe a pressione costante munite di spruzzatore che abbiano un foro di emissione di 7-8 decimi di millimetro di diametro onde ottenere un cono di emissione sufficientemente largo, che consenta alla soluzione di arrivare con una certa violenza sulle superfici trattate da una distanza di 30-40 cm. Perché l'azione si prolunghi per 6-9 mesi è necessario che sulle superfici trattate il DDT si depositi in quantità di g. 1,50-2 per m2. Un litro di soluzione al 5% è sufficiente a trattare in 25-35 di superficie. Poiché le specie di anofeli vettori europei si posano generalmente sulla metà superiore delle pareti e sui soffitti il trattamento con DDT degli ambienti viene limitato in Italia - per ragioni economiche - alla porzione superiore delle pareti. Il trattamento, che deve essere esteso a tutti gli ambienti abitati (camere, stalle, porcili, pollai, ecc.), va eseguito nei mesi primaverìli (aprile-maggio) onde colpire possibilmente le zanzare ibernanti ed in ogni caso le prime generazioni nate dalle ibernanti ed impedire la loro riproduzione. Attualmente vengono esperimentati con successo due nuovi insetticidi, il Gammexan e l'Oktaclor, di efficacia pari al DDT. I risultati conseguiti sono stati sorprendenti; in due anni consecutivi di trattamento la malaria è quasi del tutto scomparsa da regioni che, per secoli erano state tristemente famose per la loro malaricità. L'esame del grafico mostra la rapida discesa dell'infezione avvenuta dopo il 1946 con l'impiego del DDT. Appare oggi molto probabile che con l'estendersi del trattamento a tutte le zone malariche d'Italia si otterrà la scomparsa definitiva di questa temibile infezione che per secoli ha devastato il nostro paese.
Bibl.: G. Raffaele, in Riv. di Malariologia, XIII, 1934, pp. 309, 395; ibid., XV, 1936, pp. 309, 318; ibid., XVI, 1937, p. 412; Acta Conventus Tertii de Malariae Morbis, II, Amsterdam 1938, p. 545; H. E. Shortt, P. C. Garnham, in Trans. R. Soc. Trop. Med. Hyg., XLI, 1948, p. 785.