MALATESTA (de Malatestis), Malatesta detto Malatesta da Verucchio
Probabilmente figlio di Malatesta della Penna e della moglie Adalasia, il M., quinto di questo nome, nacque a Verucchio, nel Riminese, verosimilmente intorno al 1226, limite cronologico in grado di conciliare la notizia di un M. centenario, concordemente riferita dalla tradizione, con le probabili aspettative di vita del tempo. Poco più che ventenne il M. trasferì la propria residenza a Rimini, dove Malatesta della Penna era podestà e dove riuscì, nell'arco di circa un quarantennio, a concretizzare i propri ambiziosi progetti di dominio sfruttando innegabili doti politiche e diplomatiche. Davvero sporadici gli avvenimenti che nella lunga e intensa esistenza del M. possono essere ricondotti al caso. Accuratamente progettato fu il matrimonio con la prima moglie, Concordia, figlia del visconte imperiale Enrighetto e appartenente, per parte di madre (di cui non è noto il nome), al potente casato ghibellino dei Parcitadi.
La prestigiosa unione coniugale, stabilita intorno al 1246, contribuì a rafforzare il legame con una delle famiglie più influenti di Rimini e si rivelò una formidabile transazione commerciale, che portò al M. un'immensa fortuna in beni mobili e immobili, fra cui le tenute della Torre di San Mauro e del Gualdo di Savignano. I vincoli imposti dalla parentela con i Parcitadi, però, non impedirono al M. di promuovere e attuare, insieme con Taddeo da Montefeltro, Ramberto di Giovanni Malatesta e i conti di Carpegna, il rientro a Rimini, nel maggio 1248, della parte guelfa Gambacerra, espulsa otto anni prima dalla fazione ghibellina.
Fu, infatti, il M. a dirigere la svolta guelfa del casato malatestiano che, da iniziali posizioni filoimperiali, divenne in breve tempo uno dei capisaldi pontifici nella regione, oltre che punto di riferimento nelle contese cittadine fra le nobili famiglie dei ghibellini Omodei e dei guelfi Gambacerri.
I vantaggi della scelta politica effettuata dal M. non tardarono a manifestarsi. Nel biennio 1262-63 il M. si confermò alla guida della podesteria di Rimini, grazie alla sottomissione alla politica pontificia che tentava di sottrarre all'Impero strategiche postazioni. Nel luglio 1263, intercettata una lettera in cui Baldovino II, già imperatore di Costantinopoli fuggito in Italia nel 1261, prendeva accordi con Manfredi re di Sicilia, il M. consegnò il documento al pontefice, ottenendo poco dopo un pubblico riconoscimento.
I rapporti con i Parcitadi, compromessi dalla linea politica adottata dal M., giunsero alla definitiva rottura con la morte di Concordia, avvenuta all'incirca nel 1263. Il M., già padre di Giovanni, Paolo, Malatesta detto Malatestino, Ramberto e Rengarda, sposò qualche anno dopo Margherita dei Paltanieri da Monselice, sancendo, a livello diplomatico, un altro clamoroso successo.
Se, infatti, l'orientamento politico del M. subì diversi mutamenti, la logica con cui pianificò le alleanze matrimoniali dell'intero casato rimase costante nel tempo. Margherita, nipote del potente cardinale Simone dei Paltanieri, allora rettore e legato apostolico nella Marca e nel Ducato di Spoleto, rappresentava, dunque, un altro tassello nel processo di affermazione della famiglia. Il matrimonio, stipulato nel luglio 1266 e concluso poco dopo, assicurò al M., oltre l'ingente somma di 2456 lire quale dote della moglie, anche la guida del guelfismo locale in cui aveva militato attivamente negli anni precedenti, partecipando in prima persona alla lotta antisveva capeggiata da Carlo d'Angiò. Margherita, poi, accrebbe la già numerosa discendenza del M. con altri tre figli, Pandolfo, Maddalena e Simona. Nel frattempo gli sforzi tesi all'incremento del patrimonio familiare avevano segnato ottimi risultati. Una serie di contratti di enfiteusi e compravendite, siglati in favore del M. nel corso del quinto e sesto decennio del secolo XIII, attribuì al complesso dei beni malatestiani, dislocati per lo più intorno a Rimini, rilevanti dimensioni. A essi si aggiunsero, in particolare, i diritti e i possessi della vasta contea di Ghiaggiolo, che il M. acquisì prima dall'abate di S. Ellero di Galeata, poi dall'arcivescovo di Ravenna e infine dalle discendenti del defunto conte di Ghiaggiolo, sottraendole dal tutorato del suo rivale e capo ghibellino Guido da Montefeltro.
I rapporti con i ghibellini riminesi, in parte ricuciti nel 1267 tramite pubblica riconciliazione, si esacerbarono nuovamente con la discesa di Corradino di Svevia in Italia nella primavera 1268. Il M., coadiuvato da Taddeo Novello da Pietrarubbia dei conti da Montefeltro, assicurò il controllo di Rimini al papa che, in segno di riconoscenza, segnalò il M. al re di Sicilia Carlo d'Angiò: l'intercessione pontificia fruttò al M. la nomina a vicario regio a Firenze, incarico che lo tenne lontano da Rimini sino alla fine del 1269.
Il ruolo decisivo assunto dal M. nella lotta antighibellina ebbe ampia risonanza e indusse i guelfi Geremei a conferirgli il comando del contingente armato bolognese. Nell'esercizio del gravoso mandato militare, il M. conobbe una delle pagine più nere della propria esistenza: subita una prima sconfitta nella primavera del 1275 nel tentativo di strappare ai ghibellini il castello di Solarolo presso Faenza, il M. si affrettò a predisporre per il giugno dello stesso anno una seconda offensiva. Teatro dello scontro fu nuovamente il territorio faentino, in cui, in prossimità di ponte S. Procolo, il 13 giugno 1275 le forze ghibelline, capeggiate da Guido da Montefeltro, inflissero ai guelfi una disastrosa sconfitta. L'antagonismo con Guido da Montefeltro, senza dubbio una costante nella vita del M., gli consentì di rafforzare la propria posizione in Romagna, assicurandosi l'appoggio di un altro casato emergente, i da Polenta. Nel settembre 1275 il M. favorì, tramite l'invio di un contingente armato, la conquista di Ravenna da parte di Guido da Polenta, sventando il dilatarsi del dominio feltresco, già estesosi su Cervia. L'alleanza politica fu suggellata dall'unione coniugale di Giovanni, detto Gianciotto, primogenito del M., e Francesca da Polenta, il cui tragico epilogo è stato immortalato dai versi danteschi.
Abbandonate le armi, nel gennaio 1276 il M. tentò di riconquistare le posizioni perdute per via diplomatica, facendosi promotore di una riappacificazione fra i Comuni guelfi e ghibellini coinvolti negli scontri. Stesso scopo ebbe il viaggio da lui intrapreso insieme con Guido da Polenta e altri capi guelfi a Roma, dove consegnarono simbolicamente la Romagna al pontefice invocando, in cambio, la protezione della S. Sede contro gli attacchi di Guido da Montefeltro. Ufficializzato, tramite concessione dell'imperatore Rodolfo I d'Asburgo, il passaggio della regione alla Chiesa, anche Rimini si affrettò a celebrare lo storico evento, riunendo il 27 luglio 1278 un pubblico Consiglio che ratificò la giurisdizione pontificia sulla città. Il M. vi prese parte con il figlio maggiore, Giovanni, in qualità di massimi esponenti della fazione guelfa locale.
La detenzione pressoché assoluta di tale rappresentanza fu confermata a distanza di due anni quando, con altri nobili romagnoli, il M. si assunse la responsabilità di garantire per i Geremei bolognesi, in previsione di una riconciliazione con gli avversari Lambertazzi.
Con l'elezione di papa Martino IV nel febbraio 1281 si rafforzò l'antico legame tra la Chiesa e i Malatesta, e il M. fu elevato a personale collaboratore del pontefice. Nel suo autorevole ufficio il M. non deluse le aspettative della Chiesa e ne fu ampiamente ripagato.
L'attiva partecipazione agli incessanti conflitti contro Guido da Montefeltro e all'assoggettamento della Romagna al governo della S. Sede assicurarono al M. il controllo della podesteria di Rimini per sette anni consecutivi: dal 1282 al 1288 egli fu de facto il signore della città, circoscrivendo la potestà d'azione del vescovado e confermando, grazie a una serie di privilegi ecclesiastici, la giurisdizione del Comune riminese sul contado. Nel 1283 il M. riuscì a sottrarre Cesena all'influenza ghibellina riscuotendo i plausi del papa ai quali si aggiunsero, a breve distanza, le congratulazioni per avere prestato soccorso ai fuoriusciti guelfi di Urbino, rifugiatisi nel castello di Sassocorvaro.
In questi anni di incontrastato protagonismo, il M. patrocinò insieme con Guido da Polenta la nascita di una lega di città romagnole di cui nel 1285, a Faenza, con l'adesione dei maggiori capi guelfi della regione, fu approntata una prima formulazione.
La costituzione di una rete di alleanze intercittadine, infatti, rappresentava l'unica opportunità per salvaguardare i margini di autonomia dei signori romagnoli, minacciati dalle velleità di dominio assoluto della S. Sede. Lo stesso M., dopo anni di fedele sottomissione, percepiva la presenza ecclesiastica nella regione come un ostacolo ai progetti di affermazione personale. Da campione della Chiesa il M. si trasformò, pertanto, in pacificatore della Romagna, tentando di appianare i dissapori in nome di comuni interessi autonomistici. Il M. non celava, però, segni di insofferenza di fronte al forte fiscalismo ecclesiastico che danneggiava sensibilmente gli interessi patrimoniali e commerciali del casato. La ferrea opposizione alla politica tributaria della Camera apostolica accomunò ancora una volta le famiglie Malatesta e da Polenta, le cui proteste impedirono lo svolgimento di un Parlamento provinciale indetto a Imola nell'aprile 1287. Alle rimostranze seguì l'azione armata; i Malatesta, assicuratisi il controllo di Cervia e Bertinoro, si diressero verso Forlì scontrandosi con gli ufficiali papali.
L'audace iniziativa innescò l'immediata ritorsione del rettore Pietro di Stefano: il 14 giugno 1287, alla guida di un contingente partito da Forlì alla volta di Rimini, il M. fu assalito dalle milizie pontificie, che fecero numerosi prigionieri, incluso il primogenito del M., Giovanni. Nel dicembre 1287 il rettore tentò di aprire una seconda sessione parlamentare, ma le contestazioni di Riminesi e Ravennati furono tali da determinare persino la reclusione dei rispettivi rappresentanti nella torre municipale, dove di solito scontavano le pene ladri e assassini. Al gennaio e febbraio 1288 risalgono le condanne pecuniarie prescritte da Pietro di Stefano al M., per aver fomentato odio e ribellioni ai danni dell'autorità pontificia, macchiandosi, pertanto, del crimine di lesa maestà.
Malgrado i torti subiti, il M. accettò di trattare e concludere un accordo con il neoeletto pontefice Niccolò IV, non senza suscitare le rimostranze dei Riminesi che, istigati dai ghibellini, e in particolare dai Parcitadi, lo espulsero dalla città insieme con i figli e i suoi seguaci. Pochi giorni dopo la cacciata, avvenuta il 5 maggio 1288, il M. si recò a Forlì, dove il nuovo rettore pontificio, Ermanno Monaldeschi, aveva promosso l'apertura di un Parlamento provinciale: fu l'occasione per ripristinare gli antichi rapporti di amicizia, ma implicò per il M. la sottoscrizione di un accordo, voluto e patrocinato dalla Chiesa, con Guido da Montefeltro.
In cambio, nel settembre 1288, il pontefice affidò al rettore il compito di punire i Riminesi, rei di avere ingiustamente molestato e danneggiato il casato malatestiano, mentre le scorrerie e le incursioni dirette dal M. e dai figli Giovanni e Malatestino seminavano terrore nel contado. Il 28 marzo 1290 i Malatesta poterono fare ritorno in città, ma senza trionfalismi. La mediazione del nuovo rettore Stefano Colonna non impedì che le condizioni della riappacificazione con il Comune di Rimini si rivelassero alquanto svantaggiose. L'obbligo di pagamento delle imposte, evidentemente disatteso dal casato romagnolo, fu associato al confino, che colpì per un tempo indeterminato tutti i rappresentanti della famiglia; il M. fu, pertanto, costretto a trasferire la propria residenza a Roncofreddo.
Un altro evento imprevisto, tuttavia, ribaltò la situazione a favore del Malatesta. Il 26 apr. 1290 Rimini fu nuovamente scossa da una rivolta popolare, scatenata dalla tradizionale rivalità dinastica fra il rettore e il podestà Orso di Matteo Orsini. Il M., approfittando della concitazione generale, riuscì a introdursi nella città con un gruppo di armati, schierandosi dalla parte del rettore. La partecipazione all'episodio permise al M. di eludere il confino, ritornando di fatto in possesso di Rimini, ma deteriorò i rapporti con la S. Sede, che temeva un'eccessiva concentrazione di potere nelle sue mani. L'insubordinazione divenne manifesta nel dicembre 1290, quando il M. e Malatestino, rispettivamente a capo dei Riminesi e dei Cesenati, con Guido da Polenta e altri sovvertitori si impossessarono di Forlì, ultimo baluardo pontificio. Ancora una volta fianco a fianco, il M. e il signore di Ravenna intervennero nel settembre 1292 a Faenza, opponendosi alle mire egemoniche dei Bolognesi in Romagna. L'appoggio della Lega romagnola consentì al M. di estendere la propria influenza su Cesena, da tempo nell'orbita malatestiana, mettendo in fuga il nuovo rettore pontificio, Ildebrandino Guidi. Ma i Montefeltro premevano minacciosamente lungo il confine riminese e cesenate, tanto più che il M. non riteneva la Lega in grado di opporsi a prevedibili incursioni. Il 24 giugno 1291, inoltre, Galasso da Montefeltro gli aveva inflitto una pesante sconfitta. Poco servì la riconciliazione fra il M. e Taddeo Novello da Pietrarubbia, ufficialmente siglata a Montescudo nell'ottobre 1293, tramite la quale i Malatesta ripristinarono l'antica intesa con il ramo guelfo dei Montefeltro.
Diveniva, pertanto, ancora una volta indispensabile un'alleanza con la Chiesa in funzione antighibellina e il rettore non tardò ad accogliere tale disponibilità, sapendo che l'assenza del M. avrebbe indebolito la Lega romagnola. A suggello del ritrovato accordo, nel luglio 1294, Ildebrandino Guidi dispensò il M. e i figli dalle condanne loro comminate.
L'inaspettata sottomissione di Guido da Montefeltro alla Chiesa scardinò i tradizionali equilibri, inducendo il M. a una nuova azione eversiva. Nel dicembre 1295, approfittando della momentanea assenza del legato apostolico, il M. riuscì a imporre definitivamente il proprio dominio su Rimini, inaugurando, de facto, la signoria malatestiana su tale centro e ottenendo nel 1303, con la nuova redazione statutaria, il titolo di "difensore del bene pubblico e della città".
La storica svolta, diretta con sapienza dal M., coadiuvato dai figli, eliminò dalla scena politica riminese l'avversa fazione dei populares e dei Parcitadi, il cui massimo esponente, Montagna, divenne vittima emblematica dello scontro. Il tragico destino del capo ghibellino, rievocato nei versi danteschi (Inf., XXVII, 46-48), ha conferito ai due presunti carnefici, il M. e il figlio Malatestino, l'appellativo di "'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio".
Il 26 genn. 1296 il M. e i maggiori signori di Romagna furono convocati, per volontà del pontefice Bonifacio VIII, al cospetto del legato apostolico Guido di Langosco, deputato a risolvere le controversie che laceravano la regione. La mediazione pontificia, però, non produsse gli effetti sperati e la Lega romagnola continuò a operare in funzione antipapale. L'appoggio del M. diventava, pertanto, imprescindibile per la Chiesa, costretta a questo punto a una tacita legittimazione della sua presa di potere. Nell'aprile 1296, risolti con audacia i passati contrasti, il M. comparve al fianco del rettore Guillaume Durand nel Parlamento provinciale istruito contro i ribelli di Romagna, nel quale egli riuscì a comporre dissidi personali e discordie intestine e a concludere positivamente le complesse trattative di pace. Tre anni dopo, il 18 dic. 1299, Bonifacio VIII ricompensò il M. con i beni confiscati a Bernardo de' Bandi di Pesaro.
In un panorama politico regionale quanto mai fragile e precario, il favore e la protezione della Chiesa dovevano essere accuratamente salvaguardati, tramite una fitta trama di rapporti diplomatici. Nel 1306, a dispetto dell'avanzata età, il M. si recò ad Arezzo, alla presenza del nuovo legato apostolico Napoleone Orsini, sventando l'insorgere di attriti e consolidando la tradizionale intesa con la S. Sede. Il 16 dic. 1306, inoltre, il M. emancipò i figli maschi ancora in vita, Malatestino e Pandolfo, e i nipoti, Uberto conte di Ghiaggiolo, Tino e Ferrantino.
A breve distanza si colloca la redazione del suo testamento, fatto stilare il 18 febbr. 1311. Il M. morì a Rimini nel 1312 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, accanto alla sorella Emilia, ricordata nel suo lascito con parole di profondo affetto.
Fonti e Bibl.: P. Cantinelli, Chronicon, a cura di F. Torraca, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXVIII, 2, ad ind.; Annales Forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 28, 40-44, 46 s., 52; M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, pp. 27-31; Cronaca malatestiana del secolo XIV (aa. 1295-1385), a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 3-7; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 145-154; Il testamento di M. da Verucchio, a cura di A. Bellù - A. Falcioni, Rimini 1993; C. Curradi, Alle origini dei Malatesti, in Romagna arte e storia, XLVIII (1996), ad ind.; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003, ad ind.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 462-537; F.G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimino e de' suoi signori(, Bologna 1789, ad ind.; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel sec. XIII, Rimini 1862, ad ind.; A.F. Massera, Note malatestiane, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1911, t. 47, pp. 3-25; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 31-81; P.J. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State, Cambridge 1974, pp. 21-41; S. Pari, La signoria di M. da Verucchio, Rimini 1998; Id., Le donne del Mastin Vecchio, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 39-56; A. Delvecchio, Maddalena e Simona Malatesti, ibid., pp. 83-91.