MALATESTA (de Malatestis), Malatesta detto Malatesta della Penna
Nato attorno al 1183, forse a Pennabilli (come potrebbe testimoniare l'appellativo "della Penna" convenzionalmente attribuitogli dalle fonti cronachistiche e storiografiche postume), il M., quarto di questo nome, era figlio di Malatesta (III) Minore e di una donna di oscure origini chiamata Alaburga. Rimasto orfano di padre in tenera età, il M. crebbe sotto la tutela dello zio Giovanni, già autorevole membro del Consiglio generale del Comune di Rimini, con il quale compare spesso nella documentazione.
La ricostruzione della biografia del M. è ostacolata da ampi vuoti documentari che investono, in generale, le origini dell'intera casata. Fatto tradizionalmente derivare da Pennabilli, stando alle affermazioni, tra gli altri, di Marco Battagli e di Giovanni Bertoldi da Serravalle, il nucleo principale della famiglia Malatesta confluì nel castello di Verucchio, divenuto de facto dominio dinastico alla fine del XII secolo. Al di là dei racconti leggendari che fiorirono copiosi intorno alle origini di nobili casati, le più antiche fonti, per quanto confuse e lacunose, attestano i lontani capostipiti del ramo riminese: Malatesta (I), 1129-50; Giovanni (I), 1164-89; Malatesta (II), 1165-99; Malatesta (III), morto nel 1197. Questi, forti di riconoscimenti imperiali, estesero il proprio raggio nella Valmarecchia, cuore dei possedimenti malatestiani, nella valle dell'Uso, nella Valconca sino alla Marca anconetana. Il consolidamento del ruolo del casato nella regione fu perseguito anche con un'oculata politica matrimoniale che non allacciò solo strategiche alleanze parentali, ma procurò alla famiglia enormi ricchezze in beni mobili e immobili. Sostanziali, infine, le relazioni con la Chiesa di Ravenna a nome della quale i Malatesta esercitavano di fatto il dominio su vasti possedimenti, non celando ambiziosi progetti di potere.
Anche per quanto riguarda il M., le frequenti omonimie e le incertezze temporali che gravano sui presunti fondatori del casato non consentono di appurare se gli innumerevoli meriti e le memorabili gesta a lui attribuite siano piuttosto da riferire a un altro Malatesta. La stessa Marcha trecentesca di Battagli, per quanto attendibile, abbonda nell'elencazione delle gloriose imprese del M. (fra le quali annovera la liberazione di Rimini dall'invasione degli slavi Schiavoni), inducendo a ritenere che al generico appellativo "Malatesta della Penna" possano rispondere personaggi differenti.
La prima apparizione pubblica del M. risale al 1197, quando fu coinvolto in una delicata trattativa con il Comune di Rimini a fianco dello zio Giovanni e dei Verucchiesi. Oscure le cause della complessa mediazione, benché le insistenti richieste di pacificazione avanzate dai Malatesta, che paiono agire come massimi rappresentanti del castello di Verucchio, facciano supporre profondi contrasti con Rimini.
Nella vicenda il ruolo di Giovanni e del M., garanti del giuramento di sottomissione proferito dai Verucchiesi al cospetto del Consiglio cittadino, fu, senza dubbio, determinante. Il M., ancora privo della capacità di agire per la minore età, si impegnò, compiuti i quattordici anni - terminus a quo il giuramento di un minorenne era dotato di validità assoluta -, a rinnovare la promessa tramite cui il controllo su Verucchio era stato di fatto ceduto al Comune di Rimini. Tale potestà di transazione, esclusivamente attribuita allo zio e al nipote, è rivelatrice della supremazia detenuta dai Malatesta sul castello che, con ogni probabilità, da tempo rientrava nell'orbita delle "terre malatestiane".
Se la scarsità di informazioni non consente di appurare l'esercizio di un vero e proprio dominio, l'esistenza di una residenza malatestiana a Verucchio risulta ulteriormente suffragata da un documento del 1210 redatto da un notaio locale. Protagonista del negozio giuridico è il M. che, con il consenso della madre Alaburga e della moglie Adalasia - le quali, probabilmente, vantavano una sorta di ipoteca sul bene -, cedeva in enfiteusi ai coniugi Mazaferro e Verdiana un terreno da costruzione ubicato a Rimini, in prossimità di porta S. Andrea.
I rapporti fra Rimini e i Malatesta erano comunque destinati a intensificarsi, determinando un progressivo distacco dalla terra di origine del casato. Già nel 1209 il rettore dell'ospedale di S. Spirito di Rimini aveva concesso al M., sempre in coppia con lo zio Giovanni, un gualdum nel territorio di Santarcangelo. Il 18 marzo 1216 entrambi fecero l'ingresso ufficiale nella vita cittadina del Comune romagnolo giurando il cittadinatico.
L'iniziativa da un lato consentiva a Giovanni e al M., di inserirsi pubblicamente nella ristretta cerchia di magnati dotati di autorità e prestigio e implicava, dall'altro, l'assunzione di alcuni obblighi nei confronti della cittadinanza riminese. I due, pertanto, proferirono alla presenza del Consiglio generale di Rimini un solenne giuramento che assicurava un loro appoggio incondizionato al Comune nel corso di conflitti armati - la minaccia proveniva in particolare dal fronte cesenate - garantendo, in tempo di guerra, una presenza stabile in città e variabile da uno a tre mesi in tempo di pace. Tutti i possedimenti malatestiani, inoltre, erano rimessi al podestà, Ottone di Mandello, che in cambio esonerava i novelli cittadini da ogni tassa e colletta, privilegio di cui pare avessero usufruito anche i capostipiti del casato. Ai Malatesta erano, infine, riconosciuti la piena giurisdizione sui loro possedimenti e il diretto controllo sugli abitanti; essi ottenevano così garanzia di risarcimento per gli eventuali danni arrecati dai nemici del Comune riminese.
L'assunzione al rango di cives e l'esplicita richiesta di presenziare con costanza in città determinarono l'esigenza di edificare alcune residenze a Rimini, per la realizzazione delle quali concorse lo stesso Comune con uno stanziamento di 200 lire ravennati. Metà del contributo fu direttamente versato al M. il 4 apr. 1216, mentre Giovanni utilizzò il resto per restaurare la torre dell'abitazione riminese, ormai di sua pertinenza. Solo l'estinzione del debito avrebbe loro consentito di alienare il bene acquisito, garantendo a lungo termine un'assidua partecipazione alla vita cittadina.
Alla morte di Giovanni, sopraggiunta intorno al 1221, non fu il figlio Ramberto, erede legittimo, ma il nipote M., che aveva già dimostrato capacità politiche e militari, ad assumere la guida del casato.
Signore di vasti possedimenti e con largo seguito a Rimini e nel contado, nel 1228 il M. acquisì la podesteria di Pistoia, durante la quale, in armi contro Firenze, cadde prigioniero nella battaglia di Vaiano. La detenzione si risolse in breve tempo, e rientrò a Rimini alla fine del 1228.
A qualche anno di distanza la vicenda è nuovamente rievocata in un atto di quietanza, in cui "Malatesta de Arimino" dichiarava di avere ricevuto la somma concordata, come indennizzo della passata prigionia, che aveva coinvolto anche uomini del seguito podestarile. La sfortunata parentesi pistoiese non diminuì l'autorità conquistata dal M., che aveva creato le condizioni atte a concretizzare un vasto dominio politico e territoriale.
Ferreo sostenitore della politica sveva, il M. divenne uno dei massimi rappresentanti locali della causa imperiale, e conseguì per meriti e fedeltà vasti possedimenti, privilegi e - se si presta credito alle narrazioni dei cronisti - persino il fregio di un'investitura cavalleresca assegnata dall'imperatore Federico II di Svevia.
La piena adesione dei Malatesta alla fazione imperiale, che aveva il proprio fulcro nella città di Ravenna, influenzò, senza dubbio, l'orientamento politico di Rimini. A sostegno della politica imperiale il M., di concerto con i Parcitadi, i Perleoni e altri influenti esponenti del Comune riminese, promosse nel maggio 1230 la formazione di una lega con le città di Ravenna, Forlì e Faenza.
Il prestigio raggiunto nella città consentì al M. di svolgere, in altre occasioni, la delicata attività di raccordo e di mediazione con personaggi e ambienti che esulavano dal ristretto contesto riminese. Il 12 dic. 1229 presenziò alla sentenza arbitrale che ristabiliva la pace tra i Bernardini e i Bandoni, sostenuti dai Riminesi, e il Comune di Pesaro. Nel giugno dell'anno successivo dominus M. fu presentato come garante dai Cesenati che, per sottrarsi alla confisca coatta dei loro possedimenti in territorio riminese, garantivano di rifondere i danni da essi arrecati agli ambasciatori di Rimini.
Nel frattempo il dominio personale del M. si ampliava: in un documento del 1221 compare come confinante di un terreno posto nella pieve di S. Erasmo a Misano e il 30 sett. 1233 Zanzo de Bonomolis e Pietro, consoli del Comune di Roncofreddo, si dichiaravano castaldi del M., giurando di sostenere il Comune di Rimini nella guerra contro Urbino. La scalata al potere approdò, infine, alla podesteria di Rimini, assunta dal M. nel 1239, forse primo fra i nobili concittadini a ottenere il prestigioso incarico.
Chiamato nuovamente alla guida del Comune di Rimini nel 1247, il M. risulta morto nel novembre 1248 quando, con ogni probabilità, la gestione della sua eredità paterna fu assunta dai figli, sui quali si hanno poche notizie.
Una figlia, di nome Emilia, è menzionata ormai morta nel testamento del fratello Malatesta (V), redatto nel 1311. Altrettanto nebulose le notizie sui figli maschi: al M. - asserisce Battagli (p. 28) - "successerunt in hereditate Guido et Malatesta. Guido iuvenis moritur; Malatesta remansit". Sconosciuta, tuttavia, l'identità di Guido, morto prematuramente, mentre fu poi Malatesta detto da Verucchio a consacrare la supremazia del casato a Rimini.
Fonti e Bibl.: M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVI, 3, pp. 27 s., 74 s.; Cronaca malatestiana del secolo XIV (aa. 1295-1385), a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 3 s.; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 141-146; Giovanni Bertoldi da Serravalle, Translatio et comentum totius libri Dantis Aldigherii(, Prato 1891, p. 332; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 457-462; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel sec. XIII, Rimini 1862, pp. 15, 71, 85, 87, 115, 207, 210 s., 242, 407-412, 472, 475 s.; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 26-31, 40 s.; Verucchio e i Malatesti, a cura di C. Curradi - G.L. Masetti Zannini - E. Pruccoli, Verucchio 1983, pp. 9, 13, 29, 36, 57, 61, 77; C. Curradi, I Malatesti. Origine e affermazione della signoria, in Storia illustrata di Rimini, a cura di P. Meldini - A. Turchini, 10, Milano 1989, pp. 145-151; Id., Alle origini dei Malatesti, in Romagna arte e storia, XLVIII (1996), pp. 20-22, 27 s., 30-34; S. Pari, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, pp. 31-58; Id., Le donne delle origini, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 29-38.