MALATESTA
Dinastia di stampatori, attiva a Milano dalla fine del XVI sino a tutto il XVIII secolo. L'arte tipografica fu tramandata di padre in figlio, e fino a tutto il secolo XVII i contitolari dell'impresa si susseguirono numerosi (padre e figli, oppure fratelli con fratelli, ovvero fratelli che svolgevano l'attività più o meno indipendentemente tra loro), cosicché risultano talvolta disagevoli l'individuazione dei rapporti di parentela e la distinzione delle omonimie.
L'albero genealogico della famiglia, conservato presso l'Archivio storico civico di Milano, è stato pubblicato, con le necessarie integrazioni, da Caterina Santoro (1965, p. 334). Ulteriori aggiunte nella serie dei componenti della dinastia sono state effettuate alla luce delle più recenti acquisizioni.
Sono emersi Francesco, che risulta con il titolo di stampatore regio camerale in una Relazione fedelissima del 1629; gli eredi di Antonio, attivi a partire dal 1676; Giuseppe Pandolfo, fratello di Carlo Antonio, attivo dagli ultimi anni del Seicento fino, almeno, al 1722; Pietro Francesco, la cui attività si colloca presumibilmente tra il 1739 e il 1752. Le relazioni di parentela di Francesco e di Pietro Francesco rimangono ancora da precisare.
Il capostipite della dinastia fu Pandolfo, di Marco Antonio, nato a Milano intorno alla metà del XVI secolo, che cominciò a sottoscrivere le edizioni uscite dai propri torchi dal 1594. La sua officina tipografica aveva sede in Porta Nuova, nella parrocchia di S. Protaso ad Monachos (dove operava anche il concorrente G.B. Bidelli), almeno fino al trasferimento dei torchi nelle sale del Palazzo ducale. Era titolare di due botteghe di libraio nella contrada di S. Margherita e in quella dei Cimatori. La produzione degli esordi fu caratterizzata da numerose operette popolari, come canzoni, frottole, indovinelli, villanelle, zingaresche. A titolo di esempio si può citare la Frotola nova (s.d.), oggetto delle attente ricognizioni editoriali e storico-filologiche di E. Barbieri (pp. 75 s.). Si deve a Pandolfo la più antica edizione de Le sottilissime astuzie di Bertoldo, di G.C. Croce, con imprimatur del 22 ott. 1606, se si esclude una precedente bolognese (o veronese) del 1605, di cui non è stato finora reperito alcun esemplare (Campioni). In circa trent'anni di attività i suoi titoli superarono i centocinquanta, senza contare ristampe e riedizioni. Oltre alla consueta produzione di carattere religioso, storico, grammaticale, letterario, assume un particolare rilievo la stampa di opere di contenuto tecnico (in campo civile e militare), di cui non deve sfuggire il collegamento con la riflessione politico-filosofica, come dimostra per esempio il sottotitolo dell'opera di A. Calderini, Modo d'usar il bossolo per pigliar piante de luoghi ( Aggiunta alla seconda parte della Ragion di Stato di G. Botero (a instanza di P.M. Locarni e G. Bordone, 1598). Al 1599 risale la stampa della prima edizione in lingua spagnola: F. Balbi, Sonetos ( dedicados a la s.c.r. magestad de la reyna de España ( Margarita de Austria(, di chiara impronta encomiastica.
La copiosa produzione di grida, statuti, regolamenti, manifesti, bandi, che caratterizza l'attività dei M., ha ottenuto una famosa consacrazione letteraria grazie ad Alessandro Manzoni, il quale cita alcune grida all'interno del primo capitolo dei Promessi sposi, menzionando oltre a Pandolfo anche il primogenito Marco Tullio.
Il 3 febbr. 1603 Filippo III di Spagna concesse a entrambi l'ambito privilegio della stampa e della vendita di grida, bandi, editti, ordini, emanati dall'autorità del governo e della Camera ducale. Nella richiesta al governatore i M. poterono vantare, oltre alla qualità della loro attrezzatura tipografica, anche molti anni di fedele servizio nei confronti dei rappresentanti della Corona. Il privilegio ebbe la durata di quindici anni: il 30 marzo 1618 Pandolfo e Marco Tullio ne ottennero il rinnovo per un altro quindicennio con facoltà di trasmissione ereditaria. Sotto questo punto di vista, i M. furono i continuatori dell'attività dei tipografi Da Ponte, i quali nel secolo precedente avevano usufruito del medesimo privilegio per oltre dieci lustri. In verità, Pandolfo operò in società con gli eredi di Paolo Gottardo Da Ponte, come testimoniano due manifesti in formato atlantico: il bando Tanto è hormai in questo Stato(, emanato il 23 ag. 1599 contro "banditi, assassini e altri facinorosi", e il decreto di amnistia Declarationes ad decretum gratiosum(, del 1( luglio 1600. Pandolfo, inoltre, in varie edizioni adottò la medesima marca utilizzata da Giovanni Battista, Pacifico e Paolo Gottardo Da Ponte: un ovale con il motto "Dominus fortitudo mea", entro il quale una figura muliebre in abito classico regge con la destra una colonna spezzata. Comune alle due tipografie fu pure un'altra impresa, raffigurante la Fortuna su un delfino, con una vela spiegata e il motto "Nihil sine me" racchiuso in un cerchio. Essa compare per esempio nel frontespizio del dialogo di E. Puteanus (H. van der Putte), Il noniano, impresso da Pandolfo nel 1603. Il titolo di stampatori regi camerali passò dai Da Ponte ai M. quando i primi assunsero quello di stampatori arcivescovili.
Le fonti catalografiche attestano il nome di Pandolfo sino al 1626, anno al quale verosimilmente risale la morte.
Marco Tullio operò anche insieme con il figlio Giovanni Battista, nato dal matrimonio con B. Bianchi. In particolare i deputati della Veneranda Fabbrica del duomo fecero stampare a loro tutto il materiale pertinente alla fabbrica, come i vari mandati di pagamento emessi tra il 26 apr. 1619 e il 10 luglio 1624. Essi curarono la pubblicazione di tutti i regolamenti, gli ordini, i capitolati per gli impresari, le affissioni per l'affitto delle possessioni o per il pubblico incanto delle opere della cattedrale (Bonomelli). Le ultime edizioni in cui è possibile riscontrare il nome di Marco Tullio risalgono al 1618; il termine ante quem della sua morte è il novembre 1631, quando risulta defunto in un rogito notarile pubblicato in Santoro, 1965 (p. 331).
Si può attribuire con certezza a Pandolfo un altro figlio, Melchiorre.
Rimane, invece, semplice ipotesi, per quanto verosimile, la sua paternità nei confronti di Carlo Antonio, attivo tra il secondo e il terzo decennio del secolo (da non confondere con il Carlo Antonio operante nell'ultimo ventennio, probabilmente suo nipote).
Nato nei primi anni del secolo XVII, Melchiorre risulta, non ancora maggiorenne, proprietario di beni terrieri, a conferma del successo economico dell'azienda paterna. Sposò Clemenza Mantegazzi, erede testamentaria di G. Fontana, magistrato al servizio del governo spagnolo. Il 6 sett. 1622 il vicario di Provvisione G.B. Brivio propose di dotare la città di una collana storica ufficiale e la tipografia prescelta per la sua realizzazione fu quella dei Malatesta. Melchiorre fissò con il governo cittadino i patti per la stampa, ma morì tra il 1626 e il 1627 senza poter realizzare l'opera.
Furono i figli Gerolamo e Paolo Pandolfo a stampare le Historiae patriae di T. Calco (1627 [colophon: 1628]) e, accorpati in un unico volume, i libri Antiquitatis Vicecomitum di G. Merula, le Duodecim Vicecomitum Mediolani principum vitae di P. Giovio e l'inedita Philippi Mariae Vicecomitis Mediolani( vita di P.C. Decembrio (1630). Si tratta in entrambi i casi di eleganti edizioni in folio impreziosite dalle incisioni di C. Bassano su disegno di G.B. Crespi, detto il Cerano. Il 15 maggio 1628 i due fratelli ottennero dal governatore Gonzalo Fernández de Córdoba l'esclusiva nella stampa e nella vendita delle Historiae milanesi, a patto che si trattasse di prime edizioni. Ciò non fu sufficiente a neutralizzare l'agguerrita concorrenza del tipografo G.B. Bidelli, il quale nel 1629 si accinse a pubblicare un'altrettanto elegante edizione, anch'essa in folio e con incisioni di C. Bassano, che comprendeva l'inedito De bello Mussiano di G. Capella e le Historiae Cisalpinae del Puteanus. I M., al fine di mantenere la privativa, si accordarono con il Bidelli e sottrassero dal mercato tutte le copie dell'edizione.
I figli di Marco Tullio, Giovanni Battista e Giulio Cesare, operarono sia in società sia per proprio conto. Il 13 sett. 1635 ricevettero la conferma del privilegio paterno per la durata di dieci anni. Il 16 marzo 1638 riuscirono a ottenere un importante ampliamento della privativa, non più limitata alla stampa e alla vendita dei decreti e delle grida spettanti alla Camera e al Governo, ma estesa anche alle diverse scritture di carattere governativo e militare: relazioni di vittorie, capitolazioni di pace o di tregua e simili, anche in forma poetica. Risale al 6 ott. 1638 il contenzioso con lo stampatore milanese G. Rolla, accusato di avere stampato a Loano (territorio sotto la giurisdizione di Genova) una non meglio identificata "relationem depredationis terrae Ceriarii in ora maritima Ligurum a Pyratis factam die 2 Iulii proxime praeteriti", come si legge nel documento segnalato da Santoro (1965, p. 344). Nonostante il Rolla adducesse a propria difesa il fatto che la sua relazione concerneva uno Stato straniero, il Senato comminò al trasgressore una multa di 50 scudi d'oro con l'ingiunzione che tutte le copie già stampate fossero rilasciate gratuitamente a Giovanni Battista. Il 15 maggio 1650 questo privilegio estensivo fu ratificato da Filippo IV e riconfermato a vita il 13 luglio 1654 con facoltà di successione ereditaria.
L'ultima opera sottoscritta da Giovanni Battista risale al 1650. Il termine ante quem della sua morte è il 1654, anno in cui compaiono le prime edizioni sottoscritte dagli eredi.
Il solo Giulio Cesare risulta beneficiario del privilegio, ottenuto il 16 giugno 1663, che prevedeva un'ulteriore estensione della privativa di stampa a tutte le sentenze dei tribunali e di tutte le ordinanze degli uffici regi. La corporazione degli stampatori milanesi ricorse invano presso il Senato per opporsi al preoccupante regime di monopolio, sempre più ampio e consolidato, ma il 17 nov. 1664 il privilegio, nonostante le proteste, fu confermato. La morte di Giulio Cesare risale probabilmente al medesimo anno.
Le acquisizioni catalografiche successive alle indagini di Caterina Santoro consentono di correggere gli estremi cronologici relativi ad Antonio, figlio di Giovanni Battista, e di individuare l'esistenza di eredi, nati dal matrimonio con Angelica Alberti. La data di inizio della sua attività è da anticipare almeno al 1647, anno della pubblicazione dell'Almanacco del gran pescatore di Seravalle, che costò ad Antonio l'accusa di plagio e di concorrenza sleale da parte dei tipografi L. e G. Monza, stampatori del quasi omonimo Almanacco del gran pescatore di Chiaravalle. La vicenda e le implicazioni legali del contenzioso furono analizzate da un giurista contemporaneo, F.A. Tranchedini. Le edizioni di Antonio privilegiano contenuti devozionali, teologici ed edificanti piuttosto che letterari e storici. Morì prima del 1676, data alla quale risale la prima sottoscrizione a nome dei suoi eredi (senza indicazione dei nomi) nel colophon del Fasciculum sacrarum [(] precationum di L. De Blois.
Figlio di Giulio Cesare fu Marco Antonio Pandolfo, unico titolare dei privilegi ottenuti dal padre. Egli riuscì a difendere l'ormai secolare monopolio familiare contro una concorrenza sempre più agguerrita e decisa a trasgredire le soffocanti limitazioni imposte dal regime dei privilegi. Nel 1667 non esitò a ricorrere al Senato contro gli stampatori che avevano infranto le privative. Il 26 marzo il governo inasprì le pene pecuniarie e corporali contro i trasgressori. Nel novembre 1673 e nell'ottobre 1687 i privilegi furono confermati e garantiti anche per l'eventuale primogenito, con l'estensione a tutte le opere riguardanti guerra, assedi, conflitti, espugnazioni di fortezze e materie analoghe. La privativa riguardava anche i disegni intagliati, che spesso accompagnavano questo genere di edizioni: essa fu contestata a più riprese, ma il 9 apr. 1693 fu confermata. Marco Antonio Pandolfo morì, senza figli maschi, il 28 marzo 1719. La sua scomparsa interruppe la discendenza diretta.
Nel testamento del 1715 aveva nominato erede il nipote Giuseppe, nato nel 1694 dal matrimonio della figlia Angiola Maria e dell'ingegnere camerale F.M. Richini, con l'obbligo di aggiungere il cognome Malatesta al proprio. Pochi giorni dopo la morte del nonno, Giuseppe Richini Malatesta ottenne, senza alcuna difficoltà, la conferma ufficiale dei diritti e dei privilegi di regio stampatore camerale. Egli fu chiamato a collaborare all'impresa tipografica della Società Palatina, costituitasi il 15 dic. 1721. Dall'analisi della corrispondenza tra il principe W. von Kaunitz e il conte C.G. di Firmian, ministro plenipotenziario a Milano, negli anni tra il 1771 e il 1782, emerge, tuttavia, l'insoddisfazione del governo nei confronti dell'attività tipografica del Richini Malatesta, ritenuta inadeguata rispetto ai gloriosi precedenti della Società Palatina (Donà, 1976, pp. 251 s.). Oltre alla consueta produzione di bandi, editti e decreti, egli stampò, almeno fino al 1760, un numero rilevante di libretti d'opera, in occasione delle rappresentazioni presso il Regio ducal teatro. Sembra mancare dalla sua produzione qualsiasi edizione dei migliori autori dell'Illuminismo lombardo.
Morì il 1( sett. 1793, all'età di novantanove anni.
I repertori catalografici relativi alla produzione del XIX secolo attestano che la ragione sociale Malatesta ricompare sui frontespizi di una cinquantina di edizioni stampate dal 1806 al 1858 attraverso passaggi di proprietà, che restano ancora da chiarire.
La tipografia Malatesta è stata definita "the voice of the Government" (Cavagna, p. 211), e le ragioni della sua innegabile e longeva fortuna sono facilmente individuabili proprio nello stretto rapporto con le autorità governative, delle quali i M. seppero interpretare con fedeltà e solerzia le esigenze. La condizione di rigido monopolio nel quale fu concesso ai M. di operare era naturalmente funzionale alle necessità di controllo ideologico, in tutte le forme nelle quali esso si espresse: sovrabbondante produzione di manifesti, grida, statuti e regolamenti; notevole richiesta di edizioni in lingua spagnola; incremento della circolazione di avvisi a stampa e gazzette a stampa.
Il fondo Gridari della Biblioteca nazionale Braidense di Milano, che raccoglie oltre ventimila tra avvisi, editti, grida, istruzioni, leggi diverse su specifiche materie (il dazio, il tabacco, le imposte, gli approvvigionamenti, i militari, la magistratura), è dominato dalla massiccia presenza di materiali usciti dai torchi dei Malatesta. Numerosi riscontri sono anche nell'ampia raccolta di statuti, consuetudini, leggi, decreti conservati presso la Biblioteca del Senato della Repubblica italiana. A titolo esemplificativo si può citare il Gridario generale dello Stato ( dall'anno 1633 all'anno 1656 (s.d.), seguito dal Gridario generale delle gride, bandi, ordini, editti, provisioni, pramatiche, decreti et altro ( dall'anno 1656 sino al 1686 (1688).
Nella Lombardia occupata dalla Spagna sin dal 1535, editori e stampatori non poterono ignorare le esigenze professionali e culturali di migliaia di soldati spagnoli, ormai stanziati stabilmente nella regione, così come degli ufficiali del governo, dei diplomatici, dei cortigiani e delle loro famiglie. Cavagna individua tre tipi di autori, le cui opere erano indirizzate ad altrettanti differenziati gruppi di lettori e riprodotte da diversi tipi di stampatori: se da un lato i Bidelli dominarono il mercato delle opere di M. de Cervantes, F.L. de Vega, B. Gracián, P. Calderón de la Barca, J.A. de Vera y Figueroa, la produzione in castigliano dei M., di oltre un centinaio di opere, si situa in gran parte nella categoria delle opere encomiastiche e dei panegirici graditi al governo (oltre un terzo del totale). Maggiore interesse rivestono i trattati tecnici relativi ad artiglieria, balistica, fortificazioni, tecniche di assedio, che trovavano un humus favorevole anche nell'ambito della trattatistica sulla ragion di Stato. Si può citare a tale proposito il Discurso en que trata de la artillería, uscito nel 1611 dai torchi di Marco Tullio e composto da C. Lechuga, vero esperto della disciplina.
Gli avvisi a stampa, brevi relazioni monografiche su eventi, reali o immaginari, di carattere politico-militare, encomiastico, taumaturgico, profetico o semplicemente relativi ad avvenimenti di cronaca particolarmente eclatanti, rappresentano all'interno dell'attività dei M. una produzione davvero cospicua. Uscirono numerosi dai loro torchi gli agili libelli dalle tipiche intitolazioni Lettera, Ragguaglio, Relatione, Copia di una lettera e simili. A titolo esemplificativo: Relazione dell'arrivo del principe d'Inghilterra alla corte di Spagna e delle carezze fatteli dalla maestà cattolica( (Pandolfo Malatesta, 1623).
L'analisi bibliologica delle iniziali figurate della più antica gazzetta milanese a stampa pervenuta, conservata presso la Biblioteca apostolica Vaticana e risalente al 28 nov. 1640, ha consentito di attribuire la pubblicazione delle gazzette ai fratelli Giulio Cesare e Giovanni Battista (Bellettini, p. 472), nonostante le gazzette milanesi, pubblicate a partire dagli anni Quaranta, non presentino note tipografiche almeno sino al gennaio 1672 (allorché compare la sottoscrizione: "Marc'Antonio Pandolfo Malatesta stampatore Reg. Cam."). Nonostante gazzette e avvisi rappresentino due generi editoriali notevolmente differenziati, entrambi si possono considerare strumenti di propaganda ideologica dei quali le autorità governative avevano compreso appieno la portata, e perciò il loro affidamento agli stampatori camerali rientra in un disegno teso al controllo delle reti di comunicazione quali componenti strategiche dello Stato moderno.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca nazionale Braidense, Gridari. Catalogo cronologico con indice alfabetico per soggetti, a cura di G. Baretta, (dattiloscritto), passim; F.A. Tranchedini, Consultationum variarum iuris utriusque in foro ecclesiastico et seculari, Mediolani 1681, pp. 7-9; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Florence 1905, pp. 220 s.; A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di S.S. Nigro, Milano 2002, cap. I, paragrafo 23; E. Motta, Briciole bibliografiche, Como 1893, pp. 36 s.; G. Petraglione, Un'edizione ufficiale di storici milanesi, in Arch. stor. lombardo, XXXII (1905), 1, pp. 173-175, 178; A. Bertarelli - A. Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici. 1630-1875, Milano 1927, p. 104; C. Santoro, Gli storiografi della città di Milano, in Milano. Riv. mensile del Comune di Milano, XLV (1929), pp. 600 s.; E. Toda y Güell, Bibliografia espanyola d'Italia: dels origens de la imprempta fins a l'any 1900, V, Barcelona 1931, ad ind.; A.F. Gasparinetti, Un ricorso degli stampatori al Senato di Milano, Milano 1956, pp. 18-20; Catalogo della raccolta di statuti, consuetudini, leggi, decreti, ordini e privilegi dei Comuni, delle associazioni e degli enti locali italiani dal Medioevo alla fine del secolo XVIII, a cura di C. Chelazzi, IV, Roma 1958, pp. 281-345; C. Santoro, L'arte della stampa a Milano, Milano 1960, passim; M. Donà, La stampa musicale a Milano fino all'anno 1700, Firenze 1961, p. 40; C. Santoro, Tipografi milanesi del secolo XVII, in La Bibliofilia, LXVII (1965), pp. 304 s., 310 s., 325-335, 344; T. Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento, Roma 1967, pp. 110 s., 124; F.M. Pranzo, L'arte della stampa a Milano, Milano 1967, pp. 49 s., 57; M. Donà, La tipografia milanese Malatesta nel sec. XVIII e la politica culturale austriaca in Lombardia, in Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco Barberi, Roma 1976, pp. 249-262; Bibliografia delle edizioni giuridiche antiche in lingua italiana, Firenze 1978, ad ind.; L. Cairo - P. Quilici, Biblioteca teatrale dal '500 al '700, Roma 1981, pp. 84, 556 s.; F. Barberi, Il libro italiano del Seicento, Roma 1985, pp. 6, 13, 16, 22, 52, 57; Catalogue of seventeenth century Italian books in the British Library, London 1986, ad ind.; S. Bulgarelli - T. Bulgarelli, Il giornalismo a Roma nel Seicento. Avvisi a stampa e periodici italiani conservati nelle biblioteche romane, Roma 1988, ad ind.; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del Cinquecento in Italia, Firenze 1989, p. 164; Catalogo dei libri italiani dell'Ottocento (CLIO), IX, Milano 1991, pp. 7463 s.; Clavis typographorum librariorumque saeculi sedecimi, Aureliae Aquensis 1992, p. 399; E. Sandal, I centri editoriali della Lombardia, in La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, 1989, a cura di M. Santoro, I, Roma 1992, pp. 296, 300; G. Baretta, Tra i fondi della Biblioteca Braidense, Milano 1993, p. 56; The Italian book 1465-1800: studies presented to D.E. Rhodes, a cura di D.V. Reidy, London 1993, pp. 301, 314; M. Santoro, Storia del libro italiano, Milano 1994, pp. 4, 130, 158, 185; E. Barbieri, La Frotola nova già attribuita ai torchi di Aldo Manuzio, in Libri, tipografi, biblioteche. Ricerche storiche dedicate a Luigi Balsamo, I, Firenze 1997, pp. 75 s., 103; R. Campioni, Una fatica improba: la bibliografia delle opere di G.C. Croce, ibid., II, pp. 404-406; A.G. Cavagna, Printing and publishing in seventeenth-century Lombardy, in Gutenberg Jahrbuch, LXXIII (1998), pp. 209-211, 214; P. Bellettini, Le più antiche gazzette a stampa di Milano (1640) e di Bologna (1642), in Anatomie bibliologiche. Saggi di storia del libro per il centenario de "La Bibliofilia", a cura di L. Balsamo - P. Bellettini, Firenze 1999, pp. 472 s., 486; R.L. Bruni - D.W. Evans, Seicentine italiane nella National Library of Scotland, ibid., pp. 454 s.; F. Novati, Scritti sull'editoria popolare nell'Italia di Antico Regime, a cura di E. Barberi - A. Brambilla, Roma 2004, p. 114; M. Bonomelli, Cartai, tipografi e incisori delle opere di Federico Borromeo, Roma 2004, pp. 70-72.
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