MALATESTA
. Vecchi narratori fecero credere che la famiglia Malatesta fosse di antica stirpe romana, emigrata tra Romagna e Toscana ai confini della Massa Trabaria, dove possedette due tenimenti, l'uno all'altro contiguo, uno detto i Billi, in sito superiore, l'altro detto la Penna, dal quale la famiglia fu chiamata Malatesta della Penna. Malatesta sarebbe stato il soprannome del capostipite.
La prima menzione storica della famiglia si riferisce a un Malatesta, che il 24 settembre 1136 acquistò da tal Ugo di Monaldone quanto questi possedeva "tra il Marecchia e il Rubicone e dal mare al castello di Sogliano". Ricco proprietario terriero dunque, che questi beni aggiungeva a quelli aviti del Montefeltro. Un Gianni, figlio di Malatesta, insieme col nipote Malatesta della Penna e con i Verucchiesi giurano nel dicembre del 1197 fedeltà ai consoli di Rimini e nel 1216 sono ambedue fatti là cittadini.
A questo tempo, la famiglia è già distinta in due ramì, in M. da Sogliano e M. da Verucchio, denominati così dalle terre dove essi abitavano o avevano il più dei rispettivi patrimonî. La distinzione denota già divisione, se non pure contrasto d'interessi. Attratti dalla vita cittadina e dalle lotte o costretti a giurare "seguimentum" del comune, come altri del contado, presero casa in Rimini, dove presto ebbero anche largo parentado e numerosa clientela.
Già nel 1239 Malatesta da Verucchio (Giovanni suo fratello fu detto di Sogliano), essendo da qualche anno vigoroso e temuto capo di parte guelfa, "il Mastin vecchio" di Dante, fu fatto podestà di Rimini; e invano la parte ghibellina, capitanata da Ugolino de' Parcitadi e da Enrighetto de' Pandolfini, vicario imperiale in Romagna, tentò di scrollarne la potenza.
La lotta ebbe una tregua, quando Malatesta, "il Mastin nuovo", figlio del precedente, sposò Concordia, figlia di Enrighetto de' Pandolfini e di una Parcitadi (1247-48).
Durante la riscossa della parte ghibellina, prima con Corrado IV e poi con Manfredi, Malatesta II da Verucchio si trovò con la sua parte espulso da Rimini; ma nell'ottobre 1265 poté farvi ritorno, auspice il cardinale legato Simone de' Paltinieri, del quale, rimasto vedovo di Concordia, sposò la nipote Margherita de' Paltinieri da Monselice. Nel 1271 difende di contro al ghibellino Guido di Montefeltro la Marca d'Ancona, e vince e fa prigioniero l'avversario nella battaglia di Monte Loro. Ma, liberato Guido dal carcere, Malatesta è battuto a San Procolo (1275). Le lotte tra guelfi e ghibellini non quietarono neanche quando Rodolfo d'Asburgo, re di Germania, rinunciò ai presunti diritti dell'impero sulla Romagna (1278). In quell'occasione, M. da Verucchio e altri capi guelfi intrapresero un viaggio sino a Roma, per fare atto di sottomissione alla S. Sede e offrire le proprie forze. E in realtà, se non furono sempre ad essa fedeli, bene spesso l'aiutarono nella restaurazione del dominio temporale. Malatesta sopravvisse alla terribile tragedia domestica, che funestò la sua casa nel 1283 o 1284, quando Gianciotto lo Sciancato, suo figlio, uccise la moglie Francesca da Polenta e con lei il proprio fratello Paolo, rei di adulterio. Sino al 1295, Malatesta dovette ancora lottare con i Parcitadi e altri avversarî di Romagna; ma più di lui forse operarono i figli Gianciotto e Malatestino, con piena fortuna. Da allora si può dire che la signoria dei M. su Rimini e altre terre di Romagna e delle Marche si sia affermata nonostante qualche ritorno offensivo degli avversarî. M. morì nel 1312 e Gianciotto nel 1304.
Malatestino "dall'occhio", il primogenito, che gli successe, tenne per sé il governo di Rimini, affidò quello di Cesena al nipote Uberto, conte di Ghiaggiuolo, figlio di Paolo e di Orabile, contessa di Ghiaggiuolo, e al fratellastro Pandolfo commise le città di Pesaro, Fano e Senigallia.
Il governo di Malatestino ebbe mediocre fortuna: Uberto e Pandolfo non seppero difendere dai nemici le terre avite; si accentuò il contrasto con i M. di Sogliano, alleati con la parte ghibellina. Tuttavia, avuti aiuti da Roberto d'Angiò, re di Napoli, capo di parte guelfa in Italia, Malatestino poté nel 1312 espugnare e distruggere il castello di Sogliano. Aiutò poi, alla sua volta, Roberto nella difesa di Firenze contro Enrico VII di Lussemburgo. Morì il 14 ottobre 1317 e l'unico figlio di lui Ferrandino, ancora giovanissimo, dovette condividere il governo con lo zio Pandolfo. Con la lotta di Ludovico il Bavaro e Giovanni XXII si rinnova la guerra anche in Romagna e nelle Marche; Pandolfo è col papa; i conti di Montefeltro con la parte ghibellina. Ad essi aderisce anche Uberto Malatesta, conte di Ghiaggiuolo, che mira a farsi signore di Rimini. Pandolfo debella questo e quelli; per questa benemerenza, il papa (giugno 1324) fece conferire a lui e alla sua famiglia il cavalierato.
A Pandolfo, morto nell'aprile 1326, successe il nipote Ferrandino, che continuò in certo modo la politica guelfa. Avendo Ramberto, figlio di Gianciotto lo Sciancato, fatto un colpo di mano in Rimini, Ferrandino con l'aiuto di Malatesta III, figlio di Pandolfo, lo mise in fuga oltre Sant'Arcangelo. Quando contro il Bavaro scese in Italia il cardinale Bertrando del Poggetto, anche Rimini dovette porsi alle sue dipendenze. Ferrandino in verità cercò di opporsi; ma Malatesta II, suo cugino, che era al governo di Pesaro, aiutò il legato a ottenere il suo intento: Ferrandino fu esiliato (1331) e non poté rientrare in Rimini che dopo la sconfitta inflitta a Bertrando del Poggetto sotto le mura di Ferrara (14 aprile 1333), per essere nuovamente spodestato l'anno appresso dai cugini Malatesta II e Galeotto, che, fatti prigionieri a Ferrara, incautamente egli aveva concorso a liberare. L'usurpazione ebbe la sanzione popolare: a Malatesta II e a Galeotto fu non solo concesso, vita natural durante, il "dominio" e la "defensoria" della città e del distretto di Rimini, ma anche la facoltà di non essere legati all'osservanza di qualsiasi statuto e ordinamento del comune di Rimini.
Conformemente a ciò, gli statuti di Rimini subirono, il 26 novembre 1334, una generale riforma, rivolta. a lasciare libera via all'ordinamento signorile. L'anno appresso, ad esempio, l'elezione del podestà venne rimessa all'arbitrio dei Malatesta. Tutto questo avveniva, a quanto pare, senza consultare la S. Sede, alta signora di quelle terre. Di qui moniti, che da Roma vennero ai Malatesta e al comune di Rimini (maggio-giugno 1355), moniti che non trovarono ascolto; la S. Sede allora favorì le trame d'un nipote di Ferrandino, anche esso di egual nome, dei conti di Montefeltro, a cui si aggiunsero successivamente i Perugini, allarmati dalle fortune dei due Malatesta, e Ubertino da Carrara, signore di Padova, parente di Ferrandino. Fu guerra aspra durata quasi dieci anni. I M., per sostenersi, si appoggiarono alla parte ghibellina, aderirono alla causa dello scomunicato Ludovico il Bavaro, ottenendone nel 1341 l'investitura di Fano, Pesaro e Rimini, finalmente si riconciliarono con la S. Sede (pace d'Urbino, 25 maggio 1343), di cui si riconobbero vassalli.
Per sanare i debiti del comune e migliorare le condizioni del dominio i Malatesta deliberarono la rinnovazione del catasto, a cui furono soggetti anche i beni familiari dei preti. Nel 1348-49, approfittando dei disordini dello Stato della Chiesa, Malatesta e Galeotto ripresero la politica di conquista: tolsero a Ferrandino la sola terra che gli era rimasta, cioè Mondaino, occuparono successivamente le varie città e terre della Marca d'Ancona sino ad Ascoli. Ma la venuta del cardinale Egidio d'Albornoz li costrinse alla fine a stare paghi delle terre possedute avanti il 1346, di cui ebbero per dieci anni l'investitura (8 luglio 1355): investitura prorogata nel 1363 per altri dieci anni da papa Urbano V, dopo gli aiuti dati da loro dopo il '55 al legato pontificio, per sottomettere le altre terre di Romagna.
A Malatesta II, morto nel 1364, successero i figli Malatesta Ungaro e Pandolfo, che governarono le terre di Romagna e della Marca d'Ancona insieme con lo zio Galeotto, che loro sopravvisse. Pandolfo è il capostipite dei Malatesta di Pesaro, che ebbero da prima anche Fossombrone, poi loro strappata dai Malatesta di Rimini. Questo Pandolfo (morto nel 1372) fu padre di Malatesta (morto nel 1429), da cui vennero Carlo, Galeazzo e Pandolfo. Galeazzo restò solo signore. Impossibilitato a resistere alla pressione di Rimini e di Fano, cedette il dominio a Francesco Sforza, il futuro duca di Milano (1445). Seguirono i figli di Galeotto, Carlo, Pandolfo, Andrea Malatesta e Galeotto Belfiore: il primo, con Rimini e contado; il secondo, con Fano e il vicariato di Mondaino; il terzo, con Cesena e parte del contado, più Roncofreddo e Fossombrone; il quarto, con Cervia, Meldola, Borgo San Sepolcro, la pieve di Sestino, Sasso Feltrio e Montefiore, tutti quali vicarî temporali della S. Sede. La necessità di assicurarsi, nelle dure vicende dello scisma e nel disordine dello stato pontificio, l'aiuto di questi valenti signori, indusse Bonifacio IX a largire loro l'investitura perpetua delle terre, che rispettivamente tenevano, finché non fossero venuti a mancare legittimi eredi e successori (26 gennaio 1392).
Galeotto morì presto e le sue terre furono spartite tra i fratelli; Malatesta militò sotto Ladislao, re di Napoli, e contribuì al rafforzamento della signoria paterna (morto nel 1417). Pandolfo fu valente condottiero di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, e alla morte di questo, nel disordine dello stato visconteo, acquistò successivamente il dominio di Brescia (1404) e di Bergamo (1408), a cui dovette rinunciare tra il 1420 e il 1421, costrettovi dalle armi di Filippo Maria Visconti. Morì nel 1427, lasciando eredi del dominio i figli naturali Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico detto poi Malatesta Novello, legittimati da Martino V. Carlo sopravvisse ancora due anni al fratello Pandolfo e fu valente signore, condottiero dell'esercito della Chiesa e di Gian Galeazzo Visconti; fu eletto governatore di Milano alla morte di quest'ultimo e valido difensore del dominio malatestiano dalle ostilità dei conti di Montefeltro; ma soprattutto si rese benemerito della Chiesa per l'opera di pace e in favore dell'unità di quella durante lo scisma d'Occidente. Egli stesso porto al concilio di Costanza la formale rinuncia al pontificato di Gregorio XII. Con la morte di Carlo (1429) passarono ai tre figli di suo fratello Pandolfo le terre di lui.
Galeotto Roberto godette poco il retaggio paterno e morì in concetto di santità. Gli altri due suoi fratellastri, Malatesta Novello e Sigismondo Pandolfo, ressero in comune il dominio: ma Sigismondo (v. malatesta, sigismondo pandolfo) fu più intraprendente del fratello, cui toccarono, quando addivennero alla partizione, solo Cesena e Cervia. Malatesta Novello fu mite signore, più amante delle arti della pace che della guerra. Nel favore da lui dato alle arti e alle lettere, emerge, fra ogni altra opera, la Biblioteca Malatestiana di Cesena, ancora oggi conservata. In politica, seguì la parte braccesca e dovette rassegnarsi a dichiarare Cesena devoluta alla S. Sede dopo la sua morte; cedette tuttavia Cervia a Venezia (1463). Morì nel 1465. Lui morto, salvo breve intervallo, i Cesenati passarono sotto il diretto dominio della S. Sede: sorte che sarebbe toccata alla morte di Sigismondo anche ai Riminesi, se Roberto Malatesta (v.) non avesse fatto su Rimini un'audace presa di possesso. Con la morte di costui la sorte della signoria malatestiana, ridotta a poche terre, è ormai segnata, ancorché Sisto IV, memore delle gesta di Roberto, abbia investito del dominio il figlio di lui Pandolfo, perché le fazioni cittadine, la rivalità dei parenti, le difficili condizioni dei tempi resero sempre più difficile la difesa del piccolo stato. A dare a questo l'ultimo colpo sopravvennero l'audacia e la prepotenza di Cesare Borgia. Il breve ritorno di Pandolfo si risolse in una più o meno spontanea rinuncia alla signoria a favore di Venezia. Pandolfo Malatesta accettò un appannaggio nel territorio della repubblica veneta; gli altri Malatesta si rassegnarono, specie dopo la lega di Cambrai, alla dominazione pontificia, trasferendosi parte in Roma, parte altrove.
Fonti: La Marcha di Marco Battagli e Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, nella nuova ediz. dei Rerum Italicarum Scriptores, XIV, iii, e XV, iii, a cura di A. F. Massèra, Bologna 1923, 1925.
Bibl.: C. Clementini, Racconto storico della fondazione di Rimini e dell'origine e vita dei M., Rimini 1617; P. M. Amiani, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751; G. Baldassini, Memorie istoriche... di Jesi, Iesi 1765; Degli Abbati e A. Olivieri, Memorie per la storia della Chiesa pesarese nel sec. XIII, Pesaro 1779; F. G. Battaglini, Mem. st. di Rimini e dei suoi signori, ecc., a cura di G. A. Zanotti, Bologna 1789; L. Tonini, St. civile e sacra di Rimini, voll. 5, Rimini 1860-62; R. Zazzeri, St. di Cesena, Cesena 1891; E. Rossetti, La Romagna, Milano 1894; A. F. Massèra, Note malat., Firenze 1911.