celiaca, malattia
Come si affronta oggi la malattia celiaca
Il quadro clinico di presentazione della malattia celiaca si è modificato rispetto al passato: si è infatti ampliata la classica triade di sintomi (diarrea, dolori addominali, calo ponderale). Circa 1/3 dei celiaci adulti manifesta sintomi aspecifici quali dispepsia, anemia sideropenica, dolori articolari, sterilità, abortività, cefalea. Per ogni caso di celiachia diagnosticato, sette sfuggono alla diagnosi clinica. In Italia la prevalenza della malattia celiaca è di circa 1 caso ogni 180 soggetti. Circa il 10÷15% dei parenti di primo grado asintomatici di celiaci presenta una mucosa intestinale atrofica.
Nei bambini la malattia celiaca è una delle patologie più frequenti; i sintomi si presentano fra il 6° e il 15° mese di vita e l’esordio è spesso tipico, dopo qualche mese dalla somministrazione di alimenti contenenti glutine. Il sintomo più frequente è la diarrea, che può associarsi ad anoressia (13%), dolori addominali, vomito, arresto della crescita o addirittura calo ponderale. Nella forma atipica della malattia (23% dei celiaci) sono prevalenti i sintomi extraintestinali, spesso secondari al malassorbimento dei nutrienti: bassa statura (30%), anemia da carenza di ferro (36%) o di acido folico, rachitismo, osteoporosi, anomalie dello smalto dentario, afte, ritardo puberale, aumento delle transaminasi, alopecia. Circa il 40% dei bambini accusa i sintomi in età precedente il momento della diagnosi.
I test sierologici disponibili sono gli anticorpi antigliadina (AGA), antiendomisio (EMA) e antitransglutaminasi (Ac.antitTG). Questi anticorpi hanno un’alta sensibilità e specificità, però non sufficiente a sostituire la biopsia intestinale eseguita durante l’esofagogastroduodenoscopia, che consente anche di evidenziare i diversi gradi di danno della mucosa intestinale. I soggetti con esami di laboratorio positivi ed esame istologico negativo dovrebbero essere sottoposti alla determinazione genetica HLA per gli alleli DQ2-DQ8, assenti solo in rari casi di celiachia. La positività al test è condizione necessaria ma non sufficiente per la malattia celiaca: infatti essere positivi al DQ2 o al DQ8 non significa essere celiaci, ma la negatività al test ha il significato che quasi sicuramente il soggetto non è affetto dal morbo celiaco.
La risposta alla dieta senza glutine (DSG), al momento l’unica terapia per la celiachia, può essere valutata attraverso la scomparsa dal siero degli anticorpi risultati utili per la diagnosi. Gli anticorpi utilizzati sono quelli appartenenti alla classe delle IgA anti-tTG (positive nel 98% dei celiaci di età sopra ai 2 anni), mentre le IgG permangono spesso positive a lungo nel sangue, come espressione di una memoria anticorpale della malattia. Il titolo anticorpale si riduce in maniera significativa già dopo alcuni mesi di DSG, ma può negativizzarsi anche dopo un anno. La mancata negativizzazione, o diminuzione del titolo anticorpale, deve indurre il gastroenterologo a verificare se il celiaco segue realmente la dieta ed escludere la coesistenza di una patologia autoimmune associata alla celiachia, quale una connettivite, una patologia neurologica idiopatica, una epatopatia cronica; queste patologie possono dar luogo a interferenze immunologiche, con conseguente mancata diminuzione del titolo degli anticorpi anti-tTG. Nel 10% circa dei celiaci gli anticorpi anti-tTG rimangono positivi a basso titolo o su valori border line, pur in presenza di DSG. In questi casi la situazione anticorpale dovrebbe essere confrontata con l’obiettività clinica e gli esami di laboratorio: se sono ritornati alla norma, la persistenza della positività agli anticorpi non è considerata patologica. Quando il paziente dopo DSG presenta ancora una sintomatologia evidente o un quadro bioumorale alterato, è necessario ripetere la biopsia duodenale per verificare lo stato della mucosa ed escludere una malattia infiammatoria intestinale cronica. È senz’altro più allarmante il riscontro della negativizzazione degli anticorpi in associazione a un quadro clinico di malassorbimento intestinale o a sintomi riferibili ad una celiachia scompensata: in questo caso potrebbe esserci il sospetto di una malattia celiaca refrattaria. Quando la malattia esordisce in bambini con età inferiore ai 2 anni, la risposta alla DSG può essere monitorata tramite gli AGA di classe IgA che, secondo recenti studi, sono presenti nel 95% dei bambini celiaci alla diagnosi e scompaiono rapidamente dopo DSG. Nei celiaci con deficit di IgA, il monitoraggio anticorpale dopo la diagnosi è affidato alla ricerca del titolo degli anticorpi anti-tTG di classe IgG. Peraltro il titolo anticorpale tTG delle IgG spesso rimane moderatamente elevato anche nei pazienti con ottima risposta alla dieta: questo perchè la risposta IgG mediata è, come già accennato, espressione di memoria anticorpale.
Al momento della diagnosi i celiaci dovrebbero eseguire un check-up per valutare le eventuali patologie o condizioni associate alla celiachia. In tal senso, sono utili un’ecografia addominale e tiroidea, esami di laboratorio per la funzionalità tiroidea, un breath test al lattosio (associazione con il deficit di lattasi) e al lattulosio (associazione con la contaminazione batterica del tenue) e un breath test al sorbitolo (utile per valutare l’assorbimento intestinale). I test risultati positivi dovrebbero essere ripetuti dopo circa 12 mesi per controllare l’evoluzione della malattia dopo DSG. Attualmente non esiste un test affidabile al 100%, tale da evitare l’indagine endoscopica con la biopsia intestinale per porre con certezza diagnosi di celiachia, e controllare in tutti i casi la risposta alla dieta senza glutine.