MALATTIA (probabilmente astratto da malehabitus "malato"; fr. maladie; sp. enfermedad; ted. Krankheit; ingl. disease)
Occorre delimitare il concetto di "malato", da quello più esteso di "patologico". L'uno non è sinonimo dell'altro. La malattia è una condizione patologica, ma molte condizioni patologiche non sono malattie. Così la mancanza di talune parti dell'organismo, o la loro conformazione anomala, costituiscono "deformità", ma non necessariamente malattie; lo strabismo, la ptosi, le dita soprannumerarie, anomalie del pigmento (come l'albinismo), della crescita (come il nanismo) e una quantità di altre affezioni ereditarie non costituiscono malattie. Lo stesso si deve dire per certe anomalie funzionali o vizî ereditarî come l'alcaptonuria, la pentosuria, il sordomutismo, la miopia, il daltonismo, l'emeralopia, la balbuzie, e infine tutta una serie di deformità o infermità acquisite come postumi di malattie (retrazioni cicatriziali, anchilosi, paralisi, ecc.). In tutte le suddette condizioni anormali, cioè patologiche, nessuna parte dell'organismo è necessariamente sofferente. Certo l'albino esposto ai raggi solari presenta facilmente una dermite o una congiuntivite, il miope che si sforza di leggere risente danno e dolore agli occhi, il mutilato o paralitico di un arto che sovraffatica per compenso l'arto opposto o altre parti del corpo può danneggiarle, ma non necessariamente (e in quel caso l'individuo si ammala). Tutte le condizioni o stati patologici sopra accennati sono rappresentati da deficienze o deviazioni o alterazioni di forma, struttura o funzione, che possono spesso accordarsi con la perfetta, o quasi perfetta salute del restante organismo. La "malattia", invece, presuppone materia vivente in stato di sofferenza (dando a questa parola il preciso significato di "danno" o "patimento", non quello speciale di patimento soggettivamente avvertito, ossia "dolore", tanto è vero che ci sono malattie non avvertite dal paziente). Ogni materia vivente, ogni organismo o parte di un organismo, secondo il suo stato "attuale" può soffrire o meno per effetto di stimoli quantitativamente e qualitativamente diversissimi. Non esistono qualità di stimoli normali e qualità di stimoli patologici. Ogni stimolo può diventare patologico secondo il modo o l'intensità con cui agisce, secondo l'organismo che lo risente. Quando uno stimolo, agendo su un organismo, ne supera i limiti di normale resistenza o tolleranza, l'organismo ne soffre. E siccome la materia vivente ha la proprietà fondamentale di reagire alle cause che di continuo tendono ad alterarla, cercando di annullarle, o di resistere e adattarsi a esse, così quando la causa alterante raggiunge una intensità insolita (sì chiama allora causa o stimolo morboso), l'organismo reagisce con manifestazioni anch'esse d'intensità insolita cioè eccessivamente vivaci e appariscenti. L'insieme di queste insolite manifestazioni dovute all'eccesso dello stimolo e all'eccesso della reazione vitale costituiscono la "malattia". Ma una tale condizione di vita è necessariamente precaria, non può stabilizzarsi. Per ciò appunto la malattia non è mai uno stato, ma un processo patologico, non una condizione statica (come un'infermità, ma dinamica, cioè una successione di fenomeni che presuppone, a breve o a lunga scadenza, un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita, oppure la morte. Questo concetto è intuitivo e noto ab antiquo. Per quel che s'è detto, il quadro del processo morboso, o malattia, comprenderà un complesso di manifestazioni inconsuete riferibili: a) direttamente al danno inflitto dallo stimolo morboso (alterazioni passive); b) alle conseguenti reazioni difensive della materia vivente (alterazioni reattive); c) alle riparazioni o adattamenti che chiudono la scena. Quel tanto di tali manifestazioni patologiche che è percepibile durante la vita dell'individuo costituisce la sintomatologia. In base a quanto si è esposto si può giudicare del valore delle molte definizioni che si sono date del concetto di malattia. Ve ne sono di accettabili come quella che si trova nel Dict. de Méd. di A. Littré (1838), così formulata: "la malattia è una reazione della vita, sia locale, sia generale, sia immediata, sia mediata, contro un ostacolo, un disturbo, una lesione". Le definizioni che non pongono a base del processo morboso il danno "attuale" e la reazione dell'organismo non sono accettabili. Le malattie più tipiche sono quelle in cui appaiono più evidenti questi fenomeni e perciò il migliore esempio di malattia si trova nelle infiammazioni acute, dove offesa e reazione sono evidentissime (p. es., suppurazioni); mentre è poco caratteristica, p. es la malattia da tumori, nella quale il neoplasma anatomicamente considerato non costituisce di per sé la malattia, ma è la causa di una malattia generale o locale in cui la difesa o reazione organica è minima e spesso non dimostrabile.
Dal punto di vista clinico, cioè nello studio delle malattie nel vivente, si considerano: le cause prossime e remote, accertabili mediante la storia clinica o anamnesi; lo stato presente dell'individuo, accertabile col rilievo dei sintomi, cioè con l'esame obiettivo. il decorso della malattia; la diagnosi di sede o di natura e la relativa prognosi; la durata e gli esiti della malattia. Questi sono i principali elementi del cosiddetto quadro nosologico. Da un punto di vista puramente scientifico e generale lo studio dei morbi comprende varie parti. L'etiologia o studio delle cause, che è a base dell'igiene, studia le cause esterne o esogene (di cui le più importanti sono le ultime conosciute, cioè gli agenti viventi delle malattie infettive o parassitarie) e le cause o fattori interni, insiti nell'organismo (tra i quali si considerano soprattutto la disposizione acquisita o ereditata, fisiologica o patologica, e l'immunità acquisita o congenita); un ramo dell'etiologia è l'epidemioloaa, che indaga il modo di diffondersi e propagarsi dei morbi.
L'organismo malato viene studiato con i mezzi comuni di cui dispone qualsiasi ramo della biologia, cioè: durante la vita, attraverso le funzioni (fisiopatologia); dopo morte con l'indagine anatomico-microscopica (anatomia e istologia patologica); inoltre in patologia sono importanti le ricerche etiologiche (batteriologia, ecc.) nel vivente e nel cadavere; con tutti questi mezzi s'indaga e si può conoscere un altro importante elemento delle malattie, la loro patogenesi, cioè il modo con cui agiscono le cause morbose (ad es., diffusione dei germi nell'organismo, produzione di veleni, ecc.) e il meccanismo con cui la malattia si sviluppa e progredisce. Non meno importante è il conoscere come avviene la guarigione spontanea (e molto si è progredito con lo studio dell'immunità acquisita) e come sia possibile procurare artificialmente la guarigione, cioè curare (terapia causale diretta contro l'agente morbigeno e t. sintomatica che cerca di alleviare le manifestazioni morbose).
Le malattie possono essere ordinate e classificate secondo svariatissimi criterî. Il migliore sarebbe quello etiologico, ma troppe volte ci è ignoto; lo stesso si può dire per quello anatomico; perciò si ricorre anche ad altri criterî. P. es., si fa un'importante categoria delle malattie infettive in base al criterio etiologico, e nelle patologie speciali si studiano i mali secondo gli organi o sistemi (p. es., malattie del cuore, dei polmoni, del sistema nervoso, ecc.).