Ricambio, malattie del
Le m. del r. costituiscono un numeroso gruppo di patologie che sono dovute ad alterazioni in diversi distretti del metabolismo. Fra queste, le malattie complesse del metabolismo, come, per es.,obesità e diabete, assumono, all'inizio del 21° sec., particolare rilievo per la gravità, la crescente frequenza e il contributo alla patologia cardiovascolare, giustificando la rapidità con la quale l'orizzonte della conoscenza in questo settore si è ampliata dagli anni Ottanta del 20° secolo. Gli sforzi per comprendere i meccanismi responsabili di queste malattie hanno, infatti, prodotto un'adeguata coscienza del loro significato e promettono strategie di trattamento, prevenzione e cura.
Le malattie croniche del ricambio
L'ultimo ventennio del 20° sec. è stato testimone di una crescita globale nella frequenza di malattie croniche del ricambio. Questo fenomeno è largamente imputabile ai cambiamenti nello stile di vita e al persistere delle modificazioni demografiche del 20° secolo. Inizialmente, lo scenario si è manifestato attraverso un aumento della frequenza del diabete associato a un aumento del peso corporeo. Proiezioni effettuate nella metà degli anni Novanta prefiguravano che la popolazione delle persone colpite dal diabete avrebbe raggiunto i 221 milioni nel 2010. Verso la fine degli anni Novanta divenne evidente la presenza di un''epidemia' mondiale di obesità. Divenne anche evidente che questa epidemia era accompagnata e sottendeva epidemie di altre affezioni croniche del ricambio, fra cui il diabete. La frequenza di tale aggregazione di m. del r. è in aumento in tutte le popolazioni, colpisce fasce di età progressivamente sempre più basse e causa un aumento di malattie cardiovascolari, insufficienza renale e cecità. Alla base di questa patologia si trova una sfavorevole interazione fra ambiente e una costellazione di geni 'frugali' in grado di proteggere efficacemente dalla denutrizione, ma anche di determinare la comparsa di malattie come l'obesità e il diabete nelle condizioni ambientali proprie della vita moderna. I costi economici conseguenti a questa sfavorevole interazione geni-ambiente sono divenuti intollerabili e richiedono azioni improcrastinabili di prevenzione e trattamento, possibili soprattutto attraverso interventi sull'ambiente. La cura di molte malattie croniche del ricambio, cioè la loro definitiva eradicazione dall'individuo che ne è colpito, dovrà invece attendere la comprensione dettagliata dei geni che le sottendono e la tecnologia per intervenire su di essi.
Modificazioni demografiche: cambiamenti nei consumi e nello stile di vita
In gran parte delle aree geografiche la natalità si riduce, l'aspettativa di vita aumenta e la popolazione invecchia. Una delle conseguenze di questi cambiamenti demografici è stata l'aumento della frequenza di malattie croniche. Parallelamente al declino della mortalità infantile e all'aumento dell'aspettativa di vita, infatti, l'esposizione a fattori di rischio per malattie croniche è andata crescendo. Fattori di rischio modificabili per malattie croniche del ricambio come l'obesità, il diabete e le malattie cardiovascolari sono stati identificati con precisione. Lo stile di vita e il comportamento sono i fattori principali che determinano queste malattie e sono in grado di prevenire, iniziare e incidere sulla loro progressione e sulle complicanze loro associate. L'uso del tabacco, l'adozione cronica di regimi nutrizionali insalubri, l'inattività fisica, l'abuso di alcol sono importanti fattori di rischio per l'insorgenza di malattie croniche del ricambio. Dagli anni Quaranta in poi, inoltre, si è verificato un importante processo di urbanizzazione che ha interessato sia i Paesi industrializzati sia quelli in via di sviluppo. Particolarmente in questi ultimi, l'urbanizzazione è stata accompagnata da un aumento senza precedenti nella promozione, nel mercato e nella diffusione di prodotti alimentari e di altri beni di consumo nocivi per la salute. Le industrie alimentari e del tabacco hanno infatti concentrato importanti attività nei Paesi dove la regolamentazione di questi consumi e i programmi di educazione nel settore della salute sono più deboli o inesistenti.
Il diabete e la sindrome metabolica
Nel mondo, circa 200 milioni di individui sono colpiti dal diabete mellito. È una malattia cronica causata dalla deficienza, ereditaria o acquisita, nella produzione pancreatica di insulina e/o dalla inefficacia dell'insulina prodotta (insulino-resistenza). Questi deficit, riconducibili a meccanismi molecolari molto diversi e in larga parte ancora sconosciuti, determinano l'aumento cronico del livello di glucosio nel sangue che, a sua volta, produce danni in numerosi distretti dell'organismo, fra cui i vasi sanguigni e le strutture nervose. Il diabete si presenta in due forme più comuni. Il tipo 1 è causato dalla distruzione, spesso autoimmune, delle cellule β, che, nel pancreas, producono l'insulina. La produzione di insulina, una funzione indispensabile per la vita, viene così resa impossibile. Il tipo 2 consegue invece alla presenza contemporanea di insulino-resistenza e di una secrezione insulinica inadeguata a compensarla. Entrambi i tipi di diabete sono malattie multifattoriali complesse determinate da elementi ambientali che espletano i propri effetti in individui portatori di mutazioni in geni multipli. Entrambi i tipi di diabete, inoltre, sono associati a complicanze croniche, responsabili della gran parte dell'eccesso di morbilità e di mortalità che accompagna la malattia. Il diabete produce danni nei piccoli vasi della retina alterandone irreversibilmente la funzione e costituendo, attraverso questo meccanismo, una delle principali cause di cecità. Il diabete è anche causa di insufficienza renale, di gangrena agli arti inferiori e di neuropatia. Ogni anno muoiono 3,2 milioni di diabetici a causa delle complicanze croniche. In Paesi a elevata frequenza di diabete, come il Medio Oriente e le regioni del Pacifico, fino a una morte su quattro di adulti di età compresa fra 35 e 64 anni è dovuta al diabete. Il tipo 2, che rappresenta il 90% di tutte le forme di diabete, è divenuto infatti una delle principali cause di morte prematura, principalmente attraverso l'aumento del rischio delle malattie cardiovascolari, responsabili dell'80% di questi decessi.
Anche prima che i livelli glicemici divengano tali da consentire la diagnosi di diabete, l'iperglicemia e le modificazioni associate della lipidemia causano un'impennata del rischio di malattie cardiovascolari. Viene, infatti, chiamata sindrome metabolica un'aggregazione, spesso precedente il diabete, dei principali fattori di rischio cardiovascolare: diabete oppure prediabete, obesità addominale, ipercolesterolemia e infine ipertensione arteriosa. Approssimativamente un quarto della popolazione mondiale adulta è colpita da questa sindrome e presenta, per questo, un rischio tre volte più alto di infarto cardiaco e di insufficienza cerebrovascolare acuta e una conseguente mortalità due volte superiore rispetto alla popolazione che non presenta la sindrome. Inoltre, individui colpiti dalla sindrome metabolica hanno un rischio di diabete di tipo 2 che è cinque volte più alto.
Impatto economico
Con un aumento della morbilità di questa dimensione, l'impatto delle malattie croniche del ricambio sulle risorse della sanità è quasi incalcolabile. Nel 2003, i costi sanitari diretti imputabili al solo diabete nella popolazione dei 25 Paesi dell'Unione Europea fra i 20 e i 79 anni sono stati pari a 64,9 miliardi di dollari internazionali, equivalente del 7,2% del totale delle spese sanitarie di questi Paesi. Nel mondo, i costi sanitari diretti del diabete in questa fascia di età eccedono i 286 miliardi. Questa cifra passerà a 396 miliardi se la prevalenza del diabete dovesse continuare a salire come atteso, il che vuol dire che occuperà il 13% della spesa sanitaria mondiale, con costi, per i Paesi ad alta prevalenza di diabete, pari al 40% delle risorse sanitarie. Va sottolineato che queste stime riguardano i costi diretti del solo diabete tipo 2, al netto dei costi aggiuntivi imputabili alle malattie cardiovascolari associate a situazioni di sindrome metabolica nelle quali il diabete non è ancora manifesto.
Le cause della sindrome metabolica
Nella gran parte delle persone con il diabete tipo 2 è presente l'aggregazione di fattori di rischio che forma la sindrome metabolica. Questa è stata oggetto di intensi studi da parte di commissioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, dell'International Diabetes Federation e del National Cholesterol Education Program - Third Adult Treatment Panel iii. Il lavoro di queste commissioni è stato finalizzato allo sviluppo di linee guida per la diagnosi e il trattamento, concentrate sulla copresenza di elevati livelli glicemici, di un profilo lipidemico alterato, di ipertensione arteriosa e di obesità addominale. Sebbene ciascuna componente della sindrome metabolica aumenti, individualmente, il rischio di un evento cardiovascolare letale, il rischio è significativamente più pronunciato quando la sindrome è interamente presente. Quanto maggiore è il numero di elementi della sindrome simultaneamente presenti, tanto maggiore è il rischio di mortalità cardiovascolare.
Le cause che sottendono la sindrome continuano a essere oggetto di ricerche, tuttavia l'insulino-resistenza e l'obesità addominale sono considerati degli elementi chiave. Fattori genetici, inattività fisica, invecchiamento, modificazioni ormonali e lo stato proinfiammatorio possono anche assumere un ruolo causale ma il loro contributo è variabile nei diversi gruppi etnici. L'insulino-resistenza compare quando le cellule dell'organismo, in particolare nel fegato, nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo, divengono meno sensibili o resistenti all'insulina, l'ormone prodotto dal pancreas per facilitare l'assorbimento del glucosio. Il glucosio non può essere più assorbito dalle cellule e rimane nel sangue inducendo una maggiore secrezione di insulina (iperinsulinemia), al fine di consentire comunque al metabolismo del glucosio di procedere. L'aumento cronico della domanda di insulina danneggia le cellule β. Quando il pancreas diviene incapace di produrre abbastanza insulina, l'eccesso di glucosio si accumula nel sangue e il riscontro di questo fenomeno consente la diagnosi di diabete tipo 2. Ma anche prima di tutto questo, l'insulino-resistenza produce alterazioni dannose per l'organismo che includono l'accumulo di trigliceridi, responsabile di ulteriore riduzione della sensibilità all'insulina e di danni al sistema microvascolare. L'insulino-resistenza innalza i livelli plasmatici di trigliceridi e acidi grassi liberi. La comparsa di insulino-resistenza nel tessuto adiposo determina un aumento del flusso di acidi grassi liberi verso il fegato e i tessuti periferici, contribuendo a peggiorare ulteriormente l'insulino-resistenza in questi distretti. A livello cellulare, infatti, gli acidi grassi inibiscono la captazione del glucosio dal sangue e la sua ossidazione. Oltre ad aumentare il livello del colesterolo associato alle lipoproteine a bassa densità, la trigliceridemia elevata, determinata dall'insulino-resistenza, incrementa significativamente il rischio di coronaropatia ischemica. Concomitantemente, come dimostrato da numerosi studi epidemiologici e nel Lipid research clinics prevalence study, i bassi livelli di colesterolo associato alle lipoproteine ad alta densità contribuiscono in maniera particolare al rischio di malattia cardiovascolare, sia nel diabetico sia nell'individuo normotollerante. Questa complessa modificazione del profilo lipidemico, osservata sia nel diabete tipo 2 sia nella sindrome metabolica, costituisce un forte fattore di rischio per malattia cardiovascolare. Infatti, individualmente, tutte le sue componenti sono indipendentemente aterogene.
Anche l'obesità è associata all'insulino-resistenza e alla sindrome metabolica. Alcune stime pubblicate dall'International Diabetes Federation indicano che questo problema affligge circa il 60% della popolazione mondiale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo, circa 18 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni è in sovrappeso. Sebbene fattori genetici siano importanti nel determinare la suscettibilità all'eccesso ponderale, il bilancio energetico è determinato, in ultimo, dall'introito calorico e dall'attività fisica. La crescita economica, la modernizzazione, l'urbanizzazione e la globalizzazione dei mercati alimentari sono importanti forze responsabili dell'epidemia di obesità contemporanea. Man mano che il tenore economico cresce e le popolazioni divengono più urbane, diete ad alto tenore di carboidrati complessi cedono il posto a regimi alimentari più ricchi di grassi, particolarmente grassi saturi, e di zuccheri semplici. Allo stesso tempo, le attività lavorative divengono progressivamente meno impegnative dal punto di vista fisico. La tendenza alla riduzione dell'attività fisica è ulteriormente accresciuta dall'aumento dell'uso dei mezzi di trasporto, dalla pervasività tecnologica e dalla passività delle attività ricreative.
La presenza di obesità contribuisce all'ipertensione, all'iperglicemia, all'ipercolesterolemia, ai bassi livelli di colesterolo associato alle lipoproteine ad alta densità, ed è indipendentemente associata a un elevato rischio di malattia cardiovascolare. Il rischio di conseguenze gravi per la salute, inclusi il diabete tipo 2, la cardiopatia ischemica e uno spettro di altre patologie, fra cui alcune forme di cancro, aumenta in funzione dell'IMC (Indice di Massa Corporea), il rapporto fra la massa di un individuo espressa in chilogrammi e il quadrato della sua altezza in metri. Tuttavia, l'eccesso di accumulo adiposo in addome (obesità addominale), piuttosto che l'IMC, costituisce un migliore indicatore di presenza della sindrome metabolica. I meccanismi attraverso cui l'eccesso di grasso corporeo causa insulino-resistenza e facilita la progressione verso il diabete non sono del tutto chiari ma l'accumulo di grassi, particolarmente nel tessuto adiposo addominale, costituisce una causa importante dell'aumento di trigliceridi e di acidi grassi nella massa muscolare, inducendo insulino-resistenza, promuovendo deficit di secrezione insulinica, innalzamento dei livelli glicemici e aumento del rischio di diabete. L'eccesso di tessuto adiposo incrementa anche il rilascio di molecole ad attività infiammatoria che causano ulteriore insulino-resistenza nel tessuto muscolare. Inoltre, l'obesità addominale è associata a una ridotta produzione di adiponectina, una molecola collageno-simile e adipe-specifica con funzioni antinfiammatorie, antidiabetogene e antiaterogene.
L'85% degli obesi presenta insulino-resistenza, una quota della quale migliora dopo riduzione ponderale. Anche l'inattività fisica ha un ruolo nell'insulino-resistenza dell'obeso. Parte di questo ruolo viene espletato attraverso la riduzione dell'espressione di molecole responsabili dell'ingresso del glucosio nei tessuti muscolare scheletrico e adiposo. L'inattività fisica, inoltre, può innalzare il livello di acidi grassi liberi nel sangue e favorire l'accumulo di tessuto adiposo a livello addominale producendo in questo modo ulteriore insulino-resistenza.
Prevenzione
Nel 2001, il National Cholesterol Education Program - Third Adult Treatment Panel iii identificava due obiettivi terapeutici fondamentali per il trattamento della sindrome metabolica. La loro importanza è stata ulteriormente confermata in un successivo documento pubblicato dall'American Hearth Association e dai National Institutes of Health. Queste organizzazioni hanno raccomandato di trattare le cause che sottendono la sindrome (il sovrappeso e/o l'obesità e l'inattività fisica) migliorando la gestione del sovrappeso e aumentando il livello di attività fisica, e di trattare fattori di rischio cardiovascolare se essi persistono nonostante un'efficace modifica dello stile di vita. Al momento, non esistono evidenze dirette a sostegno del concetto che la prevenzione del diabete tipo 2 e della malattia cardiovascolare attraverso il trattamento della sindrome metabolica per sé possa essere ugualmente efficace come raggiungere i due obiettivi delineati. È possibile trattare l'insulino-resistenza con farmaci che migliorano la sensibilità insulinica (per es., la metformina o i tiazolidinedioni). Ma la loro efficacia rispetto alla riduzione ponderale e all'esercizio fisico non è completamente documentata negli studi clinici condotti. Sebbene non disegnati per affrontare rigorosamente il problema della sindrome metabolica, gli studi disponibili indicano che analoghe modifiche dello stile di vita sono in grado di ridurre in maniera sostanziale la probabilità di sviluppare diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari, in pazienti a rischio. Per es., importanti studi clinici in Cina, Finlandia e negli Stati Uniti hanno dimostrato la possibilità di prevenire o ritardare l'esordio del diabete in soggetti in sovrappeso e a rischio di diabete. Questi studi indicano che una modesta riduzione del peso e 30 minuti di cammino al giorno riducono l'incidenza di diabete di oltre il 50%. Al di fuori degli studi clinici, però, un approccio efficace al problema dello stile di vita e delle conseguenti m. del r. richiede interventi normativi e misure integrate da attuare nella popolazione e in grado di ridisegnare, su larga scala, consumi, comportamenti e motivazioni.
bibliografia
R.A. DeFronzo, E. Ferrannini, Insulin resistance. A multifaceted syndrome responsible for NIDDM, obesity, hypertension, dyslipidemia, and atherosclerotic cardiovascular disease, in Diabetes care, 1991, 14, pp. 173-94.
C.R. Kahn, Banting Lecture. Insulin action, diabetogenes, and the cause of type ii diabetes, in Diabetes, 1994, 43, pp. 1066-84.
Report of the expert committee on the diagnosis and classification of diabetes mellitus, in Diabetes care, 1997, 20, pp. 1183-97.
B. Isomaa, P. Almgren, T. Tuomi et al., Cardiovascular morbidity and mortality associated with the metabolic syndrome, in Diabetes Care, 2001, 24, pp. 683-89.
D.W. Dunstan, P.Z. Zimmet, T.A. Welborn et al., The rising prevalence of diabetes and impaired glucose tolerance. The Australian diabetes, obesity and lifestyle study, in Diabetes care, 2002, 25, pp. 829-34.
S. Genuth, K.G. Alberti, P. Bennett et al., Follow-up report on the diagnosis of diabetes mellitus, in Diabetes care, 2003, 26, pp. 3160-67.
Diabetes Atlas, Brussels 20032.
C. Hug, H.F. Lodish, Visfatin: a new adipokine with insulin-mimetic properties, in Science, 2005, 307, pp. 366-67.
M.A. Lazar, How obesity causes diabetes: not a tall tale, in Science, 2005, 307, pp. 373-75.