Vedi MALTA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
MALTA
Preistoria e protostoria. L'arcipelago maltese, che prende nome dalla maggiore delle sue tre isole (Malta, Comino e Gozo), riveste una importanza notevole per le civiltà protostoriche del Mediterraneo centro-occidentale. Data la posizione geografica, assolse dalla seconda metà del III millennio a. C. una finzione mediatrice tra Oriente ed Occidente, analogamente alla Sicilia. Per tale ragione le ricerche che si sono effettuate in quest'ultimo decennio non hanno potuto non tener conto dei risultati ottenuti per le culture del Bronzo in Sicilia orientale e nell'arcipelago delle Lipari. Dopo gli studî dello Zammit e dell'Ugolini, nell'arcipelago sono state effettuate diverse campagne di scavo, delle quali ricorderemo principalmente, per il periodo protostorico, quelle eseguite in varie località (a Zebbug in Gozo e ad Hal Tarxien in M.) dall'Evans. Da tali ricerche il quadro della civiltà protostorica maltese è uscito completamente rinnovato, poiché si è avuto modo, al tempo stesso, di dare un inquadramento culturale ai dati monumentali ed industriali già noti dalle precedenti ricerche.
Divenuta famosa per le costruzioni megalitiche e per le sculture, la civiltà protostorica maltese presenta oggi varie fasi del suo svolgimento, ciascuna delle quali caratterizzata da manifestazioni particolari. Per quanto la divisione cronologicoculturale sia stata elaborata con scarsa documentazione stratigrafica ed attraverso larghe comparazioni tipologiche, in specie con i materiali delle culture della Sicilia orientale, e, come tale, variamente criticabile, può, in massima, essere accettata soprattutto se, come diremo appresso, si valorizzano quegli elementi di collegamento con le contemporanee civiltà dell'Oriente Anteriore.
Le tracce della occupazione umana preistorica di M. sarebbero documentate nei livelli inferiori caratterizzati dall'Elephas antiquus, dall'ippopotamo e dal cervo della grotta (in maltese: ghar) Dalam, dove si rinvennero alcuni denti attribuibili in un primo momento all'Homo Neanderthalensis, ma in seguito riscontrati identici a quelli dei cadaveri dell'ipogeo di Hal Safleni. Perciò resta soltanto accertata la fase geologica del Pleistocene superiore, priva di manufatti umani e riscontrata in tutto il bacino Mediterraneo.
Nei livelli superiori a quelli con Elephas antiquus della stessa grotta sono state incontrate ceramiche adorne di incisioni eseguite sull'argilla ancora umida (cosiddetta "ceramica impressa a crudo"), le quali collegano la relativa cultura ad economia prevalentemente agricola ai gruppi etnici dello stesso periodo sistemati intorno al bacino del Mediterraneo, perché la ceramica impressa a crudo è documentata in Cilicia (Mersin, ecc.), Grecia (Malthi, ecc.), Italia (Arene Candide, Puglia, Stentinello), Francia, Spagna e coste nord-africane. Questa presenta le anse modellate a testa di animale (protome zoomorfa) in maniera analoga alle ceramiche impresse di Stentinello e di Puglia (Molfetta, ecc.). Lo stadio della civiltà agricola (il cui inizio è posto al 2500 a. C.) dura nell'arcipelago per lungo periodo di tempo ed in determinate località sembra raggiungere i tempi romani, come appunto alla grotta Dalam, dove la ceramica impressa è associata a materiali romani.
Considerato che le genti a primitiva cultura agricola non avevano ancora una totale stabilità di dimora (seminomadismo), anche nell'arcipelago non abbiamo per questa prima fase tracce di abitazioni, in quanto per lo più si viveva in grotte oppure in villaggi all'aperto costituiti di capanne straminee facilmente deperibili e perciò scomparse.
Nello stadio successivo (fase seconda o B), caratterizzato da una ceramica più raffinata sia per grado di cottura e ritocchi tecnici esterni (levigatura) che per decorazione eseguita con punte di selce prima e dopo della cottura, compare l'uso di seppellire in grotticelle più o meno artificiali e quello edilizio di limitare, a scopo religioso, con lastroni ortostatici una superficie per recinto sacro (i cosiddetti "templi" di Malta). Tale ceramica, di cui è tipica una forma di tazza apoda a pareti alte e decorata con tre bande parallele sotto l'orlo, fu rinvenuta, durante gli scavi del 1954, nel villaggio di Mgarr, ad O di Valletta ed a circa km 2 dalla costa occidentale di M., nell'altro di Kordin Hill, indicato col nome di Kordin III, nella necropoli di tombe ipogee semiartificiali di Xemxija Heights presso la Baia di S. Paolo sulla costa settentrionale (rinvenuta anche nell'ipogeo di Hal Safleni). La sua presenza dimostra che le prime costruzioni megalitiche devono attribuirsi alle genti a cultura agricola con ceramica impressa, poiché uno iato tra queste due fasi di cultura praticamente non esiste, in quanto ceramiche impresse sono state incontrate al villaggio di Mgarr e nei siti di Santa Verna e Xewkija di Gozo.
A queste due prime fasi risalgono le prime costruzioni. A Mgarr furono messi in luce i resti di strutture murarie pertinenti sia a questa seconda fase che alla successiva. Alla seconda è attribuita la prima costruzione di Mgarr. Qui i piccoli ambienti, formati di pareti a struttura mediolitica e disposti a pianta curvilinea, erano raggruppati, in senso quasi radiale, intorno, all'area centrale (una specie di cortile comune), sulla quale affacciano i loro ingressi. Date le dimensioni complessive dell'area impegnata (circa m 10 di diametro lungo), è da pensare che i quattro vani avessero copertura unica, di cui ignoriamo la struttura che, tuttavia, si può, per analogia con quella usata in altre contemporanee architetture dell'Oriente Anteriore, pensare costituita da travature lignee. La pianta di questa prima costruzione di Mgarr ripete l'identica disposizione delle nicchie dell'ipogeo n. 5 di Xemxija, dove si è rinvenuta questa stessa ceramica.
Ai cinque ambienti ritagliati nel sottosuolo roccioso si accede dalla superficie a mezzo di un pozzetto circolare. Si è, quindi, pensato che la costruzione di Mgarr riproducesse in elevato la disposizione ambientale degli ipogei, e, come tale, anch'essa forse dovette essere destinata originariamente a sepoltura e, poi, ad altri usi; e ciò in connessione a concetti religiosi ed alle relative pratiche rituali connesse al culto della Dea dei Morti e della Fecondità. In un momento successivo vedremo che la duplice funzione di queste costruzioni (tombe-templi), cioè di sepoltura ed, in pari tempo, di luogo sacro, andrà gradualmente distinguendosi per esprimersi nelle due forme architettoniche distinte, quella del tempio o, comunque, di una area destinata ad usi religiosi (Hal Tarxien), e nell'altra dell'ipogeo sepolcrale (Hal Safleni).
La costruzione di Mgarr fu adoperata anche in tempi seriori. Questa duplicità di funzione delle costruzioni sia in elevato che ipogeiche (tempio-tomba), almeno in una loro fase originaria, sembra costituire una caratteristica esclusiva delle costruzioni maltesi, poiché - tranne qualche isolato esempio molto contestato nelle isole Orcadi e nella Francia occidentale - non si incontra presso le architetture megalitiche contemporanee dell'area euro-mediterranea occidentale.
La terza fase C si caratterizza ancora per ceramiche che, per quanto riconducibili a quelle precedenti per i caratteri tecnici di cottura e levigatura, si distinguono per la superficie in giallo o camoscio lucido su cui sono eseguiti ad intaglio, con coltello di selce, fasci di linee ad andamento vario, spesso marcate da punteggio, o linee semplici disposte ad ogiva in un pannello, oppure la figura umana ridotta ad uno schema identico a quello tipico delle ceramiche geometriche classiche. Oltre alle forme di scodelle a fondo piano e raramente carenate e vasi a "tulipano", si incontra una tipica brocca quadriansata con "collo a campana" adorna di linee intagliate disposte a fasci nel senso verticale (a partire, cioè, dall'orlo al fondo) sulla superficie esterna. A questa fase appartengono numerosi frammenti di ceramica gialliccia dipinta a linee rosse o brune o in grigio chiaro. Questa decorazione tecnica è nota presso le ceramiche dipinte (cosiddetto "stile delle fasce semplici") delle culture di Scaloria (in Puglia), di Capri e di S. Cono (Sicilia). Le due classi vascolari suddette sono state rinvenute in numerose località di M. e Gozo, delle quali ricorderemo le più importanti, cioè la seconda costruzione, adiacente alla prima, di Mgarr (Malta) ed il gruppo di cinque tombe a grotticella presso Zebbug (Gozo).
La seconda costruzione di Mgarr si presenta, in realtà, differente dalla prima per un nuovo elemento architettonico, cioè un cortile-vestibolo con ingresso centrale, disposto a semicerchio determinato da una muratura costituita da un solo filare di lastroni megalitici (alti m 3 circa) ortostatici. Tale disposizione ricorda gli atri antistanti delle "tombe dei Giganti" sarde. Quanto a distribuzione di ambienti, più ampi di quelli della precedente costruzione di Mgarr, questi si presentano, del pari, raggruppati intorno ad una corte centrale, rettangolare e più ampia della precedente su cui affacciano gli ingressi, ed alla quale si accede attraverso un breve corridoio a pareti megalitiche introdotto dalla corte antistante o cosiddetta facciata. In pianta il complesso risulta come un "trifoglio", poiché su ciascun lato del cortile, eccetto quello dell'accesso, è disposto un solo ambiente a pianta pressoché rotonda. La complessiva area impegnata da tale complesso è di circa m 18 (asse lungo) per circa m 15. Anche qui si pone il problema della copertura, che si ritiene non doveva esserci e, in tal caso, si tratterebbe di recinti all'aperto. Tranne il carattere megalitico evidente nelle strutture murarie del cortile antistante ed in quelle portanti del corridoio e degli ingressi (principio del trilitismo di origine egizia), le rimanenti strutture degli ambienti sono mediolitiche e non rivelano alcun principio di curvatura che possa far pensare ad un principio di falsa cupola. È per questo impiego di materiali megalitici, oltreché per le ceramiche dipinte rinvenutevi, che tale costruzione di Mgarr è stata ritenuta più recente dell'adiacente costruzione a strutture mediolitiche e perciò di fase precedente.
La ceramica dipinta della fase C proviene in scarsissima quantità (appena quattro frammenti) da una delle tombe ipogee di Zebbug, le quali, pertanto, risalgono a questa fase. Da queste stesse tombe, che sono collettive, provengono grani di collana ottenuti da valve di molluschi (Pectunculus, Spondylus) ed i bottoni forati a V, che sono ben noti presso analoghi orizzonti culturali del Mediterraneo occidentale ed in particolare presso le architetture megalitiche (tombe a corridoio, tombe a galleria, sepolcri a tumulo dolmenico) dell'Armorica (Francia) e dell'Iberia.
Un frammento di pietra tenera maltese (globigerina) dalla tomba n. 5 di Zebbug reca su una faccia un graffito abbozzante una figura umana. È ritenuto la più antica testimonianza della scultura protostorica maltese. Trattasi di un idoletto raffigurante la dea mediterranea, il quale, unitamente alle contemporanee architetture e ceramiche, fa ritenere che in questo periodo M., mentre declina la cultura a ceramica impressa di Stentinello in Sicilia, assume una funzione genetica, perché sembra che diffonda l'idolo della Dea Madre. La statuetta citata ricorda, proprio per essere bidimensionalmente scolpita, le stele-menhir della Francia mediterranea ed alcune di Fivizzano (La Spezia) che risalgono agli inizi del II millennio a. C. Questo elemento, unitamente ai bottoni forati a V, ricollega M. non soltanto al mondo occidentale, ma anche a quello anatolico rappresentato dalle culture delle prime cinque città di Troia e a quello dell'antica Età del Bronzo cipriota.
La fase D si caratterizza per le ceramiche decorate a motivi geometrici eseguiti sulla superficie esterna a graffito dopo la cottura, i cui solchi sono ripieni di ocra rossa per dare risalto alla decorazione (scacchiere, rombi a quadrillé) nel tentativo di sostituire la pittura. Le forme ripetono quelle precedenti senza, però, la brocca a collo tronco-conico. A questa fase appartengono le costruzioni di Kordin III (Malta), quella posta all'estremità orientale del recinto di Tarxien (Malta), quelle di Ggantija (Gozo) e di Hagar Qim (Malta), perché nei livelli inferiori sono state incontrate ceramiche di questa fase, conosciute peraltro, nell'ipogeo di Hal Safleni ed altri.
La costruzione di Kordin III, risultante in pianta a "trifoglio", è più ampia di Mgarr II, poiché l'asse lungo misura m i8. I tre ambienti, di analoga sistemazione a quelli delle precedenti, sono a forma di ferro di cavallo con ingresso sul cortile centrale di forma irregolare, pavimentato a lastricato, e perciò solo ora tale spazio è funzionalmente distinto. Nelle pareti dei vani sono ricavate delle nicchie. Le ceramiche di questa fase sono state rinvenute sotto il lastricato del cortile ed intorno alla fondazione delle mura negli scavi compiuti nel 1954. Anche Kordin III ha il cortile antistante semicircolare con ingresso centrale: area che è risultata pavimentata ad acciottolato.
Le strutture di Kordin III si riconoscono nelle uguali costruzioni a "trifoglio" di Mnajdra, di Tarxien e in quelle di Ggantija in Gozo.
Qui si tratta di due "templi" situati al sommo di una collina e compresi in un muro perimetrale di ortostati in pietra locale, cosiddetta corallina. Successivamente in continuazione del cortile antistante si livellò il pendio della collina a guisa di piattaforma portata al livello dei templi. Il muro perimetrale è a zoccolo ortostatico integrato da blocchi prismo-rettangolari sovrapposti in senso orizzontale: maniera questa che si riscontra impiegata per la prima volta in questa fase. La costruzione S, più antica di quella N, si presenta in pianta essenzialmente a"trifoglio" con l'aggiunta di due ambienti laterali di dimensioni minori e sistemati ciascuno su un lato e, quindi, affrontati. Questi sono i primi vani che si incontrano dopo che si è percorso un breve corridoio, a pareti ortostatiche e con ingresso al centro del solito cortile antistante. Proseguendo ancora attraverso un corridoio a pareti ortostatiche e pavimentato a lastricato, si accede nel cortile sul quale si aprono le tre absidi (due laterali e una di fondo). Di questa imponente costruzione sopravvivono resti delle strutture murarie che raggiungono l'altezza di circa m 6. L'area impegnata ha l'asse lungo di m 30 e l'ambiente più grande misura m 10 × m 9.
D'ora in poi, la disposizione di due ambienti su ciascun lato affrontati sarà caratteristica particolare delle costruzioni tarde. La costruzione N di Ggantija, di dimensioni ridotte rispetto a quella S (asse lungo m 23 circa), presenta la stessa disposizione ambientale; i vani sono disposti a due a due sui lati ed affrontati e, contrariamente al precedente complesso, le due absidi anteriori sono più ampie che quelle posteriori.
È ormai chiarita in questo periodo la funzione degli ambienti, che è quella di essere, almeno alcuni, destinati a luoghi di culto, poiché si sono rinvenute delle mensole (specie di altari) disposte lungo la faccia interna della parete maestra.
Anche la posizione cronologica di Hagar Qim, l'altro grande complesso architettonico posto su una collina presso Qrendi nelle vicinanze della costa meridionale di M., è stata chiarita con le ricerche eseguite nel 1954 in vari punti dell'area interessata dalla costruzione. La disposizione degli ambienti, che qui si presentano demoliti e rimaneggiati, doveva essere identica a quella delle costruzioni precedenti. Ma, tuttavia, il complesso di Hagar Qim resta un esempio di come la fantasia dei costruttori di questo periodo non obbedisse a schemi planimetrici preconcetti. In questa fase si compie l'impiego della pietra tenera maltese (globigerina), i cui blocchi presentano le facce scalpellate in modo da assumere rilievo nella decorazione della costruzione. Sembra anche che la faccia interna delle pareti degli ambienti fosse stuccata e dipinta in rosso.
Ad Hagar Qim si notano numerosi elementi struttivi che richiamano alle contemporanee architetture megalitiche dell'Occidente mediterraneo quale, per esempio, l'uso di ritagliare in un lastrone di dimensioni capaci un apertura per uso di passaggio (port-hole), tecnica ben nota nelle tombe a galleria francesi (civiltà Seine-Oise-Marne), nelle tombe a corridoio iberiche (Los Millares, ecc.), nelle tombe a galleria del gruppo Severn-Cotswold in Inghilterra ed in quelle della Cornovaglia ed isole Scilly. In uno degli ambienti di Hagar Qim si osserva che i blocchi sagomati della parete perimetrale sono disposti ad assise leggermente aggettanti. Ciò ha fatto pensare che questo ambiente, posto a N-E, sia della fine della fase D, mentre quegli ambienti con pareti ortostatiche sarebbero più antichi.
Il tempio di Hagar Qim presentò innovazioni anche per quanto riguarda gli altari, i quali possono essere costituiti da una lastra sostenuta da un monolito (a guisa di fungo o a profilo a T, come le taulas di Minorca), a blocchi con scanalature verticali a fondo decorato a motivi vegetali.
Con la fase E (1600-1500 a. C.) siamo al periodo di apogeo della civiltà protostorica maltese, dovuto al fatto che i contatti con le civlltà egee si sono notevolmente intensificati. Questi sono testimoniati dalle decorazioni architettoniche e nei prodotti vascolari. Non mancano neanche manufatti in selce ed in ossidiana, materie importate.
Le ceramiche sono ancora ornate con la tecnica del graffito, che è prevalentemente seguita unitamente al colore bianco per riempire i solchi. Tra i motivi ornamentali ricorderemo il diffuso impiego delle linee curve parallele tirate con mano sicura in modo da determinare sulla superficie una fascia, che spesso è disposta a semplice semicerchio; la spirale è abbozzata e, quando è accennata, le fasce sono punteggiate e le linee di contorno eseguite ad intaglio su tazze carenate e biconiche. Con la stessa tecnica del graffito sono raffigurate specie animali come il toro, la pecora, la capra, il serpente, l'uccello.
Le forme dei vasi sono prevalentemente a "tulipano", a fiasco, vasi bitronco-conici con anse impostate allo spigolo, tazze carenate a pareti alte.
Accanto alla tecnica del graffito si incontra anche quella dell'incisione a crudo, con la quale è ottenuta una decorazione ad unghiate sparse su tutta la superficie esterna del vaso. Si nota anche una decorazione fatta di tante pastiglie in rilievo sulla parete esterna di tazze carenate.
Si è, inoltre, osservata la tecnica delle solcature parallele disposte a fasci, che formano dei quadrati o dei denti di lupo: tale classe vascolare richiama la ceramica a scanalature della Provenza (cultura di Fontbouïsse, 1600-1500 a. C.). La ceramica domestica è spesso decorata a protomi umane e animali.
Tali classi vascolari sono state rinvenute in varie località, delle quali vanno rammentate quelle dove si trovano i due complessi architettonici più importanti: Mnajdra e Tarxien.
Le costruzioni di Mnajdra, che guardano il tratto corrispondente di costa meridionale con l'isoletta di Filfla e che sono pertinenti a questa fase, sono due, di cui una con le solite due absidi sistemate sui lati ed affrontate è la più recente; l'altra, cioè quella praticamente a S-O, con due absidi soltanto ed a strutture più elaborate, è attribuita ad un momento iniziale della fase E. Questa si presenta in pianta costituita da un solo grande ambiente a pianta ovale, perché manca l'abside di fondo, disposto in senso ortogonale al corridoio di accesso. Sorprendono le imponenti strutture megalitiche con i lastroni ortostatici di base, cui si sovrappongono blocchi prismo-rettangolari disposti in senso orizzontale (pressoché isodomici), la solita tecnica di ritagliare in un solo lastrone il vano di accesso rettangolare nel senso dell'altezza e la scalpellatura dei blocchi prismici a scopo decorativo. Retrostanti a questo ambiente si incontrano spazi variamente delimitati e con relativi ingressi trilitici ricavati nella parete a sinistra dell'ambiente principale e con gli stipiti monolitici scalpellati sulla faccia esposta.
La costruzione di N-E del gruppo di Mnajdra è di pianta uguale alle due di Ggantija, della fase D. Presenta l'elemento della piattaforma antistante predisposta allo scopo di portare il pendio della collina a livello del piano della vetta, su cui sono sistemate le absidi, disposte a due a due sui lati.
Il monumento, che dà nome, per le sue notevoli proporzioni, alla fase quinta del I periodo della civiltà protostorica maltese, è rappresentato dal gruppo di tre costruzioni intercomunicanti denominate comunemente templi di Tarxien, a S di Valletta, e facenti parte di un unico complesso che si estende su una vasta area. È idea degli studiosi ritenere che il complesso comprenda costruzioni di varia epoca e, secondo uno schema semplicistico, si è pensato che la orientale, poiché priva di elementi decorativi, fosse precedente sia a quella centrale che all'occidentale, considerata ultima in ordine di tempo (Zammit). Senonché i risultati delle ricerche ultime hanno provato diversamente.
Prescindendo dalla costruzione di fase più antica posta al limite orientale e di cui abbiamo dato la descrizione, bisognerà iniziare da quella posta ad occidente. Dal solito cortile antistante, attraverso un ingresso trilitico che introduce un corridoio, si passa nel cortile interno lastricato con un'abside a sinistra ed a destra a piano leggermente rialzato rispetto a quello del cortile. La fronte del piano rialzato è distinta da blocchi prismo-rettangolari collocati in senso orizzontale e con la faccia esposta lavorata a spirali ricorrenti in rilievo. Sono queste le note decorazioni che hanno attratto in particolare l'attenzione sulle costruzioni di Tarxien. Sotto i lastroni di base di un altare si rinvenne una lama di selce di coltello, adoperato per sgozzare animali immolati, di cui si trovarono ossi risultati di pecora, capra, porco; teorie di immagini di codesti animali sono state anche graffite su lastroni delle strutture murarie, con mano che ricorda molto da vicino i graffiti paleolitici di Levanzo (Egadi). L'ambiente di fondo, a tecnica ortostatica e copertura architravata, conclude questa prima costruzione. I lastroni di questo recano tracce di annerimento: in questa parte della costruzione in tempi seriori fu sistemato il cimitero a incinerazione di Tarxien. Dall'angolo N-E di questa prima costruzione si accede a mezzo di corridoio in solita tecnica, nel tempio centrale, che risulta eccezionale per avere tre absidi disposte su ciascun lato (quindi sei complessivamente) ed a due a due degradanti per dimensioni a cominciare dalle due più grandi anteriori fino alle minori di fondo.
L'opinione corrente sull'interpretazione delle tre coppie di absidi, anziché due come nella normalità, è che l'aggiunta delle due ultime più piccole, fosse stata determinata, più che da motivi rituali, dalla necessità di avere altri ambienti destinati ad usi speciali. Le due absidi anteriori affrontate non sono distinte da ingresso e, perciò, complessivamente formano un ambiente ovale, che al centro presenta una vaschetta circolare, adoperata come focolare, poiché mostra tracce di azione ignea.
Al secondo ambiente, composto della seconda coppia di absidi affrontate senza ingresso, e, come tale, costituente in pianta un vano ellittico, si accede per mezzo di un corridoio a sole pareti ortostatiche, introdotte da ingresso a stipiti monolitici e senza architrave, con soglia notevolmente rilevata e faccia decoràta in rilievo a spirali affrontate e triangolo di riempimento su una superficie martellata e incorniciata da bordini lavorati. Decorazione che si è già vista ad Hagar Qim e che ricorda i chiusini delle tombe a grotticella (o ipogee) di Castelluccio in Sicilia. Il motivo decorativo delle spirali o, meglio, dei cerchi concentrici appaiati è comunemente interpretato come un'ipostasi figurativa della decorazione "ad occhi", nota in ogni paese del Mediterraneo di quest'epoca, e raffigurante il simbolo della Dea Madre. Collocata all'ingresso è stata interpretata come indicazione di limitazione d'accesso, nel senso che doveva essere riservato soltanto ai ministri del culto.
Sembrerebbe, inoltre, che l'abside sinistra dell'ultima coppia (cioè, minore delle precedenti) fosse stata ricoperta a cupola; e questo, perciò, sarebbe l'esempio più antico di cupola nel Mediterraneo. Ma si teme che i lastroni dimostrativi siano stati ricollocati in situ in tempi recenti.
La terza costruzione orientale, cioè quella ritenuta più antica di tutte dallo Zammit, è identica per pianta all'altra sud-occidentale. Non presenta strutture decorate.
Quanto alla datazione, sembra che la costruzione centrale a sei absidi risalga ad uno stadio avanzato della fase E e sia stata ricostruita in questo torno di tempo su una preesistente costruzione a quattro absidi. Risulterebbe, perciò, poco più recente di quella orientale che risale ad uno stadio iniziale della fase stessa e poco più antica di quella sud-occidentale che, per aver dato ceramiche della fine della fase E è, dunque, l'ultima in ordine di tempo. Da questa successione cronologica è evidente che la pianta a sei absidi non rappresenta la conclusione decadente dell'architettura protostorica maltese, bensì l'apogeo, cui segue la decadenza rappresentata da un ritorno alla pianta a quattro absidi del tempio sud-occidentale di Tarxien, dove anche la decorazione attesta un imbarocchimento nel trattamento dei motivi ornamentali.
Alla fase E appartengono altri templi minori (Bugibba, Tal Qadi, Hai Ginwi e Borg in-Nadur).
In generale i templi hanno l'ingresso costantemente aperto a S-E ed a S-O. Le opimoni sulla eventuale copertura sono divise fra studiosi sostenitori e negatori della stessa. La tesi positiva arriva a sostenere che i templi più recenti dovettero avere una mezza falsa vòlta. Ma, a dire il vero, il principio sia pure di una mezza falsa cupola intradossata importa altri tipi di materiali che le rocce maltesi non offrono. E quegli esempî di strutture murarie leggermente curve non presentano possibilità tecniche per una falsa cupola, della quale, ad ogni buon conto, si sarebbero dovuti trovare i materiali di crollo. Si deve, perciò, necessariamente pensare ad una copertura lignea. Le tracce di annerimento da fuoco visibili sulle strutture murarie di Tarxien fanno pensare anche ad un incendio di materiali di copertura.
Per questa fase E l'ipogeo di Hal Safleni, esemplare di tomba collettiva ove furono inumati circa 7000 individui, documenta, con le due sagomature a falsa vòlta della roccia naturale che la tomba ipogea aveva raggiunto il suo più completo sviluppo.
Le sculture del I periodo della civiltà protostorica maltese, sono state distinte in quattro gruppi:
1) idoletti in alabastro modellati in tutto tondo con indicazione delle parti molli a mezzo semplici tagli longitudinali, per voler raffigurare la Dea Madre: esempi provenienti dall'ipogeo di Hal Safleni;
2) statuette cultuali lavorate con accentuata steatopigia e con il viso completamente lavorato in rilievo, sviluppatesi dal primo tipo: esempi dall'ipogeo di Hal Safleni, dai due templi di Ggantija, da Hagar Qim;
3) figure cultuali che rappresentano la Dea Madre coricata: esempi dallo stesso ipogeo di Hal Safleni;
4) ex voto in argilla che riproducono il simbolo della dea della fecondità: esempi anche dall'ipogeo di Hal Safleni.
Le sculture sono state accostate ad altre analoghe dell'Oriente e dell'Occidente mediterraneo allo scopo di inquadrarle stilisticamente e cronologicamente.
È opinione corrente che con la comparsa del rito ustorio, documentato nella necropoli di Tarxien, si apre il II periodo della civiltà protostorica maltese che si suole comprendere tra il 1400 e 11oo-8oo a. C. e che si distingue, come il I periodo, in varie fasi, delle quali la più antica è quella del cimitero di Tarxien. I nuovi aspetti culturali, solitamente indicati col nome di "cultura del cimitero di Tarxien", presentano ceramiche di forme più regolari, dl impasto più depurato e compatto, i cui vasi erano adoperati per cinerari. Questi assumono la forma dell'anforetta, della brocca, del vaso quadriansato e poi, si presenta la forma nuova di una brocca monoansata ed a quattro beccucci sulla spalla, oppure a due colli; nuova è anche la forma dell'askòs trattato a spigoli accentuati. La superficie, specie delle grandi olle cinerarie, è decorata a motivi geometrici eseguiti a graffito, a cotto o ad intaglio con relativi solchi ripieni di bianco.
Si incontrarono oggetti di rame, pugnali triangolari con tre o quattro fori alla base per l'alloggio dei chiodi per l'immanicatura, l'ascia bucata, alcune piastre di argento e cilindri di piombo. Non mancano anche manufatti di ossidiana e selce, fuseruole, blocchi di pietrapomice, che era importata dalla Sicilia, e di pirite.
Al corredo funebre appartengono ancora collane composte di circa un centinaio di grani fatti di vertebre di pesci, di valve di molluschi, di vetro azzurro: quest'ultimo testimonia il commercio miceneo in Occidente del XIV sec. a. C. Compaiono idoletti nuovi di ispirazione micenizzante, dei quali va ricordato uno fittile con il capo sormontato da una mezza luna ed il busto trattato a guisa di disco con due protuberanze mammellari e a decorazione geometrica incisa.
A questa prima fase del II periodo appartengono i dolmen maltesi, perché ne sono stati esplorati due che hanno restituito materiali archeologici identici a quelli della "cultura del cimitero di Tarxien", e pertanto si ritiene che la costruzione dolmenica sia stata introdotta nel XV sec. a. C. ad opera delle genti che portarono la cremazione.
La cultura della prima fase del cimitero di Tarxien è stata accostata alla facies culturale di Capo Graziano in Lipari e si è postulato che i due gruppi culturali avessero un centro genetico comune da collocarsi nell'Italia meridionale e, particolarmente in Puglia, poiché qui è un gran numero di dolmen semplici localizzati soprattutto in Terra d'Otranto.
Un secolo dopo, cioè nel XIV sec. a. C., si sarebbe avuta una seconda invasione di genti, che costruirono villaggi cintati, dei quali quello più rappresentativo è posto sullo sperone dell'altopiano di Borg in-Nadur, sulla Baia di S. Giorgio. Ne sarebbe testimonianza anche il tipo di tomba ipogea a campana presente al promontorio Mtarfa presso Rabat (Gozo) ed in questa stessa isola, oltreché in M., sono noti i villaggi per lo più sistemati su promontori generalmente isolati dalla terraferma da corsi di acqua naturali.
Alla cittadella di Borg in-Nadur, della quale resta il semicerchio frontale delle mura a struttura prevalentemente mediolitica su fondazioni megalitiche, gli scavi hanno restituito ceramiche di impasto grigio con rivestitura monocroma, rossa, decorate a fasci di linee a denti di lupo eseguiti a solcature (tecnica nota sulle ceramiche italiane di stile protovillanoviano) con le forme di vasi pitoidi triansati, tazze con ansa ad anello verticale ad apice superiore ad ascia, scodelle a pareti verticali, tazze su piede sopraelevato, brocche monoansate, cui si aggiunge una tipica forma di bacino scompartito, già nota tra le forme vascolari del cimitero di Tarxien. Tra le ceramiche un frammento di ceramica micenea, pertinente ad un calice del 1200 a. C., il quale vorrebbe indicare un termine finale della seconda fase. È stato sostenuto che le tazze su piede ed i bacini analoghi rinvenuti nelle necropoli siracusane con materiali micenei fossero stati importati da M. (Bernabò Brea); ma non manca la tesi contraria che fa venire il popolo di Borg in-Nadur a M. dalla Sicilia meridionale, ancora poco esplorata (Evans). La cittadella di Borg in-Nadur è stata paragonata, quanto a strutture murarie, a Micene ed a Monte Finocchito. Essa fu occupata stabilmente per alcuni secoli (1300-1200 a. C.) e vi si condusse una vita pacifica di scambi con l'Italia e la Sicilia.
L'ultima fase del II periodo sarebbe rappresentata da nuove tecniche decorative sulle ceramiche adorne di motivi geometrici eseguiti ad intaglio ed a pittura nera su fondo grigio. Le forme comprendono vasetti tronco-conici, scodelle a pareti basse con alta ansa a nastro impostata obliquamente sull'orlo, attingitoi, scodelle ad orlo tendente all'interno, brocche-fiasco monoansate: forme che richiamano la facies dell'Ausonio II di Lipari, di Canale Ianchina in Calabria, di Torre Castelluccia e di Timmari nell'Italia sud-orientale. Tale ceramica caratterizza prevalentemente la cultura di Bakija, villaggio situato su una collina presso la costa sud-occidentale di M., e da cui prende nome questa fase conclusiva della protostoria maltese che, attraverso comparazioni, è stata compresa tra i secoli XII e XI fino al IX-VIII sec. a. C., fino a quando cioè, compaiono i primi stanziamenti fenici.
Questa distinzione in fasi della protostoria maltese, che rappresenta l'elaborazione delle recenti ricerche sia positive che teoriche, costituisce certamente una innovazione rispetto alla sommaria presentazione che di essa si aveva a seguito delle ricerche dell'Ugolini, del quale, però, resta sempre il merito di aver offerto agli studiosi quella larga messe di materiali, che oggi, alla luce delle nuove e vaste cognizioni acquisite sulle civiltà protostoriche mediterranee, si possono storicamente inquadrare specialmente se i parallelismi con le coeve culture del Mediterraneo orientale sono attentamente valutati.
L'architettura maltese è sempre stata riconosciuta come un fatto culturale con funzione genetica (tesi dell'Ugolini). A dire il vero, tra una costruzione maltese ed una balearica (talaiots) passano notevoli differenze strutturali e cronologiche considerevoli tanto quanto quelle che intercorrono tra le stesse costruzioni torriformi di Maiorca ed i semplici nuraghi sardi. Come si vede, non è così facile proporre comparazioni tra forme architettoniche di civiltà insulari, le quali, per quanto ricollegabili attraverso manifestazioni artigianali (ceramiche, ecc.), non lo sono, invece, quanto ad espressioni d'arte e, in particolare, di forme architettoniche, che, come sempre, "esprimono" in forme d'arte il temperamento culturale di un ethnos. Allo stato attuale si deve concludere che i "templi" maltesi restano un fatto autoctono che va spiegato alla luce delle altre forme architettoniche locali, tenendo sempre conto di quei procedimenti tecnici e strutturali comuni alle altre architetture orientali (specie egizie) ed occidentali.
Età classica. Per il periodo preromano non mancano testimonianze puniche. Si conoscono iscrizioni e corredi funerari con relativi tipi tombali. Tra le ceramiche ricordiamo lucerne bilicni, anforette, unguentarî. Nel territorio di Rabat e di Vittoria sono stati scoperti diversi ipogei cartaginesi. L'arcipelago divenuto possesso romano nel 218 a. C., si inserisce anche nell'arte romana. Ne sono testimonianza i resti monumentali presenti in varie località. Il monumento più famoso è la casa o villa romana di Rabat della quale restano il peristilio e l'impluvio decorato e due camere laterali, danneggiate durante l'ultima guerra mondiale ed ora restaurate. Sono state messe in luce nella stessa zona cisterne e strutture pertinenti ad una cinta muraria. A S-O e sovrapposte ai resti romani sono state scavate diverse tombe di epoca saracena a struttura ben nota in altri luoghi del Mediterraneo.
Altri resti romani si conoscono a Bur-Murrod (villa), Ghien is-Sultan (Rabat) (villa), a Ramba (Gozo) (edificio termale).
Per quanto riguarda la scultura, diversi pezzi sono conservati nei musei della Valletta e di
Rabat: un rilievo con la raffigurazione della Doloneia, una statua femminile acefala (forse Livia), un busto femminile di epoca giulio-claudia, un ritratto di Tiberio, uno di Antonino Pio, un altro di giovane del III sec. d. C., diverse maschere funerarie di età neroniana e varie copie identificate per un'Amazzone da originale del V sec. a. C., per un'Artemide da originale ellenistico.
A queste sculture si associano materiali vascolari aretini ed anfore vinarie.
Sotto questo aspetto si può dire che il quadro della civiltà di età classica a M. non si differenzia tanto da quello delle altre isole mediterranee occidentali. Non si ha ancora una successione chiara di culture (prima punica, poi romana) come in Sardegna; ma non differisce da quanto si conosce sulle Baleari, romanizzate da Cecilio Metello Balearico nel 210 a. C., dove lo strato culturale punico si può dire che presenti identici elementi salvo qualche lieve differenza.
Bibl.: Preistoria e protostoria: T. Zammit, Prehistoric Malta, Oxford 1930; L. M. Ugolini, Malta, origini della civiltà mediteerranea, Roma 1931; M. Murray, Corpus of the Bronze Age Pottery of Malta, Londra 1934; C. Ceschi, Architettura dei templi megalitici di Malta, Roma 1939; J. D. Evans, The Prehistoric Culture-Sequence in the Maltese Archipelago, in Proc. Preh. Soc. for 1953, XIX, pp. 41-94; id., The "Dolmens" of Malta and the Origins of the Tarxien Cemetery Culture, in Proc. Preh. Soc. for 1956, XXII, pp. 85-102; id. Malta, Londra 1959; L. Bernabò Brea, Malta and the Mediterranean, in Antiquity, vol. XXXIV, Londra 1960, pp. 132-137. Età clsasica: T. Ashby, Roman Malta, in Jour. Rom. St., V, 1915; L. M. Ugolini, Ritratto di Tiberio, in Bull. Mus. dell'Impero, 1931; P. C. Sestieri, Un rilievo di Malta con la rappresentazione della Doloneia, in Rend. Lincei, 1938, p. 21; id., Due teste romane, in Bull. Mus. dell'Impero, VII, 1936; id., Sculture maltesi, parte I e II, in Arch. St. di Malta, 1939; id., Sculture maltesi, parte III, ibid., 1940; Annual Report of the Museum Department, dal 1904 in poi.